Inchiesta Difesa del Popolo

 

Il carcere è l’ultima (pesante) risposta

Il disagio familiare, un humus per la "criminalità" dei giovanissimi

 

La Difesa del Popolo, 20 luglio 2003

 

I ragazzi chi li giudica?

Come funziona la giustizia minorile? Dove vanno i ragazzi "rei" di crimini? Cosa prevede la riforma in fase di studio alla camera dei deputati? La macchina della giustizia minorile è complessa e chiede attenzione, specializzazione e capacità di guardare a un futuro possibile per questi giovani.

Due le parole chiave: famiglia e prevenzione.

 

Intervista a Graziana Campanato, presidente del tribunale per i minorenni di Venezia

 

Di fronte a un progressivo aumento dei reati compiuti dai minori - nel Veneto, negli ultimi anni c’è stata una progressiva crescita dei procedimenti (dai 2.209 del 1999 - 2000 ai 2.225 del 2001 - 2002) - si pone con urgenza il tema della prevenzione e della rieducazione. Come sottolineano, infatti, quanti lavorano nell’ambito della giustizia minorile, non è sufficiente proteggersi dai minori che delinquono, ma è necessario evidenziare il valore rieducativo e di reinserimento sociale della pena previsto dalla costituzione italiana stessa all’art. 27.

E c’è concordanza d’opinioni anche per quanto riguarda la necessità di una riforma in questo ambito della giustizia. Ma i disegni di legge 2517 e 2501 del 2002, per la riforma del tribunale per i minorenni e successivi emendamenti, hanno incontrato numerose critiche. Graziana Campanato, presidente del tribunale per i minorenni di Venezia, ritiene che la criminalità minorile in Veneto non sia un fenomeno di dimensioni allarmanti. I casi di reati commessi dai giovanissimi fanno piuttosto riflettere sul disagio e la disgregazione dei nuclei familiari, che non sono in grado di dare punti di riferimento ai figli.

"Il Veneto non è un territorio di delinquenza giovanile - commenta la Campanato - e fortunatamente non è diffuso il triste fenomeno dei minori utilizzati, dalla criminalità organizzata o da adulti in generale, per commettere illeciti come furti o rapine. Quando succede, spesso si tratta di giovani in trasferta, dal sud Italia o extracomunitari".

 

Quali sono in Veneto i reati più diffusi che vedono coinvolti dei giovani?

"Sono molto diffusi i reati collegati al traffico di stupefacenti. Il vero allarme, però, è il disagio familiare, che conduce spesso i giovani a fare uso di droghe, e quindi a entrare in contatto con la criminalità".

 

Che tipo di disagio caratterizza le famiglie di provenienza dei minori che hanno problemi con la giustizia?

"Non si può certo dire che siano situazioni di povertà a far nascere, da noi, la delinquenza. La conflittualità fra genitori e figli, siano buone o cattive le condizioni economiche familiari, si presenta soprattutto quando i figli crescono distanti dai genitori, per cause di lavoro o altro. Questa lontananza, di tipo affettivo, provoca delle crescite sbagliate e addirittura una capacità di apprendimento ridotta nei minori. Questi deficit non sono di natura biologica, ma dipendono dall’incapacità, spesso gravissima, di educare. Forse tali problemi sono così importanti perché abbiamo delle ottime strutture, che rilevano e analizzano questi fenomeni, magari presenti anche in altri tempi ma meno studiati".

 

Com’è la situazione delle strutture di accoglienza per i minori devianti nel nostro territorio?

"L’unica struttura carceraria per i minori in Veneto è l’istituto penale minorile (I.P.M.) di Treviso, creato per ospitare 15 persone e oggi sovraffollato. Gli ospiti arrivano da tutta Italia. È il ministero della giustizia a indicare il luogo di detenzione, perciò i ragazzi di qui possono essere detenuti altrove, mentre noi abbiamo anche giovani di altre regioni. Oggi, rispetto al passato, c’è un sovraffollamento delle carceri, e questa condizione non sarebbe in linea con le finalità educative della pena, nonostante la buona volontà di chi gestisce questi istituti".

 

L’I.P.M. ospita giovani condannati, o è una struttura per la custodia cautelare in carcere?

"Nell’I.P.M. si svolge prevalentemente la custodia cautelare. Infatti, anche se i giudici e i servizi minorili cercano di collocare i giovani in comunità miste contenitive convenzionate anche durante il procedimento (perché vivano in un ambiente il più possibile "normale"). In queste realtà, non essendoci "sbarre", è difficile ovviare al pericolo di fuga. In questi casi si ricorre alla custodia in carcere".

 

E una volta emessa la condanna?

"Per la reclusione (la pena che segue la condanna per i reati più gravi) il discorso cambia: per i minori le pene sono diverse rispetto agli adulti. Sono ridotte, usate raramente e solo per i casi più gravi, a volte anche per pochi giorni. I servizi sociali optano spesso per un percorso alternativo. Ad esempio, con la richiesta di messa in prova si sospende il procedimento per un massimo di tre anni, e si attua un progetto di studio o lavoro, volontariato e solidarietà sociale, sotto il controllo dei servizi minorili, con collocamento in famiglia o comunità. Ciò è possibile anche per minori stranieri o nomadi, ma è più facile avere successo se c’è una famiglia alle spalle, perché col tempo deve venir meno il controllo esterno, deve essere il minore a maturare e ad accogliere certi valori, altrimenti la comunità è presa come un periodo di lavoro o studio per poi ricominciare con la vita di prima. È difficile far rispettare le regole ai minori devianti, molti preferiscono stare in carcere piuttosto che lavorare, perché è più comodo stare senza far nulla!".

 

Ci sono categorie più difficili?

"Con i tossicodipendenti si fatica a far rispettare i tempi della comunità. Difficoltà di tipo culturale ci sono invece con i nomadi, salvo che non facciano parte di comunità divenute stanziali. Ci sono poi, purtroppo, soggetti con gravi carenze di personalità, con problemi psichiatrici scatenati da fattori ambientali, e le personalità psicopatiche giovani si riscontrano molto più frequentemente che in passato. La messa in prova per questi soggetti è più complicata anche perché sono elementi di disturbo per la comunità, è difficile trovare la struttura giusta e l’adeguata protezione".

 

Cosa succede se nel periodo di prova il minore trasgredisce le prescrizioni impostegli?

"A volte la messa in prova ha successo, altre no, e allora il processo continua con l’eventuale condanna. Come avviene per gli adulti, il giudice di sorveglianza può poi trasformare la pena per i reati meno gravi in affidamento ai servizi sociali: in tal caso è sempre intervenuta una condanna, mentre la messa in prova conclusa con successo avrebbe trasformato il procedimento penale in una forma amministrativa, senza lasciare la macchia del reato".

 

Quindi è fondamentale che esistano nel territorio non solo le strutture carcerarie tradizionali, ma anche centri di accoglienza per il reinserimento dei minori?

"Ci sono molte strutture di accoglienza meno restrittive dell’I.P.M.: si tratta di realtà private come case famiglia o comunità nelle quali i giovani possono fare un percorso di rieducazione. Paradossalmente, però, c’è carenza di strutture per i casi più complessi, per i minori, cioè, che commettono omicidi o altri gravi reati, di cui si sono registrati casi anche quest’anno. È più urgente però occuparsi dei rapporti con la famiglia e dell’educazione, spesso carente, di questi ragazzi e pensare quindi alla prevenzione, che potenziare la repressione. Il tribunale per i minorenni lavora di più per i procedimenti civili che per quelli penali, vale a dire, per proteggere più i minori dalle famiglie e dagli adulti che la società dai minori".

Tribunale: abolito o trasformato?

A rischio la competenza specifica e i giudici onorari

 

Il tribunale per i minorenni è competente non solo in ambito penale per i reati commessi dai minori, ma anche in ambito civile e amministrativo per quanto riguarda la potestà genitoriale, la tutela, l’adozione e l’affiliazione. Per contro, i tribunali ordinari si occupano anche del diritto di famiglia (separazioni, divorzi, etc.), che pure vede coinvolti minori. Del tribunale ordinario è anche la competenza in ambito penale per i reati commessi a danno di minori. Solo questi cenni fanno comprendere come in una materia così vasta e delicata sia necessario mettere ordine, nell’interesse di una categoria - quella dei bambini e dei giovanissimi - che necessita di protezione.

Nel marzo 2002 sono stati presentati alla camera dei deputati due disegni di legge per la riforma del tribunale per i minorenni, che prevedevano sostanzialmente l’unificazione delle competenze, trasferendole a sezioni specializzate del tribunale ordinario, in materia di famiglia e minori nell’ambito civile, lasciando invece inalterata la competenza del tribunale per i minorenni sul fronte penale.

Nel marzo 2003 è stato presentato un emendamento che propone di unificare anche le competenze penali, con la conseguente abolizione del tribunale per i minorenni. La prima critica mossa alla riforma proposta riguarda il venir meno di una struttura altamente specializzata, caratterizzata dal prezioso contributo dei giudici onorari e di un osservatorio giudiziario e sociale, che hanno reso possibile la creazione di un bagaglio culturale e di un’esperienza, riconosciuta anche dalla corte costituzionale, per la quale in un tribunale ordinario non ci sarebbe spazio, nonostante la buona volontà degli operatori.

Una struttura autonoma e specializzata nella giustizia minorile ha delle caratteristiche diverse rispetto alle sezioni istituite nei tribunali ordinari, in quanto i giudici delle sezioni speciali possono essere chiamati a occuparsi di altre materie, nell’ambito del tribunale, e senza avere, in tema di minori, gli stimoli provenienti dai giudici onorari e dai contatti con i servizi sociali. Un esempio: nel tribunale di Belluno ci sono 10 giudici in tutto, e l’istituenda sezione per la famiglia ne richiederebbe 3.

Questi giudici non potrebbero avere una specializzazione completa, sarebbero chiamati ogni giorno ad altre funzioni. Nel primo progetto di riforma del marzo 2002 mancava del tutto la figura del giudice onorario, nel secondo del 2003 è stata recuperata ma solo in funzione di tracciare un profilo del minore, con il rischio di passare al molo di consulente tecnico che inserisce la sua perizia in un fascicolo che il giudice successivamente aprirà, perdendo la fase importante del confronto immediato. Una soluzione ritenuta da molti efficiente per la riforma del tribunale per i minorenni sarebbe, anziché l’abolizione, la trasformazione di quest’ultimo in tribunale per la famiglia, già presente in molti stati e previsto anche in convenzioni internazionali, che riunisca le competenze per separazioni, divorzi e per tutte le vicende relative ai minori.

Con l’istituzione di due o tre tribunali per la famiglia nel territorio regionale si migliorerebbe l’accessibilità di quest’organo di giustizia, eliminando anche i conflitti di competenza con i tribunali ordinari. Questa soluzione si contrappone al disegno di legge che, pur volendo unificare le competenze relative alla famiglia e ai minori, le trasferirebbe però al tribunale ordinario, con aggravio dei tempi già lunghi della giustizia. Forse quella scelta dal disegno di legge è una strada più facilmente percorribile dal punto di vista organizzativo: qualunque sia però la conclusione della riforma, l’interesse superiore del minore, sottolineano gli operatori della giustizia minorile, deve rimanere la linea guida.

I detenuti parlano ai ragazzi

Limena incontro tra scuola e carcere Due Palazzi

 

La prevenzione è il modo migliore per affrontare il problema della giustizia minorile. Su questa linea lavorano le amministrazioni locali del Veneto assieme ad associazioni, nell’intento di avVicinare i giovani nei luoghi delle loro attività quotidiane - scuola, sport, spazi del tempo libero - per confrontarsi con loro sul tema della legalità, degli sbagli, a volte irreparabili, che si possono commettere da giovani.

L’assessorato alle politiche giovanili del comune di Limena, per esempio, ha organizzato per il secondo anno consecutivo il progetto "Prevenzione della devianza minorile", coinvolgendo il Centro di Documentazione Due Palazzi, l’istituto comprensivo di Limena, l’associazione Libera, di cui è referente don Luigi Tellatin e altri enti del territorio.

La regione Veneto sta promuovendo un progetto pilota regionale "per la prevenzione del disagio e per il contrasto della devianza minorile, attraverso la mediazione nel settore penale come percorso educativo di riparazione" affidato all’Opera don Calabria.

Il progetto è alla prima fase di attuazione, incentrata sull’aspetto preventivo e promozionale di una nuova cultura della convivenza positiva all’interno dei luoghi di aggregazione giovanile (sport e tempo libero, scuole). In questa fase di divulgazione sono stati presi contatti con i presidenti delle associazioni sportive del territorio regionale veneto e il centro sportivo italiano. La seconda fase partirà a settembre, con percorsi di sensibilizzazione rivolti a ragazzi, genitori e adulti, interventi specifici sui temi della convivenza positiva e con la costituzione degli uffici di mediazione penale minorile.

Il tribunale per i minorenni

 

I tribunali per i minorenni sono stati istituiti con regio decreto - legge del 20 luglio 1934, n° 1404. Nel settembre 1988 è stato emanato il decreto del presidente della repubblica n° 448, disciplinante il processo penale a carico di imputati minorenni, cioè coloro che abbiano commesso un reato tra i 14 anni e i 18 anni (la responsabilità penale nel nostro paese è riconosciuta solo a partire dai 14 anni). La competenza del tribunale per i minorenni cessa quando l’imputato compie 25 anni.

 

La struttura del tribunale

 

Il tribunale per i minorenni ha una caratteristica specifica: è composto, infatti, da due magistrati togati e due cittadini, un uomo e una donna, specializzati in materia d’assistenza sociale, antropologia criminale, psichiatria, pedagogia e psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età. Sono i cosiddetti giudici onorari, che operano a fianco dei magistrati di carriera e sono chiamati a valutare gli aspetti pedagogici e umani, le risposte alle esigenze del minore in difficoltà. Il diritto coesiste quindi con le altre discipline nello svolgimento del processo e nella decisione: questo distingue i giudici onorari da consulenti esterni (periti psichiatrici, medici), che intervengono solo per fare una perizia ma non seguono tutto il procedimento e non contribuiscono direttamente a decidere cosa fare.

 

Custodia cautelare, reclusione e messa in prova

 

Il decreto del presidente della repubblica n° 448 del 1988 è il frutto delle riflessioni sulle esperienze, anche internazionali, in ambito di diritti dei minori, e contiene il principio della minima offensività del processo: posto che un procedimento penale ha una capacità offensiva intrinseca nei confronti dei minori, il giudice valuta caso per caso l’opportunità di continuare il procedimento o di interromperlo, tenendo presenti gli scopi educativi.

Le misure cautelari più restrittive sono limitate ai casi più gravi rispetto al processo ordinario verso gli adulti. E una norma del d.p.r. 448 prevede la sospensione del processo e la messa in prova quando il giudice ritiene di dover valutare la personalità del minorenne al termine di un periodo che può andare da uno a tre anni per i casi più gravi, durante il quale il minorenne è affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno.

Il giudice può anche impartire prescrizioni, dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte. Se, decorso il periodo di sospensione, la prova ha dato esito positivo, tenendo conto del comportamento del minorenne e dell’evoluzione della sua personalità, il giudice dichiara estinto il reato, altrimenti il processo continua.

 

Le strutture giudiziarie

 

Le strutture giudiziarie che ruotano attorno al processo verso minori sono varie e complesse, e i servizi sociali hanno un ruolo fondamentale per il collocamento dei giovani imputati e condannati in strutture adeguate. La misura cautelare della custodia in carcere e la pena della reclusione vengono eseguite sia negli istituti penali per i minorenni (17 in tutta Italia, ospitano ragazzi fino a 21 anni che hanno commesso un reato prima della maggiore età), sia nelle comunità per minori, che non sono solo quelle dell’amministrazione della giustizia minorile, ma sono per lo più strutture private, associazioni e cooperative, convenzionate con gli uffici di servizio sociale per i minorenni.

I numeri della giustizia penale minorile

Aumentano i reati, ma anche la detenzione domiciliare e la messa in prova

 

L’andamento della giustizia penale minorile veneta è tracciato. Anche dalle relazioni annuali trasmesse dal procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni al ministero della giustizia in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. Relazioni in cui si confrontano i dati dell’ultimo anno (nel periodo 1 luglio - 30 giugno) con quelli degli anni precedenti, ricavandone così lo stato della giustizia.

Per quanto riguarda i proscioglimenti: nell’ultimo anno, ve ne sono stati 78 per irrilevanza del fatto, nei 12 mesi precedenti erano stati 285, mentre aumentano, di poco, quelli per esito positivo della messa in prova (da 30 a 33). Quanto alle misure cautelari, nell’ultimo anno di riferimento venivano convalidati 93 arresti/fermi, stabilite 81 custodie cautelari in carcere, 22 permanenze in comunità, 17 permanenze in casa e 2 prescrizioni contro gli 88 arresti, le 50 custodie cautelari, le 21 permanenze in comunità, le 8 permanenze in casa, restando invariate le prescrizioni.

Dagli ingressi nell’I.P.M. di Treviso risulta che nell’ultimo anno sono entrati, anche per poco tempo 163 minori: 112 maschi (21 italiani, 54 stranieri, 1 dell’Unione europea,36 nomadi) e 51 femmine (3 italiane, 2 straniere, 46 nomadi), contro i 75 maschi (27 italiani, 15 stranieri, 21 da paesi dell’Unione, 12 nomadi) e 33 femmine (6 italiane, una straniera, 26 nomadi) dell’anno precedente. Sullo stato delle misure alternative alla detenzione, i dati sono i seguenti: su 96 richieste di affidamento in prova al servizio sociale (79 nel 2000/01), 19 sono state accolte, 56 rigettate, 1 revocata e 18 erano pendenti al momento della rilevazione.

L’anno precedente ne erano state accolte 16, rigettate 45, revocate 2 e 21 erano pendenti. Per la detenzione domiciliare, vi sono state nell’ultimo anno 16 richieste, 3 delle quali accolte, 1 rigettate, 1 revocata e 4 pendenti. Nel 2000 - 2001 ne erano state revocate 8, e tale dato in diminuzione sia per l’affidamento in prova che per la detenzione domiciliare può forse essere indice di miglior adeguamento della misura alle esigenze del minore.

 

 

Procedimenti

1999 - 2000

2000 - 2001

2001 – 2002

procedimenti pervenuti

2209

2150

2225

procedimenti esauriti

1387

1957

1921

procedimenti pendenti

2540

2771

3075

 

 

 

 

Tipologia del reato

1999 - 2000

2000 - 2001

2001 – 2002

omicidio consumato

n.d.

1

4

omicidio tentato

n.d.

3

4

rapine

n.d.

52

58

estorsioni

n.d.

10

20

lesioni personali volontarie

n.d.

143

150

lesioni gravissime

n.d.

2

12

furti

n.d.

831

954

reati sessuali

n.d.

26

28

spaccio

n.d.

165

173

omicidio colposo

n.d.

2

1

Fonte: relazione sull’amministrazione penitenziaria della giustizia nel distretto della Corte d’appello di Venezia – Sito del Ministero della Giustizia

 

Case d’accoglienza miste sono a disposizione
per ospitare e reinserire anche i ragazzi che hanno commesso reati

 

Con i minori si cerca il più possibile di evitare la condanna

 

Se per gli adulti rei è prevista la pronuncia di una condanna con il conseguente sconto della pena, salvo eccezioni disposte dalla legge per i casi più lievi, per i minori vale la regola contraria: si cerca sempre di evitare loro il carcere, e addirittura di evitare che sia pronunciata la condanna, anche se colpevoli.

Per dare loro la possibilità di vivere in un ambiente sereno, di stimolo per dare una direzione nuova alla loro vita, il tribunale per i minorenni può, infatti, decidere di affidare i giovani a strutture di accoglienza e valutare, dopo un periodo di prova, se sono stati in grado di reinserirsi nel tessuto sociale e di acquisirne i valori.

Le strutture di accoglienza sono di natura privata e la maggior parte ospita un numero limitato di minori, che devono essere seguiti con tutte le cure e le attenzioni che spesso proprio ai minori cosiddetti "devianti" sono mancate.

Nel Veneto la case famiglia sono in genere miste, ossia ospitano minori non accompagnati ( con problemi familiari alle spalle), che vengono affidati dal comune, ragazzi con problemi psichiatrici, a carico dell’ULSS, e minori che hanno un procedimento penale in corso, affidati dal tribunale per i minorenni.

Queste case famiglia, riconosciute formalmente e convenzionate con il tribunale per i minorenni di Venezia, si raccordano a quest’ultimo tramite il centro per la giustizia minorile e i servizi sociali, che hanno un referente per quasi tutte le province. E poi l’osservatorio regionale per l’infanzia e l’adolescenza, istituito con legge 451/97, a gestire la banca dati delle case di accoglienza per i minori, raccogliendo semestralmente le relazioni sui minori ospiti e inviandole alla procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni.

Molte di queste strutture a favore dei minori ospitano ragazzi provenienti da diverse esperienze di disagio: anche i minori che delinquono sono in fondo vittime, e vanno protetti e amati come tali. Molto spesso in un atto di delinquenza giovanile non c’è la volontà cosciente di fare del male, è invece sovente l’esempio degli adulti che, nel totale abbandono culturale e nella mancanza di significato, spinge i ragazzi a infrangere le regole della società.

Molti aspetti accomunano i centri di accoglienza per i minori. Chi li guida e gestisce si propone sempre un lavoro paziente, è pronto ad accettare l’ostilità. e la ribellione di chi ha imparato a non credere a una vita "normale", sa che non lavora per avere qualcosa in cambio se non la crescita e la maturazione di giovani a cui è stata data un’altra possibilità.

 

Una "casa" dove l’accoglienza e il recupero hanno un nome: carità

 

Casa Edimar, struttura di prima accoglienza, con sede in via Due Palazzi, fa capo all’associazione Edimar di Padova. Nel 1999 ha accolto il primo ragazzo affidato dal tribunale per i minorenni per la messa in prova. Oggi la casa ospita una decina di giovani prevalentemente dai 17 ai 20 anni, spesso provenienti da esperienze di furti e rapine e affidati per la messa in prova, più raramente per la custodia cautelare, che richiede una stretta vigilanza.

La struttura è quella di un gruppo famiglia con l’ausilio di psicologi e volontari ed è sostenuta anche da finanziamenti pubblici. E una scelta forte per una famiglia quella di condividere la vita con ragazzi che hanno un profondo bisogno di essere accettati come sono. Dopo il periodo di prova a casa Edimar, i ragazzi decidono liberamente se tornare in famiglia o se fare altre scelte. Dal settembre 2003 saranno organizzati degli appartamenti per i maggiorenni che decidono di restare, e molti desiderano rimanere in quella casa che spesso è stata l’unica loro famiglia.

Il principio a cui si ispira l’ operato di casa Edimar con i minori provenienti da situazioni di disagio, spiegano gli operatori, è dare a tutti la possibilità di dimostrare la propria dignità attraverso un lavoro, fattore fondamentale per il suo alto valore educativo. In carcere i ragazzi non avrebbero questa possibilità di recupero, ed è per questo che il carcere, anche in quanto "scuola di criminalità", viene evitato dove possibile. Il lavoro è considerato non solo come una fonte di guadagno legale e di reintegrazione nel sistema, ma è soprattutto espressione di se. I ragazzi sono sostenuti eseguiti nei momenti di crisi, nei rapporti col datore di lavoro, nella ricerca di un’attività che corrisponda alle loro aspirazioni e attitudini. La fatica del recupero è tutta sulle spalle dei giovani, che devono essere i primi a voler fare un percorso diverso da quello che li ha portati a delinquere, ma sanno che saranno sempre aiutati, che possono ripartire se cadono perché non ci si attende un esito da loro, saranno amati e accolti in ogni caso: l’origine di tutto, secondo il motto di casa Edimar, è la carità.

 

Stare in una comunità aiuta a non ricadere e tornare in carcere

 

L’associazione Amicizia di don Pietro Pengo ha ricevuto giovani affidati dal Tribunale per i minorenni, sia italiani che stranieri, perla messa in prova, oltre che minori non accompagnati o con problemi psichiatrici in carico del comune e dell’USLL vi sono accolti circa 25 ragazzi dai 14 ai 18 anni (qualcuno di 12-13 anni). Alcuni hanno commesso anche reati gravi, ed è proprio questa la sfida - spiega don Pietro Pengo - meritano fiducia i ragazzi che sono arrivati a non rispettare anche la vita umana in un’età in cui comunque erano padroni delle loro azioni? Vale la pena di provare a evitare loro una condanna e il carcere, da dove con buone possibilità uscirebbe un adulto segnato?

L’esperienza che l’associazione Amicizia ha avuto finora- come emerge dalle considerazioni del sacerdote - è stata positiva, e i ragazzi in genere dopo essere stati in comunità non rientrano in carcere, nel periodo di prova si comportano bene, anche se sicuramente sono vivaci e hanno bisogno di tempo per adeguarsi ai tempi e alle regole della comunità. Per i minori stranieri il reinserimento è più difficile, a volte il giudice, che deve scegliere la struttura di destinazione in base all’esame della personalità del ragazzo, esclude fin dal principio la possibilità di messa in prova, così come per i ragazzi dal profilo psicologico più problematico, per i quali c’è carenza di strutture adeguate e che scontano quindi la pena in istituti psichiatrici. E importante però, e su questo concordano quanti dedicano il proprio tempo ai minori in situazioni di disagio, non considerare i ragazzi coinvolti in procedimenti penali sempre e comunque come problematici: l’adolescenza è un periodo delicato in cui spesso i comportamenti sfuggono al controllo degli adulti. Ma, commentano all’associazione Amicizia, va tenuto presente il principio della "minima offensività del processo" e quindi la riduzione degli interventi giudiziari per i minori al minimo indispensabile, specialmente quelli di natura coercitiva e restrittiva.

 

In ambito minorile educare è la prima regola per prevenire

 

Ai tema della giustizia è dedicato il numero 1 - 2003 della rivista Etica per le professioni, edito dalla fondazione Lanza di Padova, in uscita in questi giorni. Un’indagine a tutto campo dove non manca 1a questione della giustizia penale minorile, affrontata da Domenico Pulitanò, ordinario dì diritto penale all’università Biccoca di Milano che, di fronte al dibattito attuale tra aumento della penalità ed educazione e recupero dei minorenni autori di illeciti, scrive: "Il diritto penale minorile è il settore dell’ordinamento penale in cui più forte è il rilievo dell’idea rieducativa, anzi educativa, come la giurisprudenza costituzionale ha avuto occasione dì sottolineare. Il diritto minorile è caratterizzato dal rivolgersi a personalità "in formazione", rispetto alle quali l’impegno "educativo" è doveroso anche indipendentemente dal commesso reato. Se un reato è stato commesso dal minorenne, sono più deboli i presupposti del rimprovero dì colpevolezza e, dall’altro lato, le chance educative possono essere meno aleatorie".

 

Luoghi in cui si trova un focolare domestico

 

Il Centro studi sociali Murialdo riceve ogni anno 9-10 ragazzi in situazioni di disagio sociale, e in trent’anni di accoglienza 200 ragazzi hanno trovato in questa casa la loro famiglia, un punto di riferimento senza un termine finale, senza scadenza, che ha permesso loro di non ritornare in strada, dando la sicurezza di essere sempre amati, anche quando tornano dopo tanti anni con la loro famiglia e i figli a trascorrere le vacanze.

Essere la famiglia dei ragazzi affidati dai servizi sociali è il fine di questa casa, la stabilità è importantissima per giovani abituati a non ricevere valori né dalla famiglia né dalla società.

Gli operatori del Murialdo non vogliono far sentire i giovani ospiti in una struttura, in un’associazione, ma si mettono in relazione a loro come persone che possono dare appoggio e affetto. Per questo questi centri di accoglienza sono "mascherati" nella città, si chiamano case, non devono avere i riflettori puntati. I ragazzi si sentono subito dire: "Questa è la tua casa. Ecco la tua stanza, il tuo letto".

La vita è quindi tutta con i ragazzi, che sono ospitati o in appartamenti con i religiosi del Murialdo, o con famiglie, e gli ospiti non sono mai più di 3 o 4 per ogni nucleo, perché ognuno deve fare il suo percorso con la sua famiglia: questo è importante soprattutto per quelli che hanno precedenti penali, perché devono uscire dal contesto cheti ha spinti a commettere errori. Alcuni ragazzi sono così traumatizzati dalla vita familiare che non vogliono andare a vivere con le coppie, preferiscono i gruppi famiglia, che hanno una figura maschile (un religioso) e una figura femminile (una dipendente dell’associazione che si occupa dei pranzi e della gestione della casa).

Per portare i ragazzi al livello di autonomia adeguato alla loro personalità ci sono tre laboratori guidati in cui sono seguiti con fiducia e pazienza e soprattutto con attenzione ai loro bisogni individuali, perché l’inserimento nel tessuto sociale non è facile. I giovani arrivano senza fiducia, spesso con rabbia, e fanno fatica ad inserirsi in nuovi ambienti. Hanno bisogno di essere seguiti per avere un progetto insieme ad un adulto, di avere attorno a se persone e non istituzioni, ed è indispensabile il sostegno dell’equipe di volontari e specialisti. Chi lavora con questi ragazzi, è il commento degli operatori, sente di percorrere egli stesso un cammino e di ricevere un dono. Non che il percorso sia lineare e costellato solo successi: i casi affidati dal tribunale per i minorenni non sono facili, anche se il periodo di prova funziona, non sempre i ragazzi vogliono o possono tornare in famiglia, e la vita "normale" (orari prestabiliti, un lavoro a volte faticoso) non è certo più semplice di una vita senza regole. Per questo le loro giornate sono riempite di gite al mare, compiti anche a casa dei compagni di scuola, giochi e lavori, e sempre qualcuno con cui sedersi e parlare per qualche minuto quando si è stanchi. Se questo metodo educativo funziona, vuol dire che purtroppo quello che è mancato nell’infanzia e nell’adolescenza di questi ragazzi è proprio l’amore, il sentirsi dire che sono una gioia, e non un fastidio per i genitori o per chi li deve accudire.

 

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