Carcerazione minorile in Europa

 

Le trasformazioni della carcerazione minorile in Europa

di Roger Mattews (Docente di criminologia Middlesex University – Inghilterra)

 

Dignitas, giugno 2003

 

Nel corso degli anni Ottanta abbiamo assistito ad un processo di decarcerizzazione dei minori in diversi paesi europei. In particolare, in Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, il numero dei minori reclusi ha iniziato a scendere (Feest 1991; Graham 1990; Matthews 1999) e in alcuni di questi paesi esso si è ridotto alla metà nel corso del decennio. Le cause di questa tendenza sono differenti nei vari contesti nazionali, comprendendo la riduzione dei reati contestati in tribunale ai minori, la riduzione del numero di minorenni detenuti in attesa di giudizio e la diminuzione della lunghezza delle pene comminate.

Alla base di queste trasformazioni nella politica e nella pratica stava una mutata concezione della gioventù. i giovani erano visti sempre più come vittime bisognose di aiuto e di guida piuttosto che di punizione In Inghilterra, ad esempio, la delinquenza giovanile divenne una risorsa scarsa e differenti agenzie entrarono in concorrenza per il controllo di questo tipo di soggetti delinquenti. Come è accaduto in quegli anni anche in Italia, esisteva una reale possibilità che le agenzie punitive legate al settore minorile cessassero di esistere.

A partire dall’inizio degli anni Novanta, il clima è mutato radicalmente, soprattutto in rapporto ai minori. Piuttosto che essere visti come vittime bisognose di sostegno, essi sono stati sempre più identificati come una minaccia e come un problema.

Nel Regno Unito si è così assistito alla demonizzazione della gioventù. Una serie di rapporti ufficiali risalenti agli anni Novanta, redatti sia dai governi conservatori che da quelli laburisti, hanno focalizzato l’attenzione sui giovani trattandoli come una delle fonti maggiori del crimine e del disordine;

in seguito a ciò, l’intervento si è esteso fino ad includere anche la sfera del comportamento anti-sociale, inteso come girare senza meta e provocare fastidio Queste forme di attività pre-criminali o sub-criminali sono sempre più oggetto di intervento repressivo e i giovani ne sono sempre più frequentemente l’obiettivo Come Barry Goldson ha sottolineato in relazione al conseguente aumento della carcerazione minorile.

"L’irrazionalità di una tale tendenza punitiva rappresenta una preoccupazione secondaria. Importa poco che il tasso dei crimini commessi dai minori sia sceso negli ultimi anni o che tre quarti della popolazione carceraria sia imprigionata per reati di natura non violenta. E ancor meno interessano i costi sostanziali dell’incarcerazione dei ragazzi e il miserabile fallimento della risposta custodialista" (Goldson 2002- 393).

C’è un nuovo senso di pericolosità associato ai giovani. Essi sono visti come minacce per l’ordine sociale, specialmente quando provengono da famiglie monoparentali e da quartieri poveri, messaggio lanciato dalle agenzie ufficiali e dai media è quello che esiste un numero crescente di giovani predatori responsabili per un numero sproporzionato di crimini, e che essi minano la stabilità e la serenità delle comunità locali.

Parallelamente a questa trasformazione nelle concezioni della gioventù, c’è stato un processo di irrigidimento della posizione ufficiale verso il comportamento dei giovani in Inghilterra e Galles, che ha prodotto una sorveglianza e un controllo più intensi su questi settori della popolazione, dando vita a nuove agenzie con nuovi poteri riferiti al cosiddetto problema della popolazione Ne è risultato anche un aumento del numero di giovani nelle carceri e l’introduzione di nuove sezioni a più alto indice di sicurezza.

Il numero di minori detenuti è conseguentemente cresciuto da 14.000 nel 1990 a 20.000 nel 1999 - con una crescita di circa il 50%. Analogamente, il numero delle persone detenute con età compresa tra i 17 e i 21 anni è aumentato da circa 5.000 nel 1993 ad oltre 8.000 nel 1999. ancora una volta, con un incremento che supera il 50%. E le aspettative relative ad un blocco di questo processo in concomitanza con l’ascesa al governo del New Labour sono andate deluse.

Da molti punti di vista, questo incremento della carcerazione dei minori rappresenta di per se una fonte di preoccupazione, soprattutto se si considera che gli effetti di essa sulle vite dei giovani detenuti sono noti. stigmatizzazione, marginalizzazione, scarsa socializzazione, svantaggi educativi ed esclusione dal mercato del lavoro.

Sappiamo che i giovani presentano un tasso assai alto di recidiva ed è prevedibile che molti di quelli che sono attualmente rinchiusi nelle carceri minorili entreranno in un futuro non lontano nelle carceri per adulti. Non è però sufficiente prendere in considerazione soltanto il processo di nuova espansione della carcerazione minorile. Fermarsi ad analizzare solo questo aspetto farebbe perdere di vista le trasformazioni ben più profonde che si stanno verificando in relazione all’uso delle istituzioni di custodia nella società contemporanea. A partire soprattutto dall’esperienza britannica, vorrei quindi cercare di identificare sei elementi basilari che contribuiscono alla trasformazione del ruolo e del significato della carcerazione in tutta Europa, e che impongono nuove sfide per la politica, la pratica e la resistenza.

 

Questi sei elementi includono:

 

1. Intensificazione

2. Militarizzazione

3. Privatizzazione

4. Medicalizzazione

5. Femminilizzazione

6. Colonizzazione

 

Intensificazione

 

L’intensificazione dei regimi di custodia dei minori ha assunto diverse forme. In primo luogo, c’è una crescente erosione della differenza tra le istituzioni per la carcerazione dei minorenni rispetto a quelle tradizionalmente destinate agli adulti (Fagan 1995).

In secondo luogo, è avvenuta una espansione delle strutture per minorenni caratterizzate da indici di sicurezza più elevati. In verità, tali sezioni erano attive anche negli anni Settanta e Ottanta, ma l’espansione di luoghi chiusi di custodia per ragazzi dai 12 ai 14 anni ha registrato un incremento del 60% nel corso degli anni Novanta (Goldson 2002). Queste sezioni di sicurezza sono divenute sempre meno orientate verso il circuito assistenziale e sempre più legate all’esigenza di trattare con minori disturbatori coinvolti in reati e in disordini. All’interno di queste istituzioni chiuse, dunque, l’enfasi è posta su forme di controllo e monitoraggio continuo e rigido.

Al centro delle recenti trasformazioni c’è stata la crescente incorporazione della popolazione giovanile nel processo di controllo. La recente legislazione introdotta in Inghilterra e Galles (Detention and Training Order 1998) dà alle autorità la facoltà di rinchiudere ragazzi tra i 12 e i 17 anni autori di reati non gravi.

All’interno di altre leggi (Crime and Disorder Act 1998) è inoltre previsto che l’Home Secretary estenda ulteriormente i poteri dei tribunali fino a comprendere ragazzi di 10 – 11 anni di età.

Le nuove leggi e le nuove istituzioni portano nomi che talvolta rimandano a concetti positivi. In realtà, la proliferazione di interventi di questo genere ha contribuito ad intensificare l’azione penale contro ragazzi e giovani e a creare una rete sempre più vasta di regimi di detenzione nei quali i diritti dei minori sono erosi o ignorati. Le prassi utilizzate all’interno di tali istituzioni tendono ad accrescere, e non a limitare, la vulnerabilità di questi ragazzi, fino al punto da essere state al centro di interrogazioni presso la Corte Europea dei Diritti Umani.

Anche la durata delle pene comminate ai minori è aumentata negli anni più recenti. nel 1994, per un ragazzo minorenne essa raggiungeva in media gli otto mesi e mezzo; nel 1999 si è passati a Il.4 mesi. Si tratta di una tendenza per la quale non si prevede una inversione, dal momento che la nuova legislazione ha esteso il potere delle corti di comminare pene anche più lunghe e per ragazzi di età anche inferiore.

È sempre più frequente, inoltre, l’uso di celle di isolamento tra aprile 2000 e gennaio 2002, 3.776 minori sono stati ristretti in celle di isolamento. Su questo aspetto, la Howard League ha preso posizione come segue.

"La segregazione comporta di rinchiudere minori in sezioni speciali, fisicamente separate dal corpo principale del carcere. Le condizioni in queste sezioni di isolamento sono cattive. In un carcere visitato dalla Howard League, ad esempio, i muri della cella erano molto sporchi, l’intonaco scrostato e le lenzuola coperte di scritte, compresi simboli nazisti." (Howard League 2002)

Mentre le differenze tra la custodia dei minori e quella degli adulti vengono erose, c’è un’enfasi sempre maggiore sull’incapacitazione e sulla deterrenza. Nelle carceri più nuove è sempre più frequente l’uso della sorveglianza elettronica e di altre forme di monitoraggio. Il contenimento e la sicurezza sono posti al centro dei regimi di questi istituti.

 

Militarizzazione

 

Lo scivolamento più evidente verso la militarizzazione è stato fornito dalla sperimentazione di boot camps (letteralmente, campi scarponi) in stile statunitense Jonathan Simon (1995) ha sottolineato come la reintroduzione di questo tipo di istituzioni segni una drammatica inversione di tendenza nella storia della pena.

Tali luoghi di detenzione fanno proprie una gestione e un’organizzazione di tipo militare, comprendenti esercitazioni ed esercizi fisici, in rapporto alle quali Pat O’ Malley (1999) ha parlato dell’emergere di forme volatili e contraddittorie di pena. Per Simon e per O’ Malley i boot camps simboleggiano la decadenza della società contemporanea, dal momento che questa forma di pena, associata al modo di produzione fordista e ad una disciplina negativa, si pone profondamente in contrasto con qualunque barlume di riformismo assistenziale. Simon arriva anche a sostenere che i camps e le istituzioni analoghe rappresentano una forma di ostinata nostalgia e possono essere considerati strettamente correlati ad altre forme antiquate di pena come la pena di morte e le squadre di detenuti incatenati.

La focalizzazione sull’irregimentazione, la rigida disciplina, l’eccesso di esercizio fisico che include forme di addestramento paramilitare hanno prodotto regimi disegnati per colpire duro i detenuti. D’altra parte, è del tutto evidente che essi non funzionano- per lo meno, non rispetto alle finalità dichiarate. Le ricerche suggeriscono che tali regimi sono inefficaci come deterrenti generali e specifici, implicando tassi di recidiva analoghi a quelli riscontrati in altre istituzioni. Inoltre, più che avere un effetto deterrente sui detenuti, essi creano recidivi più forti e macho che in larga misura sono attratti da questo tipo di esercizi e di addestramento, considerati da essi, più che una punizione, un beneficio.

Inoltre, i regimi più rigidi di queste istituzioni modellate sullo stile militare sono spesso più attraenti per i giovani detenuti rispetto agli istituti minorili relativamente morbidi, che hanno invece una reputazione per il clima violento e intimidatorio.

Un certo numero di osservatori, infine, ha collegato questo tipo di istituzioni al riemergere del neoliberismo (Stenson and Edward 2000) che è associato anche alla crescita di una nuova cultura dell’impresa penale e dunque alle differenti forme di privatizzazione.

 

Privatizzazione

 

La privatizzazione può assumere forme differenti (Matthews 1989). Per quanto riguarda i minori, la privatizzazione è stata particolarmente marcata per diverso tempo, soprattutto in relazione alle forme di pena scontate all’interno della comunità. Le istituzioni minorili, comunque, al pari di quelle per gli adulti, sono sempre più spesso gestite da privati.

Nel Regno Unito esiste attualmente soltanto un carcere privato per i minori, situato ad Ashfield e gestito dalla Premier Prison Service Ltd. Sin dall’apertura nel novembre del 1999 sono emersi dei problemi e la ditta è stata anche ufficialmente ammonita con riferimento alle condizioni di vita dei detenuti e del personale. Ciò ha anche portato alla rimozione del direttore.

Problemi di questo tipo sono sempre più frequenti nelle carceri private britanniche, dal momento che esse, pur non essendo economicamente più convenienti di quelle pubbliche (Howard League 2002), sono caratterizzate da bassi livelli di personale.

L’aspetto più significativo della privatizzazione nel settore minorile è comunque dato da un lato dall’introduzione di prassi di gestione privata negli istituti, dall’altro dalla crescita di servizi specialistici privati per i minori detenuti.

L’avvento di quello che viene solitamente denominato New Public Management ha avuto un effetto profondo sull’organizzazione del sistema della giustizia penale nel suo complesso. Una tale forma di gestione ed organizzazione si fonda infatti su indicatori di efficienza, sull’analisi del rischio e su una forma di teoria dei sistemi legata alla valutazione degli input e degli output, e in generale segue le prassi manageriali proprie del settore privato.

Abbiamo visto che questo New Public Management ha rapidamente trasformato la ricerca dell’efficienza in punitività, dal momento che la realizzazione dell’efficienza è vista come correlata al persegui mento più rigoroso e rigido degli obiettivi. Coloro che non raggiungono i target sono penalizzati, mentre l’infrazione di una norma da parte di un detenuto in misura alternativa riconduce più spesso alla carcerazione.

La privatizzazione sta anche avanzando nel campo dei servizi specialistici delle agenzie di trattamento della tossicodipendenza e alcool-dipendenza. Sempre di più i minori sono inviati in queste agenzie, strutturate su vari livelli ma complessivamente inserite in una rete di giustizia penale disegnata per riformare volontariamente i rei, laddove questa presunta volontarietà è spesso associata alla minaccia della carcerazione come opzione alternativa.

Inoltre, come ha mostrato Malcolm Feeley (2002), dove la privatizzazione ha successo, essa tende ad estendersi anche nel settore pubblico. Gli imprenditori hanno storicamente esteso i servizi e incoraggiato l’introduzione di nuove forme di sanzioni che hanno portato 10 Stato stesso a coinvolgersi sempre più nella regolamentazione Tale tendenza è particolarmente chiara nell’organizzazione dei servizi e degli edifici per minorenni. La proliferazione di esperti e di agenzie specializzate è diventata una caratteristica distintiva del sistema penale minorile su entrambe le coste dell’Atlantico e i minori sono spesso identificati come oggetti preferenziali delle sperimentazioni.

In questi modi la privatizzazione sta trasformando la struttura della penalità minorile. Vengono sviluppate nuove pratiche gestionali e sempre più quello che funziona coincide con ciò che può essere contato. In stretto rapporto con la diffusione della privatizzazione nella sfera minorile è inoltre la tendenza alla medicalizzazione.

 

Medicalizzazione

 

In contrasto con la tendenza verso la militarizzazione, che vede nel minore un attore razionale, calcolatore ed edonista, bisognoso di una disciplina severa, esiste una tendenza parallela verso la medicalizzazione e la patologizzazione del giovane reo. Sempre di più i giovani considerati a rischio o potenzialmente problematici vengono anche considerati bisognosi di un trattamento medico.

C’è una attenzione crescente verso l’individuazione di disturbi comportamentali nei bambini anche di solo otto anni, individuati come soggetti patologici attraverso l’analisi del rischio. Dal momento che la criminalità è vista principalmente come il prodotto di fattori genetici, la tendenza è quella di identificare i delinquenti e anche i pre-delinquenti in uno stadio precoce (l’obiettivo ideale, ovviamente, sarebbe quello di coglierne le caratteristiche nel grembo materno, in modo da formulare il più completo programma di prevenzione del crimine). Fatto ancora più rilevante, la medicalizzazione si riflette nell’aumento delle istituzioni e delle agenzie che si occupano dei giovani con problemi, ossia di quei minori che presentano disturbi della personalità o problemi comportamentali, anche quando la diagnosi e il trattamento di queste condizioni presentano ambiguità.

È interessante notare da questo punto di vista come uno degli sviluppi più recenti è dato dal crescente interesse per il problema della dislessia Molti minori attualmente reclusi nelle istituzioni penali vengono riclassificati come dislessici, e un intero gruppo di specialisti è così entrato nell’arena penale sulla base

di una presunta specializzazione nell’identificazione e nel trattamento della dislessia. E dal momento che un terzo circa della popolazione complessiva si ritiene soffra di dislessia, e dato che la dislessia può apparentemente riguardare molti aspetti del comportamento o della personalità di ciascuno, si tratta di un’industria che non potrà non espandersi in futuro.

Una delle modalità di medicalizzazione più frequenti che opera oggi in diversi paesi è data dal programma di capacità cognitive, elaborato originariamente in Canada e successivamente esportato in altre parti del mondo. Viene asserito che tale programma riesce a migliorare le capacità di ragionamento dei detenuti, aiutandoli a pensare bene; in verità, il programma stesso si basa su una metodologia dubbia e la sua asserita positiva influenza sui tassi di recidiva è inesistente (Kendall 2002; Pawson and Tilley 1997).

Il significato della medicalizzazione, del resto, va ben oltre questi esempi specifici. La medicalizzazione ha creato una rete di agenzie e di istituzioni che sono in vario modo connesse al sistema penale e che si strutturano avari livelli. Come Paul Lerman (1980) sostenne alcuni anni fa in relazione agli USA, esiste un vero e proprio pericolo di creare un sistema di transcarcerazione all’interno del quale i minori sono continuamente mossi tra istituzioni mediche, private e penali, al punto che il numero complessivo delle persone sottoposte a controllo può essere stimato in due o tre volte quello formalmente riportato nelle statistiche ufficiali. I minori nelle istituzioni mediche oggi, possono infatti essere domani in istituzioni di custodia e poi, nel giro di poco tempo, in carcere

 

Femminilizzazione

 

Uno degli sviluppi più significativi negli ultimi anni è stato dato dal crescente numero di giovani donne incarcerate in istituzioni di diverso tipo. In Inghilterra e Galles il numero di donne in custodia tra i 14 e i 21 anni è cresciuto del 50% (Gelsthorpe and Morris 2002).

Una caratteristica importante della carcerazione di ragazze e giovani donne è nel fatto, che diversamente dagli uomini reclusi in istituzioni specifiche per minorenni, le ragazze continuano ad essere mescolate con le adulte.

Le carceri sono organizzate male per quanto riguarda le minorenni, molte delle quali presentano un carattere difficile e provocatorio. Una alta proporzione di queste ragazze sono risultate vittime di abusi sessuali, fisici o psicologici e presentano un alto tasso di esclusione o abbandono scolastico. Viene anche descritto un alto livello di autolesionismo in questo gruppo, che tende anche a fare esperienza di differenti forme di deprivazione sociale ed economica.

In contrasto con il fatto che tutte le ricerche mostrano che molte donne sono incarcerate per reati minori e che le donne sono complessivamente responsabili per una proporzione assai ridotta dei reati, l’incarcerazione delle donne minorenni continua a crescere. La maggiore crescita nella popolazione carceraria delle donne nell’ultimo decennio si è verificata in rapporto al reato di furto e maltrattamento. Ci sono state ripetute campagne per la decarcerizzazione delle donne, per il loro affidamento ai servizi comunitari, ma paradossalmente la carcerazione delle donne è cresciuta in Inghilterra e Galles parallelamente al declino delle sanzioni amministrative.

Al contrario di ciò che sostengono i media, non esiste alcuna prova della presunta trasformazione delle modalità e del grado della criminalità femminile nell’ultimo decennio; il percorso verso il crimine appare invece sostanzialmente invariato. D’altra parte, non è stato tanto l’allungamento delle pene ad accrescere la popolazione detenuta femminile, ma il numero assoluto di donne mandate in carcere. In America, tuttavia, è stato sostenuto che una ragione per la crescita della carcerazione femminile è legato ad una tendenza al trattamento più equo delle donne, alle quali verrebbero attualmente comminate pene della stessa durata di quelle degli uomini (Chesney, Lind 1997).

In una certa misura, la crescita del numero delle detenute può essere vista come il prodotto della guerra alla droga, benché la maggioranza delle donne incarcerate per reati legati alla droga in Inghilterra e Galles lo sia per possesso illegale Esistono comunque alcuni casi di donne condannate a lunghe pene per importazione di droga, anche se in generale il raddoppio del numero delle donne in carcere tra il 1990 e il 2000 deve essere attribuito alle trasformazioni nella politica delle condanne (Carlen 2002).

 

Colonizzazione

 

Per colonizzazione intendo il crescente numero di minori non-nazionali reclusi nelle istituzioni penali d’Europa. In molti paesi europei la percentuale degli stranieri detenuti è cresciuta rapidamente nel corso degli anni Novanta, tanto che essi costituiscono una notevole parte della popolazione detenuta complessiva. Se si guarda per esempio alla Germania, il numero di stranieri in carcerazione preventiva sta aumentando rapidamente, mentre il numero degli stranieri che scontano la pena è cresciuto da circa il 15% della popolazione nel 1989 ad oltre il 30% nel 1994. Significativamente, i tassi di carcerazione con riferimento ai cittadini tedeschi erano in calo negli anni Novanta, mentre l’incremento complessivo del numero dei detenuti è stato determinato unicamente dall’incremento degli stranieri.

Anche nella liberale Svizzera la percentuale di stranieri che entrano in carcere ha subito un aumento significativo nel corso degli anni Novanta. Lo stesso discorso vale anche per la Francia, dove alla fine dello scorso decennio la proporzione dei cittadini francesi era pari a 89/100000 mentre quella degli stranieri era di 405/100.000. Molti di loro sono condannati a lunghe pene, vengono detenuti in pessime condizioni e hanno un sostegno finanziario e sociale molto ridotto (Tonry 1997). La crescita di non-nazionali ha creato in Europa- è stato sostenuto- un sistema di carcerazione dei due terzi: un terzo di cittadini nazionali e un terzo di stranieri (Tomasevski 1994). Tra gli stranieri detenuti una proporzione notevole è costituita da migranti di seconda o terza generazione (Martens 1997).

La crescente carcerazione di stranieri crea seri problemi a questi detenuti, non soltanto per il grave sovraffollamento ma anche per i problemi di gestione di istituti che in genere non sono attrezzati per venire incontro agli specifici bisogni dei detenuti stranieri (Spinellis et al. 1996).

Questi ultimi hanno inoltre meno possibilità di fruire delle misure alternative, essendo spesso privi di una residenza fissa o di una famiglia nel paese in cui scontano la detenzione; difficilmente riescono ad avere una buona difesa legale, e devono spesso sopportare condizioni di vita molto difficili.

 

Conclusioni

 

Provando a trarre delle conclusioni, si può valutare come l’aumento numerico della popolazione detenuta costituisca solo una parte della questione. Il pericolo è, da un lato, quello di focalizzare l’attenzione soltanto sul numero dei detenuti; d’altra parte, benché si tratti di persone reali con vite reali e sofferenze reali, concentrandosi solamente sull’aspetto quantitativo si rischia di occultare le trasformazioni che avvengono nelle modalità della carcerazione, ossia nell’assetto delle istituzioni punitive, nella loro gestione e organizzazione, nel loro ruolo e nella loro connessione con altre istituzioni e con la società nel suo complesso.

 

Come Loic Wacquant (2000) e Mike Davis (1998) hanno sottolineato in vario modo, il mondo all’esterno del carcere è sempre più soggetto a forme di controllo, sorveglianza, segregazione e divisione sociale simili a quelle impiegate all’interno delle istituzioni penitenziarie. Non c’è infatti soltanto un problema di porte girevoli attraverso le quali si ha un continuo flusso di settori selezionati della popolazione dal carcere alla comunità; stiamo assistendo ad una vera e propria confusione dei confini tra il carcere e le altre sanzioni.

Le misure da scontare nella comunità, una volta considerate come alternative alla custodia, stanno diventando sempre più una mera estensione della custodia stessa. Nuove strategie di condanna legano il carcere e le sanzioni comunitarie in una rete di pene che producono complessivamente un sistema auto poietico che determina la transcarcerazione di soggetti attraverso un sistema di controllo sempre più integrato.

Il risultato è che stiamo forse assistendo ad una trasformazione nella modalità della pena, all’interno della quale il carcere, piuttosto che collocarsi al culmine di un sistema di pene, diventa una caratteristica più integrata di una società del contro/lo che prevede anche altre istituzioni e agenzie dalle quali passa un numero crescente di persone (Deleuze 1990). Recentemente è stato sostenuto che in Inghilterra e nel Galles la probabilità di essere incarcerato è di 1 a 16, mentre negli USA è di 1 a 20 circa. Ma per un afroamericano essa sale ala 4 e per un ispanico negli USA si arriva ala 6. Di conseguenza, per talune sezioni della popolazione, la carcerazione sta diventando una esperienza comune, mentre molti detenuti passano una considerevole parte della vita tra una rete di agenzie penali, mediche e private.

 

 

Precedente Home Su Successiva