Carcere, imprenditori cercansi

 

Brescia: i detenuti con un lavoro sono meno di una ventina

I volontari: "Le aziende tengano fede agli impegni presi con i detenuti"

 

Brescia Oggi, 29 dicembre 2003

 

I detenuti definitivi di Canton Mombello e Verziano hanno un sogno. Molti di loro sognano un lavoro vero, che possa garantire un futuro anche dopo aver pagato i propri conti con la giustizia. Sognano iniziative come quelle che Telecom Italia ha messo a punto nel carcere di San Vittore, un call center nato dalla selezione di alcuni detenuti, oppure progetti come quelli realizzati in provincia di Bergamo con carcerati ed ex detenuti assunti negli enti locali. Selezioni vere per lavori veri, regolarmente retribuiti, con un futuro anche fuori dal carcere.

Brescia sogna e i volontari raccolti nell’associazione Carcere e territorio chiamano gli imprenditori a tener fede ai patti sottoscritti tempo fa in un protocollo di intesa sul lavoro in carcere elaborato dall’Amministrazione provinciale e firmato dalle principali associazioni di categoria di Brescia: tutte le sigle che rappresentano gli artigiani, la piccola industria, le cooperative, l’Aib, il collegio costruttori, il privato sociale.

"Purtroppo - sottolinea il presidente operativo di Carcere e territorio, Carlo Alberto Romano - per molti gli impegni sottoscritti sono rimasti sulla carta. Lo abbiamo capito gestendo lo sportello lavoro realizzato dalla Provincia. Nonostante gli sgravi previsti dalla legge per le aziende che investono in questo settore, sono pochi quelli che scommettono sui detenuti". Così sono le cooperative sociali a far la parte del leone, pur con mille difficoltà. I numeri, del resto, rivelano tutta l’attualità del problema. Nelle carceri bresciane (oltre 500 detenuti) sono attive due cooperative sociali. Nella casa di reclusione di Verziano poco più di una decina di ragazze sono impiegate in lavori di assemblaggio (soprattutto minuteria), un lavoro part-time dalle 8.30 del mattino alle 11.30. A Canton Mombello 6/7 detenuti sono impiegati da un’altra cooperativa in un lavoro d’inserimento dati. Piccoli numeri davanti ad un’offerta di lavoro forte, dove l’occupazione dovrebbe diventare il fulcro di un progetto di recupero.

"Purtroppo - sottolineano a Carcere e Territorio - anche per i detenuti in esecuzione pena all’esterno è difficile trovare un lavoro che non sia nelle cooperative sociali, la cui disponibilità non è illimitata". Proprio per questo i volontari hanno deciso di passare a riscuotere gli impegni sottoscritti solennemente e rimasti inevasi. "Stiamo incontrando - spiega Angelo Canori, membro del consiglio direttivo del Volca (i volontari del carcere) - i rappresentanti delle associazioni, spiegando che non ci basta la loro firma sotto quel protocollo, che non servono gli articoli informativi sui periodici di categoria, serve qualcosa di concreto.

Certo, ci rendiamo conto che per un imprenditore può essere problematico avere un detenuto alle proprie dipendenze (questo significa frequenti visite delle forze dell’ordine in azienda), ma lo sforzo per dare un futuro ai detenuti deve coinvolgere tutti: altrimenti non possiamo poi lamentarci dell’alto numero delle recidive". Canori, dopo i funzionari delle associazioni, è pronto ad incontrare di persona gli imprenditori, raccontando di quanto sia importante scommettere su un lavoro per un detenuto in cerca di una vita migliore. Il primo passo, in attesa di un impegno concreto delle aziende, sarà quello di fornire l’elenco delle attività che le cooperative già operanti in carcere sono in grado di soddisfare. Un modo per raccogliere commesse e per permettere alle cooperative di ampliare il numero dei detenuti impiegati in attività lavorativa.

"A Verziano, ad esempio, esistono dei computer inutilizzati che potrebbero essere impiegati per lavori analoghi a quelli svolti a Canton Mombello" osservano i volontari di Carcere e territorio. Su questo fronte gli operatori non intendono abbassare la guardia e l’appello agli imprenditori è solo il primo passo per portare più lavoro in carcere e più detenuti al lavoro esterno nelle aziende bresciane. "Proprio per questo - continuano i volontari - abbiamo una rete di alloggi che è in grado di garantire assistenza abitativa per chi ha appena lasciato la casa circondariale e cerca di ricostruire relazioni stabili e una vita autonoma all’interno di un percorso che tocca la casa, il lavoro, la ricostruzione delle relazioni famigliari".

Le strutture della rete sono in grado di dare un rifugio per un anno o fino alla fine della misura alternativa alla detenzione, ad una cinquantina di persone. "Anche in questo caso - osservano i volontari - sarebbe tutto più semplice se le persone trovassero un lavoro con una certa facilità o avrebbero sbocchi professionali diversi da quelli delle cooperative sociali, che alla lunga non sono in grado di garantire un trattamento economico tale da permettere alla persona di vivere in autonomia piena e pagando un affitto a prezzi di mercato". Ecco perché le sollecitazioni agli imprenditori bresciani si stanno facendo sempre più pressanti. Brescia sogna le esperienze di Milano e Bergamo e i sogni, si sa, sono duri a morire.

 

 

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