Il 41 bis si arena in Parlamento

 

Pasticciaccio 41 bis. Giustizia: la partita cruciale dei boss

 

L’Espresso, 21 novembre 2002

 

Si sta arenando alla Camera la legge che rende stabile il carcere duro per i mafiosi, già passata al Senato. E dietro lo scudo garantista, nasce lo strano partito trasversale degli emendamenti di Francesco Bonazzi.

 

Quando vedo avvocati di imputati pericolosi rivestire il ruolo di deputati, ho il dovere di chiedere che almeno la legislazione sul 41 bis sia libera da emendamenti... Sabato 9 novembre, in un teatro-cripta ricavato sotto la Scala Santa, si scalda per un attimo anche un tipo mite e garantista come l’onorevole Giuseppe Fanfani. Il responsabile giustizia della Margherita, avvocato e nipote del mitico Amintore, fiuta aria di trappole sulle modifiche che la Casa delle Libertà propone alla legge sul carcere duro. Pur votata all’unanimità dalla Commissione Antimafia e già approvata a larghissima maggioranza dal Senato. Perché una cosa è certa: con varie scuse e sotto traccia, la partita sul 41 bis si è improvvisamente riaperta proprio quando sembrava chiusa. E l’opposizione, confusa dalle mille voci con le quali la Cdl parla per l’occasione, non ha ancora capito bene dove potrebbe nascondersi il diavoletto pseudogarantista.


Di certo, per ora, c’è che sulla delicata partita della stabilizzazione del 41 bis (da dieci anni norma transitoria, vedi scheda) è improvvisamente sceso in campo l’avvocato Gaetano Pecorella, vero regista della maggioranza di governo sul fronte giustizia. L’ex avvocato di Soccorso Rosso, poi legale di Silvio Berlusconi e oggi presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, rassicura nei corridoi i colleghi dell’opposizione che lui ha in testa "solo piccole modifiche, assolutamente nulla che snaturi il testo del Senato". Pecorella parte dall’allentamento dei divieti sul fronte alimentare, ma arriva alla cosiddetta "giurisdizionalizzazione" del 41 bis. Che significa trasferire la competenza sull’applicazione concreta del carcere duro dal ministero di Giustizia al magistrato di sorveglianza. Non è poca cosa, eppure non basta agli ultrà del garantismo made in Forza Italia, come Carlo Taormina, Giuseppe Gargani e Gianfranco Micciché. "Tao", come gli amici chiamano l’ex sottosegretario agli Interni, chiede l’abolizione tout court del 41 bis perché "norma disumana". Il viceministro dell’Economia, che quando parla di questi temi è una sorta di ventriloquo di Marcello Dell’Utri, ne contesta invece l’utilità: "Diciamoci la verità, il 41 bis serve solo come strumento di pressione per costringere la gente a pentirsi", dice il campione di quel 61 a zero siciliano del quale più nessuno ritiene igienico vantarsi. E a chi gli obietta che a segare le gambe ai pentiti ha già provveduto la nuova legge, secondo la quale valgono solo le confessioni dei primi 180 giorni, Miccichè risponde: "In sei mesi, se voglio, posso raccontare la vita mia, di mio padre e di mio nonno".

Hanno poca voglia di parlare, invece, i deputati-avvocati che secondo l’informativa agostana del Sisde sono nel mirino di una Cosa Nostra in qualche modo delusa. Si tratta di Enrico La Loggia (Fi), Nino Mormino (Fi), Cesare Previti (Fi), Antonio Battaglia (An), Giuseppe Bongiorno (An), Enzo Fragalà (An), Renato Schifani (Fi) e Francesco Saverio Romano (Udc). Qualcuno ha avuto la scorta; altri l’hanno rifiutata o la usano a corrente alterna.

Ma i boss di Cosa Nostra sanno come dosare parole e silenzi molto meglio delle toghe sbarcate in politica. Il 12 luglio Leoluca Bagarella ha letto un proclama per dire che "i detenuti del 41 bis sono stanchi di esser strumentalizzati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche". Cinque giorni dopo, i boss rinchiusi a Novara hanno spiegato meglio a chi si rivolgesse Bagarella: "Dove sono gli avvocati delle regioni meridionali che hanno difeso molti imputati per mafia e ora occupano i posti apicali di molte commissioni? Allora svolgevano la professione solamente per far cassa...".

E oggi? "Nelle carceri è sceso uno strano silenzio che non si sa come interpretare", osserva l’onorevole diessino Giuseppe Lumia, l’ex presidente dell’Antimafia che Cosa Nostra voleva morto. E aggiunge: "Qui alla Camera però qualcuno mi dovrebbe spiegare il perché di tutta questa improvvisa necessità di cambiare una legge sulla quale s’era raggiunto un amplissimo consenso". Per carità, saranno tutte modifiche spinte da nobili ragioni umanitarie, ma la legge dovrà così tornare al Senato in terza lettura. E intanto le settimane passano e le promulgazioni hanno i loro tempi. Oltretutto, se ne parla poco, ma il 31 dicembre scadono 650 provvedimenti di carcere duro.
Qui comunque non siamo di fronte alla legge sartoriale sul "legittimo sospetto", e allora c’è qualche tentennamento un po’ in tutti gli schieramenti. Forza Italia, come abbiamo visto, resta divisa. Alleanza nazionale tiene un profilo che più basso non si può, con la sola Angela Napoli (sotto scorta per aver denunciato il caso Lamezia) a schierarsi apertamente per il 41 bis. La Lega di Umberto Bossi ostenta disinteresse come fosse una vicenda straniera. Sul fronte opposto, difficile che si ripeta il miracolo Cirami, quando Dario Franceschini parlò a nome di tutti i ramoscelli dell’Ulivo. Con i socialisti di Enrico Boselli e i Verdi alla Marco Boato, la sirena del garantismo raramente canta a vuoto. I rifondaroli di Fausto Bertinotti si sono smarcati dal cosiddetto partito giustizialista in tempi non sospetti. E sono molti, tra i dalemiani, a non voler più passare per forcaioli neanche per sbaglio. Francesco Bonito, capogruppo ds in commissione Giustizia, non è un entusiasta del testo sfornato dal Senato: "Dovrebbe specificare meglio le misure restrittive onde evitare che i singoli responsabili delle carceri siano troppo esposti in prima persona". Ma Bonito, per non dare segnali ambigui, garantisce che i diessini non presenteranno emendamenti.

Se uno poi chiede un parere da giurista all’onorevole Filippo Mancuso, migrato da Forza Italia al Gruppo Misto dopo aver accusato Berlusconi di essere ostaggio di Previti, le logiche di schieramento risultano ancora più confuse. "Bisogna far rispettare la disciplina nelle carceri senza inventarsi leggi disumane: oggi ci troviamo in questo pasticcio per colpa di quell’improvvisatore di Roberto Centaro", dice l’ex ministro di Giustizia. Per chi non lo sapesse, l’irascibile Mancuso ce l’ha con il presidente forzista della Commissione Antimafia, "colpevole" di aver affidato (unico caso, finora) la stesura del documento sul 41 bis all’opposizione. E di averlo anche votato.

In una situazione del genere, ci si aspetterebbe almeno che fosse il governo ad avere le idee chiare. Ma così non è. Mai nessuno ha spiegato perché il disegno di legge sul 41 bis, a maggio, è entrato in Consiglio bello severo (cristallizzazione nei codici per sempre) e ne è uscito morbidino (dura solo una legislatura). Il 6 novembre, il ministro Roberto Castelli ha improvvisamente affermato che "il testo del Senato non è blindato", bocciando però la "‘giurisdizionalizzazione" proposta da quel Pecorella che di solito gli dà la linea. E la mattina dell’8 novembre, in Commissione Giustizia, prima ha bocciato per ragioni pratiche l’abolizione dell’odiato vetro ai colloqui. Poi ha buttato lì che in fondo, per il governo, un 41 bis di legislatura o eterno cambia poco: "Tanto anche una norma sine die potrebbe essere modificata o abrogata in qualsiasi momento, mentre l’importante è mettere la legge al riparo da eventuali accuse di incostituzionalità".

Ecco, ha commentato qualche onorevole più esperto degli altri, l’ingegnere della Lega ha detto la parola chiave: incostituzionalità. Tra i tanti emendamenti "migliorativi" non sarà che poi spunta quello che da solo ammazza nella culla il 41 bis? Con il comodo effetto di far rimbalzare sui giudici costituzionali la figuraccia politica di venire incontro ai bisogni di Bagarella e soci.

 

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