Rassegna stampa 13 dicembre

 

Castiglione Stiviere: nella casa delle madri che hanno ucciso

 

Panorama, 13 dicembre 2004

 

Sembrava un giorno di festa. La mamma aveva vestito i suoi bambini, li aveva fatti salire in macchina, aveva guidato verso il lago. Nell’auto i due fratellini non riuscivano a star fermi per la gioia. Una volta arrivati, il più piccolo, che aveva appena imparato a camminare, si è avviato tranquillo verso l’acqua. La mamma lo ha spinto dolcemente fino al punto dove non toccava, poi lo ha lasciato andare. Spaventato, il fratello maggiore ha provato a difendersi, a reagire. Una mano di ferro, la mano della mamma, gli ha inchiodato la testa sotto l’acqua. Fino a quando non si è mosso più.

Una storia tremenda, quanto quella della madre cremonese che lunedì 6 dicembre si è gettata nel vuoto con la sua creatura. La donna responsabile del doppio infanticidio oggi vive sulle colline mantovane, chiusa nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, a 5 chilometri dall’incanto del lago di Garda. Unico fra gli Opg italiani dotato di un reparto femminile, l’ospedale di Castiglione è il solo che ospiti madri che hanno ucciso i propri figli. A due condizioni: che siano state dichiarate totalmente incapaci di intendere e di volere e giudicate "socialmente pericolose". Racconta Antonino Calogero, 57 anni, psichiatra, dal 1976 al lavoro nell’Opg e dal 2003 direttore: "L’ospedale dipende dal ministero della Salute, ma ha una convenzione con il ministero della Giustizia. Su 190 internati, le donne sono 80. Dieci di loro sono figlicide". Nella maggioranza dei casi la diagnosi è: depressione.

Depresse come Rosa Sansone, 39 anni, la donna di Volpiano (Torino) che mercoledì 1° dicembre ha ucciso a coltellate la figlia Nausicaa, 4 anni, e si è poi pugnalata fino a perdere i sensi. In cura da tempo, assistita dai servizi psichiatrici della asl, Rosa Sansone sembrava ai vicini una donna chiusa e triste. Ma nessuno, nemmeno il marito, Giampaolo Sellitto, impiegato nell’ufficio pesi e misure della Camera di commercio di Torino, avrebbe mai sospettato che potesse impugnare un coltello per uccidere sua figlia.

Com’è potuto accadere? A Castiglione delle Stiviere è appena stato avviato un progetto di ricerca: d’accordo con l’università romana La Sapienza, gli esperti dell’ospedale psichiatrico giudiziario stanno tentando di capire se esistono segni premonitori del figlicidio. Chiarisce il direttore Calogero: "Non è sufficiente dire che una donna è depressa. Bisogna indagare la storia familiare, in cui figurano a volte anche madri afflitte da depressione, le relazioni con i familiari, con il partner, gli eventuali conflitti".

Secondo l’Istat, ogni anno circa 20 figli vengono uccisi dai genitori, nella quasi totalità dei casi dalla madre. "Ma solo una su tre finisce in ospedale psichiatrico giudiziario" avverte Giuseppe Gradante, psichiatra e primario dell’area femminile nell’Opg di Castiglione. "Le altre vanno in carcere, perché sono considerate sane di mente. Quando una donna uccide i suoi figli, la gente pensa: è un gesto contro natura, che contraddice l’istinto materno. Ma quell’istinto non esiste. C’è un sentimento materno, piuttosto, che non è innato e può essere più o meno accentuato, o non esserci del tutto".

Da quando il delitto di Cogne è esploso nei media con tutto il suo carico di mistero e di angoscia, l’ospedale di Castiglione è sommerso dalle richieste di laureandi che vogliono dedicare la tesi al figlicidio. "Ma ogni storia è un caso a sé" sostiene il primario Gradante. "L’unico elemento comune è che si tratta di donne che soffrono. E sono più vittime che carnefici. Vanno curate, non punite".

C’è Anna, ragazza di buona famiglia che ha avuto un bambino da un uomo più grande di lei, con il quale convive, e che un giorno, senza ragione apparente, apre la finestra del suo appartamento al secondo piano, col piccolo di due anni in braccio, e lo lascia cadere giù.

C’è Maria che, a quarant’anni, con due figlie adolescenti e un maschietto di 3 anni, si convince che il bambino sia malato, arriva a credere che la vita gli riservi un destino di sofferenza e di dolore e, non sapendo come proteggerlo, si ritrova a gettarlo in un canale, affidandolo alla corrente. C’è Angela che ha soffocato suo figlio, 2 anni appena, con un cuscino: voleva punire il marito, così distante, così freddo.

Nel dicembre 2003, quando le internate per figlicidio erano 14, Antonino Calogero ha stilato una rapida statistica. Trentasei anni e mezzo, l’età media delle madri al momento del delitto. Fra i 3 e i 5 anni, l’età delle vittime, maschi e femmine in ugual misura. Donne del Nord, nel 55 per cento dei casi (il 27 per cento provenienti dalla Lombardia). Titolo di studio, in maggioranza, la licenza media, ma in qualche caso il diploma. In nove casi su 14 il marito o il compagno non ha retto: si è allontanato. La famiglia d’origine, al contrario, spesso assicura sostegno, aiuto, comprensione. Accoglie le donne quando, per poche ore o qualche giorno, possono uscire grazie a un permesso dall’ospedale psichiatrico, da queste palazzine bianche con le grate alle finestre e un parco con piscina e laboratori di sartoria, falegnameria, grafica, informatica. Quelle brevi pause fuori dall’ospedale sono la prova generale del ritorno alla vita.

L’internamento in Opg dura cinque o dieci anni, secondo le disposizioni della magistratura. Ma se il recupero della salute psichica è più veloce, i tempi possono abbreviarsi. Per tutte il momento più duro arriva quando si rendono conto di ciò che hanno fatto. Racconta Gradante: "Vengono nel mio ufficio, dicono: "Dottore, sto male: mi viene in mente mio figlio". Nessuna riesce a dimenticare, tutte ripetono: se potessi tornare indietro…".

Fra le madri uscite da Castiglione delle Stiviere nessuna ha avuto altri bambini. "Eppure" osserva Calogero "in molte donne che hanno appena ucciso un figlio scatta il desiderio di averne un altro". Nell’atelier di pittura dell’Opg Margherita ha dipinto una madre che aspetta un bambino: in un violento color arancio ha rappresentato sulla tela il piccolo tutto chiuso nella pancia della mamma. Quando lo aveva tra le braccia, il suo bambino, Margherita l’ha lasciato cadere nel vuoto, sporgendosi dalla ringhiera del balcone.

Prigioniero nel carcere di Reading, un malinconico Oscar Wilde affidò ai versi di una ballata un pensiero struggente: "Ognuno uccide ciò che ama". Le mamme di Castiglione l’hanno fatto, e non sanno perché.

Papillon: una prima, timida risposta alle proteste dei detenuti

 

Comunicato stampa, 13 dicembre 2004

 

Da circa due mesi la nostra associazione ha chiesto alla Commissione Giustizia della Camera di organizzare una sua riunione straordinaria all’interno di un istituto penitenziario della Capitale, a cui far partecipare un’ampia delegazione di detenuti di Roma e di altre città, le rappresentanze sindacali degli operatori penitenziari e almeno le più grandi associazioni laiche e religiose del volontariato.

Tale richiesta derivava dal fatto che la nostra associazione ritiene siano ormai mature le condizioni per un primo momento di confronto unitario tra le Istituzioni e tutto l’universo penitenziario per tracciare insieme una strada che porti alla progressiva ma reale risoluzione dei problemi da tutti noi sollevati.

La scorsa settimana la Commissione Giustizia ha discusso e accettato la nostra richiesta, fissando l’incontro per mercoledì 15 dicembre, alle ore 14.30, all’interno della C.C. Rebibbia nuovo complesso. Per la Commissione Giustizia saranno presenti i Parlamentari componenti il "Comitato permanente per l’esame dei problemi penitenziari", presieduto dall’On. Buemi.

Considerando il clima di demagogia elettorale che si sta di nuovo determinando intorno ai temi della Giustizia e del carcere, è nostra intenzione sottolineare in quella sede le valutazioni e le proposte che riguardano la drammatica realtà delle carceri e in particolare il sovraffollamento, l’applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini, gli abusi che si compiono nell’uso della custodia cautelare in carcere e la malasanità.

Per sostenere le posizioni dei detenuti che si confronteranno con i Parlamentari della Commissione Giustizia, già da lunedì 13 dicembre molte carceri ricominceranno una pacifica protesta sino alla sera di mercoledì.

Agrigento: ex detenuto, aiutatemi a lavorare onestamente…

 

La Sicilia, 13 dicembre 2004

 

"Non voglio sbagliare un’altra volta e ritornare in carcere. Chiedo soltanto che l’amministrazione comunale mi aiuti a trovare un lavoro per poter mantenere decorosamente i miei familiari è proseguire la mia vita nella retta via". E questo l’appello di un pregiudicato licatese di 31 anni. Uno dei tanti venditori ambulanti abusivi che attraverso il nostro giornale rivolge un appello al sindaco o a chi lo rappresenta a palazzo di città.

"Vivo con mia sorella nell’abitazione dei miei nonni. Grazie alla loro pensione tutti e quattro tiriamo avanti. Per qualche tempo ho svolto l’attività abusiva di commerciante ambulante nella vendita per le vie della città di prodotti ortofrutticoli. Ma anche questa attività non mi è stata consentita. Chiedo di poter svolgere degnamente un’attività lavorativa per non ritornare nell’ambiente malavitoso che alcuni anni addietro mi fece finire in carcere dove ho espiato una lunga pena detentiva".

"Negli ultimi giorni - continua - mi sono recato a Palazzo di città dove spesse volte ho chiesto d’ incontrare il sindaco ma mi è stato difficile trovarlo. Nei giorni scorsi sono stato avvicinato dall’ispettore dei vigili urbani della sezione annonaria Giovanna Incorvaia la quale mi ha promesso il suo interessamento per trovarmi un lavoro".

Intanto nei prossimi giorni il dipartimento comunale alla solidarietà sociale dove sarebbe giacente un lungo elenco composto da più di un centinaio di nominativi di nuclei familiari che vivono in accertato stato di bisogno economico dovrebbero percepire presso gli sportelli della tesoreria comunale un sostanziale contributo economico, cosi come nei giorni scorsi ci ha confermato il sindaco Biondi.

"Non chiedo sussidi, voglio solo incontrare il sindaco a cui chiedere liberamente senza aver paura di essere denunciato alla magistratura per ottenere un posto di lavoro - ha concluso il nostro interlocutore - Non ho un soldo un lavoro un vestito mi trovo cosi come si suol dire in mezzo ad una strada".

Purtroppo il dramma della disoccupazione esistente in città il cui fenomeno ha visto l’emigrazione in massa dei disoccupati verso le città industriali dell’Italia settentrionale e gli Stati europei rimane una delle piaghe sociali che ha maggiormente colpito non solo la Regione Sicilia ma gran parte del Sud Italia. In atto in città sono pochissimi i cantieri di lavoro impegnati nella realizzazione di opere pubbliche in grado di poter venir incontro ai tanti casi disperati che si registrano in città.

La città conta uno strano dato reso noto dalla Banca d’Italia secondo cui presso gli sportelli bancari locali, i quattro uffici postali risulterebbero depositati dai cosiddetti piccoli risparmiatori 1.500 miliardi delle vecchie lire. Un dato questo che contrasta con le migliaia di sussidi economici che vengono erogati dal dipartimento solidarietà sociale del comune ad altrettanti nuclei che versano in stato di accertata indigenza economica.

Viterbo: la messa del vescovo per i detenuti

 

Il Messaggero, 13 dicembre 2004

 

È stata una partecipata celebrazione quella che si è tenuta ieri mattina alla casa di reclusione di via Tarquinia. Il vescovo monsignor Girolamo Grillo ha officiato la santa Messa come ogni anno, per i detenuti, che hanno assistito alla funzione con le proprie famiglie. Presenti per condividere il momento suggestivo, i parenti dei detenuti ed il personale del carcere che, insieme alla direttrice ed ai suoi agenti di polizia penitenziaria, con discrezione e partecipazione, hanno voluto anche quest’anno l’appuntamento più significativo per le festività natalizie. Il vescovo si è rivolto, durante l’omelia, ai bambini presenti ed ha voluto conoscere tutti i famigliari, rivolgendo un pensiero natalizio per ciascuno.

Seguiranno altri momenti d’incontro con la comunità cittadina esterna alla casa di reclusione. Martedì ci sarà uno scambio di auguri con gli allievi dell’ultimo anno dell’Istituto tecnico commerciale e per geometri "Baccelli", accompagnati dai docenti e dal dirigente scolastico. Nello stesso giorno sarà inaugurata la mostra dei detenuti presso i locali della suggestiva antica Rocca dentro il porto. Infine, una mostra sperimentale on line, per esplorare una nuova modalità di vendita dei prodotti realizzati dagli stessi reclusi, denominata "shop in jail", voluta dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e curata dalla direttrice dottoressa Silvana Sergi, per la casa di reclusione di via Tarquinia e per pochissimi penitenziari del Lazio. I detenuti hanno anche contribuito a confezionare le pigotte per l’Unicef, in vendita al Ghetto.

Taranto: Giancarlo Cito, "il mio dramma nel carcere"

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 13 dicembre 2004

 

"Scrivo questa lettera per far conoscere all’opinione pubblica il dramma che sto vivendo. Per quindici anni ho ricoperto cariche pubbliche da consigliere comunale a provinciale, poi sono diventato sindaco della città di Taranto e deputato della Repubblica. Prima di vivere l’esperienza amministrativa ho militato nelle fila del Movimento Sociale Italiano.

Successivamente, ho costituito una lista civica denominata "AT6 Lega d’Azione Meridionale", rimanendo coerente con le mie idee politiche e, soprattutto, senza mai tenere un piede in più scarpe". Comincia così, ripercorrendo la sua carriera politica, la lettera che l’ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito, attualmente detenuto nel carcere di via Magli, ha inviato agli organi di informazione tramite i suoi legali.

Il leader di AT6, che sta scontando una condanna definitiva a 4 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, proclama la sua innocenza ma, al contempo, chiede scusa ai rappresentanti delle istituzioni contro i quali si è scagliato durante la sua attività politica. "Si è parlato molto di me, del mio operato, sia sulla stampa nazionale che su quella estera; sono state redatte molte tesi di laurea e scritti libri sulla mia persona.

Anche su diversi siti internet si è parlato di Giancarlo Cito, di cosa pensava la gente. In questi anni, per la politica, ho subito circa 150 processi, che ho sempre affrontato a testa alta perché dovevo dimostrare a tutti di essere una persona perbene". Quindi arriva il mea culpa di Cito. "Non avevo capito quanto determinati miei scritti, parole e comportamenti potessero rendermi antipatico agli occhi di molti".

Nuoro: "in cella non mi curavano", risarcito un ex detenuto

 

L’Unione Sarda, 13 dicembre 2004

 

Quei centosettantamila euro erogati dallo Stato come indennizzo non potranno mai restituirgli i due anni e quattro mesi trascorsi da innocente dietro le sbarre e il polmone destro, amputato a seguito delle cure negate in carcere. Giovanni Pischedda, 32 anni di Barisardo, non ha molti motivi per essere contento . Nonostante l’assoluzione in Appello dall’accusa di traffico internazionale di droga e il riconoscimento dell’ingiusta detenzione.

"Nessuno potrà ripagarmi il polmone perso - commenta il giovane con amarezza - né le umiliazioni subite dentro e fuori dal carcere. A trent’anni non sono più in grado di lavorare. Mi affatico con facilità e devo stare attento a non prendere infezioni all’unico polmone rimasto. Potrebbe costarmi la vita". Giovanni Pischedda era stato arrestato il 13 dicembre del 1999, risucchiato nel vortice dell’Operazione Aurora che aveva fatto finire in carcere 19 persone tra Barisardo, il Nuorese e Cagliari.

"Mi hanno tirato dentro per i cappelli - spiega il giovane di Barisardo - sulla base delle dichiarazioni di una pentita e di un’ intercettazione telefonica che recitava: Non dite niente a Giovannino e nemmeno alla moglie. Io mi chiamo Giovanni e sono celibe. Devo la mia assoluzione alla bravura dell’avvocato Emanuele Pisano che ha sciolto il bandolo della matassa". Condannato in primo grado a sei anni con il rito abbreviato, Giovanni Pischedda era stato assolto dalla Corte d’Appello di Cagliari presieduta da Giovanni Dessy.

"È stata la mia salvezza ma anche quella di mia madre - racconta il giovane - perché appena uscito dal carcere ho potuta accompagnarla dal professor Mario Pisano, primario di chirurgia alla clinica Binaghi. A lui dobbiamo una doppia riconoscenza in quanto ha salvato mia madre, dopo aver salvato me amputandomi il polmone destro, ormai compromesso dalla mancanza di cure in carcere. Dottor Pisano era stato l’unico a capire la gravità della situazione evitando che venisse compromesso anche l’altro polmone".

Giovanni Pischedda racconta come i medici del carcere di Buoncammino lo avessero curato per la tubercolosi, prima di acconsentire che venisse operato all’esterno. Solo dopo otto mesi di carcere ha potuto usufruire degli arresti domiciliari. "Ma l’inferno è continuato anche fuori da Buoncammino - accusa Giovanni - perché ero costretto ad alzarmi dal letto, dove ero finito a seguito dell’operazione, per farmi vedere alla finestra dalle pattuglie di carabinieri e polizia che facevano i controlli a tutte le ore del giorno e della notte.

Avevano forse paura che con un polmone solo potessi darmi alla macchia sui monti del Gennargentu". Ora le preoccupazioni di Giovanni Pischedda sono tutte rivolte al fratello Renè, condannato con sentenza definitiva a 7 anni e mezzo per traffico di droga nell’ambito dell’Operazione Aurora. "Renè ha perso tutti i denti - accusa Giovanni - perché non gli hanno curato in tempo una grave forma di mastite". L’ingiustizia è uguale per tutti.

Nuoro: la vita dietro le sbarre e una famiglia distrutta

 

L’Unione Sarda, 13 dicembre 2004

 

Una maledizione sembra aver colpito la famiglia Pischedda. Giovanni Pischedda, ultrasessantenne di Barisardo omonimo del figlio, e la moglie Willy Van Lemmeren, un’olandese minuta, si trovano con un figlio invalido in casa e un altro, René, in carcere con gravi problemi all’apparato masticatorio. Tanto da aver perso tutti i denti all’età di 37 anni.

"Tutto risale - racconta la madre - ad un periodo di detenzione nelle carceri dell’Ungheria, dove René era stato arrestato prima di essere estradato. In meno di un mese aveva perso 15 chili perché in carcere non gli avevano dato da mangiare quasi niente. Da subito ha cominciato ad accusare forti dolori ai denti". L’infezione gengivale si era poi aggravata durante la sua detenzione nelle diverse carceri dell’isola.

"Nel carcere sassarese di San Sebastiano - racconta Willy Van Lemmeren - è rimasto in isolamento per sei mesi. Dovunque venisse trasferito, si sentiva rispondere che non poteva essere curato per la mancanza di dentisti. Solo dopo tre anni e mezzo è stato trasferito al centro clinico del carcere di Buoncamino dove gli hanno riscontrato una situazione gravissima. Tanto da consigliare l’estrazione di tutti i denti per evitare l’estendersi dell’infezione".

L’olandese, che ha già subito un’operazione per un tumore al seno, si dice scandalizzata per la situazione delle carceri italiane "Ho potuto vedere - racconta la donna - in quali condizioni era tenuto Giovanni nel carcere di Buoncamino, isolato in una cella perché si pensava fosse affetto da tubercolosi. Era molto depresso, oltre che malato, e non riusciva a chiudere occhio. La Giustizia non tiene in alcuna considerazione la dignità dei detenuti e il disagio dei genitori ". Willy Van Lemmeren è amareggiata ma non rassegnata "Confido nelle autorità olandesi - spiega la donna - per ottenere l’estradizione di mio figlio. René ha la doppia nazionalità e quindi ha diritto ad essere estradato in Olanda". I membri della famiglia Pischedda hanno allentato i rapporti con l’Olanda, dove hanno lavorato e abitato per due decenni, a seguito delle traversie giudiziarie che hanno coinvolto Giovanni e Renè nell’Operazione Aurora, costola minore dell’ indagine sugli attentati di Barisardo, nota come "Operazione Tuono".

Castelli: Cagliari, il carcere di Buoncammino non è un lager…

 

L’Unione Sarda, 13 dicembre 2004

 

"Non esiste il sovraffollamento nelle carceri sarde. Non a Cagliari almeno: Buoncammino potrebbe ospitare altri 20 detenuti senza difficoltà. E non si può dire che il numero di agenti della polizia penitenziaria in servizio sia insufficiente: in Sardegna sarebbero addirittura 15 in più rispetto alla previsione organica (1339 su 1324 necessari).

Quindi non si parli di emergenza carceri: il problema è sopravvalutato". Parole e musica del ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli che ha risposto così a un’interrogazione parlamentare sollevata dal deputato di An e avvocato Francesco Onnis.

Il legale cagliaritano aveva posto una serie di problemi legati alla realtà degli istituti di pena sardi: un’altissima percentuale di suicidi (la più elevata di tutta Italia), "segnale evidente di una qualità incivile della detenzione, contraria all’esigenza della rieducazione", aveva sostenuto Onnis; la presenza di strutture obsolete e fatiscenti; l’insufficienza del personale di custodia; la scarsa presenza dei servizi sociali; il ruolo precario dei direttori di istituto, non sempre messi nella condizione di conoscere la realtà nella quale devono operare.

Problemi gravi e urgenti che "richiederebbero un intervento immediato del ministero", aveva affermato Onnis, chiedendo quali fossero le intenzioni del ministro e sollecitando ispezioni sul posto, la realizzazione di nuove strutture carcerarie e l’aumento del personale. Ma suicidi, sovraffollamento e personale carcerario non sembrano preoccupare più di tanto il ministro, secondo il quale nelle carceri della nostra Isola, e in quello di Cagliari in particolare, va tutto bene. "I suicidi sono calati da diversi anni - ha risposto Castelli - e ormai si sono stabilizzati. C’è la Umes, una struttura che rileva costantemente i suicidi, ne verifica le caratteristiche, risale per quanto è possibile ai fattori di rischio e formula proposte di intervento.

C’è poi il colloquio tra detenuto e psicologo effettuato al momento dell’ingresso in carcere, per conoscere le sue caratteristiche psicologiche e le probabilità di suicidio. Inoltre esiste il presidio per tossicodipendenti: una équipe di medici, infermieri e psicologi che cerca di individuare quali debbano essere i primi interventi per superare la crisi di astinenza".

Per quanto riguarda la carenza di strutture, Castelli ha osservato che "è stata decisa la creazione di 5 nuovi istituti: a Sassari, Cagliari, Tempio, Oristano e Lanusei". Quindi nessun problema. Una convinzione che tuttavia fa a pugni con i recenti scioperi, le lamentele e le proteste di detenuti e guardie carcerarie sulle reali condizioni di vita dentro gli istituti di pena. Soprattutto a San Sebastiano e Buoncammino.

Oggi nella casa circondariale di Cagliari ci sono 380 detenuti, tra cui 20 donne. Normalmente il carcere dovrebbe ospitare 332 persone ma, a voler essere di manica larga, si può arrivare fino a 469. I numeri sembrerebbero quindi rendere giustizia al ministro. C’è un però: un intero piano dell’istituto è chiuso per lavori, quindi gli spazi sono molto ridotti e si sta più stretti di quanto non si creda.

Ma il problema principale è comunque un altro: "A Cagliari - afferma Pietro Torre, comandante della polizia penitenziaria - oltre il 60 per cento dei detenuti è formato da tossicodipendenti. Persone che in genere sono dentro per reati di poco conto: vendita di droga o furto e scippi per poterla acquistare.

Potrebbero uscire in poco tempo, ma la realtà è che una volta fuori non sanno dove andare: la famiglia, quando non si trova nella loro stessa situazione, non li accoglie più. Allora ecco che non riescono a reinserirsi nella società. Continuano a drogarsi, a rubare, scassinano auto per avere un posto in cui passare la notte. e puntualmente tornano in cella.

Spesso lo fanno appositamente: in questo modo hanno un tetto e un pasto sicuro, ma così non si può andare avanti. Aumentano i carichi di lavoro degli agenti e spesso, per questi malesseri, si arriva alle clamorose proteste dei detenuti". Come quella del carcere di San Sebastiano qualche anno fa.

Cagliari: personale all’osso, nuovo penitenziario non servirà

 

L’Unione Sarda, 13 dicembre 2004

 

"Le carceri sarde hanno tanti problemi. Ma si può dire che rispetto al resto d’Italia la nostra condizione è rosea". È ironico Gianfranco Pala, direttore del carcere di Buoncammino. Deve gestire un istituto vecchio, dai più considerato invivibile, con un numero di agenti di polizia penitenziaria insufficiente e con un’altissima percentuale di detenuti tossicodipendenti.

Eppure, dal suo punto di vista, "la situazione non è disperata". Ma grattando sotto l’apparenza si scopre che le difficoltà invece sono tante. "In Sardegna mediamente ci sono pochi detenuti, è vero - dice il direttore -. Ma questo perché a Mamone e Is Arenas alcune ali sono chiuse per lavori. In altre regioni va molto peggio.

E anche la situazione di Buoncammino, rispetto al passato, oggi è accettabile". Il vero problema è l’altissima percentuale di detenuti tossicodipendenti, per i quali la carcerazione non rappresenta un deterrente ma spesso una soluzione. "Serve un intervento diverso - afferma Pala -.

Sarebbe necessario portarli in strutture alternative, magari gestite da Comuni, Regione e volontari. Centri d’accoglienza che sappiano come reinserirli nella società. Una cosa che il carcere non può fare". La nascita di una nuova struttura carceraria tra Uta, Capoterra e Assemini non risolverebbe i problemi.

"Aumenterebbero certamente gli spazi. Ma nel momento in cui si venissero a creare - sottolinea il direttore - questi sarebbero subito occupati da extracomunitari e tossicodipendenti provenienti da tutta Italia. Quindi si ricomincerebbe da capo. E sarebbe peggio di prima, perché a quel punto l’organico della polizia giudiziaria, già ora insufficiente, sarebbe del tutto inadeguato".

Queste le cifre: "Se a Buoncammino siamo circa 240, col nuovo carcere servirebbero almeno 400 agenti. Senza tener conto del fatto che il personale attuale è anziano per età e periodo di servizio". Dal ‘99 a oggi sono andati in pensione circa 50 agenti. E il buco è rimasto scoperto.

I tagli delle varie finanziarie non hanno consentito nuovi arruolamanti e il reintegro del corpo, che si impoverisce anno dopo anno. Di contro aumentano i compiti e quindi i carichi di lavoro. "In Sardegna stiamo arrivando rapidamente al punto di rottura - conclude Pala -. Si lavora di più e male. Io stesso sono direttore di due istituti, una cosa assolutamente anormale".

Pescara: Natale dei detenuti con Azione Cattolica e Caritas

 

Il Messaggero, 13 dicembre 2004

 

Una settimana per sfatare pregiudizi e stereotipi del mondo carcerario. È l’obiettivo che si propongono Caritas e Azione Cattolica che da oggi a sabato intendono far riflettere i pescaresi sul microcosmo delle carceri. In piazza della Repubblica sarà allestita una capanna che sarà il cuore della comunicazione.

Nelle parrocchie della diocesi oggi tutte le messe saranno animate dai volontari che sensibilizzeranno i fedeli sul tema della rieducazione di chi ha sbagliato. Mercoledì la capanna accoglierà alcuni detenuti che racconteranno la loro esperienza di vita, i loro errori e le occasioni di riscatto che sono state proposte dalla direzione del san Donato.

Alla conferenza stampa, tenutasi ieri nella sala dei convegni della Curia,ha partecipato il direttore del carcere pescarese Carlo Pallotta che ha sottolineato l’importanza di "riflettere non solo sulle pene alternative alla detenzione ma soprattutto sulle alternative alla pena".

Pragmatiche le considerazioni offerte da Valentino Di Bartolomeo, comandante della polizia penitenziaria: "Il carcere ospita moltissimi malati mentali che non hanno più un luogo per curarsi, ma sono anche numerosi i tossici ed i depressi. Sappiate è il disagio la causa prima di ogni fenomeno delinquenziale.

Non immaginate quanti siano i tentativi di suicidio che riusciamo a sventare e quanti i sono malati psichici a causa della assunzione di intrugli tossici". "Accoglietevi per liberare la pena" rimanda a san Paolo il tema comune della settimana che, secondo don Marco Pagniello, vice direttore della Caritas, "è stata sollecitata dalle Caritas parrocchiali e dalla chiesa di base per riflettere su una realtà che ci deve coinvolgere".

Benevento: piccoli alunni ed ex detenuti insieme, è protesta

 

Il Mattino, 13 dicembre 2004

 

La convivenza tra gli alunni della scuola elementare bilingue in via Marco da Benevento e alunni collaboratori della cooperativa "La solidarietà" impegnata in attività quotidiane per la riabilitazione di persone affette da problemi.

La coabitazione sembra proprio non essere gradita a numerosi genitori preoccupati del fatto che spesso è quasi impossibile evitare contatti tra i loro figli e alcuni collaboratori che sono stati affidati dal Giudice alla cooperativa, nell’ambito del recupero degli stessi che in passato hanno avuto anche problemi con la giustizia.

Dopo la protesta di venerdì, di cui ci siamo occupati ieri, vi sono state nuove iniziative. Nei giorni scorsi i genitori hanno anche chiesto l’intervento delle forze dell’ordine che quotidianamente, anche se in maniera abbastanza discreta, presenziano sia all’entrata che all’uscita degli alunni in attesa che venga trovata una soluzione che possa soddisfare le esigenze, appunto, dei genitori.

"Non abbiamo certamente nessuna preclusione per quanto riguarda il recupero di chi ha avuto problemi in passato con la giustizia - hanno sostenuto, appunto, alcuni genitori - però, ci sembra quanto meno inopportuna questa convivenza che in considerazione che spesso nei pressi della scuola stazionano amici di questi collaboratori della cooperativa.

Comunque siamo abbastanza sereni perché del problema abbiamo investito gli enti e, in particolare, il Comune che hanno assicurato che interverranno". Gli stessi genitori, inoltre, denunciano che si è anche creata una situazione di pericolo.

Per evitare che gli alunni della scuola e i frequentatori della struttura possano venire a contatto è stato installato anche un muro che di fatto impedisce l’accesso dalla scuola alla scala antincendio. In caso di pericolo, gli stessi frequentatori della scuola avrebbero a disposizione per fuggire solo le scale.

Roma: allarme per pacchi - boma, altre "buste" in arrivo

 

Il Messaggero, 13 dicembre 2004

 

Il 4 novembre 2003 due pacchi-bomba arrivarono lo stesso giorno alla Questura di Viterbo e alla caserma dei carabinieri di via San Siricio, a Roma. Quello di Viterbo venne disinnescato, quello di Roma esplose e ferì seriamente il maresciallo Stefano Sindona. I due ordigni furono confezionati con lo stesso contenitore di videocassette, tagliato a metà: una metà a Viterbo, l’altra a Roma.

I due pacchi-bomba arrivati ieri e l’altro ieri all’Associazione nazionale dei carabinieri e al sindacato dei penitenziari non sono invece parti della stessa cassetta: le due metà non combaciano. Sicché la conclusione è logica: altre due metà di cassette sono in giro, almeno altri due pacchi-bomba stanno per essere recapitati. È l’ipotesi che circola negli ambienti investigativi.

Pochi dubbi, invece, sulla "firma" degli attentatori. La pista porta diritta all’area anarco-insurrezionalista. Più difficile attribuire la paternità sicura dei due attentati, dal momento che la cosiddetta "Federazione anarchica informale" è una galassia variegata.

Due altre "incongruenze". La prima: il pacco-bomba di venerdì è stato spedito al Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari. Mai prima d’ora erano stati presi di mira i penitenziari, essendo carabinieri e polizia i "nemici" tradizionali.

Ma siccome, nel frattempo, parecchi elementi dell’area anarco-insurrezionalista sono finiti in carcere, ecco che anche gli agenti penitenziari sono entrati nel mirino dell’eversione. Anzi gli investigatori pensano che, cessato il clamore degli arresti, gli ultimi due pacchi-bomba vadano interpretati proprio come un segnale, tipo: nonostante la galera, ci siamo ancora, e possiamo colpire ancora.

La seconda incongruenza è che il plico arrivato all’Associazione nazionale dei carabinieri era in realtà destinato a una caserma dell’Arma ai Parioli. L’indirizzo era sbagliato ed è stato scritto il nome del falso mittente (l’Associazione d’Arma) al posto del destinatario. Ora tutta la materia investigativa è nelle mani del Ros dei carabinieri. Ma l’allarme è alto, in caserme e questure, per il possibile arrivo di altri plichi esplosivi.

Roma: mercoledì i volontari in sit in di fronte al Parlamento

 

Vita, 13 dicembre 2004

 

La manifestazione organizzata per mercoledì 15 è a sostegno "di una precisa richiesta di ricapitalizzazione del sistema carcerario italiano". Un sit-in davanti al Parlamento è stato organizzato per mercoledì prossimo dalla Consulta penitenziaria del Comune di Roma e da una lunga lista di associazioni di volontariato tra le quali il Gruppo Abele e la Comunità di Sant’Egidio, "per manifestare il disappunto del mondo del volontariato e della società civile democratica e sottolineare l’urgenza di riconsiderare tutte le possibili soluzioni in grado di fare del carcere una realtà moderna e democratica in cui il tempo della pena possa assumere una reale funzione di risarcimento e di reinserimento autentico". In particolare, si legge in una nota della Consulta del volontariato, il sit in è a sostegno "di una precisa richiesta di ricapitalizzazione del sistema carcerario italiano.

Troppe le riduzioni di bilancio succedutesi dal 2002 ad oggi sia per gli adulti che per i minori detenuti. Emblematici sono i tagli operati sull’assistenza sanitaria (che passa dai 104 milioni di euro del 2001 agli 80 milioni di euro del 2004) sulle attività scolastiche (ridotte in tre anni di circa il 25 %) sugli asili nido dei figli delle detenute (stanziamenti ridotti di circa il 20%); e poi le riduzioni per le spese di mantenimento, di osservazione e trattamento e di quelle relative al personale penitenziario ed alla sua formazione professionale".

Sul tavolo, torna la proposta di indulto e per l’approvazione di riforme che consentano di risolvere i problemi del sovraffollamento attraverso la diversa trattazione penale per i tossicodipendenti, malati di Aids, malati psichiatrici. Ma il sit- in, si sottolinea, vuole anche evidenziare i problemi di reinserimento sociale dei condannati, la non applicazione dei benefici previsti dalla Legge Gozzini e l’uso eccessivo della carcerazione preventiva. "Le carceri italiane oggi rendono indegne le condizioni di vita delle persone detenute e degli operatori penitenziari: aumentano i suicidi e gli atti di autolesionismo dei detenuti, cresce il disagio degli operatori penitenziari" affermano alla Consulta penitenziaria. "Appelli, mobilitazioni e scioperi della fame non sono serviti a convincere il Governo e il Ministro della Giustizia ad adottare interventi utili a risolvere i gravissimi problemi che vivono le persone detenute ma anche gli operatori e i lavoratori del carcere.Se non si individuano immediatamente delle soluzioni, le carceri rischiano, nonostante le civilissime proteste dei detenuti- conclude la Consulta penitenziaria- di diventare una polveriera come lo furono, per chi ha memoria, quelle ante riforma del ‘75".

Antigone: il sovraffollamento delle carceri è una costante

 

Newspaper24.it, 13 dicembre 2004

 

Spetta ai dieci istituti di pena del Veneto, secondo un’indagine dell’Associazione Antigone, il poco invidiabile primato delle carceri in Italia con il più alto indice di sovraffollamento. La capienza teorica delle carceri venete prevedrebbe un carico ottimale di 1427 detenuti (1216 uomini e 211 donne), con una possibilità di arrivare ad una presenza tollerabile fino a 2151.

Alla fine del 2003, invece, secondo l’associazione Antigone, erano 2440 i detenuti totali ospitati in Veneto, con un tasso di sovraffollamento di 71 detenuti in più ogni cento posti teorici. I detenuti uomini sono 2282, contro una capienza teorica di 1216 posti, ovvero un tasso di sovraffollamento di 188 detenuti ogni cento previsti.

Più sostenibile appare la situazione delle detenute, che in Veneto sono il 25% in meno della capienza massima prevista: 158 con 211 posti a disposizione. Un po’ meglio del Veneto, rispettivamente al secondo e terzo posto le cinque carceri del Friuli Venezia Giulia (con un tasso di sovraffollamento di 161 presenze su cento posti teorici) e la Lombardia (150 su 100). Le situazioni più virtuose, secondo l’ indagine, sono in Basilicata (87 posti occupati su cento disponibili), l’Umbria (90 su 100) e la Calabria (99 su 100).

"Il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane del 2003 è secondo solo a quello registrato alla fine dell’ultimo conflitto mondiale - ha sottolineato il professor Giuseppe Mosconi, ordinario di sociologia giuridica all’università di Padova ed estensore dello studio per conto di Antigone -. Questi dati danno l’idea dell’emergenza in cui versano alcuni istituti di pena italiani, dove la situazione talmente difficile che quest’anno registriamo purtroppo un numero di suicidi in carcere nettamente più alto di quello del 2003".

Usa: carcere per voyeur, vietato scattare foto senza permesso

 

Tg Com, 13 dicembre 2004

 

Tempi duri per i voyeur. Negli Usa, infatti, il Congresso ha varato definitivamente una legge contro i guardoni hi-tech sempre più spesso muniti di "indiscreti" e "sofisticati" camera-phone. Pesanti le pene previste per i trasgressori.

D’ora in avanti, infatti, chi userà i cellulari con macchina fotografica per riprese indecenti all’insaputa dei diretti interessati e pubblicherà le relative immagini "rubate" su Internet, rischierà non solo pesanti multe ma anche durissime pene detentive.

La legge, che ora è sul tavolo del presidente George W. Bush per la firma di ratifica, rende reato la foto o la ripresa in video di parti intime del corpo anche se coperte da biancheria senza il consenso dell’interessato e stabilisce per i colpevoli una multa fino a centomila dollari e la condanna fino a un anno di prigione.

Duro colpo dunque per quella che viene ormai definita l’ultima frontiera hi-tech del voyeurismo on line. Le norme del nuovo provvedimento per ora sono applicabili solo a giurisdizioni federali come edifici del governo, parchi nazionali e basi militari, ma, secondo i fautori della legge, stabiliscono uno standard nazionale che potrà essere usato anche da giurisdizioni locali.

Alcune eccezioni sono previste invece per operazioni di polizia, di intelligence e per la sorveglianza nelle carceri. Dopo l’Australia e diversi paesi orientali, anche gli Usa dicono definitivamente basta ai camera-phone "indiscreti" e alle immagini "rubate": voyeur avvertiti. Un click di troppo da oggi potrà costare fino un anno dietro le sbarre.

Napoli: detenuti di Poggioreale raccontano il "loro" carcere

 

Il Mattino, 13 dicembre 2004

 

I detenuti di Poggioreale commentano un libro che parla del carcere. È l’iniziativa organizzata dalla Camera penale di Napoli nell’ambito del progetto "Il carcere possibile". Il testo che sarà discusso è intitolato "Derelitti e delle pene. Carcere e Giustizia da Kant all’indultino", scritto da Remo Bassetti per Editori Riuniti.

Interverranno anche il presidente della Camera penale, il presidente del Tribunale di Sorveglianza Angelica Di Giovanni, i consiglieri della Camera penale Carlo Fabozzo e Riccardo Polidoro, il direttore dell’Area Pedagogica del carcere di Poggioreale Claudio Flores. L’appuntamento è per oggi alle 17.30, presso la libreria Feltrinelli in piazza dei Martiri.

Latina: è scomparso don Lorenzo, cappellano del carcere

 

Il Messaggero, 13 dicembre 2004

 

"Un uomo dall’immensa dolcezza che portava serenità dovunque andasse, tutti lo stimavano e lo apprezzavano per le sue qualità. La sua scomparsa improvvisa ha scosso l’intera comunità dei salesiani ed i fedeli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo".

Con queste parole don Roberto, parroco della chiesa di San Marco, ha ricordato don Lorenzo Khin Sein, 66 anni, il cappellano della casa circondariale deceduto, per cause naturali, ieri mattina poco dopo le 9 all’interno della sacrestia. A dare l’allarme e a chiamare i soccorsi sono stati alcuni fedeli. Ieri pomeriggio, nella camera ardente allestita nella cappella del Santo Redentore, in molti, soprattutto giovani, si sono uniti nel dolore e nel cordoglio. Tutti lo ricordano come una persona sempre disponibile ad aiutare i meno fortunati.

La scomparsa del religioso ha lasciato un grande vuoto tra le persone che per lungo tempo avevano potuto contare sul suo sostegno. Don Lorenzo era originario del Myaimar, l’ex Birmania, dal 1995 viveva a Latina. Una vita dedita ad aiutare i malati e gli anziani, le persone povere di fede e in difficoltà economiche. Da diverso tempo era anche il presbitero di alcune comunità neo-catecumenali. La sua passione più grande era però stare insieme ai ragazzi con i quali passava la maggior molto del suo tempo. Una figura di riferimento per tutti i giovani che frequentavano l’oratorio San Marco. Un amico, un padre, un consigliere, difficilmente sostituibile.

Prima di stabilirsi a Latina, Don Lorenzo aveva esercitato la sua fede nell’istituto del Sacro Cuore di Roma e nella Casa Generalizia. Per un breve periodo aveva vissuto anche a Frascati. Da 11 anni, per motivi politici, non tornava in Birmania, l’ultima volta fu proprio nel 1995 prima di stabilirsi nel capoluogo pontino. Il religioso iniziò a studiare da sacerdote nel suo paese d’origine, poi proseguì e terminò gli i studi in Italia. I funerali di don Lorenzo si svolgeranno oggi nella chiesa di San Marco alle 15,30. Il rito funebre verrà celebrato dal vescovo Giuseppe Petrocchi.

Bologna: "Il profumo delle parole", casa editrice… in carcere

 

Vita, 13 dicembre 2004

 

È il progetto di Sic-Consorzio di Iniziative Sociali, che ha attivato una tipografia nella Casa Circondariale di Bologna e si prepara a fare un salto di qualità. Hai scritto un libro. Hai intenzione di scriverlo e non sai chi può stamparlo e distribuirlo. Sei un poeta e hai una raccolta delle tue poesie. Hai realizzato un fumetto. Contattaci!

È il messaggio che campeggia sulla home page di una nuova, specialissima, casa editrice: è "Il profumo delle parole" (www.ilprofumodelleparole.it). Dal settembre 2004 il SIC, Consorzio di Iniziative Sociali, ha attivato una tipografia all’interno della Casa Circondariale di Bologna.

Il progetto prevede l’assunzione, a norma delle leggi vigenti, di tre detenuti a media/lunga detenzione. Ora la tipografia, che ha già realizzato lavori commissionati dalla Provincia di Bologna, dall’Università di Bologna, e dall’Associazione "Un ponte per...", nei prossimi mesi affronterà una nuova sfida: diventare una vera e propria casa editrice.

Myanmar: altri 5.070 detenuti rilasciati, in totale oltre 14.000

 

Repubblica, 13 dicembre 2004

 

Altri 5.070 detenuti sono stati liberati nel Myanmar, in base ad un programma di scarcerazione deciso dalla giunta militare al potere nel Paese. Tra loro dieci politici, tra i quali U Thu Wai e U Htwe Myint, rispettivamente ex presidente e vice presidente del dissolto Partito democratico.

In un’amnistia precedente erano stati messi in libertà 3.937 detenuti e poi ne erano stati liberati altri 5.311. Ad oggi il numero totale dei prigionieri rilasciati è quindi di circa 14.318 persone, tutti detenuti incriminati ed incarcerati ingiustamente dall’Ufficio nazionale di intelligence (Nib), guidato dall’ex primo ministro Khin Nyunt. L’ex premier è stato allontanato dal suo incarico dopo essere stato accusato di corruzione ed insubordinazione, mentre il Nib è stato smantellato.

Torino: diciotto computer per i laboratori di informatica

 

Redattore Sociale, 13 dicembre 2004

 

Diciotto computer in dotazione dei laboratori di informatica dell’istituto minorile "Ferrante Aporti" di Torino. Tutte le macchine sono state donate dal Lisem (il Laboratorio d’Intervento per lo Sviluppo Economico del quartiere Mirafiori Nord promosso dal CSI-Piemonte con COREP, CSP, I3P e Istituto Superiore "Mario Boella" all’interno del Programma comunitario Urban 2), nell’ambito di una delle sue azioni di intervento sul territorio il progetto Riusa.

Lanciato dal Lisem nel gennaio 2003, in collaborazione con Csp - Innovazione nelle ICT, Riusa (letteralmente "Ricicla e Impara in Urban 2 con lo Scambio di Apparecchiature informatiche") ha l’obiettivo di acquisire computer divenuti obsoleti, per metterli a disposizione delle associazioni e delle istituzioni dell’area Urban 2 dopo un opportuno ricondizionamento tecnologico e l’installazione di software open source. Condividendone la filosofia di fondo, ad aprile 2004 anche la Provincia di Torino ha aderito all’iniziativa, attraverso la donazione di 200 personal computer.

"La fase pilota del progetto Riusa – ha affermato Nicola Bizzarro, Direttore del Lisem - ha dato risultati molto soddisfacenti. Abbiamo ricevuto da vari Enti, fra cui la Provincia, oltre 250 Pc non più utilizzati e abbiamo ricondizionato circa 80 macchine perfettamente funzionanti. Di queste alcune sono state usate ad aprile per realizzare il laboratorio dell’Istituto Agnelli (che ha registrato fino a oggi circa 400 passaggi), alcune sono state donate ad Associazioni e Scuole dell’Infanzia dell’area Urban 2 e altre le diamo oggi al "Ferrante Aporti".

"Consideriamo questa occasione - ha commentato Alessandra Speranza Assessore provinciale al Sistema Informativo - l’inizio di un processo che si inserisce nella prassi di una politica ambientale e che nello stesso tempo si pone l’obiettivo di parificare le opportunità dei ragazzi tramite l’utilizzo di nuovi strumenti, grazie anche alle competenze della Provincia sulla formazione professionale". "La possibilità di acquisire un congruo numero di personal computer da mettere direttamente a disposizione dei ragazzi - ha dichiarato Giuseppe Centomani Direttore del Centro per la Giustizia minorile di Piemonte e Valle d’Aosta - consente all’Istituto "Ferrante Aporti" di articolare la sua organizzazione formativa in maniera più efficace e moderna. Lo strumento informatico, infatti, oltre a consentire il superamento delle classiche proposte artigianali, permette ai minori un doppio percorso di apprendimento: da una parte insegna i linguaggi informatici e il loro uso a fini professionali; dall’altra innesca un diverso interesse per i processi di alfabetizzazione di base".

Varese: per Natale andiamo a far visita ai carcerati…

 

Varese News, 13 dicembre 2004

 

Il Comitato promotore dell’appello "Carcere, un disastro annunciato" il 24 dicembre, come comunicato durante le manifestazioni davanti alle carceri lombarde, entrerà nella Casa Circondariale di San Vittore per incontrare i detenuti.

La vigilia di Natale la passeremo con i carcerati e gli operatori del carcere; "una vicinanza a chi - spiegano dal comitato -, in quei giorni "lieti" vive la condizione dell’isolamento. Una vicinanza costruttiva, non un atto di buonismo, infatti in quel giorno incontreremo 25 detenuti per discutere ed avere il loro contributo sui temi affrontati nell’appello – sanità in carcere, garante dei diritti, lavoro –per aprire, poi, un percorso negoziale con le istituzioni locali, regionali e nazionali".

"Sarà anche l’occasione per sentire le loro osservazioni, gli emendamenti che intendono avanzare al Progetto di Legge sulle persone private della libertà approvato in Commissione Regionale e che andrà in discussione in aula presumibilmente nel mese di gennaio - continuano i promotori dell’iniziativa -. Dare loro voce; vorremmo provarci e sarebbe sicuramente un bel regalo se il giorno di Natale, i giornali riportassero le loro parole e le proposte che definiremo assieme a loro e anche agli operatori".

Il comitato promotore dell’iniziativa è costituito da: Camusso Susanna Segretario Gen. Cgil Lombardia, Vanacore Giuseppe Segretario Cgil Lombardia Roversi Giorgio Coordinatore Dip. Welfare Cgil Lombardia, Mandreoli Corrado Responsabile Politiche Sociali Cgil Milano, Vanzati Franco Segretario Cgil Pavia, Villa Danilo Responsabile Politiche Sociali Cgil Brianza, Vazzana Francesco Ufficio Politiche Sociali Cgil Como, Segio Sergio Responsabile Gruppo Abele Milano, Sesta Opera San Fedele - Associazione di Volontariato Carcerario, Massari Luca Caritas Ambrosiana, Don Tassone Franco "Casa del giovane" Pavia, Greco Dino Segretario Gen. Cgil Brescia, Saletti Achille Presidente Associazione Saman, Mongelli Flavio presidente Arci Lombardia, Oldrini Massimo Presidente Lila Milano, Corso Francesca Assessore alle carceri Provincia di Milano, Viganò Marco Segretario Gen. Cisl Brianza, Muschitiello Anna Segretaria nazionale CASG, Venezia Sergio Ufficio Politiche Sociali Cisl Brianza, Roselli Licia Rita Direttrice Agesol, Carneri Graziella Segretario Cgil Milano, Baio Dossi Emanuela Senatrice Margherita, Campagna Barbara Educatrice San Vittore, Albergati Andrea Sindaco Pavia, Bonacina Riccardo Direttore "Vita", Santini Gian Mario Segretario Gen Cgil Pavia, Baruffi Maurizio Consigliere Verdi Comune di Milano, Confalonieri Gianni Presidente Prc Regione Lombardia, Gorini Elena Insegnante ist. Casale – carcere di Vigevano, Capitelli Piera Deputato DS, Antonio Pizzinato, senatore DS.

 

 

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