Rassegna stampa 10 dicembre

 

Asti: detenuto suicida in carcere il giorno prima del processo

 

Repubblica, 10 dicembre 2004

 

Si è ucciso in carcere il giorno prima dell’inizio del suo processo. Calogero Alaimo, 39 anni, detenuto del carcere di Quarto - Asti e da tempo sofferente di esaurimento nervoso, si è tolto la vita impiccandosi a una corda ricavata da un lenzuolo nella sua cella. Alaimo era accusato di aver ferito a un piede con un colpo di pistola un nomade che si era invaghito di una sedicenne sua parente.

Roma: Antigone; alto l’analfabetismo scolastico in cella

 

Redattore Sociale, 10 dicembre 2004

 

Alto l’analfabetismo scolastico in cella: il 27,8% dei detenuti ha conseguito solo la licenza elementare, il 37,9% quella media inferiore, mentre appena il 7,9% ha raggiunto il diploma superiore o professionale. E solo il 25,7% risultava occupato prima della reclusione.

Sono alcuni dati emersi grazie all’attività dell’"Osservatorio Nazionale sulle Condizioni di Detenzione", a cura dell’associazione Antigone, che oggi - Giornata internazionale Onu per i diritti umani – presso la Sala della Sacrestia della Camera dei Deputati ha presentato i risultati della ricerca realizzata grazie alla Fondazione Bnc.

"Il carcere è ancora luogo di raccolta della marginalità sociale, in cui la risposta repressiva non può essere sufficiente", ha commentato Stefano Anastasia, presidente di Antigone. In sostanza, "le fasce meno istruite della popolazione sono sovra rappresentate in carcere", nota il rapporto, con l’1,4% di analfabeti dichiarati e il 6,3% privo di qualsiasi titolo di studio (quindi probabilmente analfabeta non dichiarato). I laureati sono appena lo 0,8% (457).

Prima della detenzione, i disoccupati dichiarati risultano il 25,43%, mentre il 2,59% era in cerca di lavoro. Tuttavia per oltre il 43% della popolazione carceraria non risulta alcuna occupazione, "per cui è verosimile ritenere che o non erano a loro volta occupati, o svolgevano attività talmente precarie o poco dignitose, se non illegali, da non meritare una menzione che, di per sé, dovrebbe avere un forte valore di auto legittimazione o di recupero di immagine per un soggetto sottoposto a grave rischio di svalutazione sociale", osserva lo studio. Non è stato possibile aggiornare il dato del 2001 – sempre raccolto da Antigone - relativo alla professione dei detenuti occupati prima dell’ingresso in carcere: oltre il 71% risultava svolgere il lavoro di operaio, "una fascia di lavoro dequalificato o poco qualificato ben superiore al dato relativo alla popolazione nazionale – commenta l’associazione -. Non c’è motivo di ritenere che tale realtà abbia subito in 2 anni sensibili variazioni".

Roma: Antigone; detenuti del sud nei penitenziari del nord

 

Redattore Sociale, 10 dicembre 2004

 

Ancora numerosi i detenuti originari del sud nei penitenziari del nord, contrariamente a quanto detta il regolamento. In aumento le condanne definitive, così i reati contro il patrimonio (compiuti più dagli italiani che dagli stranieri); "nostrani" gli abusi in materia di armi, mentre gli immigrati si aggiudicano il primato nelle violazioni (in decrescita) della legge sugli stupefacenti.

Aspetti rilevati dall’associazione Antigone, che grazie alla Fondazione Bnc ha realizzato "l’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione", presentandone oggi i dati presso la Salal della Sacrestia della Camera dei Deputati, in occasione della Giornata internazionale Onu per i diritti umani. Ad essere prevalentemente affollati sono le carceri del nord, mentre la maggior parte della popolazione detenuta proviene dalle regioni del Mezzogiorno, "a testimoniare la tuttora frequente pratica di tenere i detenuti lontani rispetto alla loro regione d’origine, contrariamente al dettato dell’ordinamento e del regolamento penitenziario", osserva la ricerca.

Quanto alla posizione giuridica della popolazione detenuta, già nel 2001 Antigone aveva rilevato una "evidente tendenza alla riduzione della popolazione in attesa di giudizio" e la conseguente crescita dei condannati definitivi. Lo stesso trend viene confermato per il 2003: i "definitivi" superano il 61%, con un incremento di oltre il 7,6% rispetto ai due anni precedenti. "A ciò corrisponde, forse per la prima volta dal dopoguerra, l’abbassamento del numero dei detenuti in attesa di giudizio", nota Antigone: meno del 40%.

Per quanto riguarda l’aumento dei detenuti stranieri, per alcuni reati meno consistenti (sfruttamento della prostituzione, contro la fede pubblica, contro la personalità dello Stato, violazione della legge sull’immigrazione) "segnano dai 2 ai 4 punti percentuali in più rispetto agli italiani". Tuttavia le voci elencate tendono tutte alla crescita, mentre "l’aumento delle voci di reato più rappresentative non è affatto riferibile all’aumento della criminalità attribuibile agli immigrati". Invece "tendono ad aumentare le imputazioni" a carico degli stranieri "per quei reati a loro tipicamente riferibili". Secondo Antigone, "il numero degli immigrati detenuti cresce come probabile effetto di un maggior controllo esercitato verso gli stessi".

Roma: Antigone; 60% detenuti hanno pena inferiore a 3 anni

 

Redattore Sociale, 10 dicembre 2004

 

"Circa il 60% dei detenuti deve scontare una pena inferiore a 3 anni: potrebbe quindi accedere al circuito delle misure alternative". Lo rileva Stefano Anastasia, presidente dell’associazione Antigone, che grazie alla Fondazione Bnc ha realizzato "l’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione", presentando oggi alla Camera dei Deputati i dati raccolti in 2 anni di ricerca, in occasione della giornata internazionale Onu per i diritti umani.

Era presente anche Luigi Manconi, garante dei diritti delle persone private della libertà personale per il Comune di Roma e presidente dell’associazione "A buon diritto"; insieme ad Antigone e alla Fondazione Bnc ha promosso questa giornata di incontro e di riflessione sulle esperienze e sugli strumenti di tutela dei diritti, organizzata in collaborazione con il Master Universitario "Politiche dell’incontro e mediazione culturale" dell’Università di Roma Tre.

All’incontro è intervenuto, tra gli altri, Riccardo Arena, conduttore della trasmissione "Radio carcere" in onda su Radio Radicale: un’esperienza nata 2 anni fa che ha definito "un programma di formazione sul carcere e sulla giustizia penale", molto seguito dalle persone detenute. Negli ultimi due anni – evidenzia la ricerca di Antigone – "gli interventi in campo penale penitenziario sono ancora più rarefatti e di esigua rilevanza (valga per tutti il travagliatissimo provvedimento dell’indultino, i cui effetti deflazionistici sulla popolazione detenuta sono assolutamente non apprezzabili), mentre le poche cose che sembrano muoversi vanno in senso contro riformatore: la proposta di nuova criminalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, la tendenziale introduzione del reato di immigrazione clandestina". Resta inalterato il problema del sovraffollamento, anche se dai 56.751 detenuti dell’agosto 2003 si è passati alle 54.237 presenze del dicembre dello stesso anno, per tornare a un nuovo incremento nel febbraio 2004, in cui si sono registrati 55.392 detenuti nei penitenziari italiani.

Roma: "dell’indifferenza e dell’inganno", sit in davanti al parlamento

 

Apcom, 10 dicembre 2004

 

Un sit-in dalle 9 alle 15 davanti al Parlamento per manifestare il "disappunto del mondo del volontariato e della società civile e sottolineare l’urgenza di riconsiderare tutte le possibili soluzioni in grado di fare del carcere una realtà moderna e democratica in cui il tempo della pena possa assumere una reale funzione di risarcimento e di reinserimento autentico".

Così oltre 20 associazioni di volontariato, tra cui il gruppo Abele, la cooperativa Cecilia, la comunità di Sant’Egidio, Antigone e Nessuno tocchi Caino annunciano per mercoledì 15 una manifestazione davanti alla Camera intitolata "Dell’indifferenza e dell’inganno".

In particolare il sit-in è a sostegno - ripetono gli organizzatori - di una precisa richiesta di "ricapitalizzazione" del sistema carcerario nel nostro Paese. "Troppe le riduzioni di bilancio succedutesi dal 2002 ad oggi, sia per gli adulti che per i minori detenuti - si legge in un comunicato - emblematici sono i tagli operati sull’assistenza sanitaria (che passa dai 104 milioni di euro del 2001 agli 80 del 2004), sulle attività scolastica (ridotte in tre anni di circa il 25%), sugli asili-nido dei figli delle detenute (stanziamenti ridotti di circa un quinto)".

Inoltre le associazioni, guidate dalla consulta per i problemi penitenziari del comune di Roma, rinnovano una proposta di indulto e l’approvazione di riforme che consentano di risolvere i problemi di sovraffollamento attraverso la "diversa trattazione penale per i tossicodipendenti, malati di aids, malati psichiatrici e di tubercolosi, di cancro, epatiti ed altro". Si vuole poi il riordino della medicina penitenziaria e una maggiore attenzione per i minori sottoposti a procedimenti penali.

Tra le adesioni alla manifestazione ci sono numerosi deputati del centrosinistra tra cui Vincenzo Siniscalchi, Maura Cossutta, Giovanni Russo Spena, Anna Finocchiaro ed altri 20, oltre che ai senatori Cesare Salvi, Loredana De Petris, Tommaso Sodano, Alessandro Battisti, Alessandro Forlani. Numerosi anche i consiglieri del comune di Roma tra cui gli assessori Luigi Nieri, Maria Coscia e Gianni Borgna, ed altri sia della regione che della provincia.

Torino: film, il dramma di un innocente condannato...

 

Corriere della Sera, 10 dicembre 2004

 

La sfortuna esiste, e talora colpisce duro. Chi non ci crede ascolti questa storia, tanto assurda da parer finta, tanto bizzarra da venir catturata dal cinema. La storia di un cittadino qualunque che, per una serie di incredibili coincidenze, viene scambiato per un narco trafficante e finisce al suo posto in galera. Restandoci otto anni.

Con la sola colpa di essere l’uomo sbagliato, come s’intitola il film tv che Stefano Reali sta ultimando a Torino prodotto da Alessandro Jacchia per la Rai che la manderà in onda sulla prima rete nella prossima primavera. Set sullo sfondo realistico delle ex carceri e dell’ex tribunale, Beppe Fiorello protagonista. "La vicenda di mala giustizia a cui ci siamo liberamente ispirati è quella di Daniele Barillà - spiega il regista -. Un tranquillo imprenditore di Nova Milanese a cui una sera di febbraio del 1992 il caso gioca una brutta beffa".

L’uomo, che stava rientrando a casa sulla sua auto, viene fermato a un posto di blocco da una pattuglia da giorni impegnata a pedinare un pericoloso malvivente. Gli agenti hanno individuato il luogo dove avviene lo spaccio e sono lì in attesa che lui passi per beccarlo. Ma quella sera, proprio su quella stessa strada, passa Barillà.

Che, malasorte vuole, ha pure la stessa età, la stessa vettura, un raro modello color amaranto, e persino i primi tre numeri di targa uguali a quelli del ricercato. "Una sciagurata serie di coincidenze a cui ovviamente non crede nessuno - prosegue Reali -. Colto in flagrante, Barillà è arrestato, processato, condannato a 18 anni. Potrebbe patteggiare e ridurre la pena. Ma vorrebbe dire ammettere la colpa. La sua forza è sapersi innocente. Meglio il carcere che rinnegare se stesso".

A salvarlo, almeno in parte, arriverà qualche anno dopo una giovane magistrato, Francesca Nanni, che indagando su un altro fronte, s’imbatte in una serie di intercettazioni telefoniche, non esaminate ai tempi del processo all’imprenditore, si convince della sua estraneità e ottiene la riapertura del caso.

Nel luglio del 2000 Barillà viene dichiarato innocente e lo stato condannato a risarcirlo con una somma senza precedenti, due milioni di euro. "Giustizia toglie giustizia dà - commenta Beppe Fiorello -. Il film però non vuol buttare le colpe sul sistema, sui carabinieri o sui giudici. Si vuole solo raccontare quello che potrebbe capitare a chiunque. Tutti noi rischiamo ogni giorno di diventare "uomini sbagliati".

Ma se un errore è lecito, ciò che inquieta sono le conseguenze, gli assurdi meccanismi che talora trascinano in spirali senza uscita. A Barillà un equivoco ha portato via otto anni di vita, ha fatto perdere la fidanzata, il lavoro... Ma anche due giorni di prigione bastano, se non li meriti, a rovinare una vita".

"Perché, anche se poi tutto si chiarisce e ti chiedono pure scusa, il dubbio a qualcuno resterà sempre. Un mio amico in Sicilia è finito dentro due mesi per una questione di omonimia, accusato di strage. Ma quando è uscito, pur del tutto scagionato, si è portato dietro un’ombra. Molta gente non lo guardava più come prima.

Puoi avere la fedina penale immacolata, ma quando ti hanno sporcato "dentro"... Ritrovarmi in manette sul set, chiuso in una cella con su le scritte di chi è passato prima di me, mi ha fatto pensare che non si può dare nulla per scontato, neanche il solito caffè che ogni mattina vai a bere al solito bar".

"Sì, in questo caso la giustizia ha trionfato, ma c’è d’aver paura di certi suoi ingranaggi", conferma rabbrividendo la bella Antonia Liskova, nel film il magistrato capace di portare un lieto fine in questa terrificante "favola civile". Di recente, sempre con Beppe Fiorello, è stata interprete de Il cuore nel pozzo , un’altra fiction di denuncia, sulle foibe. "La fiction in Italia è molto migliorata - assicura -. Sempre più spesso affronta temi della nostra storia e della nostra cronaca, da Borsellino a De Gasperi a Don Gnocchi... Da strumento di intrattenimento sta sempre più diventando strumento di informazione".

Nuoro: detenuti musulmani pestati dai camorristi…

 

Corriere della Sera, 10 dicembre 2004

 

Detenuto con l’accusa di terrorismo internazionale, un immigrato algerino ha denunciato formalmente, in corte d’assise, di essere stato aggredito e picchiato da un gruppo di ergastolani italiani, soprattutto camorristi napoletani, con una motivazione da giustizieri: "Voi mettete le bombe e fate stragi. Se non cambi carcere, sei morto".

Lo strano caso dei camorristi che s’improvvisano vendicatori scavalcando quella giustizia statale che accusa loro stessi di omicidio, è stato denunciato ieri da Saadi Nassim, 32 anni, sposato con un’italiana convertita all’Islam, arrestato a Milano nell’ottobre 2002 come presunto affiliato a un’organizzazione integralista legata alla rete di Al Qaeda.

Ieri durante il processo il suo avvocato Sandro Clementi ha depositato una "richiesta urgente di trasferimento del detenuto". Giustificata, appunto, dalle "esplicite minacce di morte" indirizzate da "ergastolani napoletani", per ora non meglio identificati, rinchiusi con l’algerino nel supercarcere di Badu e Carros, in provincia di Nuoro.

Presentando questa istanza senza precedenti, l’avvocato ha chiarito che lo stesso Saadi Nassim, presente in aula, era "pronto a fornire tutti i particolari". Il raid punitivo, secondo la denuncia scritta del legale, risale a "una decina di giorni fa". Il primo bersaglio è un altro algerino "estradato dalla Gran Bretagna". Saadi lo vede picchiare da "ergastolani napoletani", che alle sue proteste rispondono: "È un pentito".

Saadi sa che non è vero e lo grida. Poi cerca di difenderlo. Ma i camorristi picchiano anche lui. E questa volta la spiegazione cambia: "È perché siete terroristi". "Ti conviene farti trasferire subito - è la minaccia finale riferita da Saadi - se torni qui, sei morto". Entrambi i pestaggi, sempre secondo l’avvocato, sarebbero avvenuti "sotto gli occhi di alcuni agenti di custodia", che non avrebbero fatto niente per fermare gli ergastolani.

Il presidente della corte, Luigi Cerqua, per ora si è limitato ad autorizzare il trasferimento del detenuto "a Milano o nel più vicino carcere disponibile". Lo stesso giudice, del resto, aveva già accolto la medesima richiesta nella precedente udienza, quando era motivata solo da ragioni procedurali: ogni imputato ha diritto di assistere al proprio processo. "Ma l’amministrazione penitenziaria - protesta l’avvocato - ha continuato a tenerlo in carcere a Nuoro adducendo motivi di sicurezza". Un’eventuale inchiesta sui pestaggi e sulle minacce camorriste potrà essere aperta solo in Sardegna. Ma l’avvocato è scettico: "Non m’illudo che gli agenti testimonino contro se stessi, spero solo che questa denuncia salvi la vita a Saadi".

Nel processo la corte d’assise è chiamata per la prima volta ad applicare il reato di "terrorismo internazionale". Secondo l’accusa, la cellula reclutava kamikaze per la guerra in Iraq. In aula un ufficiale dei carabinieri del Ros ha testimoniato che perfino Fahdal Nassim, il fratello di Saadi, benché formalmente "latitante", in realtà sarebbe "morto nell’attentato suicida contro la sede delle Nazioni Unite a Bagdad".

Proprio ieri, a Londra, i giudici hanno dato il primo via libera all’estradizione di Hamza il Libico, il presunto capo-cellula. E a Milano il procuratore aggiunto Armando Spataro ha chiesto le prime condanne per terrorismo internazionale contro altri 5 imputati della stessa rete, anche loro accusati di reclutare tra Milano e Cremona giovani pronti a immolarsi nelle schiere di "Al Ansar Al Islam": nonostante il rito abbreviato, l’accusa ha chiesto da 6 a 10 anni di reclusione. E la successiva "espulsione dall’Italia". In nome della legge, che non offre vendette ma giustizia.

Firenze: si infortunò durante un colpo, niente carcere

 

Il Mattino, 10 dicembre 2004

 

Roma. Professionista del furto cadde mentre tentava di rubare in una casa, procurandosi "gravi fratture": la sua "carriera" di ladro è ormai stroncata non andrà in prigione. È il senso di una sentenza della Corte di Cassazione che concede, per così dire, un "premio" ad Haris J., un 36enne extracomunitario che "aveva tentato di introdursi nell’abitazione di una signora fiorentina, Rossana B., ma era caduto per il cedimento di un ferro della ringhiera del terrazzo". In seguito alla caduta, il ladro aveva riportato "gravi lesioni".

Per questo il tribunale di Pisa, in primo grado, e la Corte d’appello di Firenze, nel dicembre 2003, avevano inflitto all’extracomunitario quattro mesi di reclusione e 200 euro di multa, con la sospensione condizionale, per il tentativo di "furto aggravato". Sentenziarono i giudici che le lesioni dell’extracomunitario "avevano determinato condizioni fisiche irreversibili che sicuramente non gli consentiranno più di avvicinarsi al crimine".

Giudizio condiviso dalla quinta sezione penale della Cassazione (sentenza 46815/04) che è andata oltre la pronuncia di merito, colmando la sua "omissione". Accogliendo il ricorso di Jazic H. che chiedeva la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, piazza Cavour ha disposto che il ladro non tornerà in galera "considerato tra l’altro il suo stato". L’ex topo d’appartamento, dunque, non finirà in carcere ma pagherà una multa di 4mila e 560 euro pari ai 38 euro al dì per i 120 giorni che avrebbe dovuto scontare in carcere.

Roma: Radio Bugliolo, la speranza dentro il carcere

 

Roma One, 10 dicembre 2004

 

Al Palladium lo spettacolo dell’associazione culturale Papillon con un gruppo di detenuti di Rebibbia. Per un guasto, una radio si collega con una galera romana e comincia a raccontare le storie dei carcerati...

"Te prego Cristo appari facce vede che ce sei/ te prego Cristo appari facce crede che ce stai/ Te prego Cristo appari facce vede che je fai/ dacce i sordi, ‘na ragione fai distrugge ‘sta prigione". Questi i primi versi di "Cristo Blues", una delle più belle canzoni di "Radio Bugliolo", lo spettacolo dell’Associazione Culturale Papillon andato in scena ieri sera al teatro Palladium, e che raccoglie un gruppo di detenuti della casa circondariale di Rebibbia, riuniti nella compagnia "Presi Per Caso". Sono: Stefano Adami, Valentina Di Silvestro, Carlo Andrea Lo Guzzo, Marco Nasini, Giampiero Pellegrini e Paolo Alberto Volpe. I testi e le musiche sono di Salvatore Ferraro e la direzione musicale di Sergio Gaggiotti.

La trama: all’improvviso, per uno strano guasto, una radio si collega con l’interno di una galera romana e comincia a trasmettere e raccontare la giornata dei detenuti e l’universo carcerario con i suoi credo e le sue regole. E con questo inizia la sfilata dei personaggi più improbabili e insieme autentici che, vagando per il palco, raccontano la loro storia o fanno considerazioni davvero interessanti: "Io un danno per la società?

Ma scherziamo? Senza di me la polizia sarebbe disoccupata... E poi, il Ministero dice che noi detenuti costiamo 150 euro al giorno alle carceri: se mi davano direttamente in tasca la metà, io mica ci andavo a rubare!", racconta uno.

Si prosegue raccontando il rito della perquisizione che si ripete due volte al giorno con i secondini che "cercan droga, ma anche un mitra andrebbe bene": non bisogna biasimarli, gli uomini in divisa, perché "noi con le guardie andiamo d’accordo, ci vogliamo bene. Anche se, a dire il vero, abbiamo due diverse insensibilità!". La giornata del condannato continua con la descrizione dei modi per passare la giornata e le visite dei familiari e dell’immancabile avvocato, che ha sempre "l’ultima carta da giocare". Avvocati? Ma serviranno davvero, ‘sti avvocati?

No, dice uno: "La giustizia è una questione di madonne, se attacchi l’immagine giusta, con la faccia rivolta alla porta, esci subito: promesso. Tanti si affidano a Padre Pio, ma ve lo dico io: solo Maria è garanzia di libertà!".

La vita del detenuto, poi, ci racconta Giampiero Pellegrini in un francese maccheronico davvero gustoso, è quella d’un uomo "senz speranz di un futur miglior, senza idee di lavor, un sorris o amor...sol ‘na cos me fa joli: è Tottì, Tottì, Tottì". Il monologo di Carlo Andrea Lo Guzzo, invece, affronta un problema fondamentale: l’italiano è una lingua senza poesia.

Una cosa è essere definito "colpevole", e un’altra, molto più bella, è essere "guilty", in inglese. Volete mettere? Tutto un altro effetto: molto più signorile, bello, elegante. Per non dire della differenza tra "galera" (una parola brutta) e "jail", che invece "sembra il nome de ‘na discoteca". "Anche quando vado a chiedere lavoro, e mi chiedono dove abito: se gli dico Tower Beautiful Monk fa un altro effetto rispetto a Tor Bella Monaca!". E quando il pubblico è già piegato in due dalle risate, Andrea quasi si offende: "Ma che ve state a divertì a vedé la gente in galera???"

Al tramonto, poi, la giornata del carcerato si chiude con "la conta", che ha una funzione ben precisa: serve a ricordarti che sei solo un numero. I detenuti pregano e cantano "Cristo Blues" convincendo anche i più riottosi del pubblico ad applaudire a tempo il gospel che si conclude con un’ovazione. Poi Stefano Adami chiude lo spettacolo raccontando l’attesa del giorno in cui finirà la pena, e intanto "guarda er sole che sbuca / dentro sta cella se ‘nbuca / solo scacchi ner cielo posso guardà". L’ovvio bis ("Tottì") e la standing ovation del pubblico all’intera compagnia chiudono lo spettacolo.

Napoli: Centaro a ragazzi Scampia, lo Stato è con voi...

 

Il Mattino, 10 dicembre 2004

 

"Sono ragazzi straordinari che vivono in quartieri difficili. Non sono uguali agli altri, sono migliori agli altri". Così il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Roberto Centaro, lasciando l’istituto tecnico industriale "G. Ferraris", ne rione Scampia, a Napoli, dove ha incontrato una folta delegazione di studenti.

Alla presenza del prefetto Renato Profili e dei vertici provinciali delle forze dell’ordine, anche gli assessori comunali Porta, Monti e De Masi e di quelli provinciali Borrelli, Cortese, del dirigente scolastico Alberto Bottino, i ragazzi hanno denunciato quanto non va nel loro quartiere ma hanno ribadito a chiare lettere un concetto: "Io resto a Napoli".

Lo hanno scritto su tanti piccoli adesivi distribuiti tra gli studenti. "Denunciare chi spaccia? È pericoloso - ha detto Michele - dopo qualche ora trovi i suoi compari sotto casa ed hai perso la tranquillità". I ragazzi hanno lanciato un appello anche ai responsabili delle forze dell’ordine: dopo i blitz dovrà proseguire l’impegno per Scampia.

"Che avviene e che avveniva lo spaccio di droga in questo quartiere - hanno detto i ragazzi - tutti lo sapevano e lo sanno, perché non si è intervenuto prima? Perché si è attesa la mattanza?". E poi la sfiducia per il futuro, la preoccupazione per un lavoro che non c’è (per il quale talvolta "si è costretti a pagare anche 20mila euro" e la denunciata sensazione di abbandono, anche da parte delle istituzioni e di chi è preposto ai controlli.

Ai ragazzi di Scampia non va di essere bollati come quelli del "bronx"; non sono disposti a pagare sulla loro pelle errori non propri, il fatto di vivere in quartiere di 20mila persone sorto in fretta in furia dove, oltre gli anonimi palazzoni, anche da quindici piani, è stato realizzato ben poco. "Se avete qualcosa da dire, da denunciare - hanno detto all’unisono il questore Franco Malvano e il comandante provinciale dei carabinieri, generale Vincenzo Giuliani - non dovete avere esitazioni: fatelo, bussate alle porte dei nostri uffici e parlate tranquillamente".

"Vivendo in quartieri come questi ed evitando l’abbraccio con la criminalità organizzata - ha proseguito Centaro - è davvero difficile". E l’incontro promosso oggi dall’Associazione degli studenti contro la camorra e dalla Confederazione degli studenti, per un confronto a tutto campo, è un esempio che va promosso. "Seguo con interesse - ha detto Centaro - ogni attività che possa diffondere la cultura della legalità". "Le istituzioni fanno il loro dovere - ha detto ancora Centaro - ma questi ragazzi vanno ben oltre e lottano cercando di coinvolgere tutti i cittadini, tenendo alta la tensione, mobilitando le coscienze. Questo è il segno migliore che noi cogliamo".

Vicenza: sportello informazioni e biblioteca per i detenuti

 

Il Gazzettino, 10 dicembre 2004

 

Uno sportello informazioni sull’edilizia abitativa e un servizio di biblioteca. All’interno della Casa circondariale di Vicenza (circa 260 detenuti di cui 120 condannati) nascono due nuove iniziative destinate ad integrarla con il territorio. Si tratta di due progetti: uno per lo "Sportello Ufficio informazione polivalente" sul tema casa, l’altro per la promozione della lettura.

Il tutto con la collaborazione di comune di Vicenza e Biblioteca Bertoliana.Gli accordi per la loro realizzazione sono stati firmati ieri mattina a Palazzo Trissino alla presenza, tra gli altri, del sindaco Enrico Hullweck, dell’assessore agli Interventi Sociali Davide Piazza, del presidente della Bertoliana Mario Giulianati, del direttore del carcere (pro tempore) Francesco Macrì, di Claudio Petruzzellis, responsabile dell’area pedagogica del carcere di Vicenza e di Maria Rosaria Caso, responsabile del Centro servizi sociali per adulti di Verona (e di una parte della provincia berica).

Organismo, quest’ultimo, che si occupa di misure alternative alla detenzione come la semilibertà e la detenzione domiciliare. Il dottor Macrì, direttore della casa circondariale di Udine, è invece direttore "in missione" a Vicenza, in attesa che venga nominato quello definitivo. "Il detenuto è un cittadino. Non può vivere isolato e pagare tre volte la propria pena - ha detto Petruzzellis - Il carcere è un’istituzione totalitaria. L’intervento esterno è importante. Il carcere è nel territorio e come tale deve avere i servizi forniti all’esterno".

Il progetto per la promozione della lettura, di durata triennale, prevede l’organizzazione "biblioteconomica" della biblioteca dei detenuti, la collaborazione nella gestione delle raccolte ed attivazione dei servizi di consultazione in sede, un servizio di prestito interno e interbibliotecario con la rete delle biblioteche pubbliche cittadine.

Prevede inoltre l’assegnazione di una borsa di lavoro di 21.730,90 euro (da erogare in tre anni e comprensiva di versamento Inail) che il Comune devolverà in favore di un detenuto bibliotecario. "Questo aiuterà alla valorizzazione dei detenuti come individui - ha sottolineato la dottoressa Caso - Grazie alla collaborazione si persegue il loro reinserimento e rieducazione". "Per noi la Casa circondariale sarà uno degli sportelli con cui lavoriamo. Per motivi di sicurezza la rete non sarà diretta, ma attraverso un cd che verrà offerto ogni mese", ha spiegato Giulianati.

Con lo Sportello polivalente i detenuti potranno avere informazioni di carattere previdenziale, assicurativo, assistenziale e in materia di edilizia abitativa. In particolare verranno fornite notizie sulle procedure di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, bandi e normativa sulle locazioni. L’accordo sulle funzioni dello sportello avrà durata annuale, rinnovabile. "La casa circondariale ha bisogno dell’appoggio esterno. L’autonomia c’è, ma ci sono anche difficoltà economiche", ha aggiunto Macrì. "Le carceri sono istituti del territorio - ha concluso Piazza - L’importante è dare continuità ai servizi".

Napoli: carcere e solidarietà, detenuti liberi di donare

 

Il Mattino, 10 dicembre 2004

 

"Tiempe belli ‘e nà vota", il ritornello della nota canzone napoletana in voga qualche lustro fa, calza a pennello per la compagnia "Ragazzi Dentro", impegnata in un ulteriore atto di solidarietà. I detenuti stanno lavorando per sostenere l’asilo nido della parrocchia San Modesto del rione Libertà.

Significativi gli intrecci e i simboli del progetto: detenuti e degrado, detenuti e neonati, detenuti e speranza. Anello di congiunzione di due mondi tanto diversi il teatro che consente ai primi, i reclusi di contrada Capodimonte, di alleviare il percorso dei secondi, i neonati di un quartiere cittadino a rischio. "Napule era, Napule è" è il testo di Raffaele Viviani che dieci detenuti della casa circondariale di Benevento presentano martedì 21 al mondo libero.

Lo spettacolo avrà un’anteprima venerdì riservata esclusivamente ai reclusi del carcere di contrada Capodimonte. La compagnia "Ragazzi dentro" nasce da un progetto didattico della Compagnia stabile di Benevento Solot e del direttore del carcere beneventano Liberato Guerriero. Da quattro anni la Solot lavora all’interno del carcere dando vita ad un laboratorio con i detenuti che, interessati all’arte del palcoscenico, da Michelangelo Fetto e Tonino Intorcia, portano in scena personaggi e ruoli della tipica realtà partenopea.

Questa volta l’autore scelto è Raffaele Viviani con le sue poesie, i suoi testi, la sua musica. "Napule era, Napule è" è un’immersione nella Napoli dei primi anni del secolo scorso. E una Napoli vista attraverso le macchiette, le canzoni, i testi di Viviani che raccontano la bellezza di un tempo del capoluogo campano. Non solo bellezze paesaggistiche, squarci di vita quotidiana, ma ricchezza sentimentale e sensazioni a pelle che oggi, nella Napoli sconvolta dalla guerra dei clan mafiosi, difficilmente sembrano esistere.

A completare l’atmosfera le musiche eseguite dal vivo grazie alla collaborazione di Franco Capozzi, che cura il laboratorio musicale all’interno del carcere. In scena dieci detenuti che fanno proprio il messaggio di Viviani. La Napoli di ieri si ritrova nella ricchezza interiore, nell’emozione, nell’entusiasmo di questi dieci "attori" che vivono in palcoscenico un momento di riscatto e di partecipazione.

La scelta di destinare il ricavato dell’incasso della serata all’asilo nido di via Firenze al rione Libertà è il secondo atto di questo riscatto che vede i detenuti protagonisti ancora una volta. I detenuti, infatti, intendono far comprendere il loro attaccamento alla Napoli di un tempo, quella generosa, quella pronta a farsi in quattro per schierarsi con chi è meno fortunato, quella Napoli ricca di cuore ed amore che oggi, nonostante tutto, continua a vivere.

Allo spettacolo, che si terrà nella palestra della casa circondariale con inizio alle ore 20, possono partecipare gli spettatori che ritireranno, a partire dal 13 dicembre, l’invito presso il botteghino del teatro Comunale (ore 17-19,30). Il contributo per collaborare alla costruzione dell’asilo nido di via Firenze sarà raccolto direttamente nella serata dello spettacolo.

Nuoro: carcere ingiusto e danno, risarcito con 173.000 euro

 

L’Unione Sarda, 10 dicembre 2004

 

Ha perso un polmone perché non gli hanno concesso di uscire dal carcere - dove poi è risultato essere detenuto ingiustamente - per effettuare una delicata operazione chirurgica. A Giovanni Pischedda, 32 anni di Barisardo, i giudici di Cagliari hanno riconosciuto pochi giorni fa un indennizzo di 173 mila euro, di cui 62 mila per ingiusta detenzione e 110 mila euro per danni fisici irreversibili, morali e di immagine. Il giovane è difeso dall’avvocato Emanuele Pisano.

Giovanni Pischedda era stato arrestato il 13 dicembre del 1999 nell’ambito dell’operazione Aurora. Giovanni Pischedda aveva accusato poche settimane dopo una grave infezione polmonare ma le sue condizioni cliniche sarebbero state sottovalutate dal medico del carcere. Pertanto il giudice di sorveglianza gli ha concesso gli arresti domiciliari solo il 18 luglio dell’anno successivo.

Il 15 aprile dello stesso anno i giudici della Corte d’ Appello di Cagliari presieduta da Giovanni Dessy, relatrice Tiziana Marogna, aveva prosciolto il giovane da ogni accusa. Da quel momento Giovanni Pischedda e il suo legale hanno avviato una dura battaglia risarcitoria che si è risolta positivamente pochi giorni fa.

L’Operazione Aurora ha avuto il suo epicentro a Barisardo e ha visto sul banco degli imputati molti giovani del paese, poi condannati anche in Appello per traffico internazionale di droga. Tra loro anche un fratello di Giovanni Pischedda. Gli arresti per il traffico di stupefacenti aveva seguito di pochi mesi quelli per i responsabili degli attentati di Barisardo, nell’ambito dell’Operazione Tuono. Giovanni Pischedda aveva invece dimostrato la sua completa estraneità al traffico di droga.

Potenza: regione aderisce a progetto reinserimento detenuti

 

Asca, 10 dicembre 2004

 

Un progetto sperimentale per il reinserimento lavorativo dei detenuti sarà presentato giovedì 16 dicembre, alle 10, nella sala Mediafor di Potenza nel corso di una conferenza stampa alla quale parteciperanno l’assessore alla Formazione, Lavoro, Cultura e Sport della Regione Basilicata, Dino Collazzo, e gli assessori al Lavoro delle Province di Potenza e Matera, Alfonso Salvatore e Franco Bitondo.

Il progetto, che sarà implementato con il coordinamento dell’Ufficio Politiche del Lavoro della Regione Basilicata, riguarda - si legge in un comunicato - una sperimentazione promossa e finanziata dal Ministero del Lavoro la cui gestione sarà affidata alla società Centro Servizi di Matera. Saranno coinvolte oltre alla Basilicata anche le Regioni Puglia e Campania.

L’iniziativa è finalizzata all’implementazione del percorso di inserimento lavorativo con il coinvolgimento delle istituzioni e delle imprese locali utilizzando le provvidenze della legge 193/2000 per le attività lavorative dei detenuti.

I Centri per l’Impiego e gli operatori delle carceri e dei servizi sociali territoriali attueranno azioni di orientamento per evidenziare le competenze professionali e i bisogni professionali delle imprese e delle istituzioni locali. Gli Istituti penitenziari coinvolti sono quelli di Potenza, Matera e Melfi.

Isili: il complesso "Lappola" strappa sorriso ai detenuti

 

L’Unione Sarda, 10 dicembre 2004

 

Un momento di "evasione", in chiara chiave umoristica e non letterale del termine. È l’esperienza che hanno vissuto gli ospiti della casa di reclusione di Isili (una colonia agricola) chiamati ad assistere allo spettacolo del gruppo cagliaritano dei Lapola. "Si tratta di una delle tante attività previste dal servizio di educazione presente nella struttura, che ha come scopo quello di avvicinare il carcere alle comunità del territorio, consentendo ai detenuti di uscire dall’isolamento che li circonda", spiega Marco Porcu, direttore della colonia penale.

Il 17 dicembre nuovo appuntamento, questa volta con un gruppo musicale, mentre la vigilia di Natale, nella chiesetta della colonia, verrà celebrata una messa animata dal coro polifonico di Laconi. Nei prossimi mesi si pensa, poi, di attivare corsi di teatro in cui gli ospiti della colonia interagiscano con i professionisti.

"Tutto questo è possibile - conclude Marco Porcu - anche grazie alla disponibilità degli agenti di Polizia penitenziaria: la loro collaborazione è fondamentale durante lo svolgimento di queste attività". Ci sono già accordi per quanto riguarda corsi scolastici, che verranno forniti in collaborazione con il servizio educativo fornito da Comunità Montana e amministrazione comunale di Isili.

Amnesty International: 11-12 dicembre, maratona azioni urgenti

 

Apcom, 10 dicembre 2004

 

L’11 e il 12 dicembre migliaia di attivisti per i diritti umani e di soci di Amnesty International in più di 20 Paesi prenderanno parte, per il quarto anno consecutivo, alla "Maratona Azioni Urgenti".

La "Maratona Azioni Urgenti" è nata nel 2000 da un’idea della sezione polacca di Amnesty International ed è subito diventata una delle azioni più efficaci e concrete per ricordare il 10 dicembre, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Un’azione urgente consiste nell’invio immediato di un elevato numero di appelli alle autorità dei Paesi in cui delle persone stanno subendo gravi violazioni dei diritti umani e la cui vita o le cui condizioni di salute appaiono in forte pericolo. La tecnica risale al 19 marzo 1973, data in cui Amnesty International lanciò la prima azione urgente, in favore di Luíz Rossi, arrestato e minacciato di tortura in Brasile a causa delle sue idee politiche. Da allora e per i successivi trent’anni, l’organizzazione ha lanciato decine di migliaia di azioni urgenti per scongiurare esecuzioni di condanne alla pena capitale, ottenere garanzie sull’incolumità di difensori dei diritti umani minacciati di morte, sospendere detenzioni in isolamento, porre fine alla tortura, assicurare cure mediche a chi ne ha urgente bisogno.

In Italia, la "Maratona Azioni Urgenti" è inserita all’interno della campagna di Amnesty International "Mai più violenza sulle donne". Tra mezzogiorno dell’11 dicembre e la stessa ora del giorno seguente, verranno inviati quanti più appelli possibile in favore di tre donne che, in Cina, Colombia e Oman sono vittime di violazioni dei diritti umani.

Mao Hengfeng sta scontando una condanna a 18 mesi di lavori forzati in un centro di detenzione di Shanghai, in Cina, dove ha subito maltrattamenti e torture. La sua colpa è di essersi rivolta alle autorità cinesi per denunciare il proprio licenziamento, avvenuto nel 1988, poiché era rimasta incinta per la seconda volta. Rifiutatasi di abortire, era stata internata in un ospedale psichiatrico e sottoposta all’elettroshock. Amnesty International chiede che sia immediatamente rilasciata.

Claudia Julieta Duque è una giornalista colombiana. Ha cominciato a ricevere minacce di morte dal momento in cui ha iniziato a indagare sull’omicidio di un suo collega, Jaime Garzón, avvenuto nell’agosto 1999, in cui pare fossero implicati un paramilitare e diversi membri delle forze di sicurezza. Da qualche mese le minacce sono riprese, anche nei confronti della figlia, che ha solo 10 anni. Amnesty International chiede al governo colombiano di garantire la sua protezione.

Rebecca Thompson, di nazionalità statunitense, è stata condannata a morte l’8 maggio da un tribunale dell’Oman per l’omicidio di suo marito. Con lei sono stati condannati a 10 anni di carcere per lo stesso omicidio due ragazzi omaniti di 17 anni. È attualmente in attesa dell’esecuzione in una prigione nei pressi della capitale Muscat. Amnesty International chiede che questa e le altre condanne a morte siano commutate.

Oltre che in Italia la "Maratona" si svolgerà in Austria, Australia, Barbados, Bermuda, Canada, Ecuador, Francia, Giappone, Israele, Libano, Mongolia, Nepal, Nuova Zelanda, Paraguay, Perú, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica, Tunisia e Zimbabwe.

Gli appelli della "Maratona Azioni Urgenti" possono essere sottoscritti all’indirizzo: http://www.amnesty.it/primopiano/maratona_ua_2004

Uzbekistan: una donna ortodossa contro la pena di morte

 

Asia News, 10 dicembre 2004

 

"La pena di morte genera male e viola il più alto diritto inalienabile di ogni uomo: il diritto alla vita". È questa la motivazione per cui Tamara Chikunova, una cristiana ortodossa uzbeka, ha fondato l’associazione "Madri contro la pena di morte e la tortura" che si batte per l’abolizione delle esecuzioni capitali in Uzbekistan.

Il 20 luglio 2000 è stato fucilato il suo unico figlio Dimitrij, 29 anni. Da quel giorno la donna ortodossa aiuta i detenuti e i condannati a morte che si proclamano innocenti a dimostrarlo in tribunale: in questi 4 anni di attività Tamara è riuscita a salvare 19 giovani "figli di Dio", come lei chiama i condannati.

"Io sono credente – racconta Tamara. Sono cristiana ortodossa e aiuto chi si trova nel braccio della morte perché la vita è il dono più importante che Dio ci ha dato. Uno Stato non ha il diritto di decidere a chi lasciarlo e a chi toglierlo: solo Dio può deciderlo". A causa della lotta per far liberare suo figlio Dimitrij, Tamara ha subito minacce da parte delle autorità: "Mio figlio ha dato la sua vita per salvarmi: ha confessato l’omicidio che non aveva commesso perché altrimenti mi avrebbero uccisa" racconta Tamara. "Per questo ora aiuto altri giovani per ricordare il mio Dimitrij".

L’Associazione coinvolge un centinaio di persone tra volontari e membri provenienti da tutto l’Uzbekistan e lavora a stretto contatto con altre organizzazioni internazionali tra cui la Comunità di Sant’Egidio e Amnesty International.

"Noi stiamo lottando da 4 anni perché si arrivi alla moratoria delle esecuzioni" afferma Tamara. "Proprio il 2 dicembre scorso, per la prima volta, il presidente dell’ Uzbekistan ha dichiarato di essere favorevole all’abolizione della pena di morte e all’interruzione delle esecuzioni". Secondo la donna, questa prima dichiarazione del presidente è dovuta anche alla pressione internazionale promossa dall’Associazione.

La situazione dei condannati a morte in Uzbekistan è terribile: "I familiari – dice Tamara - non possono visitarli; essi vivono in queste camere aspettando ogni momento l’esecuzione. Né loro né i parenti conoscono l’ora dell’esecuzione, perché essa viene segreta. I carcerieri non restituiscono nemmeno il corpo dei condannati e non dicono dove essi vengono sepolti per scoraggiare le indagini su eventuali segni di torture praticate in carcere. Questa è un’ulteriore, atroce tortura ai condannati e alle loro famiglie".

Tamara ha vissuto in prima persona questo dramma: un giorno si era recata per l’ennesima volta al carcere dove era detenuto suo figlio, chiedendo di poterlo incontrare. Mentre stava parlando con le guardie, Tamara ha sentito degli spari: avevano fucilato Dimitrij. Ma la morte del figlio è diventata per le motivo di impegno e di speranza per altre persone.

Roma: pacco - bomba a segreteria generale del Sappe

 

Ansa, 10 dicembre 2004

 

"È un segnale preciso, il grave gesto intimidatorio di questa mattina - rinvenimento di una videocassetta esplosiva tra la corrispondenza diretta agli uffici della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, in via Trionfale a Roma.

Lo avevamo detto il 1 aprile scorso, in occasione dell’invio di altri due pacchi bomba al direttore del Dap Giovanni Tinebra e al direttore dell’ufficio detenuti Sebastiano Ardita, destinatari delle due videocassette esplosive, ne lo ribadiamo oggi. Questa inaccettabile azione minatoria palesa sempre più un disegno criminoso che ha come obiettivo l’istituzione carceraria, le sue finalità istituzionali, gli uomini e le donne che con sacrificio per quell’ obiettivo lavorano".

Così commenta a nome della Segreteria Generale del Sappe Donato Capece, segretario generale del Sindacato più rappresentativo della Categoria con 13 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività, il rinvenimento di un pacco bomba presso gli uffici della sede di Roma.

"Abbiamo aperto il pacco - riferisce Capece - e abbiamo visto che dentro c’erano una videocassetta e dei fili collegati. Abbiamo subito chiamato gli artificieri dei carabinieri, che hanno confermato la presenza di esplosivo ed hanno fatto brillare la videocassetta".

Il sospetto pacco bomba è stato recapitato stamani, via posta, alla sede della segreteria generale del Sappe. Un addetto alla segreteria ha aperto il plico con le forbici e, all’interno, ha subito notato una videocassetta avvolta con un pezzo di plastica verde e collegata ad alcuni fili e mollette. Immediatamente sono stati chiamati gli artificieri.

"Il Sappe ha tra i suoi obiettivi quelli di tutelare i diritti delle decine di migliaia di donne e uomini che lavorano nelle oltre 200 carceri del Paese indossando la divisa della Polizia Penitenziaria, di accrescere la professionalità del Corpo ed è sempre in prima linea quando si tratta di difendere le istituzioni dello Stato, specie quella penitenziaria, dalla cancrena criminale, di qualsiasi colore e provenienza. Non accettiamo provocazioni ed intimidazioni da parte di nessuno. E continueremo il nostro lavoro per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria e per lo Stato repubblicano come abbiamo sempre fatto.".

Roma: pacco - bomba a Sappe, analogie con episodi anarchici

 

Ansa, 10 dicembre 2004

 

Secondo quanto si è appreso, assemblaggio, innesco ed esplosivo usati per confezionare l’ordigno recapitato stamattina nella sede del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) sono compatibili con quelli già utilizzati in passato da gruppi anarchici.

Per questo, gli investigatori dell’antiterrorismo dei carabinieri starebbero lavorando all’ipotesi della pista anarchica, anche sulla base di alcuni elementi finora emersi e già riscontrati in altri episodi simili, avvenuti sia a Roma sia in altre città italiane. Tra questi, quello del 4 novembre scorso, quando un pacco bomba alla caserma dei carabinieri di viale Libia a Roma causò il ferimento del maresciallo Stefano Sindona.

Venezia: appello della Margherita "si chiuda caso Dorigo"

 

Il Gazzettino, 10 dicembre 2004

 

"Questa inutile sofferenza umana deve finire": Diego Bottacin, a nome dell’Esecutivo e dell’assemblea della Margherita del Veneto, esprime in una nota solidarietà a Paolo Dorigo e alla sua famiglia e chiede a chi ha il potere e la responsabilità di intervenire di mettere fine alla sofferenza del detenuto e salvargli la vita. Dorigo, in carcere a Spoleto, è reduce da uno sciopero della fame durato oltre due mesi, messo in atto per ottenere un temporaneo ricovero ospedaliero al fine di accertare i gravi disturbi che lamenta. Il detenuto ha interrotto la sua protesta il 30 novembre scorso, ma solo per evitare il trasferimento nel centro medico del carcere delle Vallette a Torino; egli continua, tuttavia, a rifiutare i pasti dell’amministrazione penitenziaria.

Paolo Dorigo, veneziano di 45 anni, è in carcere da 11 anni per una condanna a 13 anni e 6 mesi di reclusione, comminatagli nel 1993 per il lancio di una bottiglia incendiaria contro la recinzione della base Usa di Aviano. La sollecitazione della Margherita del Veneto, che come partito - sottolinea la nota - rappresenta posizioni politiche assai lontane da quelle di Paolo Dorigo, si unisce ai numerosi appelli alle istituzioni lanciati da molti esponenti della società civile perché si ponga fine a questa situazione.

Firenze: Verdi regaleranno stelle di Natale ai detenuti

 

Ansa, 10 dicembre 2004

 

Il gruppo dei Verdi in consiglio regionale regalerà 200 stelle di Natale agli ospiti e agli operatori delle 18 carceri della Regione. L’ iniziativa è stata presentata stamani dal capogruppo dei verdi, Fabio Roggiolani, durante un incontro con i giornalisti.

"Si tratta di un gesto simbolico - ha spiegato Roggiolani - per non far sentire soli i detenuti, in queste carceri che sono tristi e senza piante. Lo facciamo per dare loro un segno di appartenenza alla comunità regionale. Sarà un omaggio dei verdi. A partire dai prossimi giorni consegnerò personalmente le piante agli istituti".

Le piante sono offerte dal Comicent (centro di commercializzazione dei fiori dell’Italia centrale di Pescia). Durante la conferenza stampa, Roggiolani ha ricordato anche l’iniziativa della Giunta Regionale per una migliore integrazione della sanità pubblica con quella delle carceri e la proposta di legge dei verdi per "l’istituzione dell’ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, che dovrà occuparsi della condizione e dei problemi dei detenuti e degli operatori penitenziari".

Cagliari: sciopero della fame davanti a consiglio regionale

 

Redattore Sociale, 10 dicembre 2004

 

"Siamo al quinto giorno di sciopero della fame, ma continueremo finché non verremo ascoltati". È la promessa di Roberto Loddo, componente del Comitato 5 Novembre che sta attuando da alcuni giorni un sit-in di protesta davanti al Consiglio regionale in via Roma.

Lo scopo dell’iniziativa è attirare l’attenzione sull’"inferno di Buoncammino" e convincere la Giunta Regionale a farsi promotrice delle istanze dei detenuti anche presso il Governo nazionale. La protesta registra anche l’adesione della Camera penale regionale, oltre al sostegno del Cagliari Social Forum e di alcuni studenti della facoltà di Scienze politiche.

"Non siamo contro l’istituzione carceraria in sé - precisa Loddo - ma contestiamo quella mentalità punitiva che pretende di accostare il concetto di giustizia ad una struttura detentiva come quella di Buoncammino, che è in realtà un campo di concentramento al di fuori di ogni legalità".

Il carcere cagliaritano, al marzo 2004, ospitava 405 detenuti (a fronte di una capienza massima di 353) fra i quali 32 sieropositivi, 161 affetti da epatite B e C e 149 che presentano patologie psichiche. Nel resto dell’Isola, invece, su 1900 posti complessivi, i detenuti sono solo 1700.

Loddo ricorda che la finanziaria del 2003 ha ridotto del 40 % i fondi per la dotazione di guardie mediche, farmaci ed educatori nei penitenziari. Fra le tante richieste dei manifestanti (contenute in un documento in distribuzione in via Roma) c’è innanzitutto la liberazione dei malati più gravi e la redistribuzione dei detenuti all’interno dei vari penitenziari, oltre all’aumento delle concessioni di misure alternative al carcere, almeno "per i reati che prevedono una reclusione fino ai 3 anni, ai quali si potrebbe applicare il principio del risarcimento del danno arrecato".

Ancora, l’abolizione dell’ergastolo e del regime di detenzione 41 bis (quello per i mafiosi, per intendersi). Su un piano locale, i rappresentanti della protesta ribadiscono che continueranno lo sciopero della fame finché "il presidente Soru e la sua Giunta non avanzeranno precise richieste al Governo nazionale per ottenere un aumento delle risorse da destinare alla sanità".

"D’altronde - prosegue Loddo - ormai Buoncammino rientra fra gli ambiti di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, per cui l’assessore regionale alla Sanità può avere un ruolo chiave". In particolare, ci si rivolge alla Dirindin affinché si preoccupi di "inserire un capitolo di spesa relativo al carcere nel Piano sanitario regionale attualmente in via di predisposizione".

 

 

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