L’opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 24 agosto 2004

 

La situazione nelle carceri italiane

Suicidio e dignità in carcere

Fecondazione, il referendum entra in carcere

Lettera a Ciampi, di Dimitri Buffa

Differenziazione a Voghera

La situazione nelle carceri italiane

 

Premessa

 

L’elaborazione che segue è stata fatta sui dati aggiornati al 30 giugno 2004 e resi pubblici sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it). I dati originari sono stati eleborati da: Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Quest’anno, a differenza delle statistiche semestrali pubblicate in precedenza, l’unico dato disponibile è quello delle presenze Istituto per Istituto, con un riepilogo nazionale nel quale sinanche le addizioni sono sbagliate.

 

Quanti sono i detenuti in Italia?

 

Secondo il quadro di sintesi diffuso dal Ministero della Giustizia in Italia ci sarebbero 56.532 detenuti di cui 2.660 donne e 53.872 uomini. In realtà andando a vedere nel dettaglio i dati, istituto per istituto, si ha un totale di: 56.440 detenuti di cui 2.660 donne e 53.780 uomini

 

La posizione giuridica dei detenuti

 

Il Ministero della Giustizia ha diffuso il dato alla posizione giuridica dei detenuti al 31 dicembre del 2003. Dai dati al 30 giugno 2004 disponibili non è possibile ricostruire la posizione giuridica sul dato reale di 56.440 detenuti ma solo su quello errato di 56.532 detenuti che risulta essere.

Sono in attesa di giudizio: 20.151 detenuti pari al 35,65% di cui 1.046 donne (39,32%); e 19.105 uomini (35,46%) hanno subito una condanna definitiva; 36.381 detenuti pari al 64.35%, di cui 1.614 donne (60,68%) e 34.767 uomini (64,54%).

 

Il sovraffollamento

 

I dati relativi alla capienza di ciascun istituto al 30 giugno 2004 comprendono due parametri: quello della "capienza regolamentare" e quello dei "detenuti presenti". Quest’anno è stato omesso un dato che l’anno scorso era invece presente e che è un parametro in uso, quello della "capienza tollerabile". Dall’analisi dei dati relativi ai 201 istituti risulta che: complessivamente i posti disponibili sono 42.313; i detenuti presenti 56.440 con un indice di affollamento del 133.39%; per le 2.660 detenute vi sono 2.167 posti disponibili (101,64%); per i 56.440 detenuti vi sono 42.313 posti disponibili (135,48%).

 

Il sovraffollamento reale

 

Per quanto la situazione complessiva non sia delle migliori, almeno dal punto di vista matematico, infatti ogni 3 posti disponibili vi sono 4 detenuti presenti, già questo dato inserito nel contesto reale della maggior parte delle strutture, assume un significato molto diverso da quello che il dato matematico può rappresentare.

Ma tra la situazione complessiva e il dato relativo a ciascun istituto la situazione assume dei connotati a dir poco vergognosi. Per le loro caratteristiche intrinseche abbiamo analizzato il sovraffollamento reale a partire da tre grandi gruppi: gli ospedali psichiatrici giudiziari; gli istituti e/o le sezioni maschili; gli istituti e/o le sezioni femminili.

Ma è solo analizzando Istituto per Istituto che si può avere un quadro reale della situazione nelle carceri italiane, almeno dal punto di vista dell’affollamento.

 

Gli Ospedali Pschiatrici Giudiziari (Opg)

 

Su 6 Istituti e 8 sezioni, di cui 6 maschili e 2 femminili, emerge che una delle sezioni femminili che ha una capienza regolamentare di 9 posti è vuota, quella dell’istituto di Reggio Emilia. Vi è quindi una sola sezione femminile in funzione, quella dell’istituto di Castiglione delle Stiviere (MN) che ha una capienza regolamentare di 80 posti e in cui le detenute presenti sono 79. Delle 6 sezioni maschili, in due c’è un numero di detenuti presente che è inferiore al numero dei posti disponibili [istituti di Castiglione delle Stiviere (MN) e Barcellona Pozzo di Gozzo (ME)]. Nelle 4 sezioni sovraffollate [istituti di Napoli Sant’Eframo (NA), Aversa Saporito (CE), Montelupo Fiorentino (FI) e Reggio Emilia] vi sono complessivamente 579 posti disponibili e 686 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 118,48%. La situazione più grave è quella della sezione maschile dell’istituto di Reggio Emilia: 140 posti disponibili e 194 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 138,57%.

 

Gli istituti e/o le sezioni maschili

 

Sono 190 gli istituti che ospitano sezioni maschili di questi 143 sono sovraffollati. Vivono in condizioni non regolamentari 47.320 detenuti su 53.780. In 15 istituti il sovraffollamento è superiore al 200%, cioè per ogni posto disponibile ci sono due detenuti.

 

Gli istituti e/o le sezioni femminili

 

Sono 73 gli istituti che ospitano sezioni femminili di questi 31 sono sovraffollati. Vivono in condizioni non regolamentari 1.523 detenute su 2.660. In 2 istituti il sovraffollamento è superiore al 200%, cioè per ogni posto disponibile ci sono due detenuti. Su 56.440 detenuti presenti nelle carceri italiane al 30 giugno 2004 49.529 detenuti pari all’87,76% vivono in istituti le cui condizioni di detenzione,

dal punto di vista della capienza delle strutture, a detta del Ministero della Giustizia, non sono regolamentari. Dalla comparazione dei dati al 30 giugno 2003 e al 30 giugno 2004 risulta che: la capienza regolamentare nelle sezioni femminili è aumentata di 88 posti, in quelle maschili di 485 posti, per un totale di 843 posti le detenute presenti sono aumentate di 95 unità i detenuti sono diminuiti di 58 unità, con un aumento totale di 37 unità. Dall’analisi istituto per istituto abbiamo visto che la situazione continua ad essere intollerabile, sia da un punto di vista del rispetto delle leggi nazionali che degli impegni assunti in sede internazionale

 

A cura di Maurizio Turco, già relatore del Parlamento europeo sui diritti dei detenuti nell’UE

Suicidio e dignità in carcere, di Fiorenzo Grollino

 

Un suicidio eccellente nel supercarcere di Sulmona a ferragosto, riapre il problema, mai risolto, delle carceri in Italia e delle manette facili. Camillo Valentini, ingegnere cinquantenne, libero professionista, sindaco di Roccaraso, accusato di concussione, è stato arrestato il 14 agosto ed il giorno dopo ha messo in atto l’insano gesto di suicidarsi. Il sindaco della "Cortina del Sud" era indagato davanti al tribunale di Sulmona per fatti precedenti alla sua sindacatura, riguardante un immobile, la cui costruzione aveva provocato una frana, ed il Valentini, nella sua qualità di sindaco, si stava adoperando per il suo risanamento, come riferisce l’avv. Carlo Rienzi, presidente del Codacons, l’associazione dei consumatori, che lo assisteva in questa vicenda.

La società proprietaria di questo immobile, per motivi di interesse, resisteva all’azione amministrativa. Questi i fatti, che hanno portato inopinatamente in carcere il sindaco. La vicenda è significativa sotto diversi aspetti, tutti di grande interesse, perché questa morte, che il parroco di Roccaraso attribuisce, a torto o a ragione, alla "società cosiddetta civile, con le sue incomprensibili alchimie", riapre problemi di grande attualità, come quello dell’applicazione del codice di procedura penale in materia di restrizione della libertà personale dell’indagato e della reale applicazione delle misure alternative previste dalla legge Gozzini; quello della denuncia delle forze civili e politiche più sensibili al problema della dignità umana.

La morte di Valentini riapre il dibattito tra forze politiche, di governo, di associazioni e di gruppi spontanei, che si battono per dare maggiore dignità ai detenuti. Era scontato che un fatto tanto eclatante quanto eccezionale avrebbe provocato la discesa in campo di istituzioni, partiti ed associazioni. Si sono mossi: il ministro della Giustizia Roberto Castelli; i componenti laici del Consiglio superiore della magistratura; alti rappresentanti dei due rami del Parlamento italiano.

È stata disposta un’ispezione sull’istituto di pena sulmonese, dentro le cui mura i suicidi sono all’ordine del giorno, non solo di detenuti, ma della stessa direttrice del carcere. Tutte iniziative doverose, ma certamente non determinanti per risolvere il problema del pianeta carceri, superaffollati, insufficienti ed in condizioni di vera indecenza. I detenuti, si apprende da diverse fonti, si preparano alla campagna d’autunno per strappare quell’amnistia e quell’indulto, promessi da tutti, e che nei fatti non si sono mai verificati; così come l’edilizia carceraria è ferma e quanto esiste è in condizioni di grave precarietà. Se non che, adesso scendono in campo quelle stesse forze politiche di maggioranza e di opposizione, che non hanno mantenuto le promesse, a suo tempo fatte, e oggi hanno l’ardire di sostenere di essersi impegnate nell’interesse del mondo delle carceri.

Lo stesso ministro della Giustizia, anziché impegnarsi solennemente per risolvere questi gravi problemi, che collocano il nostro paese, in questo settore, tra gli ultimi dell’Unione Europea, trova il modo di affermare che le proteste dei detenuti "sono ribellioni pilotate da visite sospette di alcuni parlamentari". Di peggio non si poteva sentire. Il suo riferimento è anche nei confronti di alcune forze politiche, tra queste i radicali, che si sono sempre battuti per rendere più civile questo paese e che certamente non meritano una censura improntata a tanta leggerezza e disattenzione per i problemi veri e reali del mondo delle carceri.

È stato un suicidio eccellente, dopo i tanti della tangentopoli milanese, a porre sul tappeto il problema della corretta applicazione della norma processuale regolatrice della libertà personale dell’indagato. Ancora una volta la sua applicazione è stata disattesa ed improntata alla massima leggerezza, si è fatto pessimo uso di una disposizione che è soprattutto a tutela della persona indagata. È inaudito che l’ordine di custodia cautelare sia stato emesso quando ancora, a quanto risulta, non erano state acclarate le responsabilità degli indagati, le indagini preliminari erano in corso e lo stesso Valentini, a quanto riferiscono i parenti, da tempo chiedeva inutilmente ai magistrati di essere sentito.

A questo riguardo il prof. Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, sottolinea che la legge inglese offre più garanzie all’indagato, in quanto "poche ore dopo l’arresto un giudice, indipendente da accusa e difesa, decide se confermare o no la misura restrittiva". Se non che i giudici italiani, nonostante il tanto conclamato garantismo del nostro sistema e gli abusi consumati in questa specifica materia, per i quali sono stati versati fiumi di inchiostro e tante battaglie sono state combattute, e la stessa Corte suprema di cassazione ha avuto modo di censurare tanti provvedimenti restrittivi, continuano imperterriti nei loro abusi e soprusi con le conseguenze che sono purtroppo sotto gli occhi di tutti.

Un ministro giustamente si chiede: "chi censura gli abusi dei giudici?". La domanda non è retorica, perché, essi violano costantemente la disposizione di cui all’art. 273 del codice di procedura penale, che stabilisce: "nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza". Questi gravi indizi di colpevolezza riguardano ben precise fattispecie processuali, elencate nell’art. 274 dello stesso codice, il quale stabilisce che le misure cautelari, la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, possono essere disposti nei seguenti casi:

quando sussistono inderogabili esigenze attinenti alle indagini, relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova; quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga;

quando sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede.

Come si vede esistono limiti ben precisi alla custodia cautelare, ma nel primo caso vi sono anche dei varchi che spesso il magistrato utilizza per raggiungere più facilmente, anche se illegittimamente, l’obiettivo di supportare l’indagine preliminare con la confessione dell’indagato. In questo caso si può verificare che il magistrato inquirente strumentalizzi la restrizione della libertà personale per ottenere dall’indagato la confessione dei fatti che gli vengono contestati e che talvolta non ha commesso, o che, se li ha commessi, sussistono motivi che possono scriminarli.

Si sa che la custodia in carcere o gli arresti domiciliari fiaccano la volontà e quindi rendono la persona propensa a confessioni, che spesso si sono rilevate false, pur di ottenere la liberazione.

Anche se vi è una corrente di pensiero che sostiene la necessità di non modificare la disposizione in esame, pur tuttavia, constatato l’abuso di provvedimenti immotivati, s’appalesa opportuno e necessario ridefinire con estremo rigore l’ipotesi di cui al primo dei casi elencati dal citato art. 274. E ciò perché il successivo art. 277 sancisce che: "le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposte". Casi, come quello dello sventurato sindaco Valentini, sono destinati a ripetersi, se il legislatore non provvederà a modificare la citata disposizione.

Fecondazione, il referendum entra in carcere

 

Centinaia di detenuti in quaranta penitenziari italiani scelgono di digiunare per dialogare con il ministro Castelli e per chiedere al governo le riforme da tempo promesse. E tantissimi di loro firmano a favore del quesito radicale per abrogare la legge burqa sulla fecondazione assistita.

Lettera a Ciampi, di Dimitri Buffa

 

Caro Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a Livorno purtroppo non ci sono solo belle e vincenti atlete olimpiche da premiare con il sorriso sulle labbra. Basta fare un salto nel carcere delle Sughere per rendersene conto. In quel posto orribile il 13 luglio del 2003 ha trovato la morte il detenuto Marcello Lonzi. L’autopsia parla di ossa spezzate e cranio fracassato, un pestaggio in piena regola senza che le guardie carcerarie si siano accorte di nulla.

Ciò nonostante poche settimane orsono il Pm livornese Giuseppe Pennisi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta per omicidio essendo rimasti sconosciuti gli autori del fatto. Pare che in quel carcere nessuno veda, senta e soprattutto parli.

Non possono esserci dubbi che in un paese normale o civile non può essere tollerato che nessuno paghi per un omicidio come quello di cui è stato vittima Marcello Lonzi all’interno di un penitenziario della repubblica italiana. Ed essendo anche lei di Livorno, caro presidente Ciampi farebbe bene a interessarsi di come vengono trattati i detenuti nel carcere della sua città natale. La madre di Marcello in questi giorni per lo stress di dovere portare avanti da sola, insieme al legale Vittorio Trupiano, la battaglia per la verità sulla morte del figlio, contro tutti e tutto, ha avuto un malore: non mangiava più o quasi da mesi. Anche dall’ospedale però si è opposta all’archiviazione davanti al Gip di Livorno. Ora qualcuno attende una parola dal livornese più famoso e stimato d’Italia.

Differenziazione a Voghera

 

Differenziazione. L’accezione di questo termine, tratto dal dizionario Zanichelli è (almeno per noi) illuminante. Partendo da questa semplice accezione, immediatamente si apre davanti ai nostri occhi (e speriamo anche ai vostri) uno scenario non tanto immaginifico (almeno per noi). Cominciamo dall’inizio e innanzitutto ci presentiamo. Siamo alcuni detenuti ubicati presso la sezione E.I.V. posta all’interno del carcere di Voghera. E qui è lecito porsi la prima domanda: ma che cosa significa E.I.V.?

La domanda è sicuramente lecita, ma anche da parte nostra è lecito rispondere: "anche noi vorremmo saperlo"! Ufficialmente la spiegazione dell’acrostico E.I.V. significa Elevato Indice (di) Vigilanza. Per cui sembrerebbe tutto chiaro. E, invece, no! Innanzitutto è bene precisare che l’attuazione delle sezioni E.I.V. è avvenuta mediante circolare del Ministero di Giustizia, nel lontano luglio 1998 (ma forse anche prima). E già qui potrebbero sorgere (numerosissime?) problematiche sulla liceità o no di questa circolare. Noi riteniamo che potenzialmente il Ministero possa farlo: un piccolo lager personale, o un piccolo zoo, dove poter mettere in mostra qualcosa o qualcuno non lo si nega mai a nessuno.

Ma questa domanda conviene porla al Magistrato di Sorveglianza, il giudice a cui è demandato, per legge, il controllo sull’esecuzione della pena. Il nostro Giudice. E questo, credeteci, lo diciamo con emozione. Che bello in un momento di transizione caotico come questo, dove tutti hanno qualcosa da rinfacciare a chiunque, dove dietro le quinte si muovono frotte di funzionari, portaborse o chissà cos’altro, poter dire il mio Giudice. Siamo veramente emozionati. Ma qui sorge un ulteriore problema. Siamo tutti uguali davanti alla legge? E ancora: la legge è uguale per tutti? Sembrerebbe porsi nuovamente la stessa domanda ma, fidatevi, non è così. Proviamo a spiegare questa differenza (ahinoi, eccoci già alle differenziazioni) e perdonateci in partenza la presunzione.

Se la Costituzione Italiana (non quella di una delle tante repubblichette delle banane) agli articoli 24 e 113 sancisce pomposamente che "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti? La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento? Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti? Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti". Davanti a tanta illuminante chiarezza è veramente difficile capire perché debbano nascere contestazioni o violazioni da parte di chicchessia.

Qualcuno ci spieghi perché la sentenza 26/99 della Corte Costituzionale, rilevando un vuoto legislativo in ambito di tutela dei diritti dei detenuti, invita il legislatore a legiferare in tal senso. Da allora sono passati due anni e stiamo ancora aspettando che i nostri legislatori, smettendo di occuparsi di tutt’altro che della tutela dei suoi cittadini, si decidano, in un sussulto di dignità, a mettere fine a questa vergognosa situazione. E, ancora, perché ci sono voluti venticinque anni (dalla riforma del 1975) per accorgersi che alcuni, molti, diritti dei detenuti non sono tutelati. Per favore qualcuno ci spieghi perché la magistratura di Sorveglianza è rimasta (così) supinamente a contemplare tale vergognosa situazione.

E non è ancora finita. Tornando alla ormai famosa circolare che istituiva il circuito E.I.V. basta leggerla per comprendere che ci troviamo davanti ad un palese e grottesco accorgimento per aggirare il controllo della Magistratura di Sorveglianza e per evitare che ci sia un qualsiasi controllo da parte di chicchessia delle motivazioni che hanno portato all’inserimento del detenuto in tale circuito. Ma vi è di più. Il detenuto E.I.V. dipende solo ed esclusivamente da un ufficio specifico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ubicato presso il Ministero della Giustizia sito a Roma. La sua classificazione (E.I.V.) e l’eventuale classificazione viene (verrà) decisa solo ed esclusivamente dal Ministero.

La direzione dell’istituto di pena dove il detenuto E.I.V. è ubicato può solo proporne la declassificazione ma tale parere non è vincolante per l’ufficio al quale, solo, spetta la decisione. E il controllo di questi atti come avviene? Non ci crederete mai, anche noi facciamo fatica a crederci: non esiste controllo. Il detenuto E.I.V. non sa perché è ubicato in tale circuito. E la Magistratura di Sorveglianza? Placidamente sonnecchia! Ci siamo rivolti in molti alla Magistratura di Sorveglianza, anch’essi sono o erano a conoscenza del circuito E.I.V.

Del resto la circolare è inserita all’interno dei tanti codici commentati sulla "Legge dell’Ordinamento Penitenziario": essi conoscono le particolarità di tale circuitazione ma nella realtà, nei documenti, dichiarano che "praticamente non esiste", nel senso che loro (la Legge) riconoscono solo due circuiti differenziati e cioè il regime di cui all’articolo 14bis e il regime di cui all’articolo 41bis. La Legge non contempla altri regimi detentivi, per cui non esiste nient’altro! O se esistesse i suoi effetti sarebbero irrilevanti e, comunque, anche ammettendo che esista, essi non sarebbero in possesso degli strumenti giuridici per intervenire, a causa del vuoto legislativo, evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale appena citata.

Dimenticavamo di darvi l’ultima "chicca": neanche la Magistratura di Sorveglianza è portata a conoscenza dei motivi della nostra allocazione in queste fantomatiche sezioni E.I.V.. Il Ministero di Giustizia, nella sua assolutezza, ha deciso che tali documenti debbano restare solo ed esclusivamente di propria conoscenza. E il Magistrato di Sorveglianza, direte voi, che fa? Continua a sonnecchiare placidamente: rispondiamo in coro tutti noi. Ma forse, tornando alla prima parte del nostro soliloquio, tutto questo fa parte di un grande, unitario, disegno. Il legislatore non legifera, il Magistrato di Sorveglianza non sorveglia, il circuito E.I.V. non esiste. Chissà, forse, tutto questo non è altro che la messa in pratica dell’accezione del dizionario Zanichelli ovvero Differenziazione uguale a sostantivo femminile, Diversificazione, Distinzione, Progressiva Manifestazione di Differenze.

 

I detenuti della Sezione E.I.V. del carcere di Voghera

 

 

Precedente Home Su Successiva