A Nisida tornano le sbarre

 

A Nisida tornano le sbarre

 

La denuncia di Antigone e del Prc

"Rischiano di essere vanificati gli sforzi degli operatori"

 

 

Liberazione, 17 agosto 2002

 

Nel carcere minorile, finora all'avanguardia, spunta un nuovo reparto "adulto". Si vede anche il mare dalle camerette di Nisida, c'è perfino un terrazzo a sovrastare il "riformatorio" dove sembra di volare. L'istituto penale minorile (IPM) che sorge sull'isoletta napoletana dinanzi a Bagnoli per ora non sembra quello che è: un carcere per i ragazzi.

"Le guardie girano senza divisa e gli operatori sono bravi, si sforzano di organizzare corsi, di seguire i ragazzi - dice a Liberazione, Francesco Maranta, consigliere regionale di Rifondazione Comunista - e tentarne un recupero attraverso l'apprendimento di un saper fare artigiano. Perfino il cuoco, molto amato dai ragazzi, cerca di "avvicinarli" a casa grazie a odori e sapori".

Maranta, sabato scorso, ha bussato alle porte del "riformatorio" (così si chiamavano le strutture di detenzione dei minorenni prima della riforma dell'89) per una visita non concordata all'IPM insieme a Dario Stefano Dell'Aquila di "Antigone" campana, l'associazione che si occupa di giustizia e di problemi dei detenuti. Nella struttura che potrebbe ospitare una settantina di ragazzi ce n'erano 30 di cui sei poco più che bambine.

Ma un reparto nuovissimo, ottenuto riadattando un'ala della struttura, attende minaccioso altri giovanissimi ospiti in uno spazio che non ha nulla da invidiare a una prigione "adulta". "E' praticamente finito sebbene al momento vuoto - dice Maranta -è una struttura pesante, con la porta di ferro e un cancello a tondini d'acciaio e un gabbiotto blindato nel mezzo del corridoio. Particolari architettonici che fanno svanire tutte le attenzioni previste per i minori, che invertono l'approccio facendo arretrare gli sforzi di reinserimento. Sembra quasi che si voglia far capire, fin dall'ingresso, che il futuro è un carcere".

Eppure Nisida, nell'immaginario, era il luogo dell'assistenza sociale, tanto è lo scarto tra la presenza di operatori e servizi sull'isolotto e la loro assenza nel territorio. "Per ora Nisida è un'eccezione nel panorama campano - conferma Dario Dall'Aquila, 27 anni, una laurea in economia e una lunga esperienza di monitoraggio nel comitato "Liberiamoci dal carcere" - non è sovraffollata (come Poggioreale, Secondigliano, Pozzuoli o come i due ospedali psichiatrici giudiziari".

Il clima da "tolleranza zero", anche qui, rischia di far crescere la popolazione dell'isolotto: "Dei 60mila nuovi detenuti previsti - continua Dall'Aquila - almeno 6mila saranno campani: cifre da capogiro. A Poggioreale in 2300 si affollano in stanzoni da 8 fino a 15 posti". E' una "fabbrica sociale della devianza" determinata, per quanto riguarda i più giovani, dall'inasprimento delle pene per il reato di scippo. Riprende Maranta, ferroviere cinquantenne nato nel popolare quartiere di S. Giovanni a Teduccio e politicizzatosi con le lotte contro l'amianto: "Prima gli ospiti di Nisida erano qui per quel reato, ora - a parità di rischio - preferiscono i più redditizi di rapina o anche i reati contro la persona, come il tentato omicidio". "I ragazzi che abbiamo trovato sono tutti di famiglie povere, costrette in quartieri disagiati della periferia napoletana - racconta ancora Maranta - dove il circuito della disgregazione sociale non gli ha dato scelta".

Ragazzi del Maghreb, bambine rom sono sempre di più a condividere l'esperienza del "riformatorio" con scugnizzi ormai alle prese con affari più grandi di loro: "In tanti assumono sostanze chimiche senza per questo considerarsi "tossici" - riprende Maranta - è la cultura dello sballo che si somma alla marginalità più tradizionale". Per parecchi di loro, Nisida è l'unico luogo dove hanno avuto una stanza vera.

Qualcuno racconta che "oltre alla libertà non gli manca nulla". In realtà, specie per gli stranieri, le magagne non mancano: "la barriera linguistica che gli nega la consapevolezza dei diritti, l'assenza di adeguata difesa che li inchioda al carcere, l'ignoranza della possibilità del gratuito patrocinio (un legale scelto da loro ma pagato dallo Stato) e l'assenza delle famiglie che rende inaccessibili i benefici penitenziari". E quelle nuove celle ancora vuote che sembrano annunciare l'inversione del vento. Anziché "soffiare il vento di Nisida verso la città, con l'espansione dei servizi verso i quartieri", come suggerisce Maranta "per appoggiare le lotte delle famiglie delle Vele di Scampia o dei giovani di Ponticelli, sarà il cattivo alito del continente, dell'ossessione sicuritaria delle destre, a vanificare gli sforzi di "don Peppino", il cuoco, degli operatori e perfino degli agenti penitenziari.

 

 

 

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