Psichiatria e carcere

 

Introduzione

 

Il sistema penitenziario italiano è basato sulla legge 354 del 26 luglio 1975, cosiddetto "Ordinamento penitenziario". Con la riforma contenuta in tale legge l'Amministrazione penitenziaria acquisisce lo strumento normativo indispensabile per adeguarsi ai precetti costituzionali dell'umanizzazione delle pene e del trattamento rieducativo dei condannati (art. 27 comma 3º).

Ogni Stato ha una scelta importante da compiere riguardo all'Amministrazione Penitenziaria: o emarginare totalmente i detenuti all'interno delle strutture carcerarie, facendo di esse delle mere strutture di difesa della "parte sana" della società, o stabilire dei ponti che prevedono l'apertura del carcere verso la società attraverso l'istituzionalizzazione di una vasta serie di legami e di rapporti strutturali e funzionali con il territorio.

Se viene seguita la linea repressiva il carcere dovrà essere dotato di un apparato medico, semplicemente in grado di curare intra moenia quei corpi che ne hanno maggiori necessità, finendo per medicalizzare i bisogni. Se invece viene seguita la linea del reinserimento sociale, allora la medicina penitenziaria e la psichiatria in particolare, diventano un sostegno di fondamentale importanza.

Se si sceglie, come il nostro Stato ha fatto, la strada della risocializzazione del detenuto, è necessario tenere presente che il carcere ha la capacità di sconvolgere tutto: i rapporti con la famiglia vengono lentamente interrotti, fino ad essere completamente recisi, si riducono le possibilità di trovare un lavoro, le speranze di seguire una strada migliore. È quindi facile immaginare come la personalità di molti detenuti possa risultare sconvolta.

Il carcere pervertisce, aliena, disgrega, è un momento di vertigine dove tutto si proietta lontano. Non esistono spazi per la dimensione umana, fisica e affettiva. Paura di aggressioni, incertezze del proprio futuro, stati depressivi e di rovina, sindromi psicosomatiche, manifestazioni disforiche, crisi di ansia possono rendere la sopravvivenza in carcere ancora più difficile.

Alle forme di patologia fisica si aggiungono forme di sofferenza psichica, di disturbi della personalità e, in rari casi, forme di patologia mentale a carattere reattivo psicogeno, determinate dalle condizioni di vita proprie di ogni carcere.

Particolare preoccupazione desta anche la constatazione del considerevole aumento di detenuti tossicodipendenti con problemi psichiatrici. In tali soggetti, associate alla tossicodipendenza, si presentano spesso anche patologie psichiatriche che il carcere, inevitabilmente, evidenzia.

In questo contesto si inserisce il lavoro del medico e dello psichiatra: il carcere è un microcosmo dove si muovono e interagiscono persone sofferenti, con problemi di natura psichica e sociale. In tale ambiente i complessi equilibri interni, sia fisici che psichici, possono risultare facilmente alterati.

La mia ricerca intende studiare questa difficile realtà, le reazioni che essa provoca in chi è costretto a viverla, evidenziando i molteplici aspetti, spesso contraddittori, che caratterizzano il carcere. Tale approfondimento, svolto alla luce della vigente legislazione, si suddivide in due parti.

La prima affronta la questione della psichiatria all'interno degli Istituti di Pena italiani, in generale, nel periodo che segue la riforma penitenziaria fini ad oggi. La prima domanda a cui cercherò di rispondere è perché la psichiatria nel carcere?

Poi cercherò di capire come opera lo psichiatra in un carcere e perché tale figura stenta ad affermarsi in maniera autonoma all'interno dell'universo carcerario. Troppe reticenze e troppi contrasti sembrano ostacolarne l'attività. Il sistema carcerario, infatti, fatica a scrollarsi di dosso l'unica veste che lo caratterizza, quella repressiva e contenitiva, e in un simile contesto sembra non esserci ancora spazio per l'ascolto e la comprensione dei soggetti detenuti.

Saranno analizzati i rapporti che la psichiatria ha con i Servizi esterni, con la magistratura e particolare attenzione sarà dedicata all'analisi del ruolo rivestito dallo psichiatra penitenziario. Un ruolo difficile da definire, caratterizzato da un duplice mandato: quello curativo e quello contenitivo. In un simile contesto lo psichiatra dovrà curare o rieducare?

Gli obiettivi e le condizioni di vita delle "istituzioni totali" costituiscono un danno, diretto o indiretto, alla salute psico-fisica dei detenuti. Viene così a crearsi, in carcere, un contrasto tra il diritto del cittadino detenuto alla sua salute psico-fisica da un lato, e l'interesse della società a che la pena detentiva raggiunga il suo obiettivo di difesa sociale, dall'altro.

Analizzerò quale destino attende il "folle-reo" (il malato di mente che compie un reato) e quale il "reo-folle" (il reo "sano" di mente che in carcere manifesta segni di disagio mentale). Le alternative per questi soggetti, dopo la chiusura dei manicomi civili con la legge 180 del 1978, nella maggior parte dei casi sono il carcere o l'ospedale psichiatrico giudiziario.

Tenterò di individuare quali sono i disturbi psichici più ricorrenti all'interno degli istituti di pena, analizzando il delicato problema della compatibilità di essi con il regime carcerario. Parlerò di simulazione della malattia mentale e, dei gesti di autolesionismo: dalle ferite da taglio autoprocurate come forma di protesta e di rivendicazione per ottenere piccoli benefici, alle più gravi forme di tentato suicidio o di suicidio vero e proprio.

Questa prima parte generale si concluderà con l'analisi delle terapie usate dagli psichiatri nel contesto carcerario, delle difficoltà incontrate nella loro applicazione dovute appunto al carattere "artificiale" del luogo in cui si è costretti a praticarle.

Nella seconda parte del mio lavoro invece, approfondirò l'esperienza della Casa Circondariale di Sollicciano a Firenze, l'unico carcere in Italia dove sia stato creato un Servizio Psichiatrico Interno composto da 6 Medici di Guardia ad indirizzo psichiatrico e 2 Consulenti Psichiatri. Nato nel 1990 per la Casa di Cura e Custodia, si è subito rivelato utile anche al resto dell'Istituto ed ha cominciato a svolgere la sua funzione anche al di fuori dell'istituto per il quale era nato.

I problemi sono stati numerosi fin dall'inizio, ma essi non hanno impedito al Servizio di raggiungere ottimi risultati, soprattutto nel primo anno di attività. Dopo un primo periodo di successo e di evoluzione, però, qualcosa ha smesso di funzionare. Cercherò di individuare le ragioni che hanno portato allo smantellamento quasi totale di questo Servizio.

In conclusione verranno prese in considerazione alcune proposte di riforma avanzate da coloro che hanno assistito alla nascita, alla crescita e all'indebolimento del Servizio Psichiatrico. Tali medici psichiatri, che ringrazio per aver collaborato alla realizzazione di questa ricerca sono: Gemma Brandi, Massimo Cantele, Mario Jannucci, Massimo Scalini, Franco Sirianni, Alessandro Rachini e Paola Trotta.

Analizzerò, limitatamente alla parte che rileva per la mia ricerca, alcuni disegni di legge. Il primo sarà il disegno di legge Grossi, così detto dal nome del primo firmatario, presentato al Senato il 29 settembre 1983 ma poi ritirato, che aveva cercato di disciplinare il settore relativo agli autori di reato malati di mente. Il Progetto conteneva sicuramente aspetti innovativi e lodevoli anche se non privi di difficoltà applicative. Esso proponeva di abolire i tradizionali "manicomi criminali", ma poneva questo problema come il risultato di un importante cambiamento nel campo della responsabilità penale. L'idea era infatti di abolire anche la distinzione tra imputabili e non imputabili, e quindi considerare tutti gli autori di reato responsabili delle loro azioni, introducendo, nel settore dell'esecuzione, trattamenti differenziati all'interno delle stesse strutture penitenziarie.

Analizzerò poi il disegno di legge Corleone, così chiamato dal nome del Deputato che lo ha promosso. Tale Progetto (n. 151/96), presentato nell'attuale legislatura e non ancora discusso in aula, rappresenta una riproposizione del disegno di legge Grossi. In esso è previsto che l'infermo di mente autore di reato, considerato sempre e comunque imputabile, soggiaccia alla condanna penale e che sia poi trattato durante l'esecuzione della pena detentiva presso "speciali sezioni attrezzate per la costituzione del gruppo terapeutico" nelle quali si esegue uno "specifico piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica".

Per concludere verrà analizzato un progetto (detto Progetto Toscana ed Emilia Romagna) di riforma del codice penale relativamente alla parte che disciplina le misure di sicurezza e l'assistenza psichiatrica penitenziaria. Allo scopo di contribuire ad una proposta legislativa volta a fornire soluzioni concretamente praticabili, si è costituito presso la Fondazione "Giovanni Michelucci" di Fiesole un gruppo di lavoro composto essenzialmente da giuristi e da psichiatri. Questo gruppo ha elaborato nel corso degli anni 1996 e 1997 delle linee guida, contenenti un articolato di proposta legislativa, che è stato poi, con variazioni non di fondo, adottato dalla Giunta della Regione Toscana ed da quella dell'Emilia Romagna, per una futura proposta di legge. Tale Progetto, nella parte che qui interessa, prevede la soppressione degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle case di cura e custodia e la creazione di centri di diagnosi e cura all'interno degli istituti di pena. Proprio nella parte relativa all'istituzione di detti centri il Progetto in esame sembra prendere spunto dall'esperienza del Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano.

Infine, verrà riportata e commentata un'importante circolare datata 5 gennaio 1998 del Direttore Generale del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, Alessandro Margara, sugli interventi psichiatrici in carcere. Tale circolare, richiama l'attenzione sulla situazione dei detenuti che presentano problemi psichiatrici e sull'intervento sanitario svolto o da svolgersi dei loro confronti. Il riconoscimento della necessità di giungere ad una organizzazione della psichiatria penitenziaria attraverso l'istituzione di un vero e proprio servizio psichiatrico interno al carcere in grado di prendere in carico i singoli casi e di seguirli, rappresenta forse il punto di partenza di quella riforma della psichiatria penitenziaria da tempo auspicata. La risposta del solo consulente psichiatra e di un suo intervento sporadico in caso di emergenza, infatti, sembra non essere più sufficiente.

 

 

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