L'Osservatorio di Patrizio Gonella

 

Osservando: istantanee dalle carceri italiane

di Patrizio Gonnella

 

Sono Daniel Sterring. Fra poco mi leveranno da qui per impiccarmi. In attesa dirò ciò che ho sul cuore, e scrivo queste pagine per testamento. Dopo la mia condanna sono venuto a passare il resto della mia vita naturale nella prigione di San Quentin. Vi sono diventato ciò che si chiama un: "incorreggibile". Un incorreggibile è, nel vocabolario delle prigioni, un essere umano temibile, fra tutti. Il perché sono stato classificato in questa categoria è quanto vi voglio spiegare. Detesto lo sciupio di movimento, la perdita inutile di lavoro. La prigione in cui mi trovo, come tutte le prigioni del resto, è sotto questo aspetto un vero scandalo. Ero stato messo nel laboratorio della tessitura della juta dove lo sciupio di movimento infieriva terribilmente. TaIe delitto contro un lavoro ben organizzato mi esasperava [ . . . ] Furioso di assistere a quello sciupio di lavoro, mi rivoltai. Tentai di esporre ai sorveglianti una ventina e più di procedimenti che avrebbero assicurato un miglior rendimento. Fui segnalato al governatore del carcere come una testa balzana. E fui segregato in una cella, dove soffrii per la mancanza di cibo e di luce. (Jack London, Il vagabondo delle stelle)

 

Osservare le carceri e le condizioni di detenzione al fine di rendere le galere, di per sé opache e poco inclini alla trasparenza, meno oscure e violente. Per tre anni siamo entrati nelle carceri, abbiamo girato per le sezioni e i reparti, abbiamo parlato con i direttori, gli educatori, i medici e i poliziotti, abbiamo incrociato gli sguardi sorpresi o incuriositi dei detenuti. Il nostro obiettivo era informare, prevenire e sensibilizzare. Questo il senso di un triennio di lavoro dell'osservatorio di Antigone e di questo secondo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Informare sulla vita interna, sui diritti negati, sulle esperienze migliori e sulle deteriori, su come si svolge la giornata tipo del detenuto, sui rischi che tale giornata presenta, sul complicato rapporto custode-custodito. Un impegno diretto a decostruire i pregiudizi e i luoghi comuni partendo da numeri, episodi, racconti, descrizioni. Un monitoraggio che da episodico ha voluto trasformarsi in permanente e che ha voluto offrire il proprio, seppur piccolo contributo, a rovesciare il senso comune che vede nel carcere lo spazio legittimo e buio della vendetta e della neutralizzazione sociale. E per altri versi ha inteso svolgere una funzione preventiva contro tentazioni di violenze e di violazioni delle norme e dei diritti.

Le carceri vanno visitate, non solo da autorità pubbliche e magistrati, ma anche dai cittadini di una associazione o di una organizzazione non governativa. Nessuno deve temere che fuori si sappia ciò che accade dentro. Perché dentro non deve accadere nulla di cui vergognarsi. Proprio per questo abbiamo chiesto al ministero della Giustizia la possibilità di entrare nelle carceri, non per fare assistenza, non per portare avanti micro o macro progetti, ma solo per osservare e raccontare senza scandali o pregiudizi la vita detentiva, per rompere simbolicamente il muro fra carcere e società. E il ministero, per voce prima di Alessandro Margara nel 1998 e poi di Giancarlo Caselli ne1 2000, ci ha detto che era possibile entrare nelle carceri. Un’autorizzazione che ha coinvolto ogni anno oltre trenta persone. Tre autorizzate a visitare gli istituti di pena su tutto il territorio nazionale, e due persone ulteriori a cui è stata concessa analoga autorizzazione su base regionale. I contenuti dell'autorizzazione sono stati molto simili a quelli previsti dall'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario per i parlamentari, ossia facoltà di visita con preavviso, poche chiacchiere con i detenuti, possibilità di ricevere informazioni dal personale anche attraverso la somministrazione di questionari. Al ministero riconosciamo coraggio e capacità di mettersi in discussione. L'autorizzazione ministeriale ad Antigone, scaduta nell'autunno del 200I, ha infatti inevitabilmente attirato critiche e dissensi. Immediate quelle rivolte contro Margara da parte di taluni sindacati autonomi di polizia penitenziaria, e a seguire dai suoi diretti superiori al ministero, esterrefatti dalla decisione del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, di farsi "osservare" da cittadini privati. Posto che osservare non significa ispezionare, nessuno dovrebbe indignarsi se qualcuno si permette di controllare i controllori. Contro ogni retorica lo abbiamo fatto in silenzio, evitando la tentazione di facili denunce, che altrettanto facilmente si sarebbero rivolte contro gli stessi detenuti.

Le garanzie e i diritti delle persone private della libertà personale non hanno nel nostro paese una autorità indipendente che ne verifichi il rispetto. La magistratura di sorveglianza sempre più spesso autoriduce il proprio lavoro a quello di giudice di esecuzione delle misure alternative e di determinazione in concreto della durata della pena. La sentenza della Corte Costituzionale del febbraio del 1999 sulla giurisdizionalità della procedura di reclamo dei detenuti alla magistratura di sorveglianza non ha trovato attuazione normativa. Non esiste un difensore civico nazionale né uno ad hoc per i detenuti. Il nostro Osservatorio si è autopromosso a ombudsman informale diretto a verificare che gli standard di detenzione non siano al di sotto di quelli imposti dalla normativa interna e sovranazionale. E l'Europa del terzo millennio non può permettersi passi indietro sul versante dei diritti e delle libertà. I diritti umani sono universali e appartengono indissolubilmente anche a coloro che sono in stato di detenzione.

Il carcere, in quanto istituzione assoluta, offre continue e pericolose tentazioni di violazioni dei diritti, in ogni momento della sua vita quotidiana. Per il detenuto tutto dipende da qualcun altro, e non sempre in base a regole certe. Contano le persone, contano le strutture, contano i servizi. Senza operatori qualificati, strutture idonee, servizi efficienti la quotidianità detentiva diventa complicata e rischiosa. Insieme alla libertà personale, il carcere si porta via le relazioni affettive, le amicizie, il sesso, il lavoro, le prospettive di reinserimento professionale, spesso la salute, in alcuni casi la dignità personale. I luoghi comuni intorno al carcere tendono a descriverlo come la conseguenza indispensabile per chi si è volontariamente cacciato nei guai. Il carcere è spesso visto dalla maggioranza del ceto politico e dall'opinione pubblica come il luogo inevitabile e meritato della pena, la giusta retribuzione per chi ha commesso un reato. E per questo si ritiene che debba essere duro, che non vi debba essere spazio per i sentimentalismi. Quella stessa maggioranza benpensante ritiene che viceversa le carceri italiane siano alla stregua di hotel a tre stelle con bagno e televisione in camera. Il bagno c'è ma in comune con due, tre, dieci persone. Anche la televisione c'è, purtroppo. Il senso comune va rovesciato. In carcere non si sta bene. Anche nelle carceri modello non si sta bene. Il carcere è per sua natura violento. Nessuno riesce con dolcezza a privare altri della propria libertà. Fino a quando non riusciremo a liberarci dalla necessità del carcere, esso va osservato, visitato, affinché non oltrepassi mai il suo mandato istituzionale. Le carceri dovrebbero essere il luogo della mera privazione della libertà di movimento, della temporanea compressione della libertà personale in vista di un percorso rivolto al reinserimento sociale, così come la Costituzione del 1948 e la legge penitenziaria del 1975 prevedono nei loro principi fondamentali. In realtà in questi tre anni e oltre di monitoraggio delle circa 240 prigioni italiane abbiamo potuto constatare che esiste un gap fra prassi e norma, che molti altri sono i diritti negati. Il carcere non si limita a ridurre la libertà di movimento. Travalica la sua funzione istituzionale per ergersi a luogo di afflizione totale e di palestra per negazioni inutili e arbitrii diffusi.

Il quadro delle carceri italiane, così come si è presentato ai nostri occhi, è profondamente disomogeneo. Una è la legge, uno il regolamento di esecuzione, pochi sono i regolamenti interni regolarmente approvati e vigenti nei singoli istituti, molte e variegate le prassi, non sempre facilmente comprensibili. li sovraffollamento è la costante che invece si ripete. Così come l'elevato numero di stranieri e di tossicodipendenti. E l'altrettanto elevato numero di atti di autolesionismo, per i quali le risposte sono assolutamente ordinarie e mai preventive (somministrazione di psicofarmaci, osservazione psicologica e psichiatrica, uso di mezzi disciplinari). Un'altra costante è la lamentata carenza di personale di polizia. Però guardando i numeri del personale al Sud verifichiamo che il numero degli agenti è praticamente uguale a quello dei detenuti. Nei giorni successivi al suo defenestramento, Alfonso Sabella, per diversi anni responsabile degli ispettori del DAP oltre che responsabile dell'operato del gruppo operativo mobile (GOM) della Polizia Penitenziaria a Genova nei giorni del G 8, ha sostenuto che in Italia le carceri sono organizzate male con sprechi ingiustificati di personale e un elevatissimo tasso di assenteismo dei poliziotti. Girando qua e là per le carceri visitate molte sono state le curiosità incontrate e tante le attività organizzate, a volte nelle stesse carceri dove vengono segnalati gravi episodi di violenza.

Di solito gli educatori sono rassegnati e i direttori assillati da responsabilità e rapporti impossibili con i sindacati. I poliziotti rispondono allo stereotipo dei custodi raramente animati da spirito comprensivo. Altra costante ammessa dagli stessi direttori è l'impossibilità di adeguare strutturalmente gli istituti a quanto richiesto dal nuovo regolamento di esecuzione, a loro dire per mancanza di fondi a disposizione. E quindi addio alle docce in cella, alle sbarre che consentano il passaggio di luce naturale, ai bidet per le donne, al nido per i bimbi, alle cucine comuni ogni 200 detenuti.

Di fronte alla grande mole di informazioni a disposizione cumulate in tre anni di lavoro, qui di seguito abbiamo raccolto brevi descrizioni di alcune carceri, di chi ci vive, della loro organizzazione interna, delle attività promosse.

Nulla che abbia l'ambizione di qualificarsi come una descrizione esaustiva di tutto il panorama penitenziario italiano, bensì una libera scelta di "brevi" da alcune delle carceri "visitate". Notizie che toccano trasversalmente tutti i temi trattati in questo Rapporto e che qui vengono raccolte in una sorta di fotografia flash di circa 1/5 del nostro intero parco carceri, ma sufficientemente esplicativo delle condizioni di vita interne. Fra quelle descritte ci sono carceri piccole e carceri grandi, metropolitane e isolane, circondariali e di reclusione, del Nord e del Sud. Non si tratta delle solite galere note, ampiamente raccontate dalla stampa in quanto ospitano detenuti illustri, ma di luoghi spesso poco conosciuti agli stessi addetti ai lavori. Chi non troverà il carcere della propria città non se ne dispiaccia, rimedieremo in futuro.

1. Bari. Dicembre 2000. 512 detenuti, 436 poliziotti, 1 direttore e 4 vice, 5 educatori, 3 medici e 9 infermieri. L'Associazione Rifugiati gestisce uno sportello di informazione per stranieri. Gli altri volontari sono soprattutto cattolici. Nel centro clinico sono presenti 15 detenuti con handicap fisici, permangono per loro tutte le barriere architettoniche possibili. Le docce sono circa 6 ogni 50 detenuti. Vi è una sola cucina per tutto l'istituto. Le finestre hanno maglie strette, anzi strettissime. La cooperativa Itaca lavora per dar vita insieme ai detenuti a un giornale in versione cartacea e on-line dal nome "Altre prospettive". Le ore e le modalità di socialità sono state riviste in peggio a seguito di un episodio di violenza fra detenuti. Esiste un corso di scuola media superiore.

 

2. Bologna. Luglio 2001. Circa 880 detenuti (56 le donne) ossia il doppio della capienza regolamentare e più di 170 rispetto al limite massimo tollerabile, 521 i poliziotti, 8 gli educatori, un direttore e un vice ad occuparsi di loro. Nessun lavoro è stato ancora realizzato nel rispetto del nuovo regolamento. 8 i corsi di scuola elementare, 7 i corsi di scuola media ed 1 di scuola superiore per ragionieri. La salute in carcere è affidata a 4 medici incaricati, a prestazioni specialistiche, a 9 medici c.d. SIAS che garantiscono una guardia medica 24 ore su 24. Ogni giorno sono presenti 2 medici del Ser.T. e 2 infermieri dell'Azienda Città di Bologna che si occupano dei tossicodipendenti somministrando l'eventuale eptadone. Ogni mese vengono presentate 50 richieste di accesso alle misure alternative. Nei primi 7 mesi de1 2001 sono stati concessi 35 affidamenti in prova al servizio sociale, 25 detenzioni domiciliari, 2 semilibertà. 4 le revoche totali per cattivo andamento. 11 sono i lavoranti all'esterno di cui 6 impegnati nell'intercinta muraria del carcere. In quello stesso periodo 415 i permessi premio concessi contro le 865 istanze presentate.

3. Brescia. Settembre 2001. Circa 625 i detenuti, 26 semiliberi, 2 lavoranti all'esterno governati da una direttrice, 1 educatore e 330 poliziotti. I volontari, quasi tutti, fanno parte di una unica associazione "Carcere e territorio". La struttura è vecchia e ripropone il panottico di benthamiana memoria. Profonde differenze di trattamento fra la sezione di reclusione (100 detenuti) e la casa circondariale (525 detenuti), seppur collocate nello stesso istituto. Il tutto a vantaggio della prima. Rispetto al nuovo regolamento per esplicita affermazione della direttrice non è stato attrezzato alcun reparto (o celle) per non fumatori, non vi sono docce in cella, non vengono intrattenuti rapporti con i consolati per gli stranieri. I colloqui si tengono tutti i giorni ad eccezione della domenica. Esiste una scuola superiore per geometri.

4. Brindisi. Maggio 2001. 100 detenuti circa, di cui 40 stranieri e 30 collocati in alta sicurezza. Sono in corso lavori di ristrutturazione che ne hanno ridotto la capienza. Nel 1998 i detenuti erano 450. I poliziotti sono 70. La struttura è vecchia e fatiscente. Il silenzio governa il carcere, che sembra quasi un monastero. Vengono descritti come sereni i rapporti fra detenuti e personale. Rigore e garanzie sono le parole chiave utilizzate dal personale per spiegare l'andamento della vita interna. Le celle del reparto osservazione non hanno un aspetto buono: male illuminate e aerate (le finestre sono a bocca di lupo per evitare contatti con l'esterno), di dimensione pari a circa 10 mq, un letto a castello, un tavolino.

5. Camerino. Dicembre 2000. Un piccolo carcere con 38 detenuti e 29 poliziotti. Le lamentele dei detenuti riguardano la presenza episodica dell'assistente sociale e della psicologa (15 ore al mese). 2 i volontari, entrambi dell'associazione GUS. La struttura risale al 1300 circa ed è situata nel centro storico. 6 celle per uomini e 5 per donne. 2 celle per l'isolamento. I colloqui si tengono giovedì e sabato.

6. Cassino. Settembre 2001. 140 detenuti, 40 agenti. 1 a 1 il rapporto. L'edificio è a 3 piani di cui il primo riservato ai tossicodipendenti. 5 posti doccia per piano. Vi è un corso per arbitri di calcetto. Esistono solo lavori di amministrazione domestica effettuati a turno. La retribuzione media è di circa 100 euro mensili.

7. Civitavecchia, nuovo complesso. Agosto 2001. Oltre 500 detenuti, 258 gli agenti di polizia penitenziaria. La struttura fa parte di quelle costruite nel periodo delle carceri d'oro. 2 celle di isolamento e 3 palestre. 1 la cucina che serve tutti i detenuti.

8. Civitavecchia, Castello. Agosto 2001. 70 detenuti che non abbiano da scontare più di 8 anni e che non siano tossicodipendenti. Il carcere dovrebbe essere aperto e con progetti sperimentali. L'assegnazione in questo carcere è decisa da una Commissione operante presso il Provveditorato regionale del Lazio. I detenuti vi vengono inviati per un mese in assegnazione provvisoria e allo scadere di questo periodo l'equipe interna decide sull'eventuale presa in carico che comporta la sottoscrizione di prescrizioni specifiche da parte del detenuto, che se inosservate a loro volta comportano il ritrasferimento nel carcere di provenienza. Le sezioni sono 6 e si chiamano simbolicamente Cattaneo, Ferri, Romagnosi, Carnelutti, Beccaria, Gemelli. La cucina è self-service e i detenuti restano liberi di circolare nel reparto sino alle 19. Vi sono corsi di alimentazione, di musica, di drammatizzazione finanziati dalla Provincia di Roma. L'A.s. Calcio Roma fornisce attrezzature sportive per le palestre e Mammoliti gestisce un suo orto. Vi è la scuola media, l'istituto d'arte e il professionale per geometri. I detenuti lavorano quasi tutti. È l'istituto dove è stato recluso l'ex ministro della Sanità De Lorenzo.

9. Fermo. Dicembre 2000. 70 detenuti. La metà sono immigrati. 13 i marchigiani. 46 gli agenti. 1 educatore. 1 psicologo per 20 ore al mese. 1 medico e 4 infermieri. Nella struttura non ci sono volontari per una politica di ostilità del direttore. 18 celle da 2 o 4 posti, salvo una con 6 letti. Le docce sono in sezione. I colloqui con i familiari avvengono di mercoledì e sabato. È stato avviato il Progetto Polaris finalizzato all'orientamento al lavoro dei detenuti. Non ci sono corsi scolastici. L'istituto, seppur molto piccolo, vive una irragionevole chiusura (celle chiuse fuori dai momenti organizzati) e i detenuti lamentano un rapporto difficile con gli operatori,

10. Frosinone. Luglio 2001. 380 detenuti. Circa metà stranieri. 1 direttore, 3 vice, 4 educatori, 280 agenti da tutti considerati insufficienti. Il carcere è fuori città ed è mal collegato dal centro. L'edificio in cemento armato, inaugurato nel 1990, presenta alcune infiltrazioni di acqua. La capienza regolamentare coincide con quella effettiva. Vi è una ludoteca per i bambini che vengono a colloquio dai genitori. I colloqui si tengono per 4 giorni a settimana, ma mai di domenica. Il magistrato di sorveglianza visita l'istituto ogni 2 settimane.

11. Gragnano. Novembre 2001. Il carcere ultimato nel 1993 per un costo complessivo di oltre 60 miliardi di lire ha prodotto cedimenti e avvallamenti delle celle tanto da portare alla chiusura dell'istituto nel dicembre de1 2000. Il carcere è stato costruito sul vuoto. Venti agenti di polizia penitenziaria sorvegliano un carcere vuoto.

12. Latina. Luglio 2001. 158 detenuti maschi e 30 donne. 1 direttore, 112 agenti maschi e 50 donne, 1 educatore. Il carcere è malridotto. Le celle ospitano sino a 6 detenuti che dormono su letti a castello. Spesso si arriva ad utilizzare materassi per terra. È consentito 1'uso del computer in cella. L'ospedale di Latina ha un reparto apposito per detenuti.

13. L’Aquila. Maggio 2001. 166 detenuti, 230 agenti di polizia penitenziaria, 3 educatori, 2 psicologi, 1 criminologo. Il magistrato di sorveglianza visita settimanalmente l'istituto. 80 sono i detenuti sottoposti al regime dell'articolo 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario. L'organizzazione di tutte le attività è negativamente condizionata da tale presenza. L'area verde, attrezzata per essere tale, non viene ad esempio utilizzata per i colloqui con i familiari in quanto per accedervi bisogna attraversare una sezione di alta sicurezza. Buono lo stato dei reparti di infermeria. La terapia metadonica per i tossicodipendenti è a scalare.

14. Lecce. Gennaio 2001. 1.142 detenuti, 761 poliziotti. Celle di 9 mq, compreso il bagno, che ospitano sino a 3 persone. Il volontariato è scarsamente presente. Esiste un corso di scuola superiore per ragionieri. Sono attive in carcere una falegnameria e una sartoria. Il trattamento metadonico per i tossicodipendenti è a scalare. Le cucine sono 3, una nella reclusione, una nella circondariale, una nel femminile. In tutte e 3 si serve lo stesso menu. 2 sono invece le biblioteche e di buona qualità. Scarni e tristi i luoghi destinati alle ore di aria, asfaltati di catrame e recintati con mura di 5 metri.

15. Macomer. Dicembre 2001. 100 detenuti circa divisi in 45 celle. L'amministrazione penitenziaria intende trasformare la casa circondariale in carcere duro per i detenuti sottoposti all'articolo 41 bis, secondo comma dell'ordinamento penitenziario. Il coordinamento provinciale di Forza Italia, e non solo, si schiera però drasticamente contro.

16. Matera. Aprile 2001. 170 detenuti, 110 poliziotti penitenziari, 1 educatore full-time e 1 part-time. Le studentesse della scuola magistrale della città organizzano all'interno 2 corsi di pittura e di musica. Esiste un centro di educazione permanente. Le aree verdi sono curate. Nel carcere entrano anche i testimoni di Geova. Buoni i rapporti con il Comune di Matera. I colloqui con i familiari si tengono per 3 giorni a settimana, compreso il sabato. Ripetuti gli episodi di autolesionismo, soprattutto da parte di extracomunitari. È in corso un progetto gestito dall'Associazione Tolbà diretto alla realizzazione di un giornale scritto da detenuti stranieri in più lingue da diffondere insieme ad una testata locale (la "Nuova Basilicata").

17. Melfi. Febbraio 2001. 200 detenuti, di cui 30 stranieri, 1 educatore, 190 poliziotti, pochi i volontari e non per colpa dell'istituzione. Le stanze per i colloqui con i familiari sono piccole, buie e anguste. Sono prive di finestre. Non vi è privacy durante le visite e possono avvenire tutti i giorni salvo la domenica. Vi è un corso di pelletteria riservato ai detenuti dell'alta sicurezza. Lo spazio riservato ai passeggi è irrisorio. Il campo di calcio è utilizzato una volta la settimana.

18. Modena. Giugno 2001. 370 detenuti, di cui addirittura i 2/3 stranieri. 194 gli agenti. 3 gli educatori. 1 direttore. Nella sezione di alta sicurezza vi sono circa 35 detenuti. Le associazioni di volontariato presenti sono essenzialmente 2, Carcere Città e Porta Aperta, per un totale di circa 20-25 volontari. La struttura nel complesso appare fatiscente. Lo stesso direttore ammette la presenza di topi nelle sezioni. Gli spazi collettivi sono inadeguati. Per i tossicodipendenti viene applicata la terapia metadonica a scalare. Non vi sono corsi di formazione professionale.

19. Monza. Aprile 2001. 1 direttore ed un vicedirettore per circa 500 detenuti. I volontari fanno parte di un'unica associazione "Carcere Aperto". La sezione femminile è in smantellamento. Le donne sono già state in parte trasferite a Bollate, il terzo carcere milanese. Nella ex sezione femminile si intende realizzare una sezione a custodia attenuata per circa 10-12 detenuti. A causa del sovraffollamento mediamente 30-40 persone dormono con il materasso per terra. Nonostante il nuovo regolamento preveda la possibilità di usare il rasoio elettrico in cella, non in tutte le camere ciò è possibile, e a quanto dicono gli operatori, per responsabilità degli stessi detenuti che ne hanno disattivato i pulsanti, così come successo in passato per l'interfono ovunque distrutto dai detenuti per timore che servisse per poterli spiare. Non vi è speranza di avere le docce in cella, essendo di recente ristrutturate quelle in comune. Le ore di aria sono 3 e mezza, nei passeggi è praticamente assente ogni protezione dagli agenti atmosferici.

Sono in allestimento una sala lettura, una sala di ascolto e una per l'uso dei computer. L'isolamento avviene nelle sezioni comuni. I colloqui avvengono tutti i giorni tranne la domenica. Esiste una bella ludoteca destinata ai colloqui dei detenuti con figli di età inferiore ai dodici anni. Il progetto è gestito da Telefono Azzurro e coinvolge circa 200 detenuti a seguito di richiesta degli stessi. Varie le attività organizzate. A fronte dei molti detenuti con problemi psichiatrici la direzione lamenta il disinteresse dei servizi esterni a garantire il servizio psichiatrico in carcere. I detenuti lavorano a rotazione: 1 mese ogni 6 per tutti i detenuti inseriti in graduatoria. Sta per essere attivato un corso di scuola media superiore per ragionieri e geometri.

20. Pordenone. Febbraio 2001. 73 detenuti per una capienza tollerabile di 38 persone. 1 direttore, 41 poliziotti, 2 educatori, 1 assistente sociale, uno psicologo, 1 medico, 4 guardie mediche, 6 le associazioni stabilmente presenti in istituto.

La struttura risale allontano 1100. Da sempre edificio pubblico, poi ospedale, dal primo Novecento carcere. 2 piani sono destinati alle sezioni. Al terzo c'è una cappella e una stanza non arredata che dovrebbe servire per le attività trattamentali. Gli uffici sono in uno stabile a parte. Tutto appare fatiscente. C'è molta umidità, i muri sono scrostati. Ci sono lavori in corso per adeguare la struttura al nuovo regolamento di esecuzione, anche se sembra che si stiano rifacendo le docce comuni. Il numero di detenuti per cella varia da 4 a 8. Il passaggio di luce naturale è decisamente insufficiente. Oltre alle grate le finestre sono coperte esteriormente da un pannello di plastica lucido che dovrebbe far passare la luce ma impedire di vedere dall'interno all'esterno e viceversa. La motivazione: il carcere è in centro città e i detenuti potrebbero comunicare con i passanti. Forti le proteste dei detenuti. I servizi igienici consistono in uno sgabuzzino con bagno alla turca. Le ore di aria giornaliera sono circa 3 e mezza. 8 quelle trascorse fuori cella per chi svolge attività organizzate, le quali si sono dimezzate perché la regione Friuli ha tagliato i fondi a disposizione per i corsi di formazione. Non vi sono mediatori culturali per gli stranieri. Sarebbero non più di 3 i casi di isolamento disciplinare in un anno. I colloqui si tengono 2 giorni per settimana, ossia mercoledì e sabato.

21. Potenza. Marzo 2001. Costruita nel 1958 e ristrutturata dopo il terremoto del 1980. 243 i detenuti, di cui 20 donne e il 70 % stranieri. Molti sono giunti a seguito di sfollamenti di carceri del Nord. Operano nel carcere 120 poliziotti, 1 educatore a tempo pieno e 1 part-time, 5 medici, 5 infermieri. Ci sono soprattutto volontari che seguono attività religiose. Non ci sono associazioni che operano in istituto. L'edificio si presenta in buone condizioni. Gli spazi sono ampi. Le sbarre delle celle lasciano passare luce sufficiente. La maggior parte delle detenute è composta da giovani di colore. La sezione femminile è meglio tenuta della maschile. Il direttore dice di avere disposto l'eliminazione dei vetri divisori nella sala colloqui. La sezione maschile è composta da due piani divisi da una copertura a rete. Il passeggio è ampio e dotato di servizi. Ogni piano ha una sala per la socialità e una infermeria. Vi è una sola cucina per tutto l'istituto. Dalle 18 e 30 vi è la chiusura definitiva in cella. 20-30 detenuti sono impegnati in lavori di amministrazione domestica, 70- 80 nei corsi di formazione professionale. È stato attivato un corso di scuola superiore per ragionieri. Il direttore preannuncia una convenzione con il comune per far partecipare alcuni detenuti ai lavori di riqualificazione dell'alveo del Basento.

22. Reggio Emilia, Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Giugno 2001. Oltre 220 gli internati, di cui la metà per omicidio o pluriomicidio. Crescente il numero di extracomunitari inviati da altre carceri per un periodo di osservazione a seguito di episodi ripetuti di autolesionismo. Fra i 10 e i 15 i semi-infermi di mente, spesso mescolati agli infermi totali. Una la direttrice, e due i vice. Tutti medici psichiatri. La struttura risale alla fine degli anni Ottanta. Le 124 celle, originariamente concepite come celle singole, ospitano quasi tutte 2 persone. 5 i reparti ciascuno con 2 consulenti psichiatri e 40 internati. 4 educatori e 45 infermieri. 98 i poliziotti. Molti di più di medici, infermieri, educatori e assistenti sociali sommati fra di loro. Vi sono progetti ad hoc per tossicodipendenti e alcoldipendenti, che seguono allevamenti di galline e conigli, e che partecipano a programmi di pet-therapy, ossia 5 cani seguiti da 10 internati. Nel V Reparto denominato Antares ci sono 36 persone in una sezione a custodia attenuata senza poliziotti. Qui le celle sono sempre aperte. Esiste un letto di contenzione per ogni reparto e l'uso delle fasce di contenzione, definito frequente, può durare al massimo, a detta del personale, 24-48 ore. L'attività di volontariato è discreta. Da anni viene pubblicata la rivista "Effatà", grazie anche al grande impegno del cappellano Don Daniele Simonazzi.

23. Rieti. Settembre 2001. 41 detenuti, 1 direttore, 39 agenti di polizia penitenziaria. Le celle hanno la disponibilità della doccia e dell'acqua calda. 6 colloqui visivi e 4 telefonate al mese vengono garantiti a tutti i detenuti come previsto dal nuovo regolamento di esecuzione. 13 persone lavorano in attività domestiche. I detenuti sono nella maggior parte tossicodipendenti locali. È in discussione la costruzione di un nuovo carcere, la cui ubicazione è fortemente contestata dai movimenti ambientalisti e da alcuni partiti in quanto molto vicino ad una falda acquifera da proteggere.

24. Roma, Regina Coeli. Luglio 2001. 1.000 detenuti circa di cui più o meno 600 stranieri. 1 direttore, 5 vice, 520 agenti, 10 educatori, 9 medici e 9 infermieri, 1 centro clinico, 1 biblioteca per reparto. L'istituto riproduce la forma del panottico ed è diviso in 8 bracci. Nel primo braccio vi sono i nuovi giunti, il secondo è chiuso, il terzo ospita i comuni (e negli anni del fascismo ha ospitato Sandro Pertini), il quarto i più anziani, il quinto i giovani adulti sino ai 25 anni, il sesto i lavoranti, il settimo sempre i nuovi giunti, l'ottavo gli isolati. Il sovraffollamento costante e gli spazi minimi fanno sì che l'ora d'aria si riduca a quaranta minuti a turno. La cucina è centralizzata e serve l'intero istituto. Sono attivate 6 classi di scuola elementare e 2 di scuola media.

25. Roma, Rebibbia Nuovo Complesso. Settembre 2001. 1.500 detenuti, 930 agenti, 16 educatori, 1 direttore e 5 vice. Ogni giorno manca per malattia l’11 % degli agenti. Molte le associazioni di volontariato e le cooperative sociali presenti di area cattolica e laica. C'è di tutto: dai detenuti sottoposti al regime duro del 41 bis secondo comma dell'Ordinamento Penitenziario, ai collaboratori di giustizia, sino ai transessuali. Il carcere è gestito in raccordo con il territorio. Vi è un'area verde per i colloqui con i familiari. Le docce sono 2 per sezione.

26. Roma, Rebibbia Femminile. Settembre 2001. È il più grande carcere femminile d'Italia con 333 detenute di cui oltre il 60 % straniere. 70 le tossicodipendenti, 10 le sieropositive. Vi è trattamento metadonico. 200 agenti donne e 50 agenti maschi. Il volontariato è meno presente rispetto agli altri istituti romani. La struttura è composta da due edifici di 3 piani ciascuno. Esiste un nido per i bimbi e le bimbe obbligati a stare con le madri. Esiste una sala giochi e un piccolo giardino. In biblioteca (8.000 volumi) ci lavora una detenuta. Vi sono tre livelli di scuole, dalla elementare al tecnico professionale per informatici. Ne sono escluse le donne recluse nella sezione di alta sicurezza.

27. Roma, ICATT, Terza Casa Rebibbia. Settembre 2001. 32 detenuti tossicodipendenti tutti italiani inseriti in un progetto di custodia attenuata. 60 gli agenti. Quasi il doppio come se fosse un'altissima sicurezza. Il Ser.T. ha un proprio presidio nell'istituto. Tutti i detenuti lavorano.

28. Roma, Casa Reclusione Rebibbia. Luglio 2001. 390 i detenuti, 230 gli agenti di polizia penitenziaria, 10 gli educatori, 1 direttore e 2 vice. Il carcere è composto da 3 edifici divisi in 6 sezioni. Ogni sezione ha circa 60-80 detenuti con 2 docce. Una sezione è per i collaboratori, una per i semiliberi e i lavoranti all'esterno, una è vuota al momento. Calcio, tennis, basket e bocce gli sport possibili. Esiste la possibilità di avere colloqui all'aperto in apposita area verde sia per i detenuti comuni che per i collaboratori. Molte le attività organizzate. Ci sono tutti gli ordini di scuola sino alle superiori con gli indirizzi commerciale e professionale per il turismo. 70 i tossicodipendenti senza trattamento metadonico. 132 gli occupati in lavori interni al carcere. È attivo un servizio di orientamento al lavoro del Comune di Roma.

29. Teramo. Aprile 2001. 280 detenuti, 2 educatori, 210 agenti di polizia penitenziaria, 5 volontari regolari. La struttura, nuova, è sviluppata su 4 piani ma risale ai cattivi tempi delle carceri d'oro. Il direttore ne lamenta la scarsa qualità. L'intero istituto è dotato di 24 docce nella sezione maschile e 5 in quella femminile. Le donne hanno una vera palestra, gli uomini una semiarrangiata. Vi è un campo di pallavolo e uno di calcio. I detenuti vivono a celle chiuse quando non vi sono attività trattamentali. Non vi è neanche un detenuto ammesso al lavoro all'esterno. 80 lavorano invece all'interno, seppur a turno, ossia ognuno per 10 giorni al mese. La Regione Abruzzi finanzia i corsi di formazione professionale. Le visite del magistrato di sorveglianza sono rare, circa l volta ogni 45 giorni. Non vi sono corsi di scuola superiore. Coloro i quali chiedono di parteciparvi vengono trasferiti in altre strutture dove sono invece attivati. Il personale medico è invece insufficiente rispetto ai bisogni e anche i fondi per i medicinali sono scarsi.

30. Trieste. Settembre 2001. Il carcere è al centro della città. 204 sono i detenuti. 112 i poliziotti. 2 gli educatori. 6 gli assistenti sociali. 6 i medici comprese le guardie mediche. 2 le associazioni di volontariato, entrambe cattoliche. Viene somministrato il metadone ai tossicodipendenti. Tra i farmaci maggiormente utilizzati prevalgono psicofarmaci e antidolorifici. Uno il direttore che è anche assessore comunale alla sicurezza in quota AN. Sostiene di avere molto a cuore il carcere e la sua igiene. La struttura, composta da 3 bracci, 2 sezioni, 51 celle, è ben tenuta. La sezione femminile è chiusa per lavori. I detenuti per cella sono in media 6. Non c'è doccia in cella. La struttura è tappezzata di insegne che "suggeriscono" i comportamenti corretti, ciò che è vietato, ciò che è sconsigliato: per esempio "dare del lei alle guardie" oppure "è severamente vietato farsi i tatuaggi". 4 le ore di aria giornaliere, che d'estate divengono quasi 6. Esistono vari ambienti per lo svolgimento di attività organizzate. Non vi sono mediatori culturali per stranieri. L'attuale sala colloqui è piccola e ha un muretto divisorio. C'è però una sala di attesa con un angoletto attrezzato con giochi per i bambini. Hanno intenzione di metterci anche un acquario. Molto frequenti le perquisizioni straordinarie nelle celle. Nel primo semestre 2001 80 le richieste di misure alternative, 27 le concessioni, 4 le revoche.

31. Turi. Dicembre 2000. 137 detenuti, 93 poliziotti, 1 direttore e 1 vice, 2 educatori. Il carcere è un ex convento del XIX secolo. Ogni modifica strutturale deve essere autorizzata dalla Sovrintendenza alle Belle Arti. Vi sono corsi specifici per i tossicodipendenti, dalla riabilitazione psico-motoria al teatro. Lavorano in 24 detenuti a rotazione fra loro. Un solo detenuto è in semilibertà. Inesistenti definiti i rapporti con il Comune.

32. Varese. Settembre 2001. È una casa circondariale che ospita circa 140 detenuti. Una direttrice, due educatori, 80 poliziotti. Buono è definito il rapporto fra il personale e i detenuti. La costruzione è del 1800 composta da un'unica sezione. Piano terra per i detenuti in attesa di giudizio, primo piano per i condannati in via definitiva, secondo piano per i lavoranti. Qui vi è uno sforzo per comporre celle omogenee per fumatori e non fumatori. Non vi è acqua calda in cella, nonostante quanto sia previsto dal nuovo regolamento di esecuzione. 2 le celle destinate all'isolamento. I colloqui si tengono per 2 giorni a settimana. Esiste un giornale interno e vengono organizzati corsi di cultura islamica. Molte le attività organizzate.

33. Velletri. Luglio 2001. 350 detenuti, 1 direttore, due vice, 200 agenti, 3 educatori, 7 volontari. Il carcere è lontano da tutto: non vi sono mezzi pubblici che lo collegano al centro. Una corsa di taxi dalla stazione più vicina, ossia Cisterna, costa circa 30 euro. Funzionano solo le scuole medie. Poche le informazioni fornite dai medici della struttura e scarse le opportunità di lavoro per i detenuti. Un solo detenuto gode del beneficio del lavoro all'esterno.

34. Verona. Marzo 2001. Uomini e donne, per un numero complessivo di oltre 500 detenuti. Nella sezione femminile opera la cooperativa Alchimia composta da detenute e non che vende fiori secchi. La cucina è in ottime condizioni. L'infermeria con 16 posti, per stessa ammissione dei funzionari, è un vero reparto di psichiatria, dato che c'è un notevole aumento di casi di disagio psichiatrico. Non vi sono corsi di formazione professionale in quanto la Regione Veneto non ne ha finanziato alcuno.

35. Vicenza. Marzo 2001. 220 detenuti, 150 agenti, 2 educatori, 1 direttrice, pochi volontari. La sezione di alta sicurezza ospita circa 50 detenuti. Il carcere è in fase di ristrutturazione, a partire dalla pavimentazione ad oggi mancante. L'atmosfera in carcere è meno plumbea che in passato. Per adeguarlo al nuovo regolamento, a dire degli operatori, andrebbe abbattuto e ricostruito secondo nuovi standard. Per le telefonate non si trova l'interprete per gli slavi e i turchi. Come in tutte le carceri gli interpreti sono pagati una miseria, ossia 4 euro l'ora. Non vi è mediazione culturale per gli stranieri. Circa 20 i detenuti che lavorano. Il Comune ha attivato una consulta per i problemi penitenziari, a cui partecipa l'assessore alle Politiche sociali (AN), un consigliere comunale di maggioranza e uno di opposizione, i rappresentanti delle associazioni. Sempre il Comune ha messo a disposizione un appartamento per la prima accoglienza agli ex detenuti.

36. Viterbo. Luglio 2001. Circa 500 i detenuti di cui il 60 % è composto da stranieri che a loro volta rappresentano ben 70 differenti nazionalità. 1 direttore, un paio di vice, 3 educatori e 410 agenti di cui 40 appartenenti al Gruppo operativo mobile (GOM) a cui è affidata la gestione dei detenuti ristretti nella sezione di massima sicurezza. Circa 50 i volontari. L'istituto è composto da 2 edifici gemelli. 2 docce ogni 40 detenuti, mentre ce ne dovrebbe essere 1 per cella. Esiste un giornalino interno intitolato "Arcobaleno". Pessimi sono definiti i rapporti con la ASL, positivo il rapporto con il Ser.T. Si pratica il trattamento metadonico. Sempre il Ser.T. ha dato vita, con fondi della Presidenza del Consiglio dei ministri (1 milione di euro) a un progetto pilota, condiviso con il carcere Due Palazzi di Padova, di terapia riabilitativa attraverso l'attenzione al colore e al corpo.

Esiste una tipografia dove viene stampata la rivista del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria "Le due città". Vengono definiti non buoni i rapporti con gli enti territoriali. La magistrata di sorveglianza ha la fama di essere dura e poco disponibile.

37. Voghera. Novembre 2001. Oltre 200 i detenuti. Molti ristretti in sezione di alta sicurezza. Per molti mesi il carcere è stato senza direttore, vicedirettori, educatori, comandante di reparto. Al momento vi è un direttore di recente nomina, mentre 2 educatori sono in missione per 2 giorni a settimana. Anche il comandante è in missione da fuori. Il carcere nell'immediato dopo-Genova/G8 ha ospitato nella sua sezione femminile le ragazze arrestate nel capoluogo ligure.

La sezione era stata precedentemente svuotata trasferendo per alcuni mesi i detenuti in altre carceri, addirittura a Rossano Calabro, con gravi disagi per le famiglie. Un solo detenuto è in semilibertà e 2 in regime di lavoro all'esterno. Anche qui nessuna speranza di avere le docce in cella, come invece previsto dal nuovo regolamento, e la biblioteca funziona solo con prestiti a domicilio, ossia in cella. I volontari si occupano di fornire vestiario ai più bisognosi. È attiva una lavanderia interna. Nella primavera del 2001 un gruppo di detenuti molto attivi definiti dall'amministrazione ad elevato indice di vigilanza vengono trasferiti e fra loro separati. Molte le interrogazioni parlamentari a difesa della loro libertà di espressione. Nel giardino del carcere vengono lasciati di guardia due cani che di notte circolano liberamente.

 

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