Piacenza: kit salva-vita

 

AIDS, un kit salva-vita per proteggere i detenuti

 

Libertà - Quotidiano di Piacenza, 2 giugno 2003

 

Un kit formato da uno spazzolino da denti, un tagliaunghie, una salvietta battericida, un rasoio da barba usa e getta. Per chi è costretto a trascorrere i propri giorni rinchiuso dietro le sbarre di un carcere, la possibilità di prevenire la diffusione dell'Aids si fonda sulla banalità di questi oggetti. Tuttavia il minimo indispensabile per consentire l'osservanza delle più elementari regole d'igiene non è appannaggio di tutti i detenuti: i più poveri o i più abbandonati, come gli stranieri, spesso non possono contare neppure su questi semplici strumenti.

È anche per questa ragione, legata a necessità molto concrete, che è nato il progetto dell'assessorato ai Servizi sociali dell'Emilia Romagna, denominato "Hiv e carcere", con la distribuzione del kit ai 1300 ospiti negli istituti di pena di Piacenza, Bologna e Rimini. Il penitenziario cittadino delle Novate è stato il capofila di questa complessa campagna di sensibilizzazione imperniata sulla lotta al contagio, che fra i promotori annovera anche il Ministero della Giustizia, l'azienda Usl di Rimini, l'Amministrazione penitenziaria e la Lega Italiana per la lotta contro l'Aids. Gli operatori della Lila hanno varcato la soglia del carcere, per stabilire un contatto con tutti i circa 280 detenuti presenti a Piacenza.

"L'obiettivo primario della nostra azione - spiega Elena Prati, presidentessa provinciale della Lila, che insieme a Sara Trimarchi ha svolto il lavoro - era acquisire conoscenze sul livello di informazione dei detenuti e delle detenute sull'Hiv: per questo abbiamo distribuito a ciascuno di loro un questionario in 7 lingue. C'è stata un grande spirito collaborazione degli ospiti: quasi la totalità dei moduli sono stati restituiti compilati. In seguito abbiamo consegnato un opuscolo informativo sui rischi dell'Aids, e poi è stata la volta di una seconda somministrazione del questionario identico al primo, finalizzata a valutare se le nozioni trasmesse erano state effettivamente recepite".

"L'indagine ci ha rivelato - ha precisato Prati - che i detenuti delle Novate dispongono di un grado di coscienza sul problema Aids in sintonia con quello diffuso nell'intera società, senza differenze significative". "Le donne - aggiunge - sono molto più informate dei maschi, ma i più consapevoli dei rischi naturalmente sono i tossicodipendenti: presenti nei penitenziari italiani, e pure in quello piacentino, in una percentuale di circa il 30%. Di questi, le stime ci dicono che un terzo sono sieropositivi". Ma spesso chi finisce in galera non si presta a fare il test, che è facoltativo, perché dietro le sbarre lo stigma è molto più forte che fuori. "L'unica risposta possibile nelle condizioni attuali - sostengono gli operatori della Lila - è quella dell'informazione e del rispetto dell'igiene".

 

 

 

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