O.P.G. di Montelupo Fiorentino

 

Inchiesta sull'O.P.G. di Montelupo Fiorentino (FI)

 

Incontro con Franco Scarpa, direttore dell'O.P.G. di Montelupo Fiorentino


Montelupo Fiorentino si trova a sud ovest di Firenze, da cui dista 25 chilometri, nel punto di confluenza della Val di Pesa, dove l'Arno inizia il suo tratto pianeggiante fino al mare. Cittadina di diecimila abitanti, la sua origine risale alla fine del Medioevo con la costruzione del castello che tuttora domina l'abitato. Nel Rinascimento, per la sua posizione strategica, divenne un importante centro militare e un sobborgo produttivo di Firenze, con numerose fabbriche di ceramica, una tradizione tuttora viva e di cui restano pregevoli testimonianze storiche nel museo cittadino. Alla fine del Cinquecento, alla periferia della città, fu edificata la Villa Medicea dell'Ambrogiana, una delle residenze extraurbane favorite del principe, utilizzata soprattutto nei periodi della caccia. A forma quadrata, con quattro torri agli angoli, attorno alla prima metà del Seicento, sotto Ferdinando II dei Medici, la dimora fu ulteriormente ampliata, con un giardino all'italiana e una porta fluviale che la collegava all'Arno. Dopo i moti insurrezionali del 1848, la villa fu abbandonata dalla corte di Leopoldo II d'Asburgo Lorena, ultimo Granduca di Toscana. Utilizzata, in seguito, come "Spedale dei Dementi Acuti", poi come Stabilimento Correzionale Femminile e ancora per il ricovero dei minorenni, nel 1886 fu definitivamente destinata a Manicomio Criminale, il primo del Regno d'Italia. Lavori di ristrutturazione e la costruzione del muro di cinta, realizzato agli inizi del Novecento, definirono il complesso architettonico nello stato in cui si trova oggi. Dopo la legge di riforma del 1975, anche il manicomio di Montelupo Fiorentino ha assunto la denominazione di Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Alla sua direzione è stato chiamato dal 1986 il dottor Franco Scarpa, 49 anni, medico con tre specializzazioni, originario di Torre del Greco. Il direttore è impegnato non solo ad affrontare i gravi problemi di gestione che un ospedale psichiatrico giudiziario comporta, ma a collaborare affinché il grande patrimonio architettonico e artistico della Villa Medicea possa essere restituito alla fruizione pubblica. Da anni, infatti, il Comune di Montelupo ha avviato un vivace dibattito sulle iniziative da adottare per valorizzare l'imponente costruzione e il parco che la circonda, oggetto quest'ultimo già di un piano avanzato di ristrutturazione a verde pubblico attrezzato.
Il dottor Scarpa ci riceve nel suo studio al piano terra ed entra subito nel merito.

"Nel 1986, quando assunsi l'incarico di direttore - racconta - Montelupo Fiorentino era una realtà abbastanza particolare, che soffriva di un rapporto contrastato con il tessuto sociale in cui era inserito. I tentativi di chiusura di queste istituzioni, che restano un ibrido tra funzione custodiale e sanitaria, infatti, sono sempre stati molto sentiti in Toscana. Io sono arrivato nel momento della firma di un protocollo d'intesa dell'allora direttore generale Amato, che prevedeva proprio una serie di passi che avrebbero portato al superamento dell'istituzione O.P.G.. Questo, da un lato. Dall'altro, ho trovato una situazione molto fertile nei rapporti con l'esterno. L'istituto usciva da un periodo in cui era stato fortemente penalizzato dalla presenza numerosa di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Questo aveva portato l'O.P.G. ad essere molto chiuso e controllato. Pian piano, però, questa situazione si è risolta, riavviando il rapporto con l'esterno e potenziando gli aspetti sanitari".

Quanti sono ad oggi gli internati?
"Sono circa 190, provenienti in prevalenza dal centro-nord, con rare presenze della Sicilia, della Campania o della Puglia. L'età media degli internati è sui quaranta anni, e la permanenza media, tenuto conto che abbiamo misure di sicurezza di 2, 5 e 10 anni, non supera i 4 anni, i 4 anni e mezzo. Questo significa che abbiamo pochissime persone che hanno superato la misura di sicurezza massima di 10 anni".

Come sono sistemati gli internati?
"In stanze da tre o cinque letti, che nei casi di affollamento diventano sei".

Quali sono le emergenze più sentite in questo momento?
"Innanzitutto la carenza di personale, l'affollamento dei pazienti e l'inadeguatezza della struttura, un po' vecchiotta, che ha urgente bisogno di interventi. I locali destinati agli internati, in particolare, sono anni che non sono restaurati".

Nella sua esperienza ha rilevato una variazione significativa delle patologie presenti tra i pazienti del suo istituto?
"Se fino al 1984 gli ospedali psichiatrici giudiziari erano luoghi molto frequentati da soggetti appartenenti alla delinquenza organizzata, oggi chi vi arriva è veramente malato e rivelano in un certo senso il fallimento della società civile. Mi riferisco soprattutto a giovani psicotici, a persone che commettono reati in famiglia, dove i rapporti sociali sono sempre più acuti".

C'è un rapporto tra la bassa scolarizzazione e la presenza degli internati?
"Dire più sei povero più sei schizofrenico è banale e semplicistico. La verità è che essere povero e essere schizofrenico è un doppio stigma e questo fa sì che le cure che ricevi sono più basse e quindi la cronicizzazione è più facile. Di conseguenza è abbastanza scontato affermare che nel nostro istituto, come in tutti gli O.P.G., la scolarità è molto bassa. È un fenomeno però che sta lentamente cambiando. Cominciamo ad avere ragazzi molto giovani, con un diploma superiore, che si macchiano di reati".
Allarmata dell'aumento delle presenze dei giovani si dichiara anche la dottoressa Stefania Matteucci, originaria di Empoli, dal 1996 vicedirettore a Montelupo Fiorentino che afferma: "Negli ultimi anni c'è un aumento di giovani che hanno fatto uso delle nuove droghe, un dato questo estremamente allarmante e forse un po' troppo sottovalutato, che crea ulteriore disgregazione nelle famiglie colpite. Sono spesso proprio i genitori a denunciare i loro congiunti, ormai impossibilitati a controllarli. Atti laceranti e dolorosi che pagano poi in termini di sensi di colpa. Noi dovremmo fare anche qui un'azione preventiva, nell'accogliere e aiutare questi familiari".
Anche Albert Ndunda, medico, 49 anni, originario del Congo, è convinto che bisogna lavorare di più all'esterno, quando afferma: "Bisogna creare una maggiore sinergia con le associazioni e le comunità cittadine, in modo che il lavoro fatto da noi nell'istituto possa proseguire nel migliore dei modi all'esterno, prima del definitivo reinserimento".

Come si svolge la vita all'interno dell'istituto?
"Innanzitutto ci sono delle scadenze legate ai controlli della Polizia penitenziaria, le così dette conte, sveglia, apertura, chiusura. I reparti sono quattro, uno di ingresso e di accoglienza e di osservazione iniziale, uno riservato ai giudicabili, con le misure di sicurezza provvisorie, e due per i definitivi. È ovvio che l'impegno di tutti, anche della Polizia penitenziaria, è finalizzato a rendere l'O.P.G. sempre più sanitario e meno custodiale. A questo aggiungerei un'altra cosa che contraddistingue l'istituto da me diretto: di essere molto aperto al territorio. Il trattamento psichiatrico non si fa in una struttura chiusa. Se sono necessarie delle momentanee misure di sicurezza, si devono prevedere momenti d'uscita, percorsi di trattamento dentro e fuori la struttura, ma soprattutto fuori, a contatto con il sociale. Solo in quest'ottica tutta la serie di attività, i corsi di formazione, o le attività di socializzazione potranno avere uno sbocco applicativo nella società e costituire reali risorse per gli internati una volta fuori. Quello che mi preme soprattutto sottolineare è che sono le attività esterne le più utili per la riabilitazione dei nostri pazienti. Abbiamo una media di 20-25 persone che, grazie all'ottimo rapporto con gli enti locali, ogni settimana escono dall'istituto con permessi brevi. Di solito sono accompagnati o da familiari o da nostri operatori, come infermieri o obiettori di coscienza. Anche il progetto dell'associazione dei "Ritrovati" permette a cinque o sei pazienti alla volta, tre giorni la settimana, di frequentare la biblioteca del Comune, dove partecipano a diverse attività. Abbiamo anche una polisportiva, composta da operatori e da pazienti, che periodicamente organizza attività all'esterno con tornei di calcio e di pallavolo. Un'altra manifestazione che sta ottenendo grande successo è la gara podistica, alla quale partecipano oltre duecento atleti, che si organizza annualmente nel parco che circonda l'istituto".

Quanti sono i pazienti occupati?
"Solo la metà, purtroppo. Il problema grosso dei pazienti psichiatrici, infatti, è proprio riuscire a stimolarli. Vorrei sottolineare che il lavoro è una cosa importante, un passo fondamentale per la riabilitazione della persona, un percorso di costruzione, di avvicinamento al lavoro, che culmina in un eventuale inserimento in una cooperativa sociale, o comunque con un inserimento lavorativo sul territorio. Si comincia con un corso di orientamento gestito da un operatore esperto di inserimenti lavorativi, che svolge una sorta di lavoro sulle motivazioni, individua le tipologie, le esperienze e le competenze. Successivamente, si passa a un tirocinio, che può avvenire in una cooperativa sociale, o in un'azienda esterna e, infine, l'inserimento lavorativo vero e proprio. Abbiamo anche la collaborazione di una cooperativa di tipo B, dove i nostri pazienti possono lavorare. In media quattro prestano servizio, occupandosi della manutenzione del parco che circonda l'istituto".

Che rapporto hanno i cittadini di Montelupo con l'O.P.G.?
"Come ho già ricordato, la storia di Montelupo Fiorentino è particolarmente contrastata. D'altro canto la bella villa che ci ospita, con i suoi ampi spazi e affreschi d'epoca, è una struttura appetibile, e potrebbe essere utilizzata in un'attività più consona a quelle che sono le esigenze storiche del territorio. E su questo noi come Amministrazione ci siamo dichiarati sempre molto disponibili. Nel 1986 questa era una struttura chiusa, non entrava nessuno e uscivano in pochi. Oggi in questa struttura si entra in molti. Una o due volte al mese, organizziamo assieme al Comune che fornisce la guida, visite della villa".

Il suo è un istituto, quindi, che colloquia molto con il territorio?
"Sono convinto che, anche se collocato storicamente all'interno dell'Amministrazione penitenziaria, l'O.P.G. deve essere un luogo sì ristretto, per motivi di sicurezza, ma sempre più aperto e in stretto collegamento con il territorio, e che usa gli stessi sistemi di trattamento del territorio. Non vi è una psichiatria giudiziaria e una psichiatria territoriale, ma un'unica psichiatria che si realizza nel territorio".

Dove porterà questo processo di apertura?
"Il punto chiave di questo discorso che faccio dell'apertura sul territorio deve portare alla regionalizzazione degli istituti. Questo modello, dei sei istituti attualmente esistenti in Italia, dovrà a mio parere essere superato. È difficile comunicare, ad esempio, con Aziende sanitarie che sono a Venezia o a Milano. La distanza sicuramente non facilita".

Qual è il suo sogno nel cassetto?
"Come accade negli altri Paesi europei, che hanno sì dei manicomi giudiziari, ma non hanno guardie, non hanno muri di cinta, né sentinelle, ma esercitano sorveglianza e custodia in una cornice strettamente sanitaria, mi auguro che si arrivi presto a questa condizione anche in Italia. La Commissione europea per la prevenzione delle torture è venuta in questo istituto due anni fa e, seppure non abbia rilevato situazioni di carattere oppressivo, ha evidenziato l'inadeguatezza di questa struttura. Sono, infatti, convinto che l'O.P.G. possa superare le difficoltà insite nella sua struttura, aprendosi sempre più sul territorio, così che l'interno porti all'esterno e il territorio entri nell'istituto e porti le sue dinamiche. Ed è questa la prerogativa essenziale, anche storica, dell'istituto da me diretto".

Parlano gli infermieri

 

Patrizia Napoli, originaria della Sardegna, infermiera professionale dell'Amministrazione penitenziaria, da quattro anni a Montelupo, lavora nella sezione "aperta" Arno, e dichiara: "Quando è cominciato questo progetto di riabilitazione, e sono state aperte le celle, eravamo tante infermiere, mentre oggi siamo solo in due, e a volte resto anche da sola. Abbiamo grosse difficoltà che si aggiungono alla struttura fatiscente, che ci fa lavorare male anche nelle situazioni più semplici. Per i pazienti non abbiamo né biancheria a sufficienza, né vestiti, né attrezzatura per poterli lavare. Da quattro anni gli infermieri stanno scappando, e non si vede nessun miglioramento". Delle gravi difficoltà che si devono affrontare quotidianamente parla anche Susanna Di Piazza, originaria di Firenze, infermiera da cinque anni. "Le emergenze maggiori - afferma - sono relative a quei pazienti che soffrono di scompensi gravi e di manifestazioni autolesive, in cui è maggiormente necessario il nostro supporto ad altre figure professionali come lo psichiatra e il medico di guardia. È veramente impegnativo lavorare in un contesto scomodo dove, per esempio, manca anche l'ascensore e portare fuori un paziente per un'emergenza diventa un problema. Per migliorare il nostro lavoro ci vorrebbe più personale e poter disporre di maggiore facilità per l'attività di riabilitazione. Purtroppo l'Amministrazione ha sempre tempi lunghissimi! Anche le differenze contrattuali tra noi infermieri dell'Amministrazione e quelli delle ASL, hanno la loro importanza, non solo per un fatto di remunerazione, ma per il diverso trattamento di livello contrattuale".

Parlano gli educatori

 

Marina Fedeli, educatrice, originaria di Firenze, dal 1983 a Montelupo Fiorentino, racconta: "Nell'istituto le attività proposte sono diverse, dai corsi di falegnameria a quelli di legatoria, da quelli di ceramica al giardinaggio. Altre attività sono poi indirizzate ad internati con problematiche di tossicodipendenza o alcoldipendenza. Un altro corso molto apprezzato è anche quello ortoflorovivaistico. Nel 1983, quando sono entrata nell'Amministrazione penitenziaria, eravamo al secondo concorso per educatore, allora una figura ancora in via di sperimentazione. Le attività si muovevano lentamente e con il passare degli anni, almeno qui a Montelupo Fiorentino, queste figure professionali sono andate scomparendo e oggi si possono contare sulle dita di una mano. Per fortuna possiamo contare su molti volontari, che provengono dall'Associazione volontari penitenziari di Firenze, che si occupano tra l'altro dell'accompagnamento all'esterno degli internati. Altri enti e associazioni come l'ARCI collaborano con noi, mandandoci degli obiettori di coscienza che, devo dire, sono molto bravi e preparati. Quello che noto tra i nostri pazienti, è il rapido abbassamento dell'età, specie in quei soggetti dediti all'uso di sostanze stupefacenti". Marinella Cioni è educatore professionale e coordina un gruppo di lettura. Impegnata a leggere e commentare assieme ai pazienti Il piccolo principe di Saint Exupéry, parla così della sua esperienza: "Leggiamo un capitolino ogni mattina e poi passiamo ai commenti. I suggerimenti che questo libro propone sono tanti. Nel gruppo ci sono diversi livelli, sia culturali che di attenzione. In questo gruppo specifico, poi, abbiamo evidenziato soprattutto gli obiettivi cognitivi e di socializzazione, quindi l'importanza di riflettere e condividere con gli altri quello che sentiamo. Questo è il primo testo che stiamo leggendo e contiamo di proseguire sulle proposte degli stessi pazienti, magari testi come Pinocchio, opere un po' fiabesche, che possano stimolare maggiormente la riflessione". Paolo Lizzadro, originario della provincia di Potenza, 32 anni, che sta compiendo il tirocinio come animatore di comunità presso l'istituto, racconta: "Tra le varie attività di cui mi occupo, seguo alcuni pazienti nelle uscite esterne, con obiettivi di reinserimento sociale. Quando usciamo, andiamo al supermercato a fare la spesa e poi andiamo in una parrocchia che ci ospita, dove cuciniamo e pranziamo tutti assieme. Sono questi momenti di grande aggregazione che hanno una forte influenza riabilitativa sui pazienti".

"Spiragli" di vita


L'O.P.G. di Montelupo Fiorentino ha un giornale bimestrale: Spiragli. Un foglio su cui scrivono i pazienti e alcuni operatori, coordinati da due volontari esterni. Un modo per continuare un dialogo col mondo esterno e commentare gli avvenimenti dell'attualità, ma anche un foglio su cui i pazienti possono esprimere le proprie ansie e i propri sogni.

Parla la psicologa

Maria Antonietta Lettieri di Roma, psicologa, dal 1984 nell'Amministrazione e a Montelupo, così racconta il suo impegno professionale: "Qui la popolazione è molto diversificata e io mi occupo prevalentemente di quei pazienti che non sono in fase di acuzie e le cui condizioni in qualche modo consentono una minima reazione terapeutica. A causa del mio monte ore estremamente limitato, passato da 64 a 56, per ben 220 pazienti, intervengo prevalentemente su casi che mi sono segnalati da altri colleghi psichiatri. Cerco allora di conoscere questi pazienti e di lavorare sul loro percorso evolutivo, sui motivi che li hanno condotti qui. Mi occupo prevalentemente del reparto aperto dell'Ambrogiana, dove si trovano i pazienti che sono già in una fase di superamento di grave scompenso. Alcuni di loro li seguo da molti anni. Il lavoro va fatto paziente per paziente, rispettando i tempi interiori. Ultimamente siamo molto allarmati, perché stiamo assistendo a un fenomeno che sta invadendo una fascia di giovani, che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti, queste nuove sostanze che si stanno un po' diffondendo nel mercato, allucinogeni, anfetamine, che hanno un potere disgregante con danni irreversibili. Sono pazienti arrivati a uno stato di totale scompenso, con disintegrazione della personalità. I pazienti che abbiamo sono dei veri pazienti psichiatrici che avevano espresso già la loro problematica quando erano fuori, nel territorio. È necessario, quindi, che ci sia una fase intermedia, prima del rientro. E non sempre il rientro nel territorio è possibile ed utile, specie quando il reato è accaduto in famiglia. Quello che è certo è che non c'è una formula, un principio valido per tutti i casi. Bisogna però convincersi che anche la malattia mentale è un momento della persona, e che quel momento non significa necessariamente l'interruzione dell'esistenza".

Parla la Polizia Penitenziaria

L'ispettore superiore Adriano Rigatti, 53 anni, originario di Montelupo, comandante di reparto dal 1994, mette subito il dito sulla piaga: "In questo istituto - dichiara - c'è mancanza di personale. Attualmente coordino 80-85 unità, compreso il Nucleo traduzioni, oggi assolutamente insufficienti rispetto alle 115 unità di circa otto anni fa quando, a seguito di trasferimenti e congedi, il personale è andato sempre più diminuendo. Se a questo, poi, si aggiunge che parte dei miei collaboratori sono anziani, il quadro si complica ancora di più. Il trattamento degli internati di un O.P.G., infatti, è molto diverso rispetto a quello di un semplice carcere. Nel corso degli anni una grossa difficoltà è sempre stata la carenza di personale qualificato, anche se si cerca di ovviare a questo con corsi di aggiornamento. Ci vorrebbe, però, molto di più. Per rapportarsi con questo tipo di soggetti c'è bisogno di un taglio culturale particolare. Non si possono gestire come se fossero detenuti. Un'altra cosa, a mio avviso molto importante, è riuscire a lavorare, anche al di là del ruolo custodiale che ci è assegnato, armonizzando la nostra azione con gli altri operatori, medici, infermieri, educatori, psicologi. Più riusciamo a fare lavoro di gruppo, più opereremo al meglio nel senso del recupero e della riabilitazione. Non va infine dimenticato che siamo costretti a lavorare in una struttura che non corrisponde più ai canoni minimi. Avremmo bisogno, ad esempio, di reparti più piccoli, per superare il problema della promiscuità. Il nostro istituto è un grosso contenitore in cui siamo costretti a far convivere varie specificità caratteriali e culturali. Credo che una struttura ideale dovrebbe essere formata da piccoli reparti in cui raccogliere gli internati sia per tipologia giuridica sia per caratteristiche affini. Se dobbiamo migliorare, dobbiamo fare un passo avanti, con una struttura più adeguata, con un personale di Polizia penitenziaria con una preparazione più mirata. Non è possibile che un giorno alle otto l'istituto sia ospedale, alle nove carcere e alle undici torni ad essere ospedale. Bisogna uscire da questa ambiguità".
L'assistente capo Alessandro Lucchesi, 38 anni, originario di Empoli, e a Montelupo dal 1983, è addetto all'ufficio servizi, pur dichiarandosi contento del proprio lavoro, lamenta la carenza di personale per provvedere convenientemente a tutti servizi.

Il Sovrintendente Vincenzo Chirico, campano, dal 1978 all'O.P.G. ed attualmente addetto all'ufficio conti correnti dei detenuti, è ormai radicato nella cittadina, con la quale ha instaurato un buon rapporto. Per sé e i propri colleghi di lavoro auspica corsi di aggiornamento che possano migliorare la preparazione professionale. "Siamo sempre costretti ad operare su tre quadranti", afferma il sovrintendente Rosario Di Bella, dal 1981 a Montelupo. Responsabile di unità operativa e addetto alla sicurezza, organizza i turni con grosse difficoltà, proprio a causa della carenza di personale.

Il sovrintendente Mosè D'Anzi, originario della Basilicata, dal 1994 nell'istituto, si occupa del servizio a turno, dei controlli e della sicurezza. "Un impegno difficile, anche per la patologia degli internati", anche se si dichiara soddisfatto del proprio lavoro. L'agente scelto Domenico Stravino, originario di Maddaloni, dal 1998 nell'istituto, si occupa del servizio a turno. "Le difficoltà maggiori si incontrano - dichiara - quando non abbiamo a che fare con malati, ma con detenuti pericolosi. Situazioni delicate, in cui bisogna usare metodi diversi con persone dello stesso reparto e magari della stessa stanza". Difficoltà di adattamento ha incontrato invece l'agente scelto Luisa De Simone, campana, da sei anni a Montelupo e da pochi mesi in segreteria, proveniente dal servizio a turno. "Il rapporto con i cittadini di Montelupo, afferma, per chi viene dal Sud non è sempre facile".

"Anche io ho trovato qualche difficoltà all'inizio", dichiara l'assistente amministrativo Concetta Prestia, dal 1982 nell'Amministrazione e dal 1994 a Montelupo. E, aggiunge, "sono riuscita ad inserirmi in un ambiente che resta ancora molto provinciale. Mi occupo di quel personale sanitario, convenzionato a parcella, con contratti dalla tipologia diversa e osservo che ancora troppa burocrazia rallenta la macchina amministrativa".

L'istituto in cifre

Tipo: Ospedale Psichiatrico Giudiziario
Indirizzo: Viale Umberto I, 64 50056 Montelupo Fiorentino
Anno di costruzione: XVI secolo
Modello architettonico: villa medicea
Composizione Istituto: due sezioni per 4 Reparti in totale (Torre, Arno, Pesa, Ambrogiana)
Capienza internati: 202
Presenza effettiva: 190
Numero sezioni: 2
Numero celle:118

Strutture


Strutture sportive: Campo sportivo per calcio a cinque e pallavolo - tennis - palestra - area verde per calcio
Ricreative: Biblioteca - sala cinema e attività varie
Religiose: Cappella per Santa Messa il sabato
Lavorative: Attività lavorative in Istituto (Mof - Officina - Inservienti - Scrivani - Cucina - Lavanderia)
Spazi sociali: Sala ritrovo in ogni reparto

 

Attività


Attività scolastiche: Corso di 150 ore Scuola Media - Corso di alfabetizzazione - N. 1 internato inserito nel Polo universitario regionale
Attività culturali: Corsi di teatro - musica - pittura - multimedialità
Attività ricreative: Corso di attività motoria - Varie attività sono organizzzate nei singoli Reparti
Altre attività: Corso di formazione professionale in ceramica, falegnameria, legatoria, informatica

 

Rapporti con l'esterno


Volontariato: CIAO (Centro Iniziativa Ascolto ed Orientamento) - Volontari individuali - Associazione Volontari penitenziari
Enti Locali: Comune Montelupo Fiorentino - Circondario Comuni Empolese Valdelsa - Provincia di Firenze - Regione Toscana
Altri Enti: Associazione ARCI - Pubblica Assistenza - Parrocchia Ambrogiana


Dati relativi al personale


Personale maschile Polizia penitenziaria: 79
Personale femminile Polizia penitenziaria: 4
Personale area educativa: 2 Educatori coordinatori, 2 Psicologi, 1 Assistente sociale,
Personale area sanitaria: 5 Medici di ruolo, 4 Medici incaricati, 8 Psichiatri, 5 Medici SIAS consulenti speciali, 2 Educatori riabilitativi, 15 Infermieri Professionisti di ruolo

 

 

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