Ultime notizie dal carcere

 

Solleviamo il velo sulle "emergenze dimenticate" del carcere!

- Medicina penitenziaria in piena crisi -

- Detenuti stranieri senza prospettive d’inserimento sociale -

 

Il Coordinamento nordest dei giornali dal carcere, che è presente in 10 istituti del Triveneto e dell’Emilia Romagna, ha riscontrato negli ultimi mesi nelle carceri situazioni di ulteriore disagio, oltre a quello già noto e denunciato da anni, in particolare per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e la condizione dei detenuti stranieri.

 

Noi pensiamo che sia necessario che questi temi vengano posti con forza all’attenzione del mondo politico, anche per chiarire che le molte emergenze del carcere non possono essere risolte confidando unicamente nel cosiddetto "indultino" che, peraltro, tarda ad arrivare e forse non arriverà mai. Le organizzazioni di volontariato possono far sentire di più la loro voce e presenza, interpellando le istituzioni e gli enti locali, in momenti di confronto con gli altri soggetti sociali, promuovendo "cultura di cittadinanza" tra la popolazione detenuta.

Di seguito proponiamo alcuni elementi di riflessione, che vorremmo diventassero una base per le iniziative che le associazioni vorranno e potranno intraprendere insieme, per dare maggior forza alla loro azione.

 

Medicina penitenziaria in piena crisi

 

Il Decreto Legislativo 230 del 1999 ha stabilito il passaggio delle competenze sull’assistenza sanitaria in carcere: dall’amministrazione penitenziaria, alle ASL, con l’obiettivo di garantire ai detenuti gli stessi standard di cure assicurati a tutti gli altri cittadini. Finora questo Decreto non è stato applicato e ha creato una "confusione normativa", in materia di competenze e responsabilità, che si è tradotta in una diminuzione dei fondi, per la medicina penitenziaria, dell’11,4% medio procapite, tra il 1999 e il 2002. Nel Triveneto la diminuzione è stata addirittura del 18,8%, con punte di – 42,1% per l’assistenza specialistica e di – 21,0% per i farmaci.

Ed è proprio sulla fornitura dei medicinali che si stanno determinando situazioni insostenibili, soprattutto per quanto riguarda le cure oncologiche e anti-HIV, che sono molto costose.

Un esempio per tutti è quello di Brescia, dove l’Associazione di volontariato “Carcere e Territorio”  ha acquistato, per il periodo di tempo per il quale i fondi dell’amministrazione penitenziaria non lo permettevano in alcun modo e grazie all’aiuto di una locale fondazione, quindi con risorse del privato-sociale, i farmaci antiretrovirali necessari per  la cura dei detenuti sieropositivi presenti nel carcere della città.

La stessa Associazione non ha escluso di ricorrere al giudizio amministrativo, patrocinando la Direzione carceraria locale, competente in proposito, contro la decisione della Regione Lombardia che, interpellata, si è rifiutata di pagare le cure per i detenuti sieropositivi, dichiarandosi responsabile soltanto rispetto alla cura delle tossicodipendenze, mentre l’HIV sarebbe una malattia "normale", quindi ancora di competenza del Ministero della Giustizia.

Il Dlgv 230/99 prevede che, già dal 1° gennaio 2001, le ASL si occupino dei detenuti tossicodipendenti, mentre per quanto riguarda gli altri malati il passaggio "doveva" avvenire al termine della sperimentazione, condotta da sei Regioni, che "dovrebbe" essere terminata il 30 giugno 2002. Invece, a quasi un anno di distanza, siamo nel caos più totale, con il Ministero che non ha più soldi a sufficienza per curare i detenuti e le Regioni che non vogliono pagare di tasca loro.

Manca un quadro preciso di ciò che sta accadendo nelle varie Regioni, non sappiamo come la riduzione dei fondi stia incidendo sul funzionamento dei Centri Clinici Penitenziari, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, delle carceri in generale. Temiamo che dappertutto si stia andando di male in peggio.

 

Detenuti stranieri senza prospettive d’inserimento sociale

 

Con la Legge 189/2002 (la cosiddetta Legge Bossi-Fini), che ha modificato il Testo Unico sull’Immigrazione, per i detenuti stranieri è venuta meno qualsiasi possibilità di inserimento sociale, anche per coloro che avevano un permesso di soggiorno prima dell’arresto. Infatti, per chi deve scontare una pena inferiore ai due anni, è prevista l’espulsione (art. 16, comma 5, T.U.), mentre per chi ha una pena maggiore c’è il divieto di rinnovo dell’eventuale permesso di soggiorno posseduto (Circolare Ministero dell’Interno 4.09.2001 n° 300), quindi l’espulsione arriverà comunque: scontata la pena in eccesso ai due anni, oppure al termine della carcerazione, per chi non è identificato o è condannato per reati più gravi.

Per altro verso i detenuti stranieri possono accedere alle misure alternative della detenzione, al pari degli italiani: possono lavorare in semilibertà (Circolare del Ministero del Lavoro 15.03.1993, n° 27), possono essere accolti in una comunità di recupero per tossicodipendenti (Decreto Ministero della Sanità n° 5/2000). Quindi possono avviare dei percorsi di risocializzazione, almeno fino a che la loro pena è superiore alla fatidica soglia dei due anni, quando l’espulsione arriva a demolire quello che loro (e, con loro, gli operatori penitenziari e sociali) hanno faticosamente costruito.

Di fronte a questo destino apparentemente ineluttabile c’è silenzio e rassegnazione, anche da parte delle Associazioni che si battono per i diritti civili e di chi dà lavoro agli stranieri semiliberi. Una nota di speranza viene, forse, dal Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, Alberto Marcheselli, che ha rimesso alla Corte Costituzionale gli atti riguardanti l’espulsione di un detenuto marocchino, evidenziando l’inconciliabilità tra il fine rieducativo della pena e l’espulsione (che di rieducativo non ha nulla).

Questa decisione potrebbe servire da appiglio (in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale) per quanti intendano presentare ricorso contro l’espulsione (previsto dall’art. 16, comma 5, T.U.), che può essere presentato al Tribunale di Sorveglianza entro 10 giorni dalla notifica del provvedimento. È una possibilità che pochi conoscono e pertanto ci sembra utile diffondere il testo redatto dal Giudice Marcheselli e invitare associazioni e altre realtà del terzo settore che operano nelle carceri a trovare degli obiettivi comuni almeno su queste emergenze.

 

Padova, 25 febbraio 2003

 

Intervista ad Alberto Marcheselli, Magistrato di Sorveglianza di Alessandria: "Se il principio della rieducazione è un principio universale dovere dello Stato è rieducare chiunque. Compresi i detenuti stranieri"

 

Espulsione dello straniero detenuto e principio di rieducazione: gli atti inviati alla Corte Costituzionale dal Magistrato Alberto Marcheselli

 

La spesa per l’assistenza sanitaria in carcere: confronto 1999 - 2002

 

 

 

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