Il lavoro penitenziario

 

Il lavoro penitenziario

di Monica Vitali (Giudice del lavoro presso il Tribunale di Milano)

 

Il collocamento e gli aspetti previdenziali

 

La nuova disciplina dell’art. 19 Legge n° 56/1987

 

Il tema del collocamento dei detenuti è stato oggetto di una specifica disciplina contenuta nell’art. 19 Legge 28 febbraio 1987 n° 56. Si tratta di una norma che prevede, al I comma, nuove competenze degli organi pubblici del collocamento, dal momento che viene assegnata alla commissione circoscrizionale per l’impiego, su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, il compito di stabilire le modalità cui le sezioni circoscrizionali debbono attenersi, per promuovere l’offerta ai detenuti di adeguati posti di lavoro extramurario, da parte di imprese idonee a collaborare al trattamento penitenziario.

Come da più parti osservato, la disciplina dettata dall’art. 19 Legge n° 56 cit. mirava a colmare un vuoto normativo lasciato dall’ordinamento penitenziario, anche dopo la riforma del 1986, predisponendo un intervento, demandato a un organismo specializzato. istituzionalmente preposto all’organizzazione del mercato del lavoro, e, quindi, in grado di conoscere maggiormente entità e provenienza della domanda di lavoro.

La dottrina, in sede di commento della nuova normativa sul collocamento dei detenuti ammessi al lavoro extramurario, ha posto in evidenza come il sistema originario della Legge n° 354 1975 individuasse nell’Amministrazione penitenziaria il soggetto incaricato di selezionare la domanda di lavoro proveniente dall’esterno e di farla incontrare con l’offerta di lavoro.

Infatti, era l’Amministrazione penitenziaria che, ai sensi dell’art. 46 del previgente regolamento, doveva individuare le imprese idonee a collaborare al trattamento penitenziario, nel senso di imprese in grado di offrire adeguati posti di lavoro.

L’unico collegamento tra il servizio pubblico di collocamento e il collocamento carcerario era costituito dalla possibilità per la direzione di avvalersi dei locali uffici del lavoro. In effetti, la disciplina originaria delineava un procedimento opposto a quello del collocamento tradizionale: non era, infatti, il datore di lavoro a richiedere l’avviamento di un lavoratore, bensì un terzo, l’Amministrazione penitenziaria, che, sulla base di proprie valutazioni discrezionali, riteneva una certa azienda idonea a collaborare al trattamento e ad offrire adeguati posti di lavoro, inserendosi tra il datore di lavoro e il possibile prestatore d’opera. Il sistema non aveva raggiunto alcun risultato positivo, sia per la scarsa propensione, in generale, delle direzioni ad assumersi responsabilità, considerate estranee alle competenze tipiche, sia per la difficoltà di individuare le aziende idonee, che, su richiesta preventiva dell’istituto carcerario, fossero disponibili ad offrire un’occasione di lavoro extramurario, adeguato al trattamento per un determinato detenuto.

La nuova impostazione del legislatore tende a sostituire alla gestione interna del collocamento dei detenuti una gestione mista, che coinvolge l’Amministrazione penitenziaria, da un lato, e gli organi istituzionalmente investiti del compito di mettere in contatto domanda e offerta di lavoro, dall’altro, in modo da individuare un organo di mediazione, autonomo tra aspettative della popolazione carceraria e sistema sociale esterno ad essa.

 

Iscrizione al collocamento e anzianità figurativa

 

Il II comma dell’art. 19 Legge n° 56 cit. stabilisce che i detenuti e gli internati hanno facoltà di iscriversi nelle liste di collocamento. Nel sistema normativo precedente, tale iscrizione era preclusa dalla ricostruzione teorica del lavoro penitenziario come lavoro diverso da quello subordinato, come pure dalla prassi degli uffici di collocamento di richiedere necessariamente la presenza fisica del lavoratore, ai fini dell’iscrizione alle liste e della conferma dello stato di disoccupazione.

La disposizione in esame, al contrario, fissa il principio teorico della compatibilità tra iscrizione e detenzione, articolando, poi, la disciplina in modo tale da superare i problemi pratici nascenti dalla particolare condizione soggettiva del lavoratore. Infatti, per i detenuti, gli effetti derivanti dallo stato di disoccupazione, e cioè la permanenza nelle liste di collocamento e il mantenimento del diritto all’indennità di disoccupazione, sono conseguenti alla segnalazione periodica dello stato disoccupazione che la direzione dell’istituto penitenziario è tenuta a fare, su richiesta dello stesso interessato. Ciò significa che non solo il detenuto può iscriversi durante la detenzione, ma anche che, se era già iscritto prima dell’inizio dello stato di carcerazione, ha facoltà di mantenere tale iscrizione per tutta la durata della pena.

Inoltre, con riferimento alle situazioni pregresse, il VI comma dell’art. 19 cit. prevede che agli ex detenuti, che si iscrivano alle liste di collocamento entro quindici giorni dalla data di scarcerazione, sia riconosciuto un periodo di anzianità figurativa, in relazione alla durata del periodo di detenzione, secondo criteri da stabilirsi in sede amministrativa. La regola vale essenzialmente a disciplinare il regime transitorio successivo all’entrata in vigore della legge; tuttavia, secondo autorevole dottrina, la circostanza che il II comma della disposizione in esame faccia riferimento alla facoltà di iscrizione al collocamento induce a ritenere che periodi di anzianità convenzionale possano essere riconosciuti anche a coloro che non si avvalgono di tale facoltà, riservandosi di presentare domanda di iscrizione solo dopo la scarcerazione.

La segnalazione periodica all’ufficio di collocamento dello stato detentivo, da parte della Direzione dell’istituto per i detenuti e internati che ne facciano richiesta, si configura come un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione penitenziaria, che può essere chiamata a risponderne, in caso di omessa comunicazione, avanti il Magistrato di Sorveglianza attraverso lo strumento del reclamo ex art. 69 Legge n° 354/1975.

Peraltro, una volta compiuto tale adempimento di segnalazione del nominativo del detenuto richiedente all’ufficio di collocamento e all’I.N.P.S., l’Amministrazione penitenziaria non può ritenersi responsabile della mancata corresponsione dell’indennità di disoccupazione da parte dell’istituto previdenziale ne, d’altro canto, il Magistrato di Sorveglianza ha l’obbligo o il potere di intervenire per la liquidazione dell’indennità stessa. Il compito della direzione si esaurisce, infatti, nell’indicazione di chi intende avvalersi della facoltà riconosciuta dall’art. 19 II comma cit.

Inoltre, tale facoltà è prevista anche per il detenuto che presti attività lavorativa di tipo c.d. domestico, all’interno dell’istituto, alle dipendenze dell’amministrazione: come già osservato in precedenza, lo svolgimento di tale attività lavorativa è stato considerato non ostativo, ai fini della maturazione, dell’iscrizione in lista del detenuto quale disoccupato di lunga durata, alla luce del riconoscimento del carattere prevalentemente, se non esclusivamente, riabilitativo di una simile occupazione.

 

Il diritto all’indennità di disoccupazione

 

Esaminando, ora, in modo più specifico le questioni relative all’indennità di disoccupazione, occorre mettere in evidenza la portata innovativa della disciplina introdotta con l’art. 19 Legge n° 56/1987. Tale norma prevede, infatti, che lo stato di interdizione non costituisce causa di decadenza dal diritto all’indennità di disoccupazione, ordinaria e speciale. In precedenza, al contrario, l’art. 20 Legge n° 354/1975 veniva interpretato nel senso restrittivo di sancire l’estensione ai lavoratori detenuti solo dell’assicurazione contro la malattia e del diritto agli assegni familiari. Veniva, perciò, esclusa tale estensione all’assicurazione contro la disoccupazione, in relazione alla diversità delle cause sottostanti lo stato di disoccupazione dei detenuti rispetto a quelle protette dalla legge.

In effetti, l’art. 20 XVII comma Legge n° 354 cit. ha una formulazione così ampia, da non giustificare simili distinzioni tra le varie tutele previdenziali. La dottrina più avveduta non aveva mancato di mettere in evidenza, sin dall’inizio, i riflessi negativi derivanti da una simile lettura restrittiva della norma al momento della dimissione del detenuto, sotto il profilo della mancata maturazione dei requisiti contributivi minimi. L’art. 19 III comma Legge n° 56 cit. permette, con la sua esplicita formulazione, di superare tutte le incertezze interpretative sopra riportate.

Inoltre, è stato autorevolmente osservato come il diritto all’indennità di disoccupazione derivi semplicemente dalla circostanza, per il detenuto, di non essere utilizzato nelle lavorazioni, salva la segnalazione del suo stato all’I.N.P.S., indipendentemente dalla iscrizione al collocamento esterno. Ciò, in base alla considerazione che sarebbe illogico, vista l’esistenza di un duplice sistema di collocamento, interno ed esterno, e di poteri, in materia di assegnazione al lavoro, della direzione penitenziaria e dell’autorità giudiziaria, ritenere che la disponibilità al lavoro e l’involontarietà dello stato di disoccupazione di chi è detenuto si manifestino necessariamente attraverso l’atto di iscrizione al collocamento, che è una facoltà e non un obbligo.

Il IV comma dell’art. 19 cit. stabilisce, ancora, l’incumulabilità dell’indennità di disoccupazione con la retribuzione, sino a concorrenza dell’ammontare della retribuzione medesima. Si tratta di una previsione che contraddice un principio cardine del sistema della sicurezza sociale, e cioè quello dell’incompatibilità tra corresponsione dell’indennità in esame ed esplicazione di una attività lavorativa. L’eccezione si spiega, ricordando la particolarità del lavoro carcerario: il legislatore ha considerato che, a differenza del lavoratore libero, che può valutare, in linea di massima, tra offerte di lavoro adeguate alla propria professionalità e tutela previdenziale, il lavoratore detenuto non gode di tale facoltà, sia per i profili riabilitativi che, ancor oggi, lo svolgimento di una attività lavorativa implica (per esempio, in termini di ammissione alle misure alternative), sia per la scarsa possibilità pratica di scegliere tra più occasioni professionali. Ha, quindi, ritenuto di dover ovviare alle situazioni in cui il detenuto è impiegato in lavori che non gli assicurano un reddito superiore a quello rappresentato dalla sola indennità di disoccupazione, consentendo il cumulo tra i due importi, in modo tale da far raggiungere al lavorante un reddito non inferiore a quello del disoccupato.

 

Le modificazioni alla disciplina generale del collocamento

 

L’art. 20 XI comma Legge n° 354/1975 stabilisce, come più volte ricordato, che al lavoro extramurario si applica la disciplina generale sul collocamento ordinario e agricolo nonché l’art. 19 Legge 56/1987, mentre il XII comma contiene una clausola generale di chiusura che richiama, per quanto non espressamente previsto, la disciplina generale sul collocamento. Peraltro, negli ultimi anni si è assistito ad una radicale modificazione della disciplina tradizionale del collocamento, sia sotto il profilo della, ormai completa, liberalizzazione delle assunzioni sia sotto il profilo delle competenze in materia, che sono state decentrate dal Ministero del lavoro agli enti regionali e locali.

Senza voler entrare nel dettaglio della nuova disciplina e ai soli fini che possono interessare il mondo del lavoro penitenziario, occorre evidenziare, in primo luogo, come, in base alla Legge 28 novembre 1996 n° 608, l’assunzione diretta costituisca la regola prevista per tutti i datori di lavoro privati e per gli enti pubblici economici, sia per il collocamento ordinario che per quello agricolo. L’art. 9 bis I comma Legge n° 608/1996 stabilisce, poi, che restano ferme le norme in materia di iscrizione dei lavoratori nelle liste di collocamento, così che viene confermata la disposizione in base alla quale i datori di lavoro sono tenuti ad assumere i lavoratori iscritti nelle liste di collocamento. Del tutto superato risulta, invece, il sistema previgente, basato sul rilascio del preventivo nullaosta di avviamento.

Sono posti, infatti, a carico del datore di lavoro esclusivamente degli obblighi di comunicazione agli uffici pubblici e al lavoratore assunto. In particolare, il II comma dell’art. 9 bis L. n° 608/1996 prevede che, entro cinque giorni dall’assunzione, il datore di lavoro debba inviare alla sezione circoscrizionale per l’impiego una comunicazione scritta, contenente il nominativo del lavoratore assunto, la data di assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica e il trattamento economico e normativo, che sarà applicato nel corso del rapporto.

Il III comma della stessa norma stabilisce che il datore di lavoro è tenuto a consegnare al lavoratore, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione sottoscritta, contenente i dati della registrazione effettuata sul libro matricola, così da consentire il controllo diretto dell’interessato sulla regolarità della propria assunzione.

Ai sensi del D.Lgs. n° 152/1997, il contratto di lavoro scritto. la lettera di assunzione, ovvero la dichiarazione di cui al III comma dell’art. 9 bis cit.. debbono tassativamente indicare l’identità delle parti, il luogo di lavoro, la data di inizio del rapporto, la durata dello stesso, precisando se si tratta di rapporto a tempo determinato o indeterminato, la durata del periodo di prova, l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuite al lavoratore, l’importo della retribuzione con l’indicazione degli elementi costitutivi della stessa, l’orario di lavoro.

la durata delle ferie o le modalità di fruizione delle stesse e, infine, i termini di preavviso in caso di recesso. Naturalmente, nell’ipotesi più comune di applicazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro, è consentito un parziale rinvio a quest’ultimo, con riferimento alle informazioni sul periodo di prova, la retribuzione, l’orario e il preavviso. Tali informazioni vanno consegnate al lavoratore entro trenta giorni dalla data di assunzione.

Ora, con riferimento agli obblighi di informativa al lavoratore detenuto ammesso ad una occupazione extramuraria, non paiono sussistere problemi di interpretazione, nel senso che avrà diritto a ricevere la comunicazione come qualunque altro dipendente assunto. Qualche incertezza esiste, invece, per la alla sezione circoscrizionale, che va inviata giorni dall’assunzione".

Come è noto a chi ha maturato una sia pur minima esperienza di offerta di lavoro extramurario a un detenuto, è normale che trascorra un lungo lasso di tempo tra il momento in cui viene sottoscritta dal datore di lavoro la dichiarazione di disponibilità all’assunzione e l’effettivo inizio della prestazione lavorativa. Ovviamente, ciò è dovuto alla necessità che si esaurisca compiutamente il procedimento penale di ammissione alla misura alternativa, qualunque esso sia, con il compimento di tutte le verifiche del caso.

Sotto il previgente sistema" si era sempre affermata l’autonomia del rilascio del nullaosta da parte dell’ufficio di collocamento, rispetto all’accertamento giudiziale dell’idoneità del detenuto allo svolgimento del lavoro extramurario. Di conseguenza, si riteneva che l’atto di ammissione al lavoro extramurario del Magistrato o del Tribunale di Sorveglianza potesse precedere ovvero, anche, seguire l’avviamento al lavoro da parte della sezione circoscrizionale. avviamento, in questo secondo caso, espresso sotto forma di nullaosta provvisorio.

condizionato dall’esito positivo della procedura avanti la Magistratura di Sorveglianza.

Attualmente, la questione si presenta in termini del tutto diversi, perché, scomparso il nullaosta preventivo, l’unico obbligo per l’imprenditore è costituito dalla comunicazione alla sezione competente entro cinque giorni dall’assunzione. La questione diventa, allora, quella di determinare il momento da cui decorre il termine sopra indicato, ed, in particolare. se tale decorrenza debba collegarsi al provvedimento di ammissione alla misura extramuraria ovvero alla stipulazione del contratto di lavoro, precedente o successiva al primo.

La dichiarazione di disponibilità all’assunzione, infatti, nella maggior parte dei casi, non presenta i caratteri di un vero e proprio contratto di lavoro, mentre l’esito positivo del procedimento penale di ammissione all’attività lavorativa extramuraria costituisce certamente condizione essenziale alla conclusione dello stesso. Pertanto, il datore di lavoro potrà legittimamente sottoscrivere, prima, una semplice dichiarazione, in cui s’impegna ad assumere il detenuto, nel caso in cui venga ammesso alla misura alternativa. La stipulazione del contratto vero e proprio potrà avvenire solo dopo che tale condizione si sia realizzata e da tale data decorrerà, poi, il termine per la comunicazione dei dati identificativi del contratto di lavoro alla sezione circoscrizionale. In caso contrario, si finirebbe per avere un contratto, condizionato dalla decisione degli organi della giurisdizione rieducativa, con inizio del rapporto differito ad un momento incerto e futuro, e la comunicazione all’ufficio pubblico di un’assunzione che potrebbe non venire mai ad esistenza, nel caso di mancata concessione della misura alternativa al lavoratore detenuto.

 

Il decentramento nelle politiche del lavoro ex D.Lgs. n° 469/1997.

 

Altre rilevanti novità sono quelle relative al decentramento amministrativo in materia di mercato del lavoro. Con le leggi n° 59 e n° 127 del 1997 e il successivo D.Lgs. n° 469/1997, è stato completamente modificato il panorama delle competenze in materia di mercato del lavoro, attuando il decentramento di funzioni e ruoli dagli uffici del Ministero del lavoro agli enti regionali e locali.

L’intero mercato del lavoro viene decentrato a livello locale, compresi gli aspetti che interessano in questa sede, con riferimento ai c.d. soggetti deboli: in particolare, alle Regioni vengono conferite, in materia di politica attiva del lavoro, le funzioni di collaborazione all’elaborazione di progetti, relativi all’occupazione di soggetti ex detenuti. La Legge n° 59/1997 impegnava gli enti locali a provvedere entro sei mesi, dotandosi di uno strumento normativo, allo scopo di consentire l’effettivo avvio del decentramento introdotto alla data fissata per il 10 gennaio 1999, ma molte regioni, tra cui la Lombardia, non hanno provveduto a deliberare, neppure entro l’ulteriore termine concesso di novanta giorni.

Solo con la Legge Regionale n° I, del 15 gennaio 1999, è stato emanato il provvedimento legislativo regolante le funzioni e i compiti conferiti agli enti locali in materia di mercato del lavoro. L’obiettivo dichiarato della legge regionale è quello di garantire l’integrazione dei servizi per l’impiego resi sul territorio, delle politiche attive del lavoro e delle politiche formative, per sviluppare un mercato del lavoro aperto e trasparente, che incentivi l’incontro tra domanda e offerta.

Per quanto specificamente interessa in questa sede, va osservato, in primo luogo, come vengano attribuiti alla Provincia tutti i compiti in materia di collocamento e servizi per l’impiego e quelli comunque connessi ai servizi di collocamento.

In secondo luogo, l’azione regionale di politica attiva del lavoro viene finalizzata anche al sostegno ai soggetti deboli, ipotizzando quali strumenti di intervento, da un lato, incentivi alle imprese, per l’assunzione a tempo indeterminato di detenuti ammessi al lavoro all’esterno e, dall’altro lato, misure di orientamento, accompagnamento e formazione, volte a promuovere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro a favore di tali soggetti.

Come già rilevato in precedenza, il Protocollo d’intesa tra la Regione Lombardia e il Ministero di giustizia, sottoscritto in data 22 febbraio 1999, segue queste linee di intervento, impegnandosi ad assicurare "uno stretto raccordo tra i percorsi di formazione professionale, promossi a favore dei detenuti, degli ammessi a misure alternative e delle persone dimesse, e le reali esigenze occupazionali del mercato del lavoro regionale".

A tal fine, la Regione Lombardia si è impegnata ad utilizzare le informazioni e le conoscenze sulla domanda di professionalità espressa dalle realtà produttive presenti sul territorio, attraverso il collegamento tra i propri organi e servizi, le istituzioni e i soggetti privati regionali.

Questa conoscenza sarà dedicata ad attivare un servizio permanente di orientamento a favore dei detenuti, degli ammessi alle misure alternative e delle persone dimesse e a sostenere le iniziative di formazione professionale che presentano una forte connessione con la domanda, al fine di assicurare al detenuto una reale opportunità di inserimento lavorativo.

Ministero e Regione si sono accordati per rendere disponibile l’intera offerta formativa esterna al carcere e presente sul territorio regionale ai detenuti e agli ammessi alle misure extramurarie, per promuovere l’introduzione di strumenti, in grado di rilevare il credito formativo del singolo soggetto, le sue aspettative e capacità lavorative, come pure di interventi di motivazione al lavoro e di sostegno all’integrazione, in favore di detenuti e di ammessi alle misure alternative.

L’impegno della Regione si risolve nell’istituzione di un servizio permanente di orientamento e tutoring in favore di tali soggetti, attraverso la creazione di un Centro regionale di servizi, esterno all’istituzione penitenziaria, in grado di supportarli. concretamente, nella fase di reinserimento.

 

La tutela assicurativa e previdenziale

 

Come più volte accennato, l’art. 20 XVII comma Legge n° 354/1975 sancisce l’estensione ai lavoratori detenuti della tutela assicurativa e previdenziale, prevista per ogni altro lavoratore. Ciò significa la vigenza delle norme in materia di assicurazione contro infortuni, invalidità, vecchiaia, disoccupazione e di corresponsione degli assegni familiari. La questione dell’assicurazione contro la disoccupazione è già stata affrontata in precedenza , esaminando l’art. 19 L. n° 56/1987, mentre, per quanto riguarda in particolare infortuni e malattie professionali, l’art. 4 n° 9 D.P.R. 30 giugno 1965 n° 1124 ricomprende, in questo tipo di assicurazione obbligatoria, anche i detenuti che, per il servizio interno degli istituti o per attività occupazionale, siano addetti a uno dei lavori indicati nell’art. 1 dello stesso D.P.R., mentre l’art. 127 n° 3 ne esclude i detenuti addetti a lavori condotti direttamente dallo Stato.

La materia è, peraltro, regolamentata da una serie di convenzioni, stipulate tra il Ministero di giustizia e l’I.N.A.I.L., che hanno esteso ai casi d’attività lavorativa svolta dal detenuto per l’Amministrazione penitenziaria la tutela assicurativa relativa alle prestazioni previste dalle leggi vigenti. Al contrario, hanno escluso dal loro ambito d’applicazione i detenuti ammessi allo svolgimento di attività lavorative esterne agli istituti penitenziari, per i quali, quindi, trovano applicazione le norme del citato D.P.R. 1124.

 

 

 

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