Il Consiglio d'Europa

 

Pena e diritti umani: l'apporto del Consiglio d'Europa

di Cristiana Bianco

 

La dignità umana è inviolabile. Essa dovrà essere rispettata e protetta 

 

Il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea invoca i valori indivisibili e universali della dignità umana, di libertà, eguaglianza e di solidarietà tanto che il primo capitolo si intitola semplicemente "dignità".

In questa prospettiva la protezione della persona umana diviene nel diritto una esigenza di ordine etico, ma allo stesso tempo i diritti dell'uomo non si confondono mai con l'etica perché il diritto crea sempre un bilanciamento e una mediazione tra dei valori da tutelare e delle situazioni concrete che si verificano che vanno storicizzate.

All'interno del Consiglio d'Europa, l'Europa dei 44 Stati, i diritti dell'uomo in prigione, la questione della pena e della pena come privazione della libertà, possono essere analizzati alla luce di diversi strumenti di protezione.

I lavori del Comitato per i problemi criminali che sono di natura dottrinale ma che mirano a ispirare una politica criminale comune.

Le regole penitenziarie europee contenute nella Raccomandazione R ( 87) 3 del Comitato dei ministri degli Stati membri, riviste nel 1997 e indirizzate ai legislatori nazionali.

La Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987 il cui meccanismo di controllo è costituito dalle visite nei luoghi di privazione della libertà del Comitato per la prevenzione della tortura (di seguito CPT).

Infine la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (di seguito CEDH) e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che interviene ogni volta che una persona o uno Stato, dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, introduce un ricorso con il quale si lamenta della violazione di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione.

La Corte agisce nella logica di un controllo esterno indipendente e terzo, ma rappresenta comunque l'intervento di una istanza giudiziaria che si sviluppa su dei casi individuali. La sentenza della Corte interviene a .posteriori e se con stata la violazione di un diritto garantito si impone allo Stato e nello stesso tempo è chiamata a fornire una linea di condotta agli altri Stati parti della Convenzione. Infine è importante sottolineare che la Convenzione è uno strumento vivo e che le sue disposizioni sono interpretate dalla Corte in maniera dinamica ed evolutiva.

 

11.1

Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

in tema di detenzione

 

Nella CEDH la dignità è onnipresente e assente. Onnipresente perché essa fonda e giustifica la gran parte delle sue disposizioni. Assente perché il termine non è utilizzato nella Convenzione e poco nella giurisprudenza della Corte. Nella CEDH la dignità è allo stesso tempo un principio e un diritto, un principio di esplicazione e di interpretazione dei diritti garantiti e un diritto che si articola attraverso gli altri diritti, in particolare la libertà e l'eguaglianza e la si può ritrovare nell'insieme degli altri diritti.

Pur se alcune disposizioni toccano direttamente o indirettamente la questione della pena, in effetti la CEDH non è elaborata in maniera specifica per i detenuti (cfr. art. 10 del Patto delle Nazioni Unite), ciò vuol dire che la Convenzione non contiene disposizioni proprie che garantiscano la situazione di detenzione. Al riguardo per esempio il diritto ad un contatto confidenziale con l'avvocato, il diritto a delle cure adeguate, o il diritto a un ricorso contro il trattamento in detenzione. Alcuni autori considerano che la Convenzione è inadatta alla situazione delle persone detenute. Nel 1990, in seguito a un convegno sul futuro della Convenzione c'è stato un momento in cui si è pensato di aggiungere un protocollo addizionale alla Convenzione che contenesse i diritti particolari delle persone private della libertà; nel settembre 2000, su mandato dei delegati dei ministri, il Comitato per i diritti dell'uomo è stato incaricato di elaborare uno studio sulla opportunità e fattibilità di questo protocollo che dovrebbe essere completo per la fine del 2002. Lo studio sarà effettuato su un testo elaborato nel 1994.

Due sono le difficoltà fondamentali da analizzare:

dal punto di vista sostanziale come concedere il riconoscimento di diritti fondamentali nel contesto di una istituzione totale, dove la libertà e l'eccezione e non la regola?

dal punto di vista procedurale; se delle garanzie esistono per i detenuti, bisogna prendere delle misure per garantirne l'effettività? La Corte Europea può intervenire solo se è adita e solo dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, dunque, se l'accesso dei detenuti alle giurisdizioni interne è già cosa difficile in ragione della loro vulnerabilità sociale, sicuramente è ancora più difficile per quanto riguarda le giurisdizioni internazionali. Inoltre risulta sempre più difficile per i detenuti provare di aver subito dei trattamenti contrari alla Convenzione, cosa che spesso impedisce di arrivare ad una condanna. Pertanto la possibilità dell'intervento di terzi davanti alla Corte prevista dall'articolo 36 della Convenzione merita di essere valutata.

 

11.1.1. I diritti garantiti: l'interdizione della tortura

e delle pene o trattamenti inumani o degradanti

 

Struttura dell'articolo 3

 

La Corte ha più volte ripetuto che l'articolo 3 della Convenzione contiene uno dei valori fondamentali delle società democratiche e richiede una vigilanza estrema. Contiene una garanzia assoluta, anche nelle situazioni più difficili nella lotta contro il terrorismo o il crimine organizzato ed è un diritto inderogabile, cioè non prevede né restrizioni né deroghe, contrariamente ad altre disposizioni della Convenzione, e non consente un margine di apprezzamento agli Stati. Le persone possiedono tale diritto in ragione della dignità della persona umana, quali che siano gli atti che hanno commesso. In assenza di comportamenti vietati è la Corte che deve procedere a una interpretazione autonoma, evolutiva e dinamica alla luce delle condizioni di vita attuali. È necessario sottolineare che l'interpretazione dell'articolo 3, che consacra uno standard minimo nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali della Corte, contrasta con la preoccupazione del CPT che, nell'esercizio delle sue funzioni punta a identificare delle situazioni più ampie. Leggendo i rapporti del CPT si deve constatare che le situazioni suscettibili di rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3 sono frequenti e più ampie, prendendo forme sempre più diverse. L'articolo 3 non precisa quali sono i comportamenti attesi a titolo di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti. In generale è sottoposto a tre condizioni di applicazione: l'elemento intenzionale; una soglia di gravità minima da cui scaturisce il dibattito sulla banalizzazione dell'uso di questa disposizione e l'assenza di giustificazione.

  1. L'elemento intenzionale pone il problema di tutte le questioni dei trattamenti obiettivamente inumani come il sovraffollamento carcerario e il continuo trasferimento dei detenuti.

  2. Per quanto riguarda la soglia minima di gravità la Corte ha a più riprese ricordato che un "maltrattamento" dovrà raggiungere una soglia minima di gravità per arrivare alla constatazione della violazione dell'articolo 3, con una possibilità di degradare in altre disposizioni della Convenzione, in particolare l'articolo 8, se questa soglia non è raggiunta. L'apprezzamento di questo standard minimo è relativo e dipende dalla durata del trattamento, dai suoi effetti e a volte dal sesso, dall'età e dalle condizioni di salute della vittima, in alcuni casi anche dalla sua vulnerabilità. La mancanza di cure mediche adeguate a volte, infatti, può costituire un trattamento contrario all’articolo 3. In particolare, per constatare se il trattamento o la sanzione in questione è incompatibile con le esigenze dell'articolo 3, è necessario, nel caso dei malati mentali, tenere in considerazione la loro vulnerabilità e le loro incapacità di lamentarsi in maniera coerente o di lamentarsi degli effetti che quel trattamento ha su di loro. La Corte ha anche sottolineato l'esistenza di obbligazioni positive che pesano sullo Stato di prendere le misure appropriate a impedire che dei trattamenti contrari all'articolo 3 vengano perpetrati nei confronti delle persone private della libertà, ed ha riconosciuto la violazione dell'articolo 3, quando, essendo la violazione difendibile ma non provabile, c'è stata una negligenza dello Stato in questione nel mettere in atto e portare avanti una inchiesta effettiva che miri alla identificazione dei colpevoli. Proprio in due casi recenti contro l'Italia, la Corte ha nuovamente sottolineato che quando un individuo sostiene di aver subito dei trattamenti contrari all'articolo 3, questa disposizione combinata con il dovere generale imposto agli Stati dall'articolo 1 della Convenzione, impone l'attivazione di una inchiesta effettiva che deve portare alla identificazione dei responsabili se vi è il sospetto che l'interessato abbia subito maltrattamenti. Al contrario in due sentenze, l'una riguardante la detenzione di un malato mentale nella sezione psichiatrica della prigione e l'altra sul trattamento degli omosessuali durante il servizio militare non è stata riconosciuta la violazione dell'articolo 3 perché la soglia di gravità non era stata raggiunta. In un altro caso recente contro l'Inghilterra, che riguardava il suicidio di un giovane detenuto sofferente mentale e messo in isolamento, la Corte ha stabilito che l'inflizione di una sanzione disciplinare pesante - sette giorni di isolamento nella sezione disciplinare e ventotto giorni di detenzione supplementare - due settimane dopo i fatti accaduti e solo nove giorni prima della data prevista per il termine della pena, che sicuramente ha minato la resistenza fisica e mentale del ricorrente, non è compatibile con il livello minimo di trattamento richiesto per un malato mentale. Questa sanzione ha costituito dunque per la Corte un trattamento e una pena inumana e degradante.Una nuova questione che potrà porsi sempre più all'attenzione della Corte sarà quella di sapere se le condizioni degli stranieri che sono internati per provvedimenti amministrativi o in attesa di espulsione - devono soddisfare la stessa soglia di gravità richiesta per i detenuti "comuni".

  3. Infine terzo elemento è l'assenza di giustificazione. Sempre quando una persona è privata della libertà, questa si trova in una situazione di particolare vulnerabilità, l'utilizzazione per esempio della forza psichica che non è strettamente necessaria è sicuramente lesiva della dignità umana. Per quanto concerne i detenuti le sofferenze dovranno superare quelle che sono "le esigenze legittime della pena". La questione sarà comprendere quali sono queste esigenze legittime della pena. Si potrà sostenere che una reclusione che mette in pericolo gli obiettivi stessi della detenzione, quali la prevenzione e la risocializzazione, è di per sé capace di costituire un trattamento inumano o degradante?

 

Le condizioni di detenzione

 

La Corte ha indicato che, per quanto concerne il campo di applicazione dell'articolo 3, la detenzione ordinaria non vi rientra in quanto tale. Nella sentenza Raninem contro Finlandia del 16 dicembre 1997, per esempio, la Corte ha affermato che l'uso delle manette non si può considerare una importante violazione dell'articolo 3 nella misura in cui non eccede le necessità e non espone una persona alla degradazione pubblica.

Nel caso Bollan contro Inghilterra che riguardava il mantenimento di un detenuto nella sua cella per ragioni disciplinari e che lo ha condotto al suicidio, la decisione di irricevibilità della Corte del 4 maggio 2000, a differenza di quanto disposto nella sentenza Keenan contro Inghilterra del 3 aprile 2001 citata, si è fondata sul fatto che gli elementi raccolti nel corso dell'inchiesta hanno confermato che non vi era alcuna ragione di pensare che questi rischiava di suicidarsi ed inoltre la detenzione dell'interessato nella sua cella fu di breve durata. In un altro caso, invece, che concerneva una giovane donna handicappata nei quattro arti, vittima della talidomine, che si lamentava delle condizioni di detenzione incompatibile con il suo stato, la Corte ha riconosciuto che le condizioni di detenzione a cui era stata sottoposta in virtù dei suoi problemi fisici hanno costituito un trattamento degradante ai sensi dell'articolo 3.

La Corte sanziona le forme di maltrattamenti che sono inflitti volontariamente in maniera violenta e non giustificata. Nel caso Ayadin contro Turchia del 25 settembre 1997, la violenza sessuale durante una detenzione è stata assimilata alla tortura. Sull'assenza di cure in prigione la giurisprudenza della Commissione si è evoluta, il diritto di beneficiare di cure mediche adeguate riconosciuta nel caso Hurtado contro Svizzera del 28 gennaio 1994 si traduce in un'obbligazione positiva degli Stati di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà.

Per quanto concerne i malati mentali, sono stati presentati molti ricorsi concernenti maltrattamenti contrari ai diritti dell'uomo nelle istituzioni psichiatriche giudiziarie, in particolare è stata discussa l'assenza di una terapia adeguata e l'utilizzazione dei mezzi di contenzione. Nel caso Herczegfalvy contro Austria, del 24 settembre 1992, la Commissione ha riscontrato la violazione dell'articolo 3 sulla base di più elementi: la maniera in cui i mezzi di contenzione medici erano stati inflitti (i neurolettici), il fatto di aver privato il ricorrente di forze poiché lui faceva lo sciopero della fame e il suo isolamento era di lunga durata. La Commissione non è stata però seguita dalla Corte che ha più volte affermato e sviluppato la teoria della necessità terapeutica dei mezzi di contenzione.

In un interessante caso contro il Belgio che riguardava la detenzione di un internato nella sezione psichiatrica di una prigione, la Commissione ha affermato che le autorità devono tener conto delle esigenze particolari della detenzione e sono responsabili dello stato di salute e dei detenuti che gli sono affidati. La Commissione ha in questo caso citato il rapporto del CPT sul Belgio che aveva affermato che le condizioni della prigione in esame non rispondevano né dal punto di vista dei diritti dell'uomo, né dal punto di vista etico, ai minimi requisiti.

Per quanto riguarda le condizioni di isolamento dei detenuti per ragioni disciplinari o di sicurezza, gli elementi che la Corte ha preso in considerazione per valutare se vi era stato un comportamento contrario all'articolo 3 sono diversi e la giurisprudenza si è molto evoluta. Nel caso Krocher e Moller contro Svizzera del 1978, la Commissione considerò le condizioni del ricorrente ristretto in una prigione di alta sicurezza, in isolamento, senza alcuna comunicazione con l'esterno, sorvegliato da una videocamera, costretto ad avere la luce accesa durante tutta la notte per 10 settimane, come non violazione dell'articolo 3. Sono passati venti anni da questo tipo di decisioni e in questi ultimi anni la Corte ha sempre affermato che l'isolamento totale può distruggere la personalità del soggetto e che è necessario valutare la necessità e la giustificazione di tale misura.

Nei casi analizzati dalla Corte in relazione all'Italia e ai detenuti nelle sezioni destinate ai detenuti sottoposti all'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario italiano, la Corte, che non può sostituirsi alle giurisdizioni interne nel valutare l'opportunità di una legge, ha sempre ricordato che le condizioni di detenzione che tale regime comporta non sono abbastanza gravi da costituire una violazione dell'articolo 3. La Corte ha inoltre affermato che tale regime così severo trova una giustificazione nella legge (articolo 8 della Convenzione) e che comunque l'isolamento a cui sottopone le persone non è mai totale. Sono però stati presi in considerazione altri aspetti conseguenziali a tale regime che hanno portato alla condanna dell'Italia per violazione degli articoli 8 e 13. In alcuni di questi casi la Corte ha richiamato il Rapporto del CPT sulla visita effettuata in Italia nel 1995, in cui il Comitato sottolineava che il regime di cui all'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario doveva essere oggetto di un riesame, poiché non risultava di semplice comprensione il rapporto tra gli obiettivi di tale regime e le restrizioni a cui erano sottoposti alcuni detenuti e raccomandava di prendere misure urgenti per modificare tale regime speciale. Il Parlamento italiano ha nuovamente prorogato l'applicabilità di tale regime fino alla fine del 2002 per cui bisognerà attendere nuove pronunce della Corte per valutare se delle misure di urgenza di tal tipo possano essere prese per 10 anni senza che ciò leda alcun diritto garantito dalla Convenzione.

Una questione critica è quella delle prove dei maltrattamenti, dopo la sentenza Tomasi contro Francia del 27 agosto 1992, che è il leading case. Un elemento nuovo introdotto è stato l'inversione dell'onere della prova: le autorità che non hanno delle spiegazioni plausibili da portare alle doglianze dei detenuti che sono entrati in prigione in buona salute e che ne escono affetti da ferite o malattie dovranno essere considerate responsabili.

Allo stato attuale delle cose l'articolo 3 potrebbe essere utilizzato per interrogare la Corte riguardo alcuni diritti fondamentali che sono messi a rischio condizioni di vita in prigione: il sovraffollamento, l'insufficienza di regole d'igiene (docce e accesso ai servizi troppo poco frequente), l'indigenza e la povertà che non permettono l'acquisto di generi di prima necessità, l'assenza di intimità anche per i bisogni corporali, l'obbligo d'indossare i pigiami tutta la giornata per gli internati, l'uso dei mezzi di contenzione, le perquisizioni invasive frequenti e a volte inutili, l'isolamento tanto sensoriale che sociale, i trasferimenti incessanti dei detenuti.

Ci si potrebbe domandare se la reclusione in sé, che mette in pericolo gli obiettivi costituzionali della detenzione come la prevenzione e il reinserimento, è suscettibile di costituire un trattamento inumano e degradante.

 

11.1.2. Il diritto alla libertà e alla vita privata e familiare

 

Il diritto alla libertà e alla sicurezza, l'articolo 5 della Convenzione

 

L 'articolo 5 determina le eccezioni al principio della libertà che sono tassative e determinate, ed è la sola disposizione che concerne in maniera specifica la detenzione. Ai termini di tale articolo la privazione della libertà deve rispondere a una delle ipotesi pronunciate nel testo; deve essere pronunciata conformemente alla legge; deve essere regolare. Le condizioni sono quindi la legalità, la legittimità e la proporzionalità.

La Corte dà un significato autonomo alla detenzione in seguito a una condanna definitiva ed è evidente che non si pronuncia sulla legittimità della pena ma solo sul carattere regolare della detenzione, in ogni caso la detenzione deve essere disposta a seguito di una decisione sulla privazione della libertà presa da un giudice. Ci deve però sempre essere una relazione tra la giustificazione della privazione della libertà e le condizioni di detenzione. Per esempio nel caso della detenzione di un malato mentale non è legale la detenzione se non in una struttura adeguata. Nel caso Aerts contro il Belgio citato, l'innovazione principale introdotta è il necessario collegamento tra la privazione della libertà e le modalità di esecuzione della pena.

La regolarità e la legalità della pena sono legate a un controllo giudiziario.

L'esigenza di tale controllo è oggi particolarmente criticata quando si applicano misure di sicurezza, spesso di durata indeterminata contro i delinquenti recidivi, i malati mentali, i minori e in rapporto alle pene di lunga durata.

 

Il diritto al rispetto della vita privata e familiare, l’articolo 8 della Convenzione

 

L'articolo 8, molto utilizzato sul terreno dei diritti dei detenuti è un diritto a protezione relativa, da una parte il diritto è affermato, dall'altra deve sottostare a una serie di limitazioni che obbligano la Corte a considerare le ragioni dello Stato. Le deroghe o le limitazioni sono possibili se previste dalla legge (legalità), se perseguono un interesse legittimo (legittimità) e se sono necessarie in una società democratica e per la realizzazione di certi obiettivi (proporzionalità e sussidiarietà).

Con la sentenza Golder contro Inghilterra del 21 febbraio 1975 per la prima volta la Corte ha applicato il principio delle limitazioni legittime: tutte le limitazioni ai diritti garantiti, egualmente ai diritti dei detenuti, devono essere legittime. La detenzione implica come sola pena la privazione della libertà fisica, tutte le altre limitazioni dovranno essere soggette alle condizioni di legalità, legittimità e proporzionalità.

I casi principali che sono stati posti alla Corte dal 1990 al 2001 riguardano la corrispondenza dei detenuti. Le questioni di cui la Corte è stata adita riguardano i diversi tipi di censura penitenziaria: lettere aperte, missive lette, limitazioni al contenuto delle lettere inviate, controllo della corrispondenza con l'avvocato, con la Commissione e la Corte, rifiuto della corrispondenza quale sanzione disciplinare. Le violazioni della Convenzione che sono state constatate si sono basate sia su una carenza di base legale, sia sulla base del criterio di proporzionalità. Il leading case è stata la sentenza Silver e altri contro Inghilterra del 25 marzo 1983 in cui le limitazioni risultavano da circolari ministeriali e le norme non erano descritte con precisione. Da allora questa giurisprudenza si è evoluta e anche l'Italia ha ricevuto molte condanne che hanno contribuito ad ampliare i criteri di valutazione. Nei due casi Calogero Diana e Dominichini contro Italia del 15 novembre 1996, i detenuti erano condannati all'ergastolo per reati legati al terrorismo. La legge italiana non precisava in quali casi il visto di censura poteva essere introdotto e non esisteva alcuna via di ricorso avverso tale provvedimento. In particolare la Commissione ha riconosciuto che i ricorrenti non disponevano di una protezione minima richiesta per i cittadini in uno Stato di diritto.

Nel caso Dominichini in particolare la Commissione ha constatato egualmente una violazione dell'articolo 6 della Convenzione a causa del ritardo dell'invio delle lettere del ricorrente al suo avvocato, che aveva comportato una violazione del diritto di difesa. Inoltre fu constatata la violazione dell'articolo 13 della convenzione in ragione dell'assenza di un ricorso effettivo. Da allora, non essendoci stato alcun intervento normativo a riguardo, tranne la modifica del regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario, che ha introdotto un articolo che riguarda solo la libertà della corrispondenza con gli organismi internazionali e in particolare con la Corte, l'Italia è stata condannata diverse volte, in ultimo nel 2001.

 

11.2

Il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura:

raccomandazioni generali

 

Il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti (di seguito CPT) è stato creato dalla Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987 che porta lo stesso nome (in seguito Convenzione).

Afferma l'articolo 1 della Convenzione: «è istituito un Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti... Per mezzo delle visite, il Comitato esamina il trattamento delle persone private della libertà in vista di rinforzare, nei casi richiesti, la loro protezione contro la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti».

Il lavoro del CPT è conosciuto come una parte integrante del sistema di protezione dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, che ha creato un meccanismo non giudiziario "pro-actif" in parallelo al meccanismo giudiziario di controllo a posteriori della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. L'obiettivo che ha ispirato nel 1987 la Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti era di dare concretezza al divieto di tali atti, già posto dall'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Il CPT esercita le sue funzioni, essenzialmente preventive, attraverso un sistema di visite nei luoghi in cui le persone sono private della libertà da una autorità pubblica: prigioni, centri di detenzione per minori, posti di polizia, caserme militari, ospedali psichiatrici, centri di detenzione per richiedenti asilo o altre categorie di stranieri e altro. Le visite possono essere di due tipi: periodiche e ad hoc. Le visite periodiche sono effettuate in tutti gli Stati parte della Convenzione su una base regolare. Le visite ad hoc sono effettuate negli stessi Stati dove al Comitato sembra che alcune circostanze lo esigano.

Il Comitato è tenuto a notificare allo Stato interessato la sua intenzione di effettuare una visita ma non è tenuto a precisare la data esatta. Il diritto del governo a obiettare riguardo al momento o al luogo di una visita è alquanto limitato. Quando effettua una visita, il CPT beneficia dei poteri a lui attribuiti dalla Convenzione: l'accesso al territorio dello Stato e il diritto di muoversi senza restrizioni; la possibilità di recarsi a suo piacimento in qualunque luogo di detenzione e visitarlo senza alcun impedimento; l'accesso a tutte le informazioni complete sui luoghi dove si trovano le persone private della libertà così come a tutte le altre informazioni di cui dispone lo Stato parte e che il Comitato ritiene necessarie. Il Comitato può inoltre intrattenersi senza testimoni con le persone private della libertà e entrare in contatto liberamente con tutte le persone che pensa possano fornirgli informazioni utili.

Il CPT svolge il suo compito rispettando i principi di cooperazione e confidenzialità. A questo proposito si deve sottolineare che il ruolo del CPT non è di condannare gli Stati ma piuttosto di assisterli al fine di cercare le vie e i mezzi che possano condurre a standard accettabili per il trattamento delle persone private della libertà.

Dopo ogni visita il CPT redige un rapporto in cui espone i fatti contestati che comportano, se necessario, delle raccomandazioni e dei consigli, sulla base dei quali si instaura un dialogo costante con lo Stato interessato. Il Rapporto da esso redatto è in principio confidenziale, fino a quando lo Stato sceglie di renderlo pubblico. Quando lo Stato non collabora o rifiuta di tener conto delle Raccomandazioni del Comitato, quest'ultimo può decidere - in casi eccezionali - di fare una dichiarazione pubblica di biasimo.

Nel 2001 il CPT ha effettuato 18 visite (15 nel 2000) e il 4 dicembre 2001 ha annunciato le prossime visite per il 2002 che dovrebbero essere 11.

Nei differenti Rapporti Generali descrittivi della propria attività che il CPT pubblica ogni anno, il Comitato espone le linee guida a cui ispirarsi. Dal 1992 il Comitato ha effettuato più di 100 visite e il numero dei paesi membri della Convenzione è raddoppiato. Naturalmente le norme del CPT per quanto concerne la privazione della libertà si sono evolute alla luce delle nuove situazioni con le quali si è confrontato e dell'esperienza che ha acquisito.

I capitoli riguardanti la detenzione nelle caserme della polizia; la reclusione; la formazione del personale incaricato dell'applicazione della legge e dei servizi medici all'interno della prigione; la detenzione delle persone trattenute in virtù della legislazione relativa all'entrata e al soggiorno degli stranieri; la detenzione non volontaria in istituti psichiatrici e dei minori privati della libertà sono tutti riuniti in un unico documento aggiornato il 16 ottobre 2001.

Nei futuri rapporti generali sono previste relazioni supplementari sul trattamento delle donne private della libertà e sui locali di detenzione militare il CPT accorda un'attenzione speciale a tutte le denunce di maltrattamenti fatte dai detenuti che possono esprimersi in numerose forme e che possono essere il risultato di una volontà specifica ma anche di insufficienze nell'organizzazione interna.

La qualità generale della vita negli istituti o nei luoghi destinati alla detenzione riveste quindi per il CPT una importanza considerevole. Questa qualità della vita dipenderà in gran parte dalle attività proposte ai detenuti e dallo stato d'insieme dei rapporti tra il personale e i detenuti. Durante le sue visite il CPT ha rilevato che in molte prigioni destinate a detenuti in attesa di giudizio le attività sono estremamente limitate e ha constatato che l'obiettivo dovrà essere di assicurare che tali categorie di detenuti siano messe in condizione di passare una parte ragionevole della giornata (otto ore o più) fuori dalle loro celle e occupati in attività motivanti di diversa natura. Negli istituti destinati alla reclusione di condannati definitivi tale regime dovrà essere ancora più aperto. Il CPT considera che l'esercizio di attività all'aperto dovrebbe far parte integrante del programma di trattamento e sottolinea che tutti i detenuti, senza eccezione alcuna (ivi compresi quelli in isolamento a titolo disciplinare) devono beneficiare quotidianamente di un'attività all'aperto in aree adeguate, spaziose e, dove è possibile, dotate di una copertura dalle intemperie. Particolarmente preoccupanti sono gli istituti dove la combinazione di sovraffollamento, regime povero di attività e un accesso inadeguato ai servizi e ai locali sanitari rendono le condizioni particolarmente drammatiche.

Egualmente essenziale è concedere la possibilità di mantenere buoni contatti con il mondo esterno.

Il personale penitenziario viene costretto a volte a ricorrere alla forza o all'utilizzo di mezzi di contenzione: queste situazioni sono chiaramente ad alto rischio perché possono comportare dei maltrattamenti nei riguardi dei detenuti e meritano garanzie specifiche. Un detenuto nei riguardi del quale è stata utilizzata la forza ha il diritto di essere visitato immediatamente da un medico e, se necessario, ricevere le cure adeguate. Questi esami non dovranno essere ascoltati né registrati, né dovranno avvenire alla presenza del personale penitenziario, i risultati dell'esame inoltre dovranno essere consegnati e tenuti a disposizione del detenuto. Nei rari casi in cui risulterà necessario ricorrere ai mezzi di contenzione fisica i soggetti sottoposti dovranno essere sorvegliati in maniera costante e adeguata. Gli strumenti di contenzione dovranno essere tolti il più presto possibile e la loro utilizzazione non dovrà mai essere prolungata a titolo di sanzione. Infine un registro dovrà essere tenuto dove deve essere segnalato qualunque caso in cui la forza è stata utilizzata contro i detenuti. I detenuti dovranno disporre di vie di ricorso tanto all'interno del sistema penitenziario che fuori di questo così come dovranno beneficiare della possibilità di accesso privilegiato ad una autorità appropriata.

Il CPT riconosce un'importanza particolare a che delle visite regolari di tutti gli istituti penitenziari siano effettuate da un organo indipendente, abilitato a ricevere le doglianze dei detenuti e a visitare i luoghi di detenzione.

È inoltre nell'interesse dei detenuti e del personale che le procedure disciplinari siano chiare. Tutte le zone d'ombra in questo ambito comportano il rischio di vedere svilupparsi un sistema non ufficiale e non controllato di sanzioni. Le procedure disciplinari dovranno assicurare ai detenuti il diritto di essere ascoltati in relazione alle infrazioni contestate e di poter presentare appello ad un'autorità superiore su tutte le sanzioni imposte. In parallelo alle procedure disciplinari formali esistono spesso altre procedure in virtù delle quali un detenuto può essere separato non volontariamente dagli altri detenuti per ragioni disciplinari o di sicurezza. Anche queste procedure dovranno essere sottoposte a garanzie efficaci, i detenuti dovranno essere informati per iscritto delle ragioni delle misure prese nei loro confronti e avere la possibilità di esprimere il loro punto di vista sulla questione davanti ad una autorità appropriata.

Il CPT accorda una importanza particolare ai detenuti che - per una ragione disciplinare, di sicurezza o su loro richiesta - si trovano in condizioni di isolamento. Un equilibrio va sempre trovato tra le esigenze contenitive e la messa in pratica di un regime di isolamento che, in certe condizioni, può costituire un trattamento inumano e degradante. In ogni caso le forme di isolamento dovranno avere la durata più breve possibile. Una garanzia fondamentale, una volta che questo regime si impone è che quando il detenuto o un soggetto del personale per lui sollecita l'intervento di un medico, questo sia chiamato immediatamente per esaminare il detenuto e le conclusioni dell'esame dovranno figurare in un rapporto scritto che va trasmesso alle autorità competenti.

Infine è necessario sottolineare che il trasferimento continuo dei detenuti da un istituto ad altro può avere conseguenze nefaste sulla salute e sullo stato psichico dei soggetti interessati, e comporta che questi soggetti avranno maggiori difficoltà a mantenere i rapporti con la famiglia e l'avvocato. L'effetto dei costanti trasferimenti potrà costituire, in alcune circostanze, un trattamento inumano e degradante.

 

11.2.1. Relazione tra il personale e i detenuti

 

La pietra angolare di un sistema penitenziario umano sarà sempre un personale seriamente reclutato e formato, che sappia adoperare l'attitudine appropriata nelle relazioni con i detenuti e che viva il proprio lavoro più come una vocazione che come un semplice impiego. Sfortunatamente il CPT ha spesso constatato che le relazioni tra il personale penitenziario e i detenuti hanno una natura formale e rigida, poiché il personale considera la comunicazione verbale con i detenuti un aspetto formale del proprio lavoro. Le prassi seguenti, frequentemente osservate dal CPT sono sintomatiche di un tale approccio: costringere i detenuti a girarsi faccia al muro nell'attesa di un incontro con il personale o quando passano dei visitatori; ordinare ai detenuti di camminare a testa bassa e con le mani giunte dietro la schiena quando si muovono all'interno dell'istituto; mostrare il manganello in una maniera ostentata se non provocatoria.

Tali pratiche non sono necessarie dal punto di vista della sicurezza e non contribuiscono per nulla allo sviluppo delle relazioni positive tra il personale e i detenuti. Lo sviluppo di relazioni costruttive e positive non solo può ridurre il rischio di maltrattamenti, ma può anche rinforzare il controllo e la sicurezza. In compenso ciò renderà il lavoro del personale più gratificante. Tutto ciò dipende egualmente dalla presenza in ogni momento della giornata, di un personale in numero adeguato nelle sezioni di detenzione e nei luoghi frequentati dai detenuti. È necessario comunque notare che dove il personale è in numero inadeguato sono necessarie un numero di ore supplementari di lavoro per mantenere un livello minimo di sicurezza negli istituti e, un tale stato di cose, può generare un alto livello di stress e di burn out nel personale.

 

11.2.2. Violenze tra i detenuti

 

L'obbligo di vigilanza dei detenuti che incombe sul personale penitenziario ingloba la responsabilità di proteggerli contro gli altri detenuti. In effetti incidenti violenti tra detenuti sono comuni in tutti i sistemi penitenziari e comprendono una grande varietà di fenomeni, che vanno da forme sottili di molestie a intimidazioni latenti o ad aggressioni fisiche gravi. Una strategia efficace contro gli atti di violenza tra detenuti esige che il personale penitenziario sia in misura sufficiente tale da esercitare convenientemente la sua autorità e la sua funzione di supervisione. Il personale penitenziario dovrà essere attento ai segni di disordine e essere allo stesso tempo determinato e formato in maniera appropriata per intervenire quando ciò si rivela necessario. Pertanto è necessario che il personale possieda qualificazioni appropriate nell'ambito della comunicazione interpersonale.

Inoltre il sistema penitenziario deve affrontare la questione della classificazione e della ripartizione appropriata dei detenuti. I detenuti indagati o condannati per delitti di carattere sessuale sono particolarmente esposti a un alto rischio di aggressioni da parte degli altri ristretti. Una politica di separazione di questi detenuti dal resto della popolazione detenuta è spesso la soluzione adottata. Tuttavia i detenuti in questione rischiano di pagare un prezzo molto elevato in termini di limitazione alla partecipazione ai programmi di trattamento. Un altro approccio possibile consiste in una politica di dispersione dei detenuti in questione all'interno del carcere, ma perché tale approccio riesca è necessario che sia garantita l'integrazione dei detenuti nelle sezioni di detenzione ordinarie. In particolare il personale penitenziario deve essere pronto a reprimere in maniera ferma tutte le manifestazioni di ostilità o le persecuzioni attuate nei riguardi di tali detenuti. Un terzo approccio può consistere in un trasferimento dei detenuti verso un altro istituto penitenziario, accompagnati da misure che tendano a dissimulare la natura delle loro infrazioni. Ciascuna di tali politiche ha dei vantaggi e degli inconvenienti, e il CPT non si pronuncia in favore di alcun approccio piuttosto che di un altro.

 

11.2.3. Sovraffollamento carcerario

 

Il fenomeno del sovraffollamento carcerario mina gravemente i tentativi fatti per migliorare le condizioni di detenzione in Europa. Il CPT ha potuto constatare negli anni un progressivo aumento del tasso di incarcerazione e, di conseguenza, un sovraffollamento sempre più grave. Il fatto che uno Stato incarcera un così elevato numero di cittadini non può giustificarsi in maniera convincente come conseguenza di un alto tasso di criminalità. Esiste una responsabilità delle autorità legislative e giudiziarie. Pertanto, investire ingenti somme di danaro nella costruzione di nuovi istituti penitenziari non costituisce una soluzione. Bisogna piuttosto rivedere le legislazioni e le normative in vigore in materia pena le, così come il ventaglio delle sanzioni non privative della libertà disponibili.

Tale è l'approccio individuato dalIa Raccomandazione n. R (99) 22 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sul sovraffollamento delle prigioni e l'inflazione carceraria. Il CPT spera vivamente che i principi enunciati in questo testo siano applicati dagli Stati membri; la messa in opera di questa Raccomandazione merita di essere sorvegliata dal Consiglio d'Europa.

 

11.2.4. Accesso alla luce naturale e all'aria

 

Il CPT ha osservato frequentemente l'esistenza di dispositivi, come imposte o placche metalliche davanti le finestre delle celle che privano i detenuti di un accesso alla luce durante il giorno e impediscono all'aria di penetrare nei locali.

Tali dispositivi sono frequenti nelle case circondariali. Eventuali misure di tal tipo devono costituire l'eccezione e non la regola. Ciò suppone che le autorità competenti esaminino la posizione di ogni detenuto individualmente per determinare se le specifiche misure di sicurezza si giustificano nel suo caso. Inoltre, anche se tali misure sono necessarie, queste non dovranno mai implicare che i detenuti in questione siano privati della luce di giorno e dell'aria. Si tratta di elementi fondamentali della vita dei quali ciascun detenuto ha diritto; inoltre l'assenza dei suddetti elementi genera condizioni favorevoli alla diffusione di malattie e, in particolare, alla tubercolosi. Il CPT riconosce che la creazione di condizioni di vita decenti negli istituti penitenziari si rivela costosa, tuttavia l'eliminazione dei dispositivi che ostruiscono le finestre dei locali destinati all'alloggiamento dei detenuti non dovrebbe causare investimenti eccessivi.

 

11.2.5. Malattie trasmissibili

 

La diffusione delle malattie trasmissibili e, in particolare, della tubercolosi, dell'epatite e del virus dell'AIDS è divenuta una preoccupazione di salute pubblica nella maggior parte di alcuni paesi europei. A questo riguardo il CPT si è visto a più riprese costretto a esprimere delle serie preoccupazioni sulla inadeguatezza delle misure messe in atto per trattare questi problemi. Inoltre ha constatato spesso che le condizioni materiali nelle quali erano alloggiati i detenuti non potevano che favorire la propagazione della malattie. A prescindere dalle difficoltà riscontrate, il fatto di privare una persona della sua libertà implica sempre l'obbligo di occuparsene con metodi efficaci di prevenzione. L'utilizzazione di metodi efficaci di diagnosi, l'approvvigionamento regolare di medicinali, la disponibilità del personale a controllare che i detenuti assumano i medicamenti prescritti nelle giuste dosi e nei giusti tempi, costituiscono gli elementi essenziali di una strategia efficace tendente a combattere le malattie sumenzionate e a prevedere cure adeguate ai detenuti. Inoltre le condizioni materiali di alloggiamento dei detenuti portatori di malattie trasmissibili devono essere adeguate al miglioramento del loro stato di salute.

Inoltre i detenuti affetti da malattie trasmissibili non devono essere separati dal resto della popolazione detenuta, a meno che una tale misura non sia strettamente necessaria per ragioni mediche certificate. A tal proposito, il CPT tiene a sottolineare che non vi è alcuna giustificazione medica che consenta la segregazione di un detenuto per il solo motivo che è risultato positivo al virus dell'HIV.

Al fine di dissipare qualunque dubbio su tali questioni, incombe alle autorità nazionali fare una sorta di programma completo di educazione sulle malattie trasmissibili, sui modi di trasmissione e sui mezzi di protezione, sia ai detenuti che al personale, nonché mettere in opera misure preventive adeguate. È necessario sottolineare egualmente che deve essere data la possibilità di avere informazioni e consigli adeguati. Le informazioni relative ai pazienti devono essere coperte dal segreto medico e, per principio, tutti gli interventi in questo senso devono essere fondati sul chiaro consenso delle persone interessate. Il CPT tiene a sottolineare che la continuità terapeutica deve essere garantita dopo la liberazione.

 

11.2.6. Reparti di alta sicurezza

 

In tutti i paesi visitati è presente un certo numero di detenuti considerati pericolosi e che richiedono di conseguenza particolari condizioni di detenzione. Tale classificazione deriva dalla natura delle infrazioni che hanno commesso, dalla maniera in cui reagiscono alle ristrettezze della vita in prigione o dal loro profilo psicologico/psichiatrico. Questo gruppo di detenuti non dovrebbe rappresentare che una minima parte della popolazione penitenziaria totale. Ciononostante questi sono un gruppo che preoccupano particolarmente il CPT, poiché la necessità di prendere delle misure eccezionali nei loro riguardi comporta un rischio di trattamenti inumani e degradanti più elevato. I detenuti collocati in tali sezioni di alta sicurezza dovranno avere la possibilità di incontrare altri detenuti dello stesso reparto e di vedersi proporre una larga scelta di attività. Sforzi particolari dovranno essere fatti per promuovere una buona atmosfera all'interno delle unità di alta sicurezza, l'obiettivo dovrà essere d'instaurare delle relazioni positive tra il personale e i detenuti. L'esistenza di un programma di attività sufficiente è tanto più importante in un reparto di alta sicurezza che in un reparto ordinario.

Va da sé che un detenuto non deve essere sottomesso a un regime speciale di detenzione più tempo di quanto esiga il rischio che lui rappresenta, è necessario quindi rivedere regolarmente la decisione relativa alla reclusione in tali unità. Inoltre i detenuti dovranno essere informati circa i motivi in base ai quali devono essere reclusi in tali reparti e le motivazioni del rinnovo della decisione; ciò permetterà loro di fare un uso effettivo delle vie di ricorso interno contro tali misure.

 

11.2.7. Condannati a vita o detenuti che scontano pene di lunga durata

 

In numerosi paesi europei il numero dei detenuti condannati a una pena perpetua o di detenuti che scontano pene di lunga durata è in aumento. Nel corso delle sue visite il CPT ha constatato che la situazione di questi detenuti lascia a desiderare in relazione alle condizioni materiali, ai programmi di attività e alle possibilità di contatti umani. Inoltre un elevato numero di questi detenuti è sottomesso a restrizioni speciali tali da inasprire gli effetti deleteri associati a un imprigionamento di lunga durata. Il CPT non trova alcuna giustificazione per un'applicazione di restrizioni ulteriori a tutti i detenuti condannati all'ergastolo o a lunga pena detentiva. Tutte le reclusioni di lunga durata possono comportare effetti desocializzanti sui detenuti, alcuni di questi detenuti possono essere affetti da una serie di problemi psicologici (come la perdita di stima in se stessi e il deterioramento delle capacità sociali) e tendono a distaccarsi sempre più dalla società nella quale la maggior parte di loro dovrà ritornare. Il CPT è dell'avviso che il regime proposto ai detenuti che scontano pene di lunga durata deve essere tale da compensare questi effetti in maniera positiva e attiva.

I detenuti in questione dovranno avere accesso a un largo ventaglio di attività motivanti e variegate, in più dovranno essere messi in grado di esercitare un livello di scelta quanto alla maniera di occupare il loro tempo, ciò stimolerà il loro senso di autonomia e di responsabilità personale. Delle misure supplementari dovranno essere prese per conferire un senso alla loro incarcerazione, più precisamente, programmi di trattamento individualizzati e un sostegno psicologico appropriato sono importanti per aiutare questi condannati ad affrontare la loro condanna e, al momento appropriato, la loro liberazione.

 

Precedente Home Su Successiva