Bollettino n° 10

 

Osservatorio Calamandrana sul carcere di San Vittore

"per la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"

 

Bollettino n° 10 – novembre 2003

Continuiamo l’osservazione sul carcere

 

Richiesta del garante per i detenuti

Testimonianze di due detenute

Incontro con un magistrato di sorveglianza

 

Richiediamo anche a Milano, come a Roma, un Garante per i diritti delle persone private della libertà personale

 

Tutti i cittadini, per tutelare i propri diritti, possono rivolgersi a un Difensore Civico, ma i detenuti, che sono soggetti particolarmente deboli, non possono farlo. Il detenuto si trova ristretto in una condizione fortemente disagiata, dati i noti problemi di sovraffollamento, inadeguatezza degli edifici, insufficienza della situazione sanitaria, difficoltà nella comunicazione con i propri cari, ai quali si aggiungono i problemi meno noti ma ancor più rilevanti, del rischio della cella di isolamento, del rischio di dover subire talvolta le conseguenze della scarsa considerazione nella quale i detenuti sono spesso tenuti dal personale penitenziario.

Attualmente, in Italia, è il magistrato di sorveglianza che dovrebbe garantire le condizione di detenzione, ma l’eccessiva quantità delle sue funzioni gli impedisce, di fatto, di svolgere questo importantissimo compito. I parlamentari e i consiglieri regionali possono visitare le carceri, ma questo avviene in un modo saltuario, che incide scarsamente sulla situazione. Occorre dunque una figura che abbia come compito specifico la tutela dei diritti dei detenuti. E questa figura è appunto quella del Garante, con pieni poteri di ispezione e controllo.

In molti campi la sua azione potrebbe rivelarsi preziosa: può intervenire a favore del miglioramento delle condizioni sanitarie, del regolamento interno, dell’ordinamento penitenziario, dell’informazione sul patrocinio gratuito, con una particolare attenzione alle due fasce dei detenuti più deboli: gli stranieri e i tossicodipendenti. E può sorvegliare e impedire gli eventuali abusi da parte del personale di sorveglianza che, comunque, è attualmente l’unico tramite con la direzione, dato che controlla e smista ogni reclamo e richiesta dei detenuti. Se la contrapposizione agente-detenuto sembra quasi ovvia, non devono venir meno, tuttavia, i tentativi di migliorarne le tensioni con vantaggi da entrambe le parti. Il sistema più efficace è certamente l’istituzione del Garante.

Nominato dal Comune e quindi completamente indipendente nell’ambito dell’istituzione carceraria, il Garante, oltre ai poteri ispettivi, avrebbe anche poteri sanzionatori, qualora fallissero i tentativi di persuasione: potrebbe, infatti, effettuare in proprio perizie medico - legali e dichiarare pubblicamente il proprio biasimo, arrivando, al limite, al procedimento disciplinare.

A livello europeo il Difensore Civico è già presente in Gran Bretagna, Olanda, Austria, Ungheria, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Portogallo. In Italia, nel novembre del 1997, un Convegno internazionale a Padova ha auspicato l’introduzione del Difensore Civico nazionale nel nostro ordinamento giudiziario. E a Roma nel novembre del 2002, in un convegno alla Camera dei Deputati su questo argomento, i responsabili della Giustizia di sinistra e di destra si sono accordati su un testo comune, che è stato affidato alla Commissioni Affari Costituzionali. Anche questa Commissione, nell’ottobre del 2003, ha raggiunto un’intesa sull’istituzione del Difensore Civico e sta per ascoltare i pareri dei magistrati di sorveglianza, della polizia penitenziaria e di Antigone, l’associazione per l’umanizzazione del sistema penale.

Il Comune di Roma l’11 ottobre 2003 ha nominato Garante per i diritti dei detenuti, il sociologo Luigi Manconi, ex parlamentare dei Verdi. Il Consiglio Regionale del Lazio ha già approvato la legge istitutiva, mentre i Comuni di Firenze, Genova, Bologna, Milano, Torino la stanno discutendo (a Torino la direzione delle carceri ha già approvato l’iniziativa). Sarebbe dunque quanto mai opportuno accelerare l’istituzione di un Garante anche a Milano. Questo contribuirebbe anche a sollecitare l’azione del Parlamento, già bene avviata, per una legge nazionale sul Difensore Civico.

Seconda testimonianza di una detenuta (la prima è stata pubblicata sul bollettino n° 8)

 

Come capirete da quanto segue in questa testimonianza, sono una detenuta come tante, convinta che il coraggio della verità possa far entrare un filo di luce attraverso le sbarre fino in fondo a quel buio inesorabile che è dentro di noi. Vorrei far capire a tutti che, a prescindere da quanto possano essere gravi le nostre colpe, essere privati del bene più prezioso, che è la libertà, è già in abbondanza un buon ed efficace castigo.

Io soffro di gravi patologie, evidenziate dalla mia cartella clinica e confermate da molte strutture ospedaliere, quali una cardiopatia ischemica, un’angina instabile e una stenosi già al 75% e spero di poter ottenere una sospensione della pena per potermi curare come si deve; in carcere, infatti, non è possibile perché la situazione degli specialisti non è buona, il cardiologo non c’è mai e spesso le visite ai detenuti con rischio di morte documentato si dirottano in extremis in ospedali che dispongono dei macchinari necessari ma i risultati delle analisi si vengono a sapere, se va bene, dopo 15 giorni. Vogliamo chiamarlo un vergognoso paradosso se pensiamo in che stato d’animo si lascia un paziente ad aspettare un risultato del genere? Credetemi, è molto peggio di quando si aspetta di sapere quanti anni ci verranno inflitti dal tribunale.

I medici, dopo il mio primo ricovero, hanno scritto che rifiuto le cure e di questo i magistrati terranno conto nel decidere se concedermi la sospensione della pena. È vero che ho rifiutato una coronarografia ma non è stato scritto il motivo del mio rifiuto, cioè che ero piantonata da agenti uomini. Per legge dovevano essere sempre presenti sia alle visite che agli interventi e addirittura dovevo lasciare la porta aperta quando andavo a far pipì; gli agenti erano discreti e si giravano per non guardare ma l’imbarazzo era non solo mio, ma anche loro. Avrei dovuto entrare in emodinamica nuda come mamma mi ha fatto con gli agenti lì ma non sono proprio riuscita a farlo e così ho voluto tornare in carcere firmando, come si fa in questi casi, il rifiuto.

Tornata in carcere ho ottenuto un colloquio con il direttore che è stato molto gentile e mi ha garantito la presenza di agenti donne a piantonarmi se mi fossi di nuovo ricoverata e così è stato: subito dopo mi sono ricoverata e ho fatto tutto quello che dovevo fare senza problemi. Tutto questo però non è stato riferito dai medici al magistrato e io sono ancora qui anche se la mia presenza in carcere è ad alto rischio e non dormo di notte sapendo che potrei non svegliarmi più. Quello che aspetto è una sospensione della pena per potermi finalmente curare in una struttura adeguata e senza la presenza di esterni che possono solo intralciare il lavoro dei medici.

 

Osservazioni di una detenuta sulle conseguenze dell’indultino

 

Mi permetto di fare un’osservazione, non sull’indultino ma sulle sue conseguenze. Pur essendo pochi a poter beneficiare di questa forma di clemenza, si è creata, nelle cancellerie della magistratura di sorveglianza, una situazione a dir poco insostenibile. Con la scusa di dover smaltire la mole di lavoro che quest’indultino ha prodotto, tutte le altre decisioni della magistratura di sorveglianza vengono posticipate. Si crea così un blocco tra vasi comunicanti, tanto che tardano a venire concessi i giorni di libertà anticipata, senza i quali molti detenuti non sono nelle condizioni di poter beneficiare di scarcerazioni, affidamenti, permessi e di altre misure alternative, oppure si vedono fissare camere di consiglio dopo mesi e mesi.

Così persone che potrebbero essere già libere o essere già sottoposte a misure cautelari alternative, e quindi non essere più recluse, restano in carcere, poiché la magistratura di sorveglianza è oberata di lavoro. Sembra che le porte dei penitenziari italiani si siano chiuse ad imbuto, rallentando il già lento e doloroso iter verso la libertà.

Incontro con un magistrato di sorveglianza

 

Il 15 ottobre 2003 la dottoressa Sodano (magistrato di sorveglianza) si è incontrata con il Gruppo lavoro di San Vittore, dopo aver ricevuto da questo gruppo un documento, sulle problematiche relative alle nuove disposizioni in materia di libertà anticipata. Il Gruppo Lavoro ha scritto una relazione su questo incontro, intitolata: "Cosa ci è rimasto?". Il 30.10.03 al COC si è letto il testo del Gruppo Lavoro. Questi i commenti:

Questo Gruppo lavoro è l’unico con rappresentanti dei raggi, che sono nominati dalla direzione. Tre detenuti del COC hanno contatti con il Gruppo Lavoro. Il magistrato ha detto che tutti loro hanno un enorme carico di lavoro, in una situazione di mancanza di organico assai grave. Sono costretti a lavorare più di dieci ore al giorno. Ma questo è un problema loro. Se i detenuti sono troppi, il problema lo devono risolvere gli stessi magistrati. Loro prendono lo stipendio per i detenuti.

Il magistrato ha parlato di un rapporto personale che deve nascere fra detenuto e magistrato tramite un colloquio personale; ma si è lamentata della loro mancanza di tempo per farlo. Noi sappiamo che i colloqui col magistrato sono di pochi minuti, e perciò non ci possono conoscere. Inoltre qui al COC il magistrato non viene una volta al mese, come c’è scritto nel regolamento, perché qui ci sono pochi definitivi,ci stiamo poco, siamo troppi.

Secondo noi è meglio che i magistrati si attengano alle relazioni di quelli che ci conoscono, educatori, assistenti sociali, psicologi, che sanno di più su di noi. Dovrebbe leggere i fascicoli personali.

La dottoressa Sodano ha rivolto un forte attacco all’ufficio educatori di questo carcere, che non lavorerebbe, a suo dire, con l’adeguata competenza. Ma perché non è andata lei dagli educatori? E se anche loro sono sotto organico, questo è un problema che dipende dalla politica. Cosa ci possiamo fare noi detenuti? Noi detenuti siamo poveracci.

Che cosa ci è rimasto? (relazione del Gruppo Lavoro)

 

All’incontro con la dott.sa Sodano tenuto il 15.10.2003, al penale, hanno partecipato tutti i componenti del Gruppo Lavoro. Oggetto di tale incontro erano le problematiche inerenti le nuove disposizioni in materia di liberazione anticipata; problematiche che erano state presentate in un documento, redatto dal Gruppo Lavoro, inviato al Presidente del Tribunale di Sorveglianza, dott. Minale, che il medesimo ha girato a tutti i magistrati di sorveglianza presso il loro ufficio. La dott.sa Sodano, fra tutti i magistrati, si è come al solito contraddistinta per la sua sollecitudine e sensibilità verso i problemi di noi detenuti, decidendo unilateralmente di venirci ad incontrare per discutere del contenuto del nostro documento. Nelle sue risposte alle nostre domande ha evidenziato come i magistrati siano stati sommersi da questa loro nuova competenza.

Il criterio con cui hanno smaltito le pratiche accumulate è stato quello di dare la precedenza ai richiedenti con un fine pena minore; questo ha quindi comportato, per coloro che hanno fine pena più lontani nel tempo, di arrivare oltre il 2007, a suo dire perché a tale data tutte le pratiche sono state evase , si stia verificando una lunga attesa. La nostra obiezione è che, sia per chi con la liberazione anticipata può entrare nei termini per la richiesta dei benefici, sia per chi può arrivare nei termini per chiedere l’indultino, nonostante abbia un fine pena lontano nel tempo, viene a crearsi una situazione di ingiustizia.

Il magistrato ha risposto che il criterio adottato è sicuramente il più corretto per evitare che ci siano persone che arrivino al fine pena senza poter godere della libertà anticipata, inoltre ha rivolto un forte attacco all’ufficio educatori di questo carcere dichiarando che alcune disfunzioni avvengono perché il suddetto ufficio, a sui dire, non lavora con l’adeguata competenza che invece contraddistingue il carcere di Opera e quello di Bollate, da dove le pratiche partono con bene evidenziate le eccezioni che possono condurre al godimento del beneficio. Ciò metterebbe i magistrati nelle condizioni di rendersi conto di tali urgenze, senza aver bisogno di aprire le pratiche e quindi la possibilità di trascurare le eventuali urgenze diminuirebbe.

Nella sostanza ha lodato il lavoro dei suoi colleghi magistrati, che a fronte dei più di 5.000 detenuti che hanno in carico si trovano in una situazione di mancanza d’organico assai grave. In effetti, le cifre che ha fornito ci hanno impressionato, compresa la sottolineatura del fatto che ormai sono costretti a più di dieci ore giornaliere di lavoro per riuscire a far fronte al lavoro pendente. Molto piacere, invece, ci a fatto la sua dichiarazione che tutti i magistrati di sorveglianza hanno ben presente che dietro ogni pratica c’è innanzi tutto un uomo, un essere umano, e non soltanto un detenuto, titolare di diritti nonostante la sua condizione di carcerato!

Il discorso è scivolato poi sul modo assai parsimonioso con cui i magistrati di sorveglianza di Milano concedono i benefici della legge Gozzini, a differenze di quello che accada in altri Tribunali di Sorveglianza del territorio italiano. La risposta è stata che non è sufficiente avere un’adeguata sintesi intramurale che sia positiva, in quanto la sintesi non è che una mera proposta di beneficio. Il medesimo deve dipendere da un rapporto personale di fiducia tra il detenuto e il proprio magistrato di sorveglianza, a prescindere da quello che sia il parere della sintesi e che il luogo in cui questo rapporto deve nascere è quello del colloquio personale che tutti i detenuti hanno diritto di chiedere e che tutti i magistrati hanno il dovere di concedere.

Anche qui abbiamo avanzato l’obiezione che molti magistrati non danno nemmeno il tempo ai detenuti di sedersi per esporre le proprie problematiche, nel momento del colloquio sopra citato, e lo concludono in maniera molto formale; inoltre l’attesa è nell’ordine dei sei mesi per avere un colloquio con il magistrato!

La risposta è stata che purtroppo ai suoi colleghi manca il tempo per potere effettuare i suddetti colloqui, e che lei fa tutto il possibile per svolgerli ma che si rende conto, ed accetta l’addebito, che quanto si fa non è sufficiente. Ad onor del vero, pur essendo la sua risposta come qui riferito, la dott.sa Sodano è stata molto simpatica nell’esprimerla adottando un’ironia socratica, questa volta anche nei confronti dei suoi colleghi.

Un’ultima cosa da precisare è che all’incontro era presente la Direzione, nelle persone del dott. Rinaldi e della dott.sa Passanante che purtroppo, vuoi per la sede in cui si è svolto l’incontro, vuoi per la personalità forte ed a volte sopra le righe della dott.sa Sodano, non hanno avuto l’opportunità di controbattere alle accuse del magistrato. Tuttavia, ci è stato precisato, nella giornata successiva all’incontro, che quanto affermato dalla dott.sa Sodano non corrisponde al vero, in quanto l’Ufficio Educatori del carcere adotta il metodo riferito dal magistrato da ormai molto tempo, cosa oltretutto confermata da tutti quei detenuti che per una ragione o per l’altra hanno a che fare spesso con l’Ufficio Educatori e con la matricola.

In ogni caso, è stato promesso l’intervento del Capo Ufficio Educatori al primo incontro del Gruppo Lavoro, per chiarire i dubbi che effettivamente l’attacco luterano mosso dalla dott.sa Sodano alla Direzione del carcere ha creato in alcuni di noi detenuti. Appena riusciremo a capirci qualcosa vi daremo conto di quello che sarà, qualunque cosa essa sia!

Ma aldilà di questo scontro istituzionale (finalmente anche noi abbiamo il nostro!), sicuramente ci ha fatto molto piacere vedere tanta sollecitudine, anche se avremmo preferito che questo incontro fosse organizzato in maniera bilaterale da parte della dott.sa Sodano. Infatti ci ha dato l’opportunità, al di là della mole di lavoro che ci ha dimostrato che i magistrati svolgono, di documentarle una trentina di casi concreti in cui la mancanza dell’applicazione della liberazione anticipata costringe alcuni detenuti a stare in carcere più del dovuto. Speriamo che almeno in quei casi (e chissà quanti ce ne saranno ancora occulti…) arriverà la risposta tanto desiderata, da quegli essere umani che hanno la vicissitudine, a torto a o a ragione, di essere detenuti.

Ci rimane un po’ di amarezza di fondo nel constatare che il sistema purtroppo non funziona in quanto, a di là delle responsabilità – siano esse della Direzione del carcere nell’istruire in maniera scorretta le sintesi (tra l’altro onesta bisogna ricordare che anche l’Ufficio Educatori è sotto organico); siano esse della Magistratura che, seppure con l’attenuante delle scarsità di organico, ammette (ironicamente) che ai magistrati manca il tempo per effettuare lo svolgimento (definito "necessario") dei colloqui con i detenuti, rapporto di fiducia indispensabile per l’erogazione dei benefici; siano esse, infine, della politica, la quale non riesce a mettere in grado le istituzioni di svolgere il proprio lavoro - il risultato non cambia!

Infatti le dichiarazioni astratte di umanità, che nulla poi portano nelle situazioni concrete, a volte prendono le sembianza delle beffa, che è poi ciò che noi sentiamo perpetrato ai nostri danni quando dopo percorsi di decenni di carcere, ci viene detto che per cause burocratiche dobbiamo attendere…attendere..attendere!

Credo che l’unica cosa che possiamo sperare è che almeno questa litigiosità sia un fatto occasionale, perché non ci è sembrato di distinguerne caratteri di serietà o quantomeno una dinamica che possa arrivare ad eliminare quelle disfunzioni del sistema che non permettono a noi detenuti di sentirci considerati esseri umani…quello che poi la dott.sa Sodano ci ha garantito.

 

Milano, S. Vittore, 17.10.2003

 

Il Gruppo di Lavoro

 

Per informazioni, segnalazioni e adesioni rivolgersi a Gruppo Calamandrana, presso Lega dei Popoli, Via Bagutta 12 Milano tel. 02780811 e-mail lidlip@libero.it

 

Gli originali degli scritti pervenutici direttamente da detenuti sono a disposizione presso la nostra sede.

 

Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa

 

 

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