Il carcere dimenticato

 

Il carcere dimenticato. Il carcere possibile

di Riccardo Polidoro

 

Il carcere possibile. Il carcere dimenticato. Il carcere ignorato. Il carcere virtuale. Il carcere abbandonato. Erano questi i titoli che la Camera Penale di Napoli avrebbe potuto dare alla sua iniziativa. Abbiamo scelto il primo per il progetto, per essere propositivi e non abbandonarci a fin troppo facili pessimismi. Il secondo per questo libro, perché per la detenzione è facile perdere la memoria di quanto si conosce ed è necessario, invece, che qualcuno lo ricordi.

Il carcere rappresenta per l’opinione pubblica una realtà "altra", che non appartiene ai problemi da risolvere. È questo un sentire comune, tanto comune che nessun grande partito politico mostra un vero interesse per questo tema, ben sapendo che il "ritorno" in ordine di voti è del tutto nullo, anzi vi è il concreto pericolo che, denunciando il dramma del carcere, vi possa essere addirittura una perdita del consenso già acquisito.

In un recente incontro-dibattito sull’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario e sui diritti negati, tenutosi presso la Camera Penale di Napoli, dopo che la norma da eccezionale è divenuta definitiva con un ampio consenso in Parlamento, uno dei relatori, l’On.le Avv. Gaetano Pecorella, Presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha esplicitamente ammesso che " chi si schiera in qualche modo per una maggiore garanzia viene etichettato immediatamente per essere mafioso….è, secondo me, un atteggiamento culturale che non è soltanto del Parlamento, perché io credo che si deve sempre tenere presente che il parlamentare, quando esprime un voto, lo fa, mi auguro, qualche volta in relazione alla propria coscienza, il più delle volte in relazione agli effetti elettorali del suo voto, cioè in relazione al fatto che schierarsi in un modo o nell’altro, significa perdere o guadagnare voti…Non è una scelta contro il Paese, ma è una scelta che tiene conto, evidentemente, di un atteggiamento culturale del Paese".

Un atteggiamento culturale incline alla repressione, dove il principio costituzionale di rieducazione non trova spazio.

In un’intervista, rilasciata a Radio Radicale l’8 ottobre 2002, il Ministro della Giustizia, nel rispondere ad una specifica domanda sulla gravissima situazione dei Tribunali di Sorveglianza, ha affermato: "dell’umidità ce ne occuperemo dopo", con riferimento ad una ormai famosa battuta del Presidente del Consiglio. Facendo comprendere che il Governo non ritiene una priorità la soluzione dei problemi della sorveglianza, in quanto ben altri sarebbero le questioni urgenti da affrontare. Al giornalista che gli faceva rilevare come molti detenuti lamentano che avrebbero diritto ad uscire dal carcere, ma che il Magistrato di Sorveglianza non esamina il suo fascicolo, il Ministro ha risposto che, certamente questo è un aspetto da risolvere, ma che in Parlamento vi sono ancora troppi decreti e leggi da esaminare su questioni più importanti.

Mentre Governo e Parlamento hanno affrontato ed affrontano in materia di giustizia temi ritenuti più importanti, si prospettano tempi lunghi o meglio lunghissimi per gli irrisolti problemi del carcere e dei Tribunali di Sorveglianza e coloro che avrebbero diritto ad una detenzione nel rispetto del dettato costituzionale e dell’ordinamento penitenziario, o quanto meno civile, attendono. Attendono anche coloro che avrebbero diritto alla libertà e devono, invece, continuare a restare in carcere perché non vi è un Giudice che possa esaminare la loro posizione. Ma cosa è più urgente della libertà?

Gli Avvocati conoscono la realtà del carcere. Ascoltano dalla voce dei loro assistiti realtà non immaginabili, raccolgono le proteste dei familiari e sono testimoni della presa di coscienza, o anche di conoscenza, che avviene nel momento in cui una persona cara viene privata della libertà. Solo allora, infatti, la gente apre gli occhi sul mondo del carcere, ricorda quanto forse già sapeva o si accorge, per la prima volta, di quanto avviene dentro quelle mura e chiede "ma come è possibile?".

Quanto fino a quel momento era stato accantonato o ignorato diviene ragione di meraviglia e di protesta. Una ribellione che resta comunque isolata, perché il parente o l’amico in carcere, ti rendono portatore d’istanze che non trovano interlocutori. Gli altri, infatti, ascoltano forse anche interessati, ma, forti del loro stato di "libertà", dimenticano facilmente.

La libertà è il bene più grande che un individuo possiede. Sottrarre tale bene è la sanzione massima che uno stato democratico può infliggere. Ciò può e deve bastare. Lo stato appropriatosi del "tempo", delle "azioni", degli "affetti" di una persona, deve dare uno scopo a tale punizione che non può essere fine a se stessa, ma deve tendere alla rieducazione, ed in alcuni casi all’iniziale educazione, del detenuto.

Il sovraffollamento che caratterizza tutti gli Istituti di pena, assume in Campania punte così elevate da rendere la privazione della libertà nella nostra Regione ed in particolare in alcune strutture, la privazione anche dei più elementari principi di civiltà.

I recentissimi dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria offrono un panorama allarmante descrivendo una situazione ingovernabile.

Nella relazione scritta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002, della Corte di Appello di Napoli, si evidenziava che " …solo in Napoli sono presenti, nella casa Circondariale di Poggioreale 2199 detenuti, di cui 980 giudicabili, 427 tossicodipendenti e 228 extra-comunitari, su una capienza di 1276 unità", rilevando che "il sovraffollamento è ritornato, di fatto, ad essere la piaga del giorno e la situazione del distretto ha guadagnato primati di presenze in istituto che, oggettivamente, creano equilibri precari e delicati, con la memoria a pregresse storiche incandescenze, che sembrano però oggi sopite".

La relazione continuava sottolineando che "Va comunque riconosciuto che la popolazione carceraria, sotto l’egida di un sano e diffuso egoismo, tarda a maturare ribellioni e proteste di massa, preoccupata maggiormente della singola posizione e del proprio domani, che da movimenti di piazza, più o meno socializzati".

Il "detenuto – egoista", rende l’idea del tipo di "rieducazione" praticato negli Istituti Penitenziari, dove in una situazione di vera e propria sopravvivenza, ognuno pensa a sé stesso e la socializzazione è l’ultimo desiderio dell’internato.

La relazione dell’anno giudiziario 2003, riprende testualmente il concetto del detenuto-egoista – la frase sopra riportata è rimasta identica anche nella nuova relazione – e riferisce che "solo in Napoli sono presenti, nella Casa Circondariale di Poggioreale, che continua ad essere il Carcere più affollato d’Italia, 2.386 detenuti…su una capienza di 1.276 unità". Rispetto alla relazione dell’anno precedente, dunque, mentre il limite di capienza massima è rimasto invariato (1.276 unità), vi è stato un aumento di detenuti da 2.199 a 2.386, pari a 187 unità, che ha portato alla drammatica situazione di 1.110 detenuti in più.

Le linee guida politico-strategiche del Ministero della Giustizia prevedono per il 2003, quale "obiettivo generale 08", "la certezza della pena e contestualmente la dignità delle condizioni detentive, riducendo il sovraffollamento, creando circuiti differenziati e favorendo la formazione, il lavoro ed il recupero sociale dei condannati ai fini della diminuzione della recidiva". È questo l’obiettivo che anche altri Governi avevano, ma che concretamente non è stato mai realizzato, anche se rispecchia uno dei fondamentali principi costituzionali.

Abbiamo un Ordinamento Penitenziario che trova raramente un’effettiva applicazione. Vi è stato un Protocollo D’Intesa tra la Regione Campania ed il Ministero della Giustizia il 3 ottobre 2000, preceduto da una Dichiarazione D’Intenti del 12 novembre 1999, che resta in gran parte incompiuto.

Il carcere è dunque ignorato e le leggi che lo disciplinano sono leggi "virtuali". Norme che prevedono fattispecie astratte che restano tali, in una situazione reale di degrado delle strutture e di un crescente sovraffollamento.

È necessario, dunque, intervenire. L’aumento costante della popolazione carceraria non consente ulteriori attese. Per tale ragione, la Camera Penale di Napoli, già impegnata da diversi anni sui problemi dell’esecuzione della pena, con convegni e dibattiti, ha deciso questa volta di schierarsi con coloro che concretamente operano nel pianeta carcere, mettendo a disposizione la professionalità dei suoi iscritti e la sua esperienza.

Nasce così il progetto "Il carcere possibile". Un punto di partenza per la nostra associazione che vuole però essere anche un riferimento per tutti coloro, e non sono pochi, che già operano per migliorare le condizioni di detenzione negli Istituti di pena in Italia.

Il nostro primo passo è stato quello di raccogliere dati ed informazioni dagli Istituti penitenziari della Campania e di chiedere una "riflessione sul carcere" ad autorità politiche, uomini di cultura ed addetti ai lavori. Non tutti hanno risposto all’appello, ma coloro che ci hanno voluto offrire il loro contributo l’hanno fatto con entusiasmo. Li ringraziamo.

La nostra ricerca non vuole proporsi come un esame esaustivo della realtà penitenziaria in Campania, ma può offrire alcuni spunti per comprendere meglio la situazione, verificarne il degrado, per poi proporre soluzioni. Soluzioni possibili.

Le cifre relative ai detenuti presenti negli Istituti della Campania, confermano un sovraffollamento non più tollerabile. Ne soffrono più della metà delle strutture ed alcune di esse con cifre spaventose. Poggiorale rappresenta poi un caso a parte. Un vero inferno. Risulta difficile credere che si possa reggere una situazione del genere.

Alla dirigenza del carcere in queste condizioni nulla può essere chiesto, perché ogni risultato ottenuto, e ve ne sono, costituisce un vero e proprio miracolo.

La situazione regge certamente per il sacrificio di chi opera nell’Istituto, ma a discapito dei detenuti che vivono la detenzione in maniera "diversa" che in altre strutture, con una disparità di trattamento che riguarda gli elementi essenziali della vita stessa.

Va evidenziato, poi, che i detenuti di Poggioreale per i 2/3 sono in attesa di giudizio. Il che vuol dire che vi sono a Poggioreale circa 1.600 individui "presunti innocenti" che vivono una condizione che non sarebbe giusto fosse destinata neanche a chi è stato ritenuto colpevole.

La mancanza di spazi sufficienti, una sola ora di aria la mattina ed una al pomeriggio, la vita comune in stanze anguste per il numero di occupanti, i servizi igienici precari condivisi con un numero elevato di persone, ridotta possibilità di usufruire di docce, costituiscono un grave pregiudizio per la salute.

I detenuti costretti per l’intera giornata nelle celle, o comunque in spazi angusti, assumono con il passar del tempo abitudini da animali in gabbia. Passeggiano velocemente, si voltano automaticamente e riprendono a camminare, tutto ciò in un brevissimo arco temporale.

La visita medica è effettuata al momento dell’ingresso. Successivamente ogni qual volta sia ritenuta necessaria dal sanitario o richiesta dal detenuto. Manca una frequenza di visite sanitarie di controllo. In pratica dopo il controllo iniziale, s’interviene solo per necessità.

Dal punto di vista igienico-sanitario va poi rilevato che riteniamo difficile garantire un sufficiente grado d’igiene e la non-nocività dei cibi, se gli stessi vengono detenuti e cucinati in un unico ambiente dove convivono per un’intera giornata, anche sedici persone. Se nello stesso luogo vi è poi un unico servizio igienico, che servirà per i bisogni corporali, per lavare il corpo e necessariamente anche le stoviglie.

Lo Stato che giustamente si preoccupa dell’igiene negli ospedali, nelle scuole ed in altre strutture pubbliche, perché dimentica il carcere e consente, laddove dovrebbe impartire lezioni di legalità, che si consumi una situazione di abbrutimento ?

Abbrutimento del corpo e della mente. Nelle condizioni in cui "sopravvive" Poggioreale la TV color, che è posta in ogni stanza, rappresenta l’unico reale mezzo che possa giungere davvero ad ogni recluso. Il detenuto non vuole e non può sottrarsi alla ordinaria programmazione che contribuisce, soprattutto perché mancano indicazioni a riguardo, a reprimere qualsiasi pur larvata possibilità di un minimo recupero.

Perché allora non prevedere delle attività culturali a circuito chiuso che possano coinvolgere l’intera popolazione del carcere? La televisione come strumento di diffusione di qualcosa di diverso dalla programmazione ordinaria che, al contrario, contribuisce ad alimentare sotto-cultura.

Il rapporto con la famiglia è, poi, fortemente penalizzato. Da un calcolo effettuato sui dati acquisiti è emerso che, con riferimento ad un affollamento medio, vengono effettuati 500 colloqui al giorno.

Per poter organizzare tale attività è istituita un’enorme stanza dove i detenuti, in media venti alla volta, parlano o meglio urlano, ai familiari - posti dall’altro lato di un tavolo - i loro affetti e le loro esigenze, per un tempo che è di circa un’ora. La riservatezza è garantita dall’enorme frastuono.

Il rapporto fra il numero di educatori presenti ed i detenuti è a Poggioreale di 1 a 400. Dato che non ha necessità di alcun commento. Eppure sono 13 anni che non viene bandito un concorso per tale qualifica. In altri Istituti il numero è altrettanto insufficiente, mentre nella Casa Circondariale di Sala Consilina manca del tutto la figura dell’educatore, con visita due volte al mese di un esterno.

Dalla nostra ricerca è emerso anche l’inesistenza di Consigli di aiuto sociale, con un’unica eccezione per quello istituito solo recentemente dal Presidente del Tribunale di Torre Annunziata.

Eppure il "Consiglio di aiuto sociale" fu istituito con la L. 26 luglio 1975, N.354 (artt. 74 e segg.), cioè 28 anni fa, per svolgere un ruolo fondamentale, con le seguenti attività: a) curare che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di favorire, con opportuni consigli ed aiuti, il loro reinserimento nella vita sociale; b) curare che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali bisogni dei liberandi e studiare il modo di provvedervi, secondo le loro attitudini e le condizioni familiari; c) assumere notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro nel circondario e svolgere un’opera diretta ad assicurare un’occupazione ai liberati che abbiano o stabiliscano residenza nel circondario stesso; d) organizzare, anche con il concorso di enti o di privati, corsi di addestramento ed attività lavorative per i liberati che hanno bisogno di integrare la loro preparazione professionale e che non possono immediatamente trovare lavoro, promuovere altresì la frequenza dei liberati ai normali corsi di addestramento e di avviamento professionale predisposti dalle regioni; e) curare il mantenimento delle relazioni dei detenuti e degli internati con le loro famiglie; f) segnalare alle autorità ed agli enti competenti i bisogni delle famiglie dei detenuti e degli internati, che rendono necessari speciali interventi; g) concedere sussidi in danaro ed in natura; f) collaborare con i competenti organi per il coordinamento dell’attività assistenziale degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché delle persone che svolgono opera di assistenza e beneficenza diretta ad assicurare il più efficace ed appropriato intervento in favore dei liberati e dei familiari dei detenuti e degli internati; g) prestare soccorso, con la concessione di sussidi in natura o in denaro, alle vittime del delitto e provvede all’assistenza in favore dei minorenni orfani a causa del delitto.

Manca, dunque, con l’unica eccezione per il circondario di Torre Annunziata, l’organo con il compito di cerniera tra la detenzione e la libertà. Quello deputato al reinserimento, cioè al momento più delicato del ritorno alla libertà.

Ci ha colpito in merito la risposta pervenutaci da una Casa Circondariale dove è stato scritto che l’organismo era stato abrogato. In effetti che esista sola sulla carta o sia effettivamente abrogato, nulla cambia.

Altro dato inquietante è l’assenza delle istituzioni. Il numero di visite agli Istituti è nullo o comunque irrisorio. Gli stessi Magistrati di Sorveglianza raramente vanno a verificare "di persona" cosa avviene dentro le mura. Del resto come si leggeva nella relazione sull’inaugurazione dell’ultimo anno giudiziario " tutti i Magistrati di Sorveglianza sono ben consapevoli della trasformazione del loro ruolo, da garanti della legalità dell’esecuzione della pena, a responsabili dell’eseguibilità delle condanne e delle modalità di esecuzione".

I detenuti sono dunque soli. C’è il rischio che vengano dimenticati anche da chi oggi lotta affinché venga ripristinato il principio costituzionale dell’art.27, perché il silenzio intorno al pianeta carcere è grande e le battaglie per rimuoverlo sembrano perse in partenza.

Speranze, però, vi sono. Abbiamo avuto modo di constatare che all’interno delle strutture penitenziarie vi sono enormi risorse umane che andrebbero valorizzate e messe in condizione di operare meglio. La disponibilità incontrata verso la nostra iniziativa da parte di alcuni operatori, testimonia da un lato che c’è una grande volontà di miglioramento ed energie positive da valorizzare, dall’altra che c’è necessità che la c.d. "società civile" si occupi del dramma della detenzione, che non è affatto secondario, ma di primaria importanza perché collegato a parte dei problemi che affliggono il Paese.

Prima di esporre i dati di questa nostra prima ricerca, riportiamo le riflessioni che alcuni di coloro che abbiamo interpellato ci ha inviato. Li ringraziamo ancora.

In prefazione abbiamo riportato il pensiero del Sindaco di Napoli, l’On.le Rosa Russo Iervolino. Qui di seguito quello del Prof. Sergio Piro, psichiatra ed antropologo di chiara fama, del Dott. Francesco Saverio De Martino, Direttore della Casa Circondariale femminile di Pozzuoli, del Dott. Claudio Flores, Sociologo, Direttore Coordinatore dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Poggioreale, del Dott. Stefano Vecchio, Direttore del Dipartimento Farmacodipendenze ASL NA1, dei Magistrati, Dott. Michele Del Prete e Dott.ssa Francesca Romana Amarelli, rispettivamente Presidente della Sezione Distrettuale di Napoli dell’Associazione Nazionale Magistrati e Magistrato di Sorveglianza presso l’Ufficio del tribunale di S.Maria Capua Vetere, dell’Avv. Francesco Piccirillo, già Presidente della Commissione per la stesura del Protocollo d’Intesa tra Ministero della Giustizia e regione Campania, firmato il 3 ottobre 2000 e del regista ed operatore teatrale Armando Punzo, fondatore ed animatore di Volterrateatro.

 

 

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