Psichiatria e carcere

 

Perché la psichiatria in carcere?

Aspetti legislativi ed esigenze sanitarie

 

L'attuale sistema penitenziario italiano si basa, come ho già detto, sulla legge n. 354 del 26 luglio 1975, cosiddetto Ordinamento Penitenziario e sul D.P.R. n. 431 del 29 aprile 1976, Regolamento di esecuzione. Attraverso tali normative il nostro paese è riuscito, finalmente, a conformarsi al dettato costituzionale che, all'art. 27 comma 3º, prevede che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

L'ordinamento penitenziario italiano, in conformità al dettato costituzionale e in aderenza ai principi enunciati nella "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" proclamata dalla assemblea generale delle Nazioni Unite il 1º dicembre 1948 a New York, nella "Convenzione europea dei diritti dell'uomo" siglata in Roma il 4 novembre 1950, nel "Patto internazionale sui diritti civili e politici" approvato dall'assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 1966, ed in particolare nelle "Regole Minime dell'O.N.U. per il trattamento dei detenuti" adottate con risoluzione del 1º Congresso delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e il trattamento dei delinquenti, in data 30 agosto 1955 e, per ultimo, nelle "Regole Minime del Consiglio d'Europa per il trattamento dei detenuti" adottate con risoluzione del Comitato del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa in data 19 gennaio 1973, si articola e si sviluppa attraverso alcune importanti direttrici:

  1. l'espiazione della pena improntata ai criteri di umanità, salvaguardando la dignità e i diritti spettanti ad ogni persona;

  2. la rieducazione del detenuto e il suo reinserimento sociale come scopo principale dell'espiazione della pena;

  3. la prevenzione della criminalità.

La classificazione e la struttura stessa degli istituti di pena sono il primo segno tangibile della volontà del Legislatore indirizzata alla concreta ed effettiva realizzazione delle affermazioni enunciate.

Ai sensi degli Artt. 59-63 della l. 354, gli Istituti penitenziari si distinguono in:

  1. Istituti di custodia preventiva, che a loro volta si suddividono in:

    Case mandamentali che assicurano la custodia degli imputati a disposizione del pretore;

    Case circondariali che assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria.

  2. Istituti per l'esecuzione delle pene, così suddivisi:

    case di arresto per l'esecuzione della pena dell'arresto;

    case di reclusione per l'esecuzione della pena della reclusione.

    In verità tale distinzione nella realtà è inesistente: per l'esecuzione dell'arresto, infatti, vengono utilizzate le case di reclusione e, a causa del sovraffollamento o per altri particolari motivi, sia per l'esecuzione della pena dell'arresto che per quella della reclusione vengono utilizzate le stesse case circondariali o mandamentali.

  3. Istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza. Essi si distinguono in:

    colonie agricole, cui vengono destinati i soggetti indicati nell'art. 216 c.p. "Assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro".

    case di lavoro, cui vengono destinati i soggetti indicati nell'art. 216 c.p. "Assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro".

    case di cura e custodia, ove sono destinati i soggetti indicati nell'art. 219 c.p. "Assegnazione ad una casa di cura e custodia".

    Ospedali psichiatrici giudiziari, ove sono destinati i soggetti indicati nell'art. 222 c.p. "Ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario".

  4. Centri di osservazione, il cui compito è l'osservazione scientifica della personalità al fine di rivelare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale nei confronti dei condannati e degli internati (art. 13 l.354/75 2c.). Inoltre, ai sensi dell'art. 63, 4ºc. "su richiesta dell'autorità giudiziaria possono essere assegnate ai detti centri per la esecuzione di perizie medico-legali anche le persone sottoposte a procedimento penale".

  5. Istituti o sezioni per infermi e minorati destinati ad accogliere soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche.

Complessivamente, secondo i dati fornitimi dal Ministero di Grazia e Giustizia, negli Istituti suindicati alla data del 31/10/1997 erano presenti n. 49.353 detenuti, di cui maschi n. 47.634, donne n. 2.011; detenuti semiliberi: uomini 1677, donne 69.

Ripeto che, nonostante la capillare classificazione fatta dal legislatore, il persistente sovraffollamento non consente, purtroppo, che le assegnazioni dei detenuti agli istituti avvengano salvaguardando la destinazione tipica degli stessi. Gli sforzi dell'amministrazione penitenziaria, comunque, sono rivolti in tal caso al fine di assicurare ai detenuti e agli internati un trattamento conforme alla loro posizione giuridica ed alle loro diverse esigenze.

Per quanto riguarda la situazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani, ritengo opportuno riportare per intero i dati ricevuti dal Ministero, allegando la relativa tabella.

Ma, come si colloca la psichiatria nell'universo degli istituti di pena?

La stretta relazione che intercorre tra colpa, pena e sofferenza psichica, era già stata evidenziata nelle Regole Minime per il trattamento dei detenuti, stabilite dalle Nazioni Unite in tema di prevenzione del delitto e di trattamento dei delinquenti. Si legge infatti nella regola nº 22 che "ogni stabilimento penitenziario deve disporre almeno dei servizi di un medico qualificato, che deve avere conoscenze psichiatriche.

I servizi medici devono essere organizzati in stretto collegamento con l'amministrazione generale del Servizio Sanitario della comunità e della nazione. Devono comprendere un Servizio Psichiatrico per la diagnosi e, ove occorra, per il trattamento dei casi di anormalità psichica". Tale normativa è stata assunta globalmente all'interno delle Regole penitenziarie Europee (nº 21) approvate dal consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa (1973).

L'articolo 11 dell'Ordinamento Penitenziario, relativo all'istituzione del Servizio sanitario all'interno del carcere, sembra tener conto delle regole ONU, indicando come necessaria per il funzionamento di ogni istituto, insieme al servizio medico e farmaceutico, la presenza di almeno uno specialista in psichiatria. Nonostante che la disposizione non sia tale da imporre uno psichiatra a tempo pieno in ogni istituto, semplicemente chiedendo che sia assicurata la possibilità di un pronto intervento da parte di detto specialista, oggigiorno da più parti lo si considera una figura indispensabile all'interno del microcosmo carcerario.

Lo psichiatra non è chiamato soltanto ad intervenire terapeuticamente di fronte a tutte le manifestazioni sintomatiche del disagio psichico, ma, come già accennato, anche a partecipare come "esperto", secondo l'art. 80, c.4º dell'ordinamento penitenziario, all'attività di osservazione e trattamento, finalizzata al reinserimento delle misure alternative alla pena.

È altresì importante segnalare come l'art. 63 individui nei Centri di Osservazione il luogo privilegiato per lo svolgimento di tale compito; indicazione, questa, che con l'eccezione dei Centri di Osservazione "Psichiatrica" di Roma-Rebibbia, di Livorno e di Milano-San Vittore, non risulta abbia trovato applicazione negli altri numerosi istituti penitenziari italiani.

Non solo la l. 345 prevede che ogni istituto penitenziario disponga dell'opera di almeno uno specialista in psichiatria, ma anche il Regolamento di esecuzione di tale legge, ovvero il D.P.R. 431/76, all'art. 17 dispone che "In ogni caso in cui le prestazioni di carattere psichiatrico non siano assicurate a mezzo dell'opera di specialisti in psichiatria del ruolo dell'Amministrazione Penitenziaria, la direzione dell'istituto si avvale di specialisti ai sensi del quarto comma dell'art. 80 della legge".

La presenza dello psichiatra in carcere, oltre ad essere imposta dalla legge, è resa necessaria dalle molteplici esigenze sanitarie che sempre più frequentemente si riscontrano nelle istituzioni penitenziarie. Per avere un'idea degli effetti disastrosi che la carcerazione può provocare, a livello di decadimento sia psichico che fisico, vorrei riportare alcuni passi di due articoli sicuramente autorevoli l'uno del Presidente dell'Amapi, l'altro del Direttore del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria:

È facilmente comprensibile lo stato d'animo di chi varca la soglia di un carcere. Finisce tutto.
Rimangono soltanto il numero di una pratica, un fascicolo ricolmo di carte, una collocazione nello spazio e nel tempo freddi ed ostili di un apparato amministrativo che assorbe, pervade, scruta, classifica, giudica. A questo punto lo sconvolgimento dell'animo del detenuto è totale e compenetra gli strati più reconditi della personalità, generando una particolare, grave distonia ai vari processi psichici (di percezione, di rappresentazione, di ideazione).
Molteplici e complessi sono i fattori che concorrono a determinare uno stato acuto di sofferenza, una ferita morale che rimarrà indelebile nel tempo. Angoscia, ansia, il sentimento di umiliazione per il trattamento subito, la sensazione pervadente di impotenza di fronte alla macchina inesorabile che calpesta e sconvolge tutte le sicurezze del detenuto; tutte sensazioni in grado di provocare una miriade di alterazioni nelle attività psichiche dell'individuo.

(...) Frequente necessità di stare in compagnia di persone che non si sono scelte, talvolta non desiderate e non gradite, di dividere con loro ogni minuto di ogni giornata. Rapporti sociali imposti o subiti. Odori, rumori, sapori, sporcizia, di altri. Promiscuità che degrada. Non stare soli, ma essere soli, ma sentirsi soli. Solitudine e freddo dentro, nell'anima, non fuori. (...) Espropriazione di ogni riservatezza e di ogni intimità. Nessun momento, neanche il più personale, privato, intimo, gode di un minimo di rispetto. Perché non si è mai soli e, in ogni istante, si vede e si è visti, si sente e si è sentiti. Nelle celle tappezzate di immagini pornografiche anche il sesso diventa un fenomeno di perversione collettiva. Perché tutto è di tutti e nessuno ha nulla.

Non dovrebbe essere difficile, a questo punto, capire perché è necessaria la presenza dello psichiatra all'interno delle Istituzioni penitenziarie.

Dobbiamo però considerare che, benché l'ingresso in carcere sia senz'altro traumatizzante, non sempre le manifestazioni di sofferenza psichica sono causate dalle condizioni in cui i soggetti sono costretti a vivere; esse possono anche essere, semplicemente, la continuazione o l'evidenziazione in carcere di disturbi già prima esistenti. Non dimentichiamoci che il carcere ha da sempre raccolto, oltre a colpevoli di reati più o meno scientemente perpetrati, anche e soprattutto soggetti di quella deriva sociale che vive e opera nei sobborghi spesso fatiscenti di ogni città: tossicodipendenti, molte volte sieropositivi, prostitute, nomadi, vagabondi alcolisti, barboni e quant'altro.

Si tratta di luoghi dove sono venuti meno modelli di identificazione strutturati, quali la famiglia, o dove, proprio all'interno dei vincoli familiari, per molti pazienti hanno avuto inizio quelle esperienze a carattere traumatico che oggi li pongono in costante tensione con le proprie origini, nelle quali l'incesto, la violenza subita, non di rado sessuale, sembrano comuni denominatori. Per questi soggetti il carcere rappresenta spesso una sorta di tappa obbligata di un percorso in una marginalità trasgressiva dalla quale solo pochissimi sembra che riescano ad emanciparsi.

Finiscono poi in carcere soggetti affetti da parafilie di vario genere, come transessuali, travestiti, omosessuali che, in ragione spesso della debolezza della propria personalità, vengono coinvolti in reati che possono essere modesti o anche efferati, per non parlare di voyeurs, pedofili, sexual-serial-killers. Si tratta di una popolazione largamente caratterizzata da disturbi psichici, spesso sfuggita, per vari motivi, ai servizi psichiatrici di diagnosi e cura o alle varie forme di assistenzialismo sociale operanti sul territorio.

Il bisogno di psichiatria in carcere nasce da tutto questo e da comprensibili reazioni d'angoscia, disforiche o a carattere depressivo, all'evento detentivo.

Si potrebbe anche dire che non raramente la patologia psichiatrica è, se non causa del reato, un'importante concausa, non messa in evidenza in fase giudicante perché si tratta di individui in attesa di giudizio o perché il ristretto, non avendone coscienza, viene in contatto con essa per la prima volta proprio in carcere, quando il consulente psichiatra, oltre ad attivare un programma di cura, comunica l'esistenza dello stato di psicopatia all'Autorità Giudiziaria competente.

Il carcere è un "contenitore" che rappresenta, ormai sempre più spesso, un tipo di risposta ad un disagio sociale che è evidentemente dilagante.

 

 

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