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In ombra l’insostituibile ruolo dei legali

di Emilio Nicola Bucicco, Presidente del Consiglio Nazionale Forense

   

(Guida al diritto, 11 agosto 2001)

 

Le dichiarazioni programmatiche del ministro Castelli innanzi la commissione Giustizia hanno, finalmente, mentre stanno per chiudersi le sessioni parlamentari per le inevitabili ferie agostane (sin troppo lunghe: e perché non cominciare con l’accorciare i termini della sospensione feriale per riprendere i ritmi fisiologici di lavoro agli inizi di settembre?), focalizzato attenzione e interesse sui temi della giustizia, ineludibile necessità di ogni società.

Tema esplosivo o subliminale in campagna elettorale, fuori dei riflettori nei primi dibattiti parlamentari, la giustizia torna a essere come è giusto sia - il terreno essenziale di coltura per l’efficiente tutela dei diritti dei cittadini e va, sempre, affrontato con spirito bipartisan, senza rivendicazioni esclusiviste e con un’auspicabile convergenza su posizioni il più largamente condivisibili degli interlocutori istituzionali e imprescindibili (soprattutto avvocati e magistrati) e delle diverse parti politiche.

 

Gli investimenti per la giustizia

 

Vediamo un po’: qualche considerazione generale e poi le prime valutazioni. Le dichiarazioni non si soffermano, in maniera specifica, sulla necessità di aumentare le quote di risorse finanziarie. Le nozze con i fichi secchi non si possono fare.

È necessario che tale consapevolezza attraversi tutte le componenti politiche e che, conseguentemente, gli investimenti nel comparto giustizia acquistino, con una forte inversione di tendenza rispetto al passato, una centralità vissuta. Il riferimento all’insostenibilità “dal punto di vista finanziario” collegato a un eventuale incremento del numero dei magistrati può essere interpretato come spia sintomatica delle difficili condizioni di agibilità economica e finanziaria a fronte del quadro degli interventi che ci attendono: tra gli altri, il completamento del processo di informatizzazione e l’avvio del processo telematico, il decentramento in chiave manageriale dell’apparato ministeriale, la necessità di retribuire adeguatamente quanti sono impegnati nella magistratura onoraria, gli investimenti nel settore penitenziario, particolarmente curato dal ministro.

 

I tempi del processo

 

La calendarizzazione dei tempi sembra prefigurare priorità in ordine alle quali le valutazioni di dissenso appaiono legittime. La priorità assoluta è costituita ancor oggi dalla necessità di adeguamento accettabile dei tempi di celebrazione del processo civile (e anche di quello amministrativo, negletto, e spesso fermo - con numeri grandissimi - alla fase iniziale della sospensiva).

Problemi diversi, come si vedrà, pone il processo penale. Ecco perché, pur senza entrare nel merito delle scelte del legislatore e pur non contestando, nel rispetto delle altrui opinioni, la necessità di intervenire su determinate tipologie di reati acquista una gerarchia che avremmo preferito capovolta con un’agenda di priorità riservata “ai disegni di legge per l’abbreviazione della giustizia civile e per la riforma dell’ordinamento giustiziarlo”.

Va bene, comunque, per la fine dell’anno in corso e ci auguriamo che i contributi dell’Avvocatura possano - su tali temi - essere utili e, se e in quanto tali, utilmente recepiti.

Da più parti sono piovute critiche quanto alla genericità e, in parte, all’ovvietà (ne ha parlato lo stesso ministro nell’intervista al Corriere della sera del 27 luglio) di alcune affermazioni: la memoria storica ci rimanda all’uso, pressoché obbligatorio, di affermazioni generiche anche per il passato e con ministri di ogni colore ed esperienza. L’importante è il collegamento tra l’affermazione politica di principio (la crisi cronica della giustizia ci costringe alla ripetitività) e le realizzazioni pratiche conseguenti.

Concedere fiducia - sia pur nel contingentamento dei tempi - non risponde a canoni di mera cortesia, ma alle necessità elaborative che, anche se non espressamente dichiarato, non possono non avverarsi senza la collaborazione degli interlocutori essenziali. E non si può non tener conto della riorganizzazione fisica del ministero, quasi una congestionata stazione ferroviaria di partenze e arrivi.

 

Gli avvocati “dimenticati”

 

Ultima (ma solo per motivi estetici) considerazione generale: gli avvocati sono i grandi assenti nelle dichiarazioni ministeriali. Constatazione? Sensazione? Il problema è centrale e strutturale: senza o contro gli avvocati l’amministrazione della giustizia non può funzionare.

Gli avvocati non sono accidentali e casuali presenze, ma interlocutori dei quali non si può fare a meno. Da ieri e per sempre. Ma come regge, pur nella zoppia, il processo civile, se non per gli avvocati: collaboratori manuali quotidiani e magistrati onorari. Facchini, difensori e giudici. Andiamo ad assistere a una qualsiasi udienza civile o penale: e specialmente ora con le nuove leggi (investigazioni difensive, difesa d’ufficio e difesa dei non abbienti) e le riforme in itinere (processo telematico) , che assegnano all’Avvocatura compiti sussidiari rilevantissimi.

Si può pensare quello che se ne vuole degli avvocati, ma, ripetendo un consumato brocardo, non se ne può fare a meno: non ne possono fare ameno i cittadini in un’epoca in cui crescono i diritti e aumentano le aree di tutela, che la Costituzione affida - non come mera espressione vocale - alla difesa.

Naturalmente non colleghiamo tale disattenzione a nessun disegno: ma la denunciamo con il senso di responsabilità che deriva dalla rappresentanza del ceto, espresso attraverso legittime e democratiche elezioni alle quali hanno preso parte tutti i 164 Ordini territoriali (la recente istituzione di Tivoli e Giugliano non ci aveva ancora fatto lievitare agli attuali 166!). E ora qualche riflessione, con spirito costruttivo ma senza infingimenti.

 

La delega alle parti

 

Non convince, nel campo del processo civile, una razionalizzazione che si risolva nella delega alle parti dell’attività istruttoria: le obiezioni non sono soltanto di carattere culturale, ma pratiche. Si determinerebbero dislivelli e asimmetrie nella difesa, s’introdurrebbe un modello estraneo ed ermafroditico che aggraverebbe, ad ogni contrasto, gli stessi ritmi ancora recentemente ridisegnati del processo civile, si porrebbe il giudice - pur nel rispetto del principio dispositivo - in una condizione di minorità nel controllo delle regole e dello stesso giudizio finale. Valuteremo con serietà ogni aspetto, quando si uscirà dall’enunciazione dei principi.

 

La cooperazione con altri professionisti

 

Non può, però, sin da ora, non esprimersi contrarietà al ricorso “alla cooperazione di profili professionali esterni”, come i notai (vogliamo ricordare, al di là del processo di espropriazione immobiliare, per il quale i notai spendono una professionalità certificatoria tradizionale, l’esperienza fallimentare per i GOA?) o altre figure (quali?).

Occorre ripiegarsi sulla professionalizzazione della magistratura onoraria, sui modelli e sulle prassi di reclutamento, sulle responsabilità della classe forense da inserire nei consigli giudiziari, sulla filosofia degli attuali numeri: oltre 14 mila i magistrati onorari, dislocati nei diversi itinerari, circa 9 mila i togati.

E poi la formazione, non più casuale, per l’accesso, o episodica dopo, per i magistrati. D’accordo, senza enfasi, per gli itinerari di giustizia alternativa e parallela: le stesse esperienze delle Camere di commercio sono disomogenee e l’Avvocatura è impegnata nel percorrere vie arbitrali e ADR significative. Si tratta comunque di processi con adeguati tempi di metabolizzazione.

 

Il modello accusatorio

 

È del tutto condivisibile, nel campo penale, il richiamo implicito e fisiologico al processo quale luogo neutro di accertamento del singolo fatto e strumento di lotta, come le esperienze discorsine di tante passate stagioni documentano. Attendiamo ancora che, con vigore, si operi nel campo della depenalizzazione, così come annunciato: sì e ancora, ai dissuasivi patrimoniali.

Quanto ai giudizi d’appello e di cassazione riteniamo che una coerente applicazione delle norme e dei principi già presenti nel nostro codice di rito (articoli 581 e 606) costituisca già garanzia sufficiente e valida, almeno sino all’auspicabile attuazione completa del modello accusatorio.

A tale modello è ontologicamente strutturale e funzionale la separazione delle carriere, alla quale occorre tendere: pur tuttavia cautela e realismo possono, intanto, far accettare una distinzione dei ruoli attente e rigorosa, scandita nei tempi, con un concorso - passaggio serio e una separazione distrettuale opportuna.

 

La “questione penitenziaria”

 

L’ampia parte riservata alla “questione penitenziaria” merita apprezzamento per l’impegno di civiltà rispetto al quale il Paese non può arretrare ne sottrarsi. La conoscenza dell’universo carcerario non merita più palliativi e le direzioni d’intervento preannunciate si segnalano, obiettivamente, per decisività: la rieducazione attraverso il lavoro, gli attesi circuiti differenziali, la professionalizzazione del personale, da quello militare a quello civile, ai direttori. E, naturalmente, le strutture.

Possiamo segnalare che il Consiglio nazionale forense sta cantierizzando, insieme con l’Ordine degli architetti, un convegno imperniato sulle relazioni tra le strutture carcerarie, le ispirazioni culturali e la vita dei detenuti.

 

L’indipendenza della magistratura

 

È necessario dare una svolta alle proposte di modernizzazione dell’ordinamento giudiziario per rendere sinergiche le energie intellettuali e quelle materiali. È indispensabile che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura continuino a essere un bene per l’intera comunità e un valore da non disperdere: e certamente la proposta di riformare i Consigli giudiziari, specchio delle realtà sociali, l’addio alle filosofie dell’automatismo breganziano, la sessione parlamentare (di indiscussa genesi calamandreiana) possono - in un Paese democratico - arricchire le connotazioni di autonomia e indipendenza e non impoverirle, così come l’istituzione degli assistenti (che hanno bisogno di adeguatezza professionale e non possono trasmigrare da aspecifiche altre esperienze ministeriali).

 

L’obbligatorietà dell’azione penale

 

Il tutto nel rispetto, ancor oggi, del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale che, pur limitato nella quotidianità (articolo 227 della legge sul giudice unico, circolare Zagrebelsky e, sul piano concreto, i furti divenuti oramai un semplice dato statistico con un rituale tempo di attesa per la certificazione di chiusa inchiesta), stabilisce e riafferma l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

 

Gli Ordini professionali

 

Qualche parola sugli Ordini professionali, trattati senza alcuna sottolineatura di specificità e di funzioni. Avremmo preferito un’escursione nel mondo degli avvocati, che, pur inseguendo una nuova veste ordinamentale, ferma al 1933, salvo alcuni interventi settoriali e pur soffrendo di gravi problemi ha - soprattutto in questi ultimi anni - sviluppato un’azione di grande rinnovamento diretto a rendere l’intermediazione intellettuale del ceto forense sempre più protesa alla tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini.

 

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