Rassegna stampa 11 dicembre

 

Livorno: archiviazione caso Lonzi, parla l’avvocato Trupiano

 

Avvocato Vittorio Trupiano, 11 dicembre 2004

 

Io sono un difensore e un difensore non può essere un vile, altrimenti meglio che se ne stia a casa. Non posso accettare che si dica che tutte quelle ecchimosi, quei lividi, e quant’altro sono le conseguenze di un tentativo di rianimazione.

La verità è che non si è disposta una nuova autopsia solo per evitare che risultassero evidenti lesioni ossee. Questa storia non può e non deve finire qui, farò tutto il possibile perché il caso venga riaperto, anche se per ora ha prevalso la ragion di Stato.

Dentro e fuori: i detenuti e il rapporto con l’esterno

Intervista a don Renato Rebuzzini

 

www.korazym.org, 11 dicembre 2004

 

Nel racconto di un sacerdote perché il giornalismo ha paura di raccontare questo mondo sconosciuto. La realtà dei detenuti, dove comprare un dentifricio è difficile come imparare a leggere.

"Dentro e fuori - i detenuti e il rapporto con l’esterno", questo il titolo del seminario che don Renato Rebuzzini ha proposto a Capodarco. Un tema delicato, il racconto di un microcosmo che più di altri il giornalismo oggi nasconde, un dibattito affrontato in compagnia di Mario Calabresi, caporedattore centrale di Repubblica.

Il nocciolo del problema è la scelta del modo in cui i giornali danno certe notizie, anche se quasi sempre si privilegia un approccio soft, così un carcere balza agli onori della cronaca solo se organizza un buon laboratorio teatrale o una squadra di calcio vincente. Dei detenuti si parla poco. Le loro storie, le loro vite spezzate restano al di là delle sbarre, quasi non esistessero. Sono quelli che la società vuole dimenticare, ma ci sono persone come don Renato, che con i reclusi è a contatto ogni giorno, ne ascolta le storie, ne cura le vite spezzate e il suo lavoro serve a renderli un po’ meno dimenticati.

 

Don Renato, lei distingue tra detenuti "eccellenti" e detenuti "dimenticati". Perché?

"I detenuti eccellenti sono quelli che fanno notizia, gli altri quelli di cui non si parla mai perché non ne vale la pena. Sono più del 90 per cento: tossicodipendenti, immigrati, soprattutto di religione islamica e quei disperati che utilizzano il carcere come ospizio dei poveri, cioè quelli che, non avendo soldi né collocazione nella società, entrano ed escono dalla galera perché lì almeno hanno un posto dove dormire, cibo e bagni puliti".

 

Com’è la vita di un detenuto?

"Organizzata. In prigione tutto deve passare attraverso l’organizzazione carceraria e il regolamento: dalle cose più semplici come l’acquisto di un dentifricio alle questioni importanti come le visite o i benefici di legge. È un’organizzazione immobile, così alla fine tutti i detenuti presentano stress e disturbi psichici di una certa rilevanza".

 

Il carcere produce disturbi psichici?

"Si chiamano malattie dell’ombra come la compressione dello spazio, che si subisce vivendo in due metri quadrati e una volta fuori si manifesta come paura degli spazi aperti. La dilatazione del tempo, soprattutto di notte; infine la modificazione delle capacità sensoriali, specialmente il gusto e l’olfatto. Quindi ci sono le malattie psicologiche: il senso d’inutilità, la negazione della sessualità, fino ad arrivare ai disturbi della personalità che si esprimono nell’autolesionismo. Non vanno sottovalutati neppure i problemi legati all’affettività, dal senso di colpa verso le vittime alla privazione dell’amore dei propri familiari".

 

Le famiglie sono poco presenti?

"Spesso non dipende da loro, ma bisogna considerare che avere un parente in galera costa molto, dal punto di vista economico ed emotivo. Ed è solo un assaggio della condanna sociale che subiranno fuori di qui".

 

Quanto è difficile per un ex detenuto tornare alla vita normale?

"Troppo. E sarà così finché il carcere continuerà a essere un mondo a sé, del tutto sradicato da quello esterno. Il domani per i detenuti che escono bisogna inventarlo già durante la pena ed è ciò che tentano di fare molte associazioni che si occupano del loro reinserimento sociale".

 

E lo Stato?

"I politici non perdono troppo tempo col carcere, un posto dove non si ottengono consensi. D’altra parte devono pure considerare la richiesta di sicurezza dei cittadini: nessuno vuole avere per vicino di casa un ex galeotto e questo perché ha letto sul giornale che uno, dopo aver scontato una condanna per omicidio, appena uscito dal carcere ha ucciso un’altra persona. Ma non si pensa mai agli altri mille che escono e non uccidono più nessuno. Molti cambiano, ma non grazie al carcere, piuttosto nonostante il carcere, che in Italia è tutto fuorché riabilitativo. Il cardinal Martini una volta ha detto che il carcere è l’indice di civiltà di uno stato".

 

E l’Italia è un paese civile?

"Lo sarà quando capirà che la limitazione della libertà da sola non basta a rieducare un uomo. Nella struttura di Opera, per esempio, per oltre mille detenuti ci sono appena quattro operatori. Il 40 per cento dei carcerati non ha la licenza media e i tempi per le richieste di scolarizzazione sono enormi. Infine, solo il 10 per cento lavora, gli altri non fanno nulla dalla mattina alla sera".

 

Insomma, il carcere è un modo di pagare per quello che si è fatto?

"Lo scopo del carcere dovrebbe essere la risocializzazione, ma come si fa a recuperare persone di cui s’ignora addirittura la storia?".

 

Renato Rebuzzini è uno di quei sacerdoti che non si dimenticano facilmente, un sacerdote "scomodo" che non si accontenta di predicare da un pulpito, ma è convinto che le pecorelle smarrite possano essere riportate sulla retta via solo agendo "sul campo".

È questo lo spirito con cui nel 1979 ha fondato a Milano la Comunità del Giambellino che ancora oggi si occupa essenzialmente di tossicodipendenza. Sotto la sua direzione, dal 1979 al 1993, la comunità è cresciuta molto, fino a comprendere due case residenziali per il recupero, una comunità d’accoglienza per malati terminali di aids e un centro diurno orientato alla prevenzione nell’area minorile. In seno alla comunità nasce anche il Centro filtro, che tra gli altri compiti ha quello di accogliere detenuti che chiedono un percorso alternativo al carcere, in collaborazione con il progetto Ekotonos, attivo soprattutto nella struttura milanese di San Vittore.

È attraverso questo lavoro che don Renato si appassiona alla condizione dei detenuti all’interno delle carceri e si pone concretamente la questione del loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro, specialmente per quelli più dimenticati, la maggior parte immigrati, alla cui storia nessuno è interessato.

Così dieci anni fa decide di lasciare la comunità, la sua creatura, per intraprendere una nuova avventura: diventa cappellano del carcere di Opera, incarico che ricopre tuttora, e da qui insegue il sogno che il carcere non sia soltanto una limitazione della libertà personale, ma diventi anche un vero e proprio strumento di rieducazione dell’individuo.

Potenza: presentazione progetto reinserimento detenuti

 

Adnkronos, 11 dicembre 2004

 

Un progetto sperimentale per il reinserimento lavorativo dei detenuti sarà presentato giovedì 16 dicembre, alle 10, nella sala Mediafor di Potenza nel corso di una conferenza stampa alla quale parteciperanno l’assessore alla Formazione, Lavoro, Cultura e Sport della Regione Basilicata, Dino Collazzo, e gli assessori al Lavoro delle Province di Potenza e Matera, Alfonso Salvatore e Franco Bitondo.

Il progetto, che sarà implementato con il coordinamento dell’Ufficio Politiche del Lavoro della Regione Basilicata, riguarda una sperimentazione promossa e finanziata dal Ministero del Lavoro la cui gestione sarà affidata alla società Centro Servizi di Matera

Antigone: in Veneto il record per il sovraffollamento

 

Vita, 11 dicembre 2004

 

Spetta ai dieci istituti di pena del Veneto, secondo un’indagine dell’Associazione Antigone, il poco invidiabile primato delle carceri in Italia con il più alto indice di sovraffollamento. La capienza teorica delle carceri venete prevedrebbe un carico ottimale di 1427 detenuti (1216 uomini e 211 donne), con una possibilità di arrivare ad una presenza tollerabile fino a 2151.

Alla fine del 2003, invece, secondo l’associazione Antigone, erano 2440 i detenuti totali ospitati in Veneto, con un tasso di sovraffollamento di 71 detenuti in più ogni cento posti teorici. I detenuti uomini sono 2282, contro una capienza teorica di 1216 posti, ovvero un tasso di sovraffollamento di 188 detenuti ogni cento previsti. Più sostenibile appare la situazione delle detenute, che in Veneto sono il 25% in meno della capienza massima prevista: 158 con 211 posti a disposizione.

Un pò meglio del Veneto, rispettivamente al secondo e terzo posto le cinque carceri del Friuli Venezia Giulia (con un tasso di sovraffollamento di 161 presenze su cento posti teorici) e la Lombardia (150 su 100). Le situazioni più virtuose, secondo l’ indagine, sono in Basilicata (87 posti occupati su cento disponibili), l’Umbria (90 su 100) e la Calabria (99 su 100).

"Il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane del 2003 è secondo solo a quello registrato alla fine dell’ultimo conflitto mondiale - ha sottolineato il professor Giuseppe Mosconi, ordinario di sociologia giuridica all’università di Padova ed estensore dello studio per conto di Antigone -.

Questi dati danno l’idea dell’emergenza in cui versano alcuni istituti di pena italiani, dove la situazione talmente difficile che quest’anno registriamo purtroppo un numero di suicidi in carcere nettamente più alto di quello del 2003".

Roma: due pacchi - bomba, i penitenziari nel mirino…

 

Corriere della Sera, 11 dicembre 2004

 

Potrebbe esserci un’unica strategia eversiva dietro i due pacchi bomba recapitati negli ultimi tre giorni. Il primo, ritrovato davanti alla sede di Forza Italia ad Olbia la notte fra il 6 e il 7 dicembre, è stato rivendicato ieri dai "Nuclei proletari per il comunismo", gli Npc, con un volantino che contiene anche minacce contro il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu.

L’altro, consegnato ieri alla segreteria del Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, non ha ancora una firma ma è identico a quelli inviati lo scorso anno da formazioni anarchiche. A preoccupare gli investigatori dell’Antiterrorismo è lo scritto spedito dagli Npc: due pagine che nell’ultima parte riprendono quella "risoluzione strategica" dell’estate scorsa nella quale veniva stilato una sorta di programma per "la continuità dell’attacco" e si proponeva un’alleanza tra le "forza rivoluzionarie".

E così spiegano la scelta della sede di Forza Italia: "Per attaccare e colpire chi svende il nostro patrimonio ambientale assecondando le mire distruttivo - accentratrici del capitale... rispedendo al mittente le accuse del loquace quanto stupido ministro Pisanu... ".

I timori degli esperti riguardano anche il pacco consegnato al Sappe ieri mattina a Roma. Nella custodia di una videocassetta erano contenuti 40 grammi di polvere pirica e un congegno con alcuni fili elettrici. Mittente: il Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’addetto alla segreteria lo ha aperto con un paio di forbici e soltanto per un caso non ha attivato il detonatore. L’ordigno è stato confezionato in maniera identica a quelli spediti lo scorso anno durante la "campagna" contro l’Europa e rivendicati da cinque gruppi riuniti nella Fai, la "Federazione anarchica informale".

Il settore carcerario è stato preso di mira più volte dagli anarchici e non è escluso che in prossimità delle feste di Natale sia stata decisa una nuova offensiva. Alla fine del 2002 gli anarchici rivendicarono spedizione multiple che avevano come destinatari obiettivi spagnoli. Lo scorso anno fu la volta dell’Europa. Adesso potrebbero aver scelto il nuovo bersaglio: i penitenziari. Davanti al ministero della Giustizia e ad alcune carceri sono state potenziate le misure di sicurezza. Controlli accurati sono stati ordinati ai responsabili degli uffici addetti allo smistamento della posta.

Apparentemente non c’è alcun elemento che possa legare l’intimidazione al Sappe al fallito attentato di Olbia. Ma gli analisti del Viminale sottolineano che alcuni pacchi arrivati a personalità europee erano stati spediti proprio dalla Sardegna e rimarcano quell’alleanza tra marxisti-leninisti e anarchici più volte evocata nei documenti firmati dai gruppi eversivi dell’isola. Nel documento del luglio scorso degli Npc era scritto: "Il confronto con le formazioni e le individualità rivoluzionarie è aperto, l’unità d’azione è possibile".

"Ancora una volta - scrivono adesso i Nuclei nel volantino contrassegnato da una stella a cinque punte - abbiamo colpito ciò che volevamo colpire. Perché sia chiaro; per noi altri è operativamente semplice e indifferente mettere un pacco o punire un porco. Non si illudano gli sfruttatori del proletariato".

Nessun collegamento, invece, con la lettera minatoria contenente due proiettili indirizzata ai ministri Roberto Castelli e Roberto Calderoli e arrivata ieri nella sede della Lega Nord a Milano. Gli stessi ministri hanno ridimensionato l’episodio. "Opera di uno squilibrato o di un mitomane", ha commentato Calderoli, mentre Castelli ha ricordato di aver avuto già altre minacce, ma di non "essere minimamente turbato".

Cagliari: non esiste sezione per i detenuti sieropositivi

 

L’Unione Sarda, 11 dicembre 2004

 

"Buoncammino senza giustizia": continua lo sciopero della fame e per il quinto giorno consecutivo gli studenti protestano di fronte al palazzo del consiglio regionale di via Roma. "La giunta regionale non ci lasci soli", si legge in un comunicato firmato dal "Comitato 5 novembre" dove viene spiegato che "se un campo di calcetto e un laboratorio teatrale bastassero a risolvere le condizioni di sofferenza e cattività dei detenuti, avremmo immediatamente smobilitato la protesta e saremmo tornati a casa.

Ma la realtà è ben diversa da quella descritta dal direttore del carcere Gianfranco Pala e dal nuovo commissario della polizia penitenziaria Pietro Torre, infatti per quanto riguarda i detenuti sieropositivi i dati che abbiamo raccolto ci consentono di affermare che non esiste a Buoncammino una sezione appositamente creata per i detenuti: inoltre non è prevista ne per loro ne per gli altri detenuti in gravi condizioni un apposita assistenza psicologica.

Per quanto riguarda i detenuti tossicodipendenti è emerso che non esistono sezioni specifiche, poiché vengono collocati direttamente nelle sezioni normali. Perciò possiamo affermare con sicurezza che chi finisce a Buoncammino se è fortunato esce con l’epatite, se è sfortunato con l’Hiv.

Roma: pacchi-bomba, massima allerta in carceri e ministero

 

Il Messaggero, 11 dicembre 2004

 

Massima allerta della polizia penitenziaria in servizio nelle carceri e al ministero della Giustizia e rafforzamento delle misure di controllo su pacchi e plichi, considerato anche il periodo.

Sono queste le immediate disposizioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) indirizzate a tutti i provveditorati regionali dopo il pacco-bomba recapitato nella mattinata di ieri alla sede del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), a Roma.

A Via Arenula, dove ha sede il ministero della Giustizia, la polizia penitenziaria è stata richiamata a controllare "con la massima attenzione" i varchi e a pattugliare attentamente tutto il perimetro del ministero. La maggiore attenzione dovrà essere riservata ai pacchi e ai plichi, che in questo periodo dell’anno vengono consegnati con più frequenza. Ora saranno le analisi del reparto scientifico dei carabinieri a stabilire di quale esplosivo si tratta.

Myanmar: verso liberazione di altri 5.070 detenuti

 

Repubblica, 11 dicembre 2004

 

La giunta militare del Myanmar (ex Birmania) ha annunciato oggi, attraverso la televisione di stato, di aver iniziato la liberazione di altri 5.070 detenuti. Il totale delle persone scarcerate nelle ultime settimane salirà così a 14.318. Secondo i media ufficiali, i detenuti saranno liberati perché arrestati "irregolarmente" dal servizio militare di sicurezza dell’ex primo ministro Khin Nyunt, rimosso dalla carica a metà ottobre.

Torino: Polo Universitario laurea primi studenti detenuti

 

Ansa, 11 dicembre 2004

 

Si comincia il 14 dicembre alle ore 10.30, presso la Casa Circondariale "Lo Russo - Cotugno" con la discussione della tesi di laurea di William Pano, primo fra gli iscritti in Scienze Politiche al Polo Universitario per studenti detenuti a completare il corso di studi triennale. Pano discuterà una tesi dal titolo "Gli stranieri in carcere" la cui relatrice è la Prof.ssa Giovanna Zincone, docente di sociologia politica.

Il 16 dicembre alle ore 11.00, presso la Facoltà di Giurisprudenza avrà luogo la discussione della tesi di laurea di Alex De La Rosa, primo fra gli iscritti in Scienze Giuridiche al Polo Universitario per studenti detenuti a completare il corso di studi triennale.

De La Rosa discuterà una tesi dal titolo "Carcel y sociedad. La mission de la cultura universitaria tras la realidad y la speranza"seguita dal Prof. Claudio Sarzotti, docente di filosofia del diritto. Infine il 20 dicembre alle ore 16.00 avrà luogo presso la Palazzina Luigi Einaudi (L.go Dora 68 A- Torino) la discussione della tesi di laurea di Vincenzo Pirone, iscritto a Scienze Politiche al Polo Universitario per detenuti che disuterà una tesi dal titolo "l’Extraterrestre detenuto", redatta dal Prof. Mario Cardano docente di Metodologia delle Scienze Sociali.

L’istituzione del Polo Universitario per studenti detenuti di Torino, oggi arrivato al suo 6° a. a. di attività, è la prima iniziativa in Italia e in Europa volta ad aprire nuovi campi d’intervento dell’Istituzione universitaria nel suo rapporto con la società civile. Il Polo per studenti detenuti è nato da un Protocollo d’Intesa sottoscritto il 27 luglio 1998 dall’Università di Torino, dalla Direzione della Casa Circondariale, dal Tribunale di Sorveglianza e dal Provveditorato Regionale della amministrazione penitenziaria. L’accordo ha permesso di istituire a "Le Vallette" una sezione riservata a detenuti studenti universitari provenienti da tutta Italia.

Attualmente aderiscono all’iniziativa le Facoltà di Scienze Politiche e di Giurisprudenza. Nella sezione si svolgono lezioni, esercitazioni, colloqui ed esami tenuti da docenti dell’Università di Torino che svolgono la loro attività in modo volontario e gratuito. Questa esperienza di Polo Universitario è unica, non solo nel contesto italiano, ma anche a livello europeo. N.B.: Per partecipare alla cerimonia alla Casa Circondariale "Lo Russo – Cotugno" i giornalisti si devono accreditare entro le ore 17.30 di giovedì 9 dicembre.

Benevento: una rete tra istituzioni per lavoro ai detenuti

 

Il Mattino, 11 dicembre 2004

 

Una rete per favorire il reinserimento di detenuti ed ex detenuti nel mondo del lavoro: questo il progetto che rientra in un programma promosso e finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dal ministero di Giustizia, nell’ambito del Pon e del Fondo Sociale Europeo. Una iniziativa che sarà curata, quale soggetto attuatore, dal Centro Servizi di Matera, che interviene per le Province di Benevento, Lecce, Potenza e la stessa Matera.

L’inserimento nel mondo del lavoro dei detenuti ed ex detenuti è disciplinato dalla legge 22 giugno 2000, n. 193 (la cosiddetta legge Smuraglia). Lunedì alle ore 10, nel’auditorium Vergineo del Museo del Sannio si terrà una Conferenza-lancio con l’obiettivo di realizzare azioni di sistema per le politiche di inserimento al lavoro attraverso la creazione di una banca dati, a livello nazionale, sulle caratteristiche professionali dei detenuti e gli interventi, a livello locale, di consulenza e sensilizzazione, interagendo e cooperando, come nel caso della provincia sannita, con la Casa Circondariale di Benevento.

Una vera e propria rete sosterrà il progetto di reinserimento dei detenuti ed ex detenuti nel mondo del lavoro, mediante soprattutto: la consulenza giuridica sulla legge Smuraglia; le attività di sensibilizzazione ed informazione per le imprese; lo sviluppo di una cultura dell’integrazione; il sostegno alla sperimentazione; le attività di promozione. Insomma, lo sforzo è quello di dare concretezza ai contenuti della legge 193, in particolare per quanto attiene la istituzione di lavorazioni penitenziarie all’interno degli istituti, organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private. La Smuraglia, inoltre, sottolinea che l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative, per agevolarne il reinserimento sociale. Le amministrazioni penitenziarie sono, pertanto, invitate a stipulare apposite convenzioni con soggetti pubblici e privati o cooperative sociali interessate a fornire opportunità di lavoro ai detenuti, al fine di disciplinare l’oggetto e le condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa, la formazione ed il trattamento retributivo. Di queste problematiche discuteranno, nel corso della Conferenza di lancio al Museo del Sannio, l’assessore alle Politiche del lavoro della Provincia Pompilio Forgione; il dirigente delle Politiche del lavoro della Provincia Luigi Velleca; il direttore della Casa Circondariale di Benevento Liberato Guerriero; il dirigente degli Uffici regionali decentrati di benevento Ugo Chiavelli; il project manager del Centro servizi Simona Orsi; il dirigente della Regione Campania Massimo Angrisano; l’assessore al Lavoro della Regione Adriana Beffardi; e il presidente della Provincia di Benevento Carmine Nardone.

Trieste: detenzione ingiusta, 250 mila euro al biologo

 

Il Gazzettino, 11 dicembre 2004

 

Il biologo triestino Giovanni Rapotez, accusato della scomparsa di un suo dipendente, Damiano Nicastro, e per questo detenuto per circa un anno, ha ottenuto il risarcimento di 250 mila euro per ingiusta detenzione. Nicastro il 31 luglio 1994 sparì dopo essersi imbarcato sulla barca "Briciola", appartenente al professionista triestino, e di cui era skipper.

A quell’episodio seguì l’arresto di Rapotez, che viveva a Gela, per omicidio e occultamento di cadavere. Ad accusarlo furono i famigliari dello scomparso, i quali ritenevano che il biologo si fosse sbarazzato del suo skipper perché quest’ultimo gli aveva consegnato un assegno di 40 milioni, incassato da Rapotez.

Il primo grado portò alla condanna all’ergastolo del biologo, arrestato a Trieste alcune ore dopo la sentenza; in appello Rapotez venne condannato a 28 anni. Ma la Cassazione annullò la sentenza rinviando gli atti alla Corte d’assise d’appello di Catania, che lo assolse. Ora la Corte d’appello di Catania gli ha riconosciuto un risarcimento di 517 milioni di lire. Altri due procedimenti intentati da Rapotez per i danni subiti da quella vicenda sono ancora in corso in sede civile.

Milano: lettera con proiettili per Calderoli e Castelli

 

Ansa, 11 dicembre 2004

 

Un pacco bomba con 40 grammi di esplosivo è stato recapitato e disinnescato al sindacato della Polizia penitenziaria di Roma. Una lettera minatoria contro i ministri Calderoli e Castelli è arrivata venerdì nella sede della Lega Nord a Milano. La missiva conteneva due cartucce calibro 765. La notizia è resa nota a Roma da un comunicato dell’ufficio stampa del Carroccio.

Roma: pacco-bomba all’Associazione carabinieri

 

Ansa, 11 dicembre 2004

 

Un pacco bomba, simile a quello recapitato venerdì al Sappe, sindacato di polizia penitenziaria, è stato scoperto questa mattina nella sede dell’Associazione Nazionale Carabinieri, in via Carlo Alberto Dalla Chiesa, in Prati. All’interno del plico, identico a quello pervenuto al Sappe, c’erano 40 grammi di polvere nera e mezza videocassetta in un contenitori con batteria e cavi elettrici.

L’ordigno, che avrebbe potuto provocare gravi danni a chi lo avesse aperto, era stato ricevuto questa mattina da un addetto dell’Associazione, che si è insospettito e ha avvisato il 112. Gli investigatori stanno svolgendo accertamenti sul pacco, perché il mittente risulta essere la stessa Associazione Nazionale Carabinieri in congedo.

Caltanissetta: carcere Malaspina, polo di formazione

 

La Sicilia, 11 dicembre 2004

 

Si è svolta ieri nella Cripta della Cattedrale la conferenza sul tema "I reati nel Codice della Strada" organizzata dal Provveditorato della Sicilia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Alla conferenza hanno partecipato in qualità di relatori il commissario Agati della Polizia penitenziaria, il sostituto commissario Gaetano Palermo della Polizia Stradale di Caltanissetta, il dott. Massimo Mastrosimone (operatore della Polizia municipale), il dott. Faramo (Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria), la dott. Trabonella (responsabile per la Sicilia della formazione per lo stesso Provveditorato), nonché il dott. Angelo Belfiore, direttore del carcere di Caltanissetta, che ha fatto gli onori di casa. Era presente anche il sindaco di Caltanissetta Salvatore Messana oltre che i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine.

La conferenza costituiva l’evento conclusivo di una attività di formazione e qualificazione del personale della Polizia penitenziaria in materia di polizia stradale a seguito del riconoscimento della qualifica di agenti di polizia stradale avvenuto con le ultime recenti modifiche al Codice della Strada.

Tale attività, promossa dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria in tutta la Sicilia, ha avuto in Caltanissetta uno dei suoi poli di formazione per il comprensorio di Caltanissetta, Enna ed Agrigento ed è stata coordinata dal dott. Belfiore.

L’attività di formazione è stata articolata in 4 moduli, ognuno di 36 ore settimanali, che hanno interessato in tutto 120 operatori di polizia penitenziaria di ogni grado. Prevedeva lezioni di deontologia professionale (tenuta dal dott. Agati), norme del Codice della Strada (dal dott. Mastrosimone), infortunistica stradale e nozioni di primo soccorso (dott. Carmelo Abbate, medico della casa circondariale di Caltanissetta). Interessata la partecipazione del personale che ha potuto prendere confidenza con i nuovi compiti di polizia stradale, anche per il "taglio" operativo e pratico che è stato dato alle lezioni.

Dell’Utri condannato 9 anni per associazione mafiosa

 

Reuters, 11 dicembre 2004

 

Il senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, condannato oggi per concorso in associazione mafiosa, ha detto che "la giustizia non è di questo mondo" e che è "pronto a dare battaglia" contro la sentenza.

Dopo la sentenza emessa questa mattina dal Tribunale di Palermo, che ha condannato Dell’Utri a 9 anni di carcere con interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa, ha indetto una breve conferenza stampa in un hotel di Roma per ribadire la sua posizione.

"La giustizia evidentemente non è di questo mondo. Ci accontentiamo di quello che si può avere. È soltanto un primo grado. Spero nell’appello e in ulteriori gradi successivi", ha detto Dell’Utri, aggiungendo di non essere "rassegnato ma pronto a dare battaglia" in appello contro la decisione dei giudici.

La sentenza di oggi, ha detto il senatore - che ha spiegato di non voler rassegnare le dimissioni - "contenta tutti i miei nemici, se si può parlare di nemici in questo settore, e mi spiace se fa piangere tutti i miei amici e la mia famiglia".

Il senatore ha anche affermato di credere che se non si fosse occupato di politica, a partire dal 1993 con la fondazione di Forza Italia forse non sarebbe mai stato indagato: "È strano che questi procedimenti siano stati avviati nel ‘93, quando si parlava di fare un partito... Se mi fossi occupato di cose private, del mio lavoro, forse non saremmo arrivati a questo punto".

Dell’Utri ha detto anche di aver sentito per telefono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dopo la sentenza: "Berlusconi è il mio più grande amico ed è il primo a essere addolorato per questa condanna... mi ha manifestato il suo dispiacere".

 

Di Pietro chiede dimissioni, anche di Casini

 

Dopo l’annuncio della sentenza, l’ex magistrato e oggi parlamentare europeo del centrosinistra Antonio Di Pietro non solo ha chiesto le dimissioni di Dell’Utri e di tornare alle urne, ma anche che il presidente della Camera Pierferdinando Casini lasci l’incarico, per una sua telefonata di stima all’imputato avvenuta qualche giorno fa.

"Con la condanna di Marcello dell’Utri si pone ora un rilevante problema istituzionale riguardante Pierferdinando Casini - scrive Di Pietro in un comunicato - Egli, infatti, come terza carica dello Stato, in via ufficiale, ha reso pubblica la sua espressione di solidarietà a Dell’Utri, mentre era riunita la Camera di consiglio". Il primo dicembre scorso Casini aveva reso noto di aver telefonato a Dell’Utri per esprimergli "stima e amicizia".

Per Di Pietro c’è "una convergenza di ideali tra la terza carica dello Stato e una persona condannata per mafia. La conseguenza è solo la rassegnazione delle dimissioni da parte di chi ha compiuto una scelta così incauta".Pietro in una nota - Questa classe politica non è degna di governare il Paese".

Per il capogruppo della Margherita alla Camera Pierluigi Castagnetti, la condanna per concorso in associazione mafiosa di un "collaboratore" stretto del premier e di uno dei fondatori di Forza Italia "crea dei problemi politici di cui Berlusconi dovrà occuparsi".

Per il leader dei Verdi Pecoraro Scanio quella di oggi "è una condanna molto grave per una personalità di spicco del principale partito del centrodestra. Restano fermi i diritti del condannato di ricorrere, ma le sentenze si rispettano, sia di condanna che di assoluzione".

Per il deputato di Forza Italia e legale del premier Silvio Berlusconi Niccolò Ghedini la sentenza che oggi ha condannato Dell’Utri per concorso esterno è "profondamente ingiusta".

"Spero che presto la Corte d’appello la ponga nel nulla", ha detto Ghedini parlando coi giornalisti a margine della cerimonia per la posa della prima pietra del Passante di Mestre. "È un processo dove non c’era nulla... che si basa su una contestazione di creazione giurisprudenziale, quella del concorso esterno, che il nostro codice non prevede", ha detto ancora Ghedini.

Il ministro delle Riforme Roberto Calderoli. della Lega Nord, ha detto invece di non conoscere a fondo il caso Dell’Utri, ma ha aggiunto che "quando c’è di mezzo la politica bisogna sempre comprendere dove arrivi la sentenza e dove inizia la politica".

Dell’Utri dopo la condanna: "continuerò a combattere"

 

Repubblica, 11 dicembre 2004

 

"È una sentenza e la pigliamo così com’è. La giustizia evidentemente non è di questo mondo". Questo il commento del senatore Marcello Dell’Utri dopo la sentenza del Tribunale di Palermo che lo condanna a nove anni di detenzione per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’esponente di Forza Italia, che in conferenza stampa ha detto di aver sentito Berlusconi subito dopo il verdetto ("era molto dispiaciuto"), ha comunque sottolineato di essere "non rassegnato ma pronto a dare battaglia". Tant’è vero che ha aggiunto: "La vita continua. Aspetto un giudizio più giusto. La giustizia ha altri momenti, alla fine troverò un giudice che creda nel piano di difesa. Se non lo trovo, pazienza".

Quello istruito dalla procura di Palermo è infatti, a suo avviso, un procedimento basato su della "monnezza", su materiale spazzatura "che andava buttato via". Sul perché di quello che a suo giudizio è un accanimento, ecco la spiegazione del diretto interessato: "Perché proprio a me? Me lo sono chiesto e me lo chiedo tuttora. È strano che le cose si siano avviate quando insieme a Berlusconi ho messo su un partito. Certamente non sarei stato oggetto di queste attenzioni se mi fossi continuato ad occupare delle mie cose".

In pratica Dell’Utri ha avallato l’interpretazione "politica" della sua vicenda giudiziaria. Non a caso, ha proseguito, la sentenza di oggi fa "contenti" i suoi nemici. Oltre a dare "un dispiacere" ai suoi amici: "Credo che dispiaccia più ad altri che a me, perché io che gioco in campo soffro di meno. Chi guarda la partita, invece, si arrabbia di più. E tra tutti è mia moglie la più arrabbiata".

Ora però è il momento di pensare alle prossime mosse: "È solo il primo grado, spero nell’appello e nei gradi successivi. Domani stesso, anzi, lunedì, andrò subito a presentare ricorso". Nessun rimprovero, invece, ai suoi legali: "La mia difesa ha funzionato", ha sostenuto il senatore. Esclusa comunque qualsiasi ipotesi di dimissioni da parlamentare: l’interdizione dai pubblici uffici (decisa dalla sentenza di oggi) "è una pena accessoria che si applica solo con sentenza definitiva".

 

 

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