Visita all'O.P.G. di Aversa

Visita all'O.P.G. di Aversa

 

Inchiesta sull'O.P.G. di Aversa (CE)

 

Incontro con Adolfo Ferraro, direttore

 

È dal 1876, da quando fu creata la prima sezione carceraria per "maniaci", che Aversa, popolosa città di sessantamila abitanti in provincia di Caserta, deve contrastare una cattiva nomea: essere ricordata soprattutto per il suo ospedale psichiatrico giudiziario, noto, prima della legge di riforma, come manicomio criminale. Memorie tristi che per troppi anni hanno penalizzato la città che sorge al centro della fertile pianura che si estende a nord di Napoli, ricca di chiese settecentesche e nota anche per aver dato i natali al grande musicista Domenico Cimarosa. Oggi l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario Filippo Saporito", nonostante i tanti problemi da risolvere, è al centro di un dibattito culturale sui nuovi indirizzi da dare al trattamento dei malati di mente che si sono macchiati di reati. L'O.P.G, infatti, da alcuni anni dà vita a numerose iniziative di ricerca e di studio, e organizza periodicamente un importante convegno sulle tematiche di psichiatria e giustizia, al quale concorrono studiosi del settore.
Il dottor Adolfo Ferraro, medico specialista in psichiatria forense e criminologia, con incarichi di docenza negli atenei di Roma, Napoli e Bari, dirige dal 1996 l'ospedale psichiatrico di Aversa dove lavora, per la verità, dal 1980, da quando cioè arrivò per assumere l'incarico di vicedirettore. Una conoscenza ultraventennale, che gli dà la possibilità di tracciare un primo bilancio dei cambiamenti che si stanno verificando in questa importante istituzione dello Stato. Nel riceverci nel suo studio, il dott. Ferraro entra subito nel merito delle questioni.

"Le problematiche principali che ho dovuto affrontare nella mia direzione dell'O.P.G. di Aversa - afferma - nascono fondamentalmente dall'ambiguità con cui questo tipo di istituti sono stati mantenuti nel corso di questi anni. Quando fu organizzato l'istituto di Aversa, fu ideato come luogo in cui ricoverare i folli-rei e i rei-folli, cioè i malati di mente che avevano commesso dei reati, ma anche quelli che stavano all'interno del carcere e che davano dimostrazione di insanità mentale. Bisognerà aspettare dapprima il codice Zanardelli, per cominciare ad individuare la non imputabilità, e successivamente il codice Rocco del 1930 per impostare le misure di sicurezza. Per questo oggi gli internati sono trattenuti per un periodo di cura che varia da due a cinque o dieci anni, secondo il tipo di reato di cui si sono resi autori.
Bisogna ricordare che il Novecento è stato un secolo in cui ci sono stati dei cambiamenti molto forti in tutte le strutture sociali, mentre all'interno del manicomio giudiziario tutto restava fermo, legato al pensiero positivista di tipo lombrosiano. Tutto quello che accadeva al di fuori, dalla psicanalisi agli psicofarmaci, alle interpretazioni di quella che poteva essere la malattia mentale, non ha avuto che tiepidi echi all'interno. Questo ha fatto sì che l'O.P.G., non solo ovviamente di Aversa, divenisse soprattutto istituto di custodia, piuttosto che un istituto di cura. Queste strutture, proprio in relazione alla condizione di ambiguità che vivono, non sono entrate né nei cambiamenti normativi, per quanto riguarda le leggi legate specificamente alla psichiatria, la "180", e neppure hanno toccato quelle modifiche normative che in qualche modo erano interessanti per i detenuti. La legge Gozzini non sappiamo neanche cosa sia, qui dentro".

Quali sono state le prime emergenze sulle quali ha dovuto intervenire nel 1996?
"Le prime emergenze sono state quelle di una sorta di "sanitarizzazione" dell'istituto. Per cui abbiamo incominciato a diminuire un certo tipo di controllo, assolutamente antiterapeutico, adottando un modello di pensiero che teneva in considerazione più la cura che la custodia".

Di quanti collaboratori sanitari dispone l'istituto?
"A fronte degli attuali circa 180 internati, provenienti dalla Campania e dal Lazio e in minor misura da altre regioni, con un'età che varia dai 22 ai 42 anni, l'istituto si avvale oltre a me, di un vicedirettore, il dottor Salvatore De Feo, psichiatra, di alcuni consulenti psichiatrici, di cinque medici incaricati, e di specialisti come cardiologi, dentisti, eccetera, che sono presenti a turnazione. A questi vanno aggiunti poco più di 50 infermieri, di cui 40 appartengono all'Amministrazione penitenziaria, e i restanti dipendono dal ministero della Sanità".

In questo momento qual è l'emergenza più grave?
"Il primo problema è quello strutturale. I reparti dell'istituto, del tutto obsoleti, sono stati organizzati secondo un modello di pensiero che prevedeva il controllo e non la cura. Assicurare anche le semplici pulizie è oggi per noi un problema che stentiamo a risolvere, anche se, quanto prima, con una gara d'appalto di prossima emanazione, affideremo a una ditta esterna la pulizia dell'istituto".

Quali le altre questioni da risolvere?
"La principale è sviluppare in maniera più consistente gli aspetti sanitari, organizzando un luogo di cura altamente specializzato per i soggetti malati di mente socialmente pericolosi.
Un obiettivo verso cui si devono indirizzare tutti gli ospedali psichiatrici d'Italia. Dei ricoverati che noi abbiamo all'interno di queste strutture, il 60-70 per cento sono soggetti che hanno commesso reati che, se fossero stati curati, probabilmente non avrebbero commesso. Persone con una pericolosità estremamente limitata.
Noi abbiamo l'obbligo di curare i soggetti che hanno una pericolosità sociale particolarmente elevata, con i serial killer, soggetti che commettono crimini particolarmente efferati. Mentre è inutile la medicalizzazione di soggetti a bassissima pericolosità, che potrebbero essere curati normalmente in altre strutture".

Quali sono oggi i mezzi terapeutici adottati per i ricoverati?
"In determinate condizioni si possono manifestare patologie mentali, fondamentalmente date dall'alterazione di tre elementi, che sono lo spazio, il tempo e le relazioni. È importante quindi non ricorrere solo alla strategia terapeutica del farmaco, che comunque utilizziamo, ma far recuperare ai soggetti malati quelli che sono i propri spazi, i propri tempi e le proprie relazioni. Abbiamo impostato una certa quantità di iniziative che definiamo trattamentali, che realizzano quelle condizioni che possono fare esprimere nuovamente questi soggetti. Per fare questo, abbiamo cominciato aprendo un'area verde, scegliendo tutti i soggetti che venivano da una cultura contadina o di pastorizia, affidando loro, grazie alla Lega Ambiente e al WWF, alcuni esemplari di animali in via di estinzione. Abbiamo così organizzato questa prima attività trattamentale. Altre iniziative sono state la musicoterapia, il laboratorio del colore e un'attività trattamentale più intensa, quella teatrale. Non un teatro tipo farsa scarpettiana, ma uno psicodramma in cui i ricoverati lavorano molto, una vera e propria psicoterapia".

Dal punto di vista strutturale come è diviso l'O.P.G.?
"Noi li chiamiamo reparti, naturalmente, e in questo momento ne sono funzionanti solo sette, perché alcuni sono chiusi essendo fatiscenti. Le stanze sono singole, o per due o, al massimo, tre persone. I ricoverati all'interno di queste strutture sono divisi in relazione alla loro patologia mentale più o meno grave. Un reparto ospita quanti hanno bisogno di maggiore attenzione sia dal punto di vista sanitario che custodialistico, mentre un altro reparto-pilota non ha nessun agente, qui i ricoverati vivono liberamente, impegnati nelle attività trattamentali".

Più in dettaglio, quali sono le attività trattamentali?
"Oltre all'area verde, al laboratorio del colore, alla musicoterapia, dove è utilizzata la musica come situazione espressiva, c'è anche la scuola, la scuola elementare, che tende alla rialfabetizzazione di chi ha avuto la perdita della capacità di alfabetizzazione. Abbiamo anche un laboratorio di ceramica, un laboratorio di sartoria, ai quali si aggiungono proiezioni cinematografiche e le attività teatrali. Anche la rivista interna "La storia di Nabuc", su cui scrivono liberamente gli internati, ha una rilevante funzione trattamentale".

Quali sono le collaborazioni da parte di gruppi esterni?
"Si tratta di singoli volontari, psicologi o sociologi, o gruppi come l'ISFON, un istituto di musicoterapia di Napoli diretto da Gian Luigi Di Franco. Abbiamo rapporti anche con l'associazione di Capo d'Arco e persino Giovanni Paolo II l'anno scorso ci ha voluto inviare una somma di denaro per le nostre attività trattamentali".

Quale è il suo sogno nel cassetto?
"I Convegni che noi facciamo, e ne facciamo uno ogni anno, servono fondamentalmente a dare un'identità alla struttura. Tutto questo rappresenta lo sforzo che stiamo facendo all'interno dell'istituto, cercando di affermare sempre più che questa deve essere una struttura sanitaria. Siamo consapevoli che c'è un lungo tragitto da fare e ancora grandi difficoltà da superare. Il nostro sogno nel cassetto è di far sì che a queste persone sia riconosciuto lo stato di malato di mente e sia loro offerta la possibilità di cura: queste sono persone che hanno solo bisogno di essere aiutate".

Parlano l'educatore e un volontario

 

Clementina di Ronza, educatore da 36 anni all'O.P.G. di Aversa, si occupa, in collaborazione con gli enti locali, dell'inserimento dei ricoverati sul territorio: "Trovo difficoltà nel mio lavoro - afferma - laddove non c'è disponibilità per l'inserimento nell'ambito familiare. Per la verità all'esterno non trovo sempre una grande collaborazione da parte dei servizi territoriali, anche se nell'ultimo periodo le cose sono un po' migliorate, con contatti diretti e visite da parte degli operatori esterni che vengono qui a visitare i pazienti e che, in base alla patologia, individuano sul territorio la struttura idonea ad accoglierli, laddove non c'è possibilità di inserimento familiare. Il trattamento che noi offriamo ai pazienti dà sicuramente risultati positivi e favorisce il reinserimento all'esterno. Il mio è un lavoro gratificante, anche se non mancano le delusioni, quando un paziente rientra perché l'esperienza all'esterno non è andata bene".
Di risultati terapeutici positivi parla anche Mario Pellegrino, collaboratore di Laura Mancino e da otto anni ad Aversa: "Noi - spiega - facciamo dei laboratori del colore, dando la possibilità ai ricoverati di esprimersi senza condizionamenti. La terapia è nel tempo e nella sistematicità dell'incontro e nella linea evolutiva di ogni ricoverato".

Parla il Cappellano

 

Don Antonio Cantiello, 56 anni, originario di S. Cipriano di Aversa, impegnato all'O.P.G. da 14 anni, si racconta: "È impossibile provvedere a tutte le esigenze dei ricoverati. Con alcuni si riesce a comunicare abbastanza bene, con altri appare un po' più difficile. Oltre ai frequenti contatti con i ricoverati, mi occupo di tenere i rapporti anche con i loro familiari, quando questi si mostrano disponibili e purtroppo non accade sempre. Molti ricoverati sono letteralmente abbandonati e questo rende tutto più difficile. Certo anche il mio lavoro non è facile, dovendomi rapportare con persone che hanno un modo di comportarsi strano e non normale. Ma la maggior parte di loro mi accetta e riesco ad instaurare con loro un buon rapporto".

Parla un infermiere professionale

 

Patrizia Tirozzi, originaria di Pozzuoli, infermiere professionale dell'Amministrazione penitenziaria, da quattro anni all'O.P.G., dichiara: "In questo lavoro ho trovato, almeno all'inizio, maggiori difficoltà, forse perché non avevo mai lavorato in campo psichiatrico. Poi, piano piano, ho superato le diffidenze. Quello che resta da fare, per migliorare il nostro contributo, è partecipare ai corsi di aggiornamento, specialmente per quanto riguarda il campo della farmacologia". Anche Vincenza Gallo, originaria di Teano, da cinque anni all'O.P.G., con precedenti esperienze nella Croce Rossa Italiana, dichiara le iniziali difficoltà, aggiungendo: "C'è da dire subito che per noi è stato utile frequentare il corso di specializzazione a Roma, che ci ha dato nozioni sulle problematiche psichiatriche. Certamente il contatto diretto è una cosa diversa, perché, per realizzare gli obiettivi terapeutici, bisogna stabilire un rapporto empatico col paziente. Voglio però lamentarmi di una discriminazione attuata nei nostri confronti. Noi infermieri appartenenti al ministero della Giustizia non godiamo degli stessi diritti degli infermieri appartenenti al ministero della Sanità, quando in effetti noi siamo degli specialisti. Quest'anno è stata fatta la riqualificazione e hanno avuto accesso a questa riqualificazione solo gli infermieri generici, che stanno qui da diversi anni, beneficiando di uno scatto di qualifica superiore al nostro: noi che, invece, abbiamo frequentato tre anni di scuola come infermieri professionali, ci ritroviamo ad un livello inferiore rispetto agli infermieri generici. Alcuni nostri colleghi, pur risultando primi in graduatoria, continuano ad essere considerati infermieri "di serie B"". "Nonostante tutto ci sono stati dei cambiamenti nella nostra professione", afferma dal canto suo Francesco Manna, originario di Aversa, infermiere all'O.P.G. dal 1981, oggi capo sala, che aggiunge: "Nel 1980, quando sono venuto qua, c'erano circa 400 ricoverati, di cui una grande maggioranza erano simulatori. Con la direzione Ferraro siamo entrati in una nuova epoca, sono state organizzate delle gite all'esterno con i ricoverati, è nata l'area verde, altre iniziative hanno preso corpo come la nascita del reparto pilota, gestito senza l'intervento della Polizia penitenziaria, solo con noi infermieri. Certo, dei corsi di aggiornamento sarebbero assolutamente necessari. Sono oltre 20 anni che lavoro qua, ne ho sempre sentito parlare, ma non sono mai stati organizzati. Abbiamo bisogno però anche di apparecchiature e di nuovi mezzi tecnici: a volte ci mancano persino le forbici per tagliare la garza".

Parla la Polizia Penitenziaria

 

L'ispettore superiore Luigi Mosca, 43 anni, da tre comandante di reparto dell'O.P.G di Aversa, ci parla dei suoi compiti: "Noi oltre ad eseguire un'attività di sicurezza custodiale primaria, abbiamo un altro compito non meno importante, contribuire all'attività trattamentale e riabilitativa. Alcuni mesi fa è stato organizzato un convegno sul tema: la Polizia penitenziaria nell'O.P.G. È emerso che la Polizia penitenziaria, poiché si rivolge a un'utenza particolare, deve avere una preparazione adeguata per la gestione di queste persone. Io coordino attualmente 115 persone, impegnate con turni di otto ore. Il personale da me diretto ha delle esigenze particolari, con ben 27-28 unità che usufruiscono della legge 104. Questo non vuol dire che siano agenti che non lavorano, ma sono persone che godono, tra l'altro, di tre permessi mensili e di altre prerogative, un personale di cui un terzo è ultracinquantenne, per i quali è necessario trovare ruoli di servizio adeguati. L'O.P.G. di Aversa soffre anche di altri problemi, come quello della carenza di pulizia dei reparti. Ciononostante non dimentichiamo mai che lo Stato ci ha affidato un mandato speciale, e nonostante tante difficoltà, lavoriamo serenamente. Il personale di Polizia penitenziaria da me diretto risponde generosamente a tutte le esigenze, partecipando attivamente a tutte le iniziative tese a far conoscere all'esterno i nostri problemi. E devo dire che la città di Aversa sta rispondendo a tutti i nostri input e questo per noi è molto gratificante".
Anche il vicecomadante, l'ispettore capo Gennaro Lucariello, 50 anni, e da 18 in servizio ad Aversa, conferma: "L'emergenza principale è il personale. Se la pianta organica porta 130 unità, in effetti non arriviamo a 115. Nonostante le difficoltà, cerco di dare il massimo, assieme a tutti i miei collaboratori. Io coordino anche la MOF (Manutenzione Ordinaria Fabbricati), officine, conduttore di caldaie, falegname, fabbro. La struttura dell'istituto è vecchia, e ha bisogno di continui rifacimenti, ma le risorse economiche non sono sufficienti. In questi ultimi anni i rapporti di collaborazione con la cittadinanza sono migliorati e anche con il vescovo della città, l'eccellenza Mario Milano, c'è grande collaborazione. Questo ci aiuta a superare le difficoltà che si incontrano nel nostro delicato compito".

L'Istituto in cifre

Tipo: Ospedale Psichiatrico Giudiziario
Indirizzo: via S. Francesco, 2 - Aversa
Anno di costruzione: 1876
Capienza internati: 300
Presenza effettiva: 180
Numero sezioni: 7
Numero di celle: 120
Strutture sportive: campo sportivo
Ricreative: sale ricreative nei reparti, sala film
Religiose: chiesa
Spazi sociali: Teatro, Area verde

Attività

 

Lavorative:
Scolastiche: Scuola elementare e media
Culturali: Laboratorio teatrale, Laboratorio colore, Biblioteca, Museo storico
Volontariato: Vari volontari individuali


Dati relativi al personale


Personale di Polizia penitenziaria: 130
Uomini: 125
Donne: 5
Area educativa: 4 educatori, 2 psicologhe ex art. 80
Area sanitaria: 5 consulenti psichiatri, 5 medici incaricati, 8 medici specialisti, 50 infermieri

 

 

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