"Clandestini", ecco il 
    business
di Salvatore
Palidda 
     
Il 
    Manifesto, 28 giugno 2003
     
    A fare affari con l'immigrazione 
    irregolare non sono gli scafisti, piccoli criminali, ma gli imprenditori 
    (anche leghisti) e il comparto poliziesco-militare. L'esempio della 
    frontiera tra Messico-Usa. L'Ue è ancora indietro ma l'Italia, regno del "sommerso", si adegua. E al tempo delle delocalizzazioni agli stranieri 
    conviene farsi sfruttare qui.
    In quasi tutte le analisi e i commenti 
    sugli annegamenti di migranti, sull'invocazione da parte dei Bossi e 
    Borghezio di una sorta di Bava Beccaris del XXI secolo e sulle lacrime di 
    coccodrillo del centro-sinistra, c'è una singolare ignoranza. Probabilmente 
    è dovuta alla difficoltà di spiegare l'apparente, mostruoso paradosso che 
    riguarda sia le relazioni fra paesi dominanti (e di immigrazione) e paesi 
    dominanti (di emigrazione), sia la coesistenza di fatto della guerra ai 
    clandestini e il crescente bisogno di manodopera clandestina. E' lo stesso 
    paradosso che fa coesistere la pace e la guerra nella nuova strategia 
    dell'impero americano (nella cosiddetta postura della Full Spectrum 
    Dominance). In realtà, l'Europa non riesce ancora a barcamenarsi al 
    meglio nel paradosso, come invece sembrano riuscire a fare gli Stati Uniti. 
    Basta ricordare alcuni che da più di 15 anni gli States hanno fatto 
    diventare la guerra alle migrazioni (in particolare sulla frontiera 
    messicana) un business straordinario sia per le imprese private sia per la 
    lobby degli sbirri federali e dei singoli stati. Ma come candidamente 
    ammettono i responsabili dell'Immigration and naturalization service e i 
    grandi esperti del governo Bush, l'immigrazione clandestina negli States è 
    oggi (maggio 2003) stimata fra gli otto e i dieci milioni di cui quattro-sei 
    milioni messicani (era stimata a circa cinque milioni nel `99 - si veda 
    convegno OCSE all'Aja Preventing and Combating the Employment of Foreigners 
    in an Irregular Situation. 22-23 Aprile `99). Anche se spesso si tratta di 
    stime gonfiate per legittimare business e carriere poliziesco-militari, è 
    comunque noto che, come scrivono gli esperti del Congresso (fra cui quella 
    della Rand Corporation), la riproduzione della manodopera clandestina è 
    indispensabile all'economia americana: i nuovi arrivi si sommano ai ritorni 
    all'irregolarità da parte di chi per diverse cause ha perso i requisiti del 
    rinnovo del permesso (anche in Italia, succede ogni anno circa al 30 per 
    cento degli immigrati). Ma questa riproduzione si accompagna a migliaia di 
    morti e a milioni di arrestati e deportati nel tentativo di immigrare negli 
    States. Solo alla frontiera messicana, negli ultimi tre anni, si contano 377 
    morti e 1,6 milioni arrestati nel 2000, 336 morti e 1,2 milioni di arrestati 
    nel 2001, 350 morti e 900 mila arrestati nel 2002. Tuttavia questi morti, 
    come i migranti annegati o morti sui containers nel tentativo di venire in 
    Europa, fanno notizia solo come tentativo di dissuasione di quelli che 
    aspirano a partire. Per il resto sono come i morti afgani o iracheni o 
    palestinesi: non valgono nulla. Nessun giornalista o opinion leader ha 
    scritto che è la nuova "cortina di ferro" eretta dai paesi dominanti contro 
    le società dominate a produrre questi morti, non meno numerosi dei morti 
    della cortina di ferro del totalitarismo sovietico. Dopo l'11 settembre la 
    situazione s'è ancor più aggravata, soprattutto per gli immigrati originari 
    di paesi considerati musulmani e persino per quelli che hanno un permesso 
    regolare. In compenso il lavoro del clandestino è remunerato ancora di 
    meno.
L'Italia impara in fretta
L'Italia può essere 
    considerata in Europa il paese che cerca di avvicinarsi di più al "modello" 
    americano, giocando di fatto il suo paradosso "alla meno peggio". Primo 
    paese, insieme alla Grecia, per il tasso di economie sommerse sul prodotto 
    nazionale lordo (30 per cento circa), l'Italia conta fra sei e otto milioni 
    di persone che bazzicano integralmente o in parte nel lavoro nero. Fra 
    queste, gli stranieri clandestini rappresentano ovviamente una minoranza, ma 
    sono i più ricercati, notoriamente dai caporali padani, che li trasportano 
    dalle cinque di mattina sino a tarda sera con centinaia di furgoncini, 
    lamentandosi per i controlli di velocità da parte di alcune polizie 
    municipali e di qualche rara e per loro intollerabile ispezione sui cantieri 
    o nelle fabbrichette. Non a caso con la sua devolution, Bossi 
    rivendica il controllo delle polizie a livello locale, ossia una gestione 
    della discrezionalità propria alle polizie che sia al servizio dei suoi 
    elettori, piccoli imprenditori padani che vogliono la totale libertà di 
    agire e una polizia che, se necessario, espella subito il clandestino che 
    non va più bene o perché troppo usurato o perché alza troppo la testa. La 
    manodopera al nero necessita infatti di un alto turn-over sia perché 
    la maggioranza non regge i ritmi di lavori massacranti e spesso altamente 
    nocivi o a rischio (si pensi all'aumento degli incidenti sul lavoro, 
    comprese le morti ignote che riguardano spesso gli stranieri clandestini), 
    sia perché alcuni cercano di crearsi un minimo potere contrattuale (si pensi 
    a Ion Cazacu per questa ragione bruciato vivo dal suo caporale che lavorava 
    per gli imprenditori padani - si veda Sciuscià, 2000). E come si 
    mostrava bene in quella puntata della trasmissione di Santoro, i padroncini 
    padani che sfruttano maggiormente i clandestini sono gli stessi a reclamare 
    le cannonate contro le barche dei migranti, così come a gridare contro la 
    sanatoria.
Ma leghisti e altri della maggioranza hanno anche trovato 
    un formidabile escamotage per limitare il più possibile la 
    regolarizzazione che, comunque, a detta dello stesso Tremonti, è diventata 
    uno straordinario business per lo stato e per ogni sorta di mercanti e 
    truffatori della regolarizzazione (si può stimare che in realtà siano stati 
    circa 350 mila gli immigrati che hanno dovuto presentare più volte la 
    domanda spendendo in media non meno di 4.000 euro a testa, per un giro 
    d'affari totale di 1.400.000.000 euro di cui più di 245.000.000 direttamente 
    allo stato, versati cioè alla posta). Infatti la sanatoria va a rilento e 
    una buona parte dei regolarizzandi finisce per perdere i requisiti e tornare 
    nella clandestinità (la riproduzione è assicurata) oppure viene espulsa 
    grazie alla Bossi-Fini o ad operazioni fatte alla svelta senza testimoni e 
    senza traccia burocratica da parte di alcuni operatori delle polizie che 
    hanno ben recepito il messaggio di un governo che comunque li "copre" (la 
    stessa copertura che spiega anche le torture e il massacro dei manifestanti 
    anti-G8 a Genova nel 2001). Meno male che tra gli operatori delle polizie ve 
    ne sono anche alcuni democratici che, sebbene isolati e minacciati, cercano 
    di resistere.
Padani, padroni e padroncini
Non mancano 
    poi padroncini e caporali (fra cui anche alcuni immigrati ascesi a tale 
    rango: è sempre comodo far fare il lavoro sporco allo straniero) che il 
    giorno della paga chiamano qualche operatore di polizia che si presta per 
    fare scappare i lavoratori clandestini ed evitare così di pagarli. Nella 
    logica d'inferiorizzazione e segregazione dei migranti va segnalata l'ultima 
    perla della giunta di Milano: il decreto che sottrae agli immigrati l'unico 
    momento e luogo di socialità, ossia gli incontri domenicali nei parchi 
    pubblici. Del resto, l'integrazione, che dovrebbe essere finanziata 
    distribuendo alle regioni la trattenuta dello 0,5 per cento sulle buste paga 
    degli immigrati (legge Turco-Napolitano), s'è trasformata in ben altro. 
    Contributi per i centri espellendi, per le espulsioni, per gli amici degli 
    amici ciellini o persino di An e della Lega che hanno creato ad hoc 
    associazioni e cooperative per "occuparsi" degli immigrati, e infine per 
    sostenere le delocalizzazioni come hanno proposto i leghisti alla regione 
    Veneto (en passant, non esiste ancora un'inchiesta su come sono spesi 
    i soldi degli immigrati e su quanto costa una politica migratoria che 
    riproduce clandestini e morti). I padroncini della "Padania" e di altre zone 
    d'Italia e d'Europa da tempo hanno scoperto anche un'altra manna: le 
    delocalizzazioni in cascata di ogni sorta di attività nei paesi "terzi". I 
    big come Benetton, così come i magliari, gli evasori fiscali o i 
    bancarottieri, girano senza intoppi nei paesi d'emigrazione dove comprano 
    facili connivenze fra governanti, mediatori (o power-brokers) e 
    caporali locali per organizzare sul posto il supersfruttamento in condizioni 
    ancor più libere, con profitti di gran lunga più ingenti di quelli 
    realizzati con le economie sommerse in Europa (basti pensare che una donna 
    che lavora nel sistema Benetton o di altre firme e imprese italiane ed 
    europee in Tunisia o a Timisoara riesce a prendere fra i 60 e i 100 euro al 
    mese lavorando 6 giorni su 7, fra 8 e 12 ore al giorno). Ma mai nessuno ha 
    denunciato la frode comunitaria che consiste nell'importazione da paesi 
    terzi di prodotti finiti con le etichette "made" nei vari paesi europei. E 
    purtroppo nessun sindacato europeo ha mai cercato di costruire unità 
    d'azione con i sindacati di questi paesi e in particolare del Magreb. Di 
    fatto, oggi più che mai qualsiasi padroncino, qualsiasi turista europeo può 
    andare nei paesi d'emigrazione come e quando vuole ed agire in piena 
    libertà, compresa quella di schiavizzare. Non si tratta forse di una sorta 
    di neo-colonialismo in versione liberista? È anche questo nuovo sviluppo 
    infame a provocare una nuova spinta all'emigrazione. Perché stare in Tunisia 
    o in Romania a fare gli schiavi per padroncini italiani ed europei senza 
    poter reclamare alcun diritto e non tentare la fortuna di venire a lavorare 
    in Europa? Perché restare in mezzo al disastro umano e sociale e il rischio 
    di morte in paesi come la Somalia o il Congo e non rischiare di venire in 
    Europa anche se a costo della vita? Perché qualsiasi italiano ed europeo può 
    andare nei paesi di emigrazione e invece gli abitanti di questi paesi non 
    possono andare nei paesi ricchi neanche per andare a trovare i parenti? 
    Queste sono le domande che si pongono sempre più migliaia di giovani 
    disgustati dall'asimmetria dei diritti e delle opportunità imposta 
    dall'attuale assetto del dominio dei paesi ricchi (si veda "L'indotto di
    Abdel", il manifesto dell'11 ottobre 2002). Oggi più che mai la 
    migrazione è innanzi tutto aspirazione all'emancipazione economica, sociale 
    ma anche politica e religiosa. Si emigra per disperazione e per fuga dalle 
    guerre, ma innanzi tutto per cercare di trovare altrove quello che appare 
    impossibile laddove si vive: l'emancipazione. Come ha raccontato il 
    sociologo Mahdi Mabrouk nel recente convegno della Lega Tunisina dei Diritti 
    dell'Uomo tenutosi (Tunisi, 30-31 maggio 2003), nel mondo degli aspiranti 
    alle migrazioni costrette alla clandestinità dal proibizionismo fascista 
    europeo si trova infatti un'umanità segnata dall'aspirazione alla vera 
    libertà di tutti, cantata in loro canzoni ray o rap o neo-blues ormai note 
    sui percorsi e sulle coste turche, libiche o del Magreb. Sono forse questi, 
    senza saperlo, con i loro nuovi canti dell'emancipazione del XXI secolo, la 
    componente giovane dei Sud che partecipa di fatto al movimento contro il 
    liberismo globalizzato e contro la guerra, per i diritti fondamentali di 
    ogni essere umano. E contro questa aspirazione all'emancipazione si 
    scagliano i nuovi Bava Beccaris, così come fecero alla fine del XIX secolo 
    quando sparavano sulle folle che rivendicavano pane e diritti. I signori 
    leghisti e buona parte degli elettori europei (anche di centro-sinistra) 
    sanno bene che i loro attuali privilegi, reali o immaginari, sono fondati 
    sull'inferiorizzazione o neo-schiavizzazione degli "altri", degli 
    extra-comunitari, cioè sulla certezza del dominio. La paura di perdere i 
    privilegi e l'agitazione nella salvaguardia di questo conduce alla guerra 
    alle migrazioni, cioè a quello che Z. Bauman chiama la distruzione 
    dell'eccedente umano, di quegli umani che non servono più o che non 
    accettano passivamente di essere inferiori.
La colonizzazione 
    poliziesca
I governi europei pretendono che i paesi limitrofi 
    all'Ue si trasformino in sbirri implacabili contro i migranti, insomma che 
    facciano il lavoro sporco. Come aveva proposto uno dei più mediocri ministri 
    dell'interno italiani degli ultimi decenni, Bianco, anche Blair, tanto amato 
    da certi leader del nostro centro-sinistra, propone di creare nei paesi 
    limitrofi all'Ue campi di concentramento per migranti espulsi, così come del 
    resto ha fatto il suo governo, collocando alcuni detenuti sulle navi-galera 
    di vittoriana memoria. Il mercanteggio proposto è esplicito: voi paesi terzi
    "gestite" o eliminate un po' di aspiranti all'emigrazione e quelli che 
    espelliamo e in compenso vi daremo un po' di finanziamenti per le vostre 
    élite, per le vostre polizie, per la salvaguardia dei vostri regimi (si 
    pensi quanto sia allettante per i Ben Ali & C.). Ma i regimi di questi 
    paesi non possono stringere sempre e troppo le maglie. A volte le allentano 
    per rilanciare il mercanteggio, ma spesso sono costretti a lasciar correre 
    perché la situazione rischia di diventare ancor più esplosiva. L'emigrazione 
    è una valvola di sfogo utile per tamponare la tensione sociale e politica, 
    specie per regimi autoritari. Peraltro, se dall'Albania non partono più 
    clandestini è perché da un lato la spinta all'emigrazione si è per buona 
    parte esaurita, dall'altro perché le mafie locali sembrano aver negoziato 
    con i servizi segreti europei una certa libertà di traffici di droga e altro 
    in cambio del loro attivo controllo di quella piccola e media delinquenza 
    che si occupava di traffico di clandestini (diverse "spalle" di ministri 
    albanesi sono notoriamente coinvolti in traffici diversi e hanno viaggiato 
    con passaporti diplomatici - si veda l'illuminante reportage di L. Fraioli e 
    A. Giordano, "L'eroina ? Da Tirana viaggia in auto blu", in Venerdì di 
    Repubblica, 767/29, 11.2002, pp. 42-47). Appare comunque assai 
    fantasioso che la grande criminalità organizzata sia veramente interessata 
    al traffico di migranti. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta 
    solo di piccoli o al massimo medi delinquenti improvvisati passeurs, 
    spesso senza scrupoli ma non al servizio delle grandi mafie. Basta notare 
    che di fatto i passaggi clandestini (eccetto quelli dei cinesi) costano meno 
    che una migrazione regolare! Il proibizionismo delle migrazioni, come ogni 
    proibizionismo, ha un effetto criminogeno e produce morte. Questa 
    considerazione indiscutibile è stata sempre ignorata o respinta dal 
    centro-sinistra che ha di fatto spianato la strada all'attuale destra 
    fascista e razzista (come dimenticare la Kater Y Rades durante il governo 
    Prodi e d'altre vicende orribili "gestite" dai D'Alema, Amato, Turco &
    C). Nei prossimi mesi alcuni migranti saranno forse salvati 
    dall'oscillazione fra il liberismo moderato che sembra ora voler perseguire 
    Pisanu e la guerra totale dei leghisti.