Situazione carceri dell'Emilia Romagna

Assessorato alle Politiche sociali. Immigrazione. Progetto giovani

Cooperazione internazionale

 

Relazione sulla situazione all’interno degli istituti penitenziari dell'Emilia Romagna (agosto 2002)

 

Progetto in Emilia Romagna: Sperimentazione di reti locali per l’integrazione socio-lavorativa di detenuti ed ex detenuti

 

Dati di contesto

 

Il carcere, come è noto, sale alla ribalta della cronaca quando si verificano episodi di violenza,di suicidi, oppure quando viene denunciata la situazione di progressivo sovra-affollamento; riflettendo sui dati regionali e nazionali risulta evidente che in una situazione del genere ogni forma di convivenza diventa problematica sia per i detenuti che per chi, all’interno della struttura, deve lavorare.

In un contesto spesso caratterizzato da carenze igienico sanitarie dovute all’affollamento, alle tipologie di detenuti, ma anche alle strutture spesso inadeguate, i bisogni sanitari si accrescono e rischiano di diventare vere e proprie emergenze.

Nelle prigioni italiane erano presenti 51.814 detenuti (al 31 dicembre 1999) distribuiti in 208 carceri, costruiti per meno di 40 mila. Anche nella nostra regione i detenuti sono troppi rispetto ai posti disponibili: 3317 presenze al 31 dicembre scorso, a fronte in una ricettività di 2370 persone.

 

 

Di queste 3317 persone detenute, 1057 risultavano tossicodipendenti (il 31,86% sul totale), 75 soggetti alcoldipendenti, 1155 sono stranieri – per la quasi totalità extra-comunitari (oltre il 34% del totale), con punte elevatissime in alcuni istituti (le percentuali di stranieri detenuti alla data del 31 dicembre 2001, sono esposte nel grafico sottostante, fonte PRAP).

I detenuti extracomunitari, risultano spesso reclusi per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti, e molti sono anche consumatori delle stesse, ma di fatto molto raramente queste persone sono state segnalate o prese in carico dai Servizi territoriali. Per questa nuova tipologia di bisogni si è in presenza anche di evidenti altri problemi quali l’incomprensione o le difficoltà del linguaggio, la presenza di modelli culturali, religiosi, stili di vita diversi e spesso situazioni di evidente disagio esistenziale.

Vi è inoltre da ricordare la presenza a Bologna di un Centro di Giustizia Minorile che comprende un Istituto Penale per Minori, un Centro di prima Accoglienza ed una Comunità per Minori, e di due centri di detenzione temporanea per stranieri sul territorio regionale, sulle cui condizioni al momento non abbiamo dati precisi. Al 31 dicembre scorso erano in carcere, nella nostra regione, ben 86 i soggetti affetti da HIV. Come nei carceri di tutto il Paese sono in recrudescenza TBC, epatite e altre malattie infettive. Numerose ricerche, in Italia e in altri paesi europei, riscontrano diffusi disturbi mentali fra i detenuti, per i quali in molti altri paesi, sono stati predisposti servizi appositi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera allarmante lo stato mentale delle popolazioni detenute.

A fronte di questo sovraffollamento emergenziale e della concentrazione di patologie fisiche, mentali e infettive, la situazione sanitaria risulta, come ovunque, degradata da diversi fattori:

La progressiva diminuzione dei finanziamenti statali destinati all’assistenza sanitaria penitenziaria (a fronte dell’aumento della popolazione ristretta) che vede il numero del personale sanitario ridursi, al punto che sono anni che l’Amministrazione Penitenziaria lancia nei confronti della nostra Regione continui appelli per risolvere tale emergenza;

Il dilungarsi in tempi scandalosi della riforma della medicina penitenziaria col suo passaggio alla sanità pubblica, (il decreto lgs. 230 risale al ‘99), e la cui attuazione parziale e geograficamente sporadica, ha prodotto incertezze sul personale e sui servizi, e negativi risvolti, naturalmente, sull’utenza.

 

Presenza detenuti stranieri nelle carceri dell'Emilia Romagna (% sul totale)

 

 

La situazione è tale che, oltre alla universale e gravissima carenza di personale infermieristico, si riscontrano fenomeni tra i quali possiamo citare:

se in un carcere di media grandezza entrano alcuni sieropositivi in più, il costo dei farmaci per l’HIV produce in breve tempo l’esaurirsi dell’intero budget annuale per farmaci ed infatti è di questi giorni l’ennesimo appello del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria che riguarda l’emergenza farmaci, al quale stiamo tentando di dare risposta;

lo screening per l’HIV viene fatto con criteri e modalità così disomogenei che le differenze fra le

percentuali dei detenuti che (volontariamente) vi si sottopongono, varia in modo incomprensibile

da carcere a carcere e da un anno all’altro, dimostrando sensibilità ed opportunità diverse rispetto

al tema della prevenzione. Nel secondo semestre 2001 sui 2461 ingressi negli Istituti Penitenziari

della Regione sono stati sottoposti a screening per tale infezione solo 959 soggetti, rendendo di fatto impraticabile ogni seria politica di prevenzione, pur nella consapevolezza del fatto che le sieroconversioni in ambito penitenziario sono presenti in ogni paese dove ricerche su tale tema siano state svolte.

A questo riguardo è fattore aggravante il fatto che lamette da barba e spazzolini da denti sono spesso utilizzati collettivamente (esiste uno specifico progetto regionale che punta a supplire queste carenze). Analogamente, in modo collettivo, sono utilizzate le siringhe dai tossicodipendenti (una nostra proposta di sperimentazione di interventi di riduzione del danno in tal senso è stata rifiutata dall’Amministrazione Penitenziaria).

Situazione egualmente preoccupante è riscontrabile all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, ove è storica e grave la carenza di infermieri, oggi aggravata al punto che persino nel reparto Antares, (in cui come Regione interveniamo con un progetto di recupero e risocializzazione per una quarantina di internati in prevalenza emiliano-romagnoli) gli infermieri non riescono a gestire i compiti propri del progetto, lasciando scoperta una situazione che ci ha visto impegnati con sforzi e finanziamenti (600 milioni di lire su tre anni) che negli anni scorsi hanno dato risultati in termini di vivibilità e di recupero di soggetti.

Riteniamo che la testimonianza del deterioramento di questa situazione sia espressa al meglio dagli ultimi, tragici, episodi, che hanno visto il succedersi di tre suicidi negli ultimi sei mesi. Si sottolinea che con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria si sono tenuti dei buoni rapporti di collaborazione, ma che questo non può essere sufficiente ad alleviare i fenomeni sopra descritti.

 

Le politiche regionali: i temi sociali

 

I dati sulla provenienza sociale della stragrande maggioranza dei detenuti, confermando la natura del carcere come luogo terminale dei fallimenti delle politiche di inclusione sociale, hanno qualificato le politiche di questa regione in materia penitenziaria.

Nel Protocollo d’Intesa sottoscritto dal Ministero della Giustizia e dalla Giunta Regionale nel 1998 si trattano temi fondamentali, individuando a livello territoriale, in modo innovativo, una comune strategia di politiche di integrazione sociale tra adulti e minori in difficoltà. Si inseriscono temi nuovi quali la mediazione culturale per immigrati, l’assistenza alle donne detenute e ai loro figli, l’area penale esterna, attività trattamentali nei settori educativo, ricreativo, sportivo, la formazione professionale e l’inserimento nel mondo lavorativo, la formazione congiunta del personale carcerario, di quello socio-sanitario e del mondo del volontariato. L’intesa poggia sul principio generale di territorializzazione dell’esecuzione penale al fine di tentare, per quanto possibile, di destinare agli Istituti Penitenziari della Regione Emilia - Romagna i detenuti di residenza e/o di provenienza regionale, nonché di favorire il rientro degli stessi da Istituti di altre Regioni, e di quanti intendano motivatamente stabilire la loro residenza in questo territorio.

Tale intesa ha prodotto un insieme di progetti ampiamente discussi e condivisi. Fra i numerosi progetti messi in campo negli ultimi anni ricordiamo, per le caratteristiche di diffusione e omogeneità in tutti gli istituti, i servizi di mediazione culturale, praticamente inesistenti nelle carceri, nonostante la così elevata presenza di stranieri e nonostante il Nuovo Regolamento Penitenziario ne preveda l’attivazione.

I temi della mediazione culturale vedono la Regione e gli Enti Locali impegnati dal 1995, con una spesa complessiva di circa 2 miliardi e mezzo di lire tra il 1998 e il 2001, di cui circa 100 milioni per la progettazione, l’accompagnamento, il monitoraggio e la formazione congiunta degli operatori degli Enti Locali e del penitenziario, e il resto per la rete di sportelli informativi per detenuti stranieri, oggi utilizzati peraltro anche per detenuti italiani in particolari difficoltà, che coprono tutti le carceri della regione. A fronte di questo investimento dobbiamo constatare che le difficoltà interne all’Amministrazione penitenziaria (cambiamenti o assenze di direttori, carenze di personale) hanno prodotto fino ad oggi una valutazione non ottimale sull’uso che viene fatto dei mediatori culturali all’interno degli Istituti.

Per quanto riguarda uno dei temi principali in materia di carceri (cioè luoghi dove la gente dovrebbe essere "recuperata" al vivere sociale) particolarmente gravi risultano i dati che emergono dal tema lavoro: in Italia, a fronte della crescita osservata della popolazione detenuta, si rileva un decremento notevole della percentuale di utenti ammessi all’attività lavorativa (dal 43% del 1990 al 23% dell’anno scorso).

Nella nostra regione i lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria risultava, al 31 dicembre 2001, composta da 567 lavoranti, di cui 37 donne e 239 stranieri. Quelli impiegati nei servizi ordinari e straordinari degli Istituti erano 525, mentre solo 42 lavoravano per industrie o agricoltura, nonostante la presenza in diversi istituti penitenziari di laboratori, talvolta messi a punto anche con finanziamenti regionali, ed oggi scarsamente utilizzati.

Per quanto riguarda i corsi professionali, il dato nazionale mostra che vi sono iscritti una media di 3.300 persone per semestre, che costituiscono il 6-7% dell’intera popolazione carceraria. A motivo di questo scarso utilizzo di strumenti pur esistenti, e di corsi, pur offerti, dalle istituzioni e dal volontariato, viene addotto l’argomento che il personale addetto alla custodia, gli agenti, scarseggiano, mentre è risaputo che in Italia gli agenti di polizia penitenziaria sono 44.000, con un rapporto di quasi uno ad uno fra operatori e detenuti. Per quanto riguarda poi gli educatori, indispensabili per le attività di recupero, sono soltanto 800 (in alcuni carceri della regione il rapporto fra educatori e agenti arriva ad essere quasi di uno a cento) e sono spariti nelle varie finanziarie i concorsi per educatori banditi all’epoca del Ministro Fassino.

 

Vitto e "sopravvitto"

 

In passato la scadente qualità del vitto carcerario ha provocato più di una protesta. Durante la stagione di riforme in occasione della Direzione Generale del DAP del Presidente Margara, che ha visto i lavori per la redazione del Nuovo Regolamento Penitenziario, sono state impostate tabelle alimentari più scientifiche, diversificate inoltre per tradizioni religiose. Col tempo tuttavia le cose sono peggiorate di nuovo. I prezzi dello spaccio non dovrebbero superare quelli praticati dai supermercati più vicini all’istituto, ma questa norma non viene ad avviso di molti rispettata, pare, perché l’approvvigionamento degli alimenti e quello per lo spaccio sono oggetto di un unico appalto nazionale, evidentemente non ottimale.

 

Donne, madri, detenute

 

La legge per le "Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori", pubblicata simbolicamente l’8 marzo del 2001, prevede per le madri con figli minori di 10 anni l’applicazione dei provvedimenti di detenzione domiciliare ed assistenza esterna dei figli minori, non ha portato risultati significativi: su 6.129 donne rinchiuse nei carceri italiani solo poche decine hanno potuto usufruirne. Primo, perché riguarda le condannate definitive che sono appena la metà delle detenute, secondo, per la carenza di soluzioni abitative per la stragrande maggioranza. Per le madri tossicodipendenti inoltre non esiste alcuna Sezione attenuata in Regione, e comunque in tutt’Italia in nessuna sezione attenuata femminile è prevista la presenza di bambini. In regione si è a conoscenza di casi di minori in carcere anche se non si hanno dati (in Italia sono circa 50), ma non esistono spazi madri-bambini. Inoltre, solo nel carcere di Bologna c’è un luogo riservato ad attività ricreative per bambini, non presente nel resto degli istituti regionali.

 

Le politiche regionali: i temi sanitari

 

Negli istituti penitenziari italiani (che, come detto, racchiudono quasi 52.000 persone con tutti i fattori di rischio sanitari enunciati) gli addetti sanitari sono 6.000. Un numero ancora più insufficiente se si tiene conto che il personale del Ministero della Giustizia è di soli 350 medici e 1.200 infermieri. Ad essi si aggiungono i convenzionati: 1.400 medici di guardia, spesso giovani alle prime armi, e 3200 specialisti consulenti saltuari.

Nel 2001 è stato stilato tra la Regione Emilia-Romagna ed il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale il Protocollo "Tutela e promozione della salute in ambito penitenziario", in applicazione al D.lgs. 230/99, contenente ipotesi e proposte relative ai molteplici aspetti della sanità penitenziaria, dalla medicina generale a quella specialistica, dalla gestione delle urgenze all’approvvigionamento e utilizzo dell’armadio farmaceutico. Nel Protocollo trovano particolare attenzione la questione del personale sanitario ora operante, il suo potenziamento e il tema della sicurezza del luogo di lavoro. Rilievo specifico è stato posto ai problemi specifici riguardanti la salute e la cura della considerevole percentuale di extracomunitari fra le persone detenute, all’assistenza psichiatrica, alle patologie infettive ed alle dipendenze patologiche.

Sulla base di questi documenti programmatici l’Amministrazione Regionale ha posto in essere iniziative e progetti, tesi a sperimentare e a mettere a regime i contenuti ed i principi ispiratori degli stessi. A tale proposito si sottolinea che nell’aprile del 2001 è stato siglato un "Verbale di intesa" fra la Regione Emilia-Romagna e le Confederazioni Regionali CGIL, CISL e UIL per favorire e regolamentare la possibilità degli infermieri professionali dipendenti dalle Aziende Sanitarie di effettuare prestazioni all’interno degli Istituti Penali in regime di lavoro straordinario, con il contributo finanziario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Detta procedura è stata promossa per far fronte alla necessità, più volte segnalata dal Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, della considerevole carenza di personale infermieristico negli Istituti; nella sola città di Bologna sono state effettuate quasi 10.000 ore di lavoro straordinario nel corso dell’anno 2001, da parte del personale delle Aziende Sanitaria ed Ospedaliera di Bologna.

Per promuovere e dare concretezza alla nuova forma di assistenza sanitaria da erogare negli Istituti Penali, la Regione Emilia-Romagna ha attivato alcune iniziative concrete finanziando un significativo progetto, che ha portato all’installazione, in tutte le carceri del territorio, di un programma informatico per la gestione della cartella sanitaria di ogni detenuto e del rifornimento e somministrazione dei farmaci. Questa procedura consente di avere costantemente il quadro della situazione sanitaria della popolazione detenuta e garantisce la continuità dei trattamenti per le persone che vengono trasferite da un Istituto all’altro. Di fronte a questi sensibili sforzi posti dalla Regione, Enti Locali e Aziende USL per tentare di dare risposte ai fenomeni descritti, ci si trova spesso di fronte ad inadempienze o a parziali applicazioni dei Protocolli stilati e dei Regolamenti nazionali emanati. Non è mai stato applicato il principio della territorializzazione, non sono affrontati in maniera congiunta i temi dell’edilizia penitenziaria, sono caduti nel silenzio gli atti e le proposte emanate da questa Amministrazione Regionale in applicazione al d.lgs. 230/99, negli ultimi mesi si è di fatto bloccata la realizzazione della Sezione Attenuata per Tossicodipendenti progettata a Castelfranco Emilia, nonostante il lavoro comune di tutte le istituzioni iniziato ormai oltre due anni or sono. Più volte sollecitato in sede tecnica e politica il Governo non ha mai saputo e voluto illustrare i nuovi orientamenti rispetto alla futura destinazione di questa struttura.

Nel giugno 1999 il Governo in carico ha emanato il d. lgs. 230, con cui stabiliva il passaggio, dal 1 gennaio 2000, delle funzioni sanitarie svolte dall’Amministrazione Penitenziaria nei settori della prevenzione e dell’assistenza ai tossicodipendenti detenuti ai Servizi della Azienda USL. Per tutte le restanti attività sanitarie sarebbe partita una sperimentazione, cui ha aderito la Regione Emilia-Romagna, del passaggio al Servizio Sanitario Nazionale di tutte le competenze sanitarie fino ad allora attribuite al Ministero della Giustizia; la verifica di questa sperimentazione era fissata per il giugno 2001, successivamente prorogata al 31 giugno 2002. Tale termine è scaduto, concludendo la fase della sperimentazione, e non fornendo al riguardo alcuna risposta o indicazione utile alla ridefinizione dell’assistenza sanitaria nelle carceri dal 1 luglio 2002. In questo quadro di incertezza il Governo non definisce compiutamente le responsabilità relative alle cure specialistiche (psichiatria, malattie infettive) e l’approvvigionamento dei farmaci destinati alla popolazione detenuta. Il Ministero di Giustizia detiene risorse e personale per l’assistenza sanitaria nelle carceri italiane (anche se proprio queste risorse dal 1999 vengono sistematicamente decurtate; solo in questo anno la diminuzione è pari al 25% rispetto all’anno precedente), mentre da numerosi Istituti, anche del nostro territorio regionale, pervengono note e lettere tese a richiedere farmaci, personale infermieristico, per rispondere a bisogni primari di salute, a soddisfare i livelli essenziali di assistenza che a tutti i cittadini del territorio nazionale debbono essere garantiti. In questo quadro diventa impossibile per le Aziende USL del territorio stipulare gli Atti di Intesa enunciati nel protocollo 2001, e dare forma e vita all’organizzazione della medicina penitenziaria, non avendo a disposizione né risorse, né autorità ad entrare come soggetti responsabili negli Istituti Penitenziari.

 

Spesa Farmaceutica sostenuta dall’Amministrazione Penitenziaria – anni 1999/2001- Istituti Penitenziari della Regione – Dati PRAP

 

Anno 1999 - Euro 1.048.536,23

Anno 2000 - Euro 964.598,94

Anno 2001 - Euro 1.107.701,60

 

A fronte di tutto quanto sopra esposto nasce l’emergenza di ottenere dai competenti Ministeri di Giustizia e della Salute, risposte e mezzi per assicurare ai cittadini, detenuti, la sanità e le opportunità sociali minime, e per non incorrere nella situazione di un carcere che assolve il suo compito e si motiva dalla sola esigenza custodialistica, salvo ripensamenti e proteste che si levano dall’opinione pubblica nella sola fase di "esplosione" di vicende, anche individuali, di estrema sofferenza che riescano ad interessare i mezzi di comunicazione di massa. Appare improrogabile la necessità di ribadire il trattamento rieducativo ed il diritto alla salute della popolazione detenuta, e diventa altrettanto importante porsi quali garanti della qualità dei trattamenti stessi, delle opportunità che è necessario creare per questi soggetti.

 

 

Ogni infermeria e centro clinico dovranno diventare spazio del Servizio Sanitario Nazionale, sì sorvegliato, ma con la salute del malato al primo posto. Informare dal e sul carcere, da solo non basta. Bisogna che l’informazione sappia produrre iniziativa e cambiamento. La denuncia più grave che riguarda il fenomeno carcerario è quella del silenzio e della rassegnazione.

 

Il trattamento dei tossicodipendenti in carcere

 

Il trattamento della dipendenza da sostanze all’interno del carcere è assicurato dalle competenti equipes dei Sert assieme al personale dedicato del Presidio interno, personale recentemente passato alle dipendenze funzionali delle Aziende USL. Nonostante l’esperienza maturata nel settore sia ampia e consolidata, persiste una serie di problematiche che rendono inattuato il principio secondo il quale il cittadino detenuto ha diritto all’assistenza sanitaria al pari di un cittadino libero. In particolare si rilevano evidenti problemi per quanto riguarda il trattamento della dipendenza da eroina attraverso la somministrazione di farmaci sostitutivi, e più in generale sul trattamento farmacologico dell’astinenza. Spesso ciò si verifica all’interno degli Istituti all’interno dei quali gli aspetti custodialistici prevalgono nettamente sugli aspetti terapeutici.

Va inoltre sottolineato il crescente numero di detenuti dipendenti da cocaina o da alcol; tali situazioni richiedono attenzioni particolari e stretta collaborazione tra equipe curante e istituzione penitenziaria.

Per quanto riguarda le Sezioni a custodia attenuata per tossicodipendenti (Seatt), in questo momento è funzionante solo quella di Forlì, con una media di 6/7 soggetti. Quella di Rimini riprenderà a funzionare il primo settembre 2002 con 10 ospiti emiliano-romagnoli, con l’impegno del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Aldo Fabozzi di tenerla sempre "aperta" con l’immissione di utenti anche da altri carceri regionali, velocizzando i

trasferimenti. Il periodo che gli utenti vi trascorreranno è più breve di quello previsto nel protocollo scorso (6 mesi massimo), ed è un periodo che assume più il ruolo di "orientamento" che non quello classico di "trattamento" che si è dimostrato utopistico nella situazione penitenziaria. E’ passaggio per un inserimento esterno di utenti tossicodipendenti, a forme alternative alla detenzione.

 

Le politiche regionali: la formazione e il lavoro

 

Attività formative e di sistema per detenuti e ex detenuti nella programmazione del FSE OB 3 2000 - 2006

 

La Misura B 1, così come descritta nel P.O.R. OB. 3 FSE (Programma Operativo Regionale) 2000-2006 dell’Emilia-Romagna, si rivolge a un vasto pubblico di soggetti a rischio di marginalità sociale che comprende anche detenuti e ex detenuti. La strategia degli interventi del FSE per questo pubblico si fonda sul presupposto che la disoccupazione sia uno dei primi elementi di esclusione sociale. Gli interventi promossi, quindi, hanno l’obiettivo di aumentare l’occupabilità dei soggetti svantaggiati garantendo l’accesso alle politiche generali di inserimento e reinserimento lavorativo. Il sostegno all’occupazione delle suddette categorie si realizza anche attraverso interventi sui servizi e sugli operatori, al fine di sensibilizzare il contesto e migliorare l’accessibilità ai servizi a sostegno dell’integrazione sociale e lavorativa.

Già nella programmazione 2000 numerose iniziative progettuali di Regione e Province erano rivolte a detenuti (8% del totale dei progetti approvati sull’Asse B). Nel corso del 2001 sono state approvate complessivamente in regione 28 iniziative di interventi per detenuti o servizi a loro rivolti. L’importo complessivo di risorse dedicate a questi interventi è stato pari a 1.187.917 Euro, pari a circa 2 miliardi e trecento milioni

 

 

La maggior parte delle iniziative (15) sono state programmate nell’ambito della misura B 1. Alcune iniziative sono finanziate con risorse di altre Misure:

6 sulla A 3, per disoccupati di lunga durata;

1 sulla C 4, formazione permanente,

1 sulla E 1, iniziative a sostegno della presenza femminile nel mercato del lavoro;

1 sulla D 2, iniziative per l’adeguamento delle competenze della pubblica amministrazione.

Tre iniziative, infine, sono state finanziate dalla Regione con altri fondi regionali.

Nella programmazione regionale prevalgono le attività di sistema, i progetti, cioè, che attivano interventi volti sia a migliorare la preparazione degli operatori che lavorano a contatto diretto con gli utenti (personale degli istituti di detenzione, educatori, assistenti sociali, formatori e anche Direttori degli Istituti di pena e polizia penitenziaria), sia a individuare dispositivi atti a migliorare l’efficacia degli interventi istituzionali a sostegno dell’integrazione lavorativa. Tra le iniziative finanziate con le risorse regionali, il progetto Change, un progetto integrato, costituito, cioè da più interventi, ha l’obiettivo di sperimentare azioni positive per l’inclusione sociale e lavorativa di detenuti attraverso la costituzione di una rete regionale e locale che coinvolga istituzioni, privato sociale, attori economici, anche in funzione della ratifica di protocolli e intese.

Il progetto affidato a una Associazione temporanea con mandatario EnAIP regionale, si sviluppa in collaborazione con il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, la Provincia di Piacenza, le case circondariali di Bologna e Piacenza, il CSSA di Bologna e Piacenza, i Servizi Sociali dei Comuni di Bologna e Piacenza.

Uno degli obiettivi previsti è l’individuazione di settori di attività nell’ambito dei quali sia possibile creare lavoro per detenuti sia in imprese esterne al carcere, sia costituendo nuove imprese (tramite la cooperazione sociale) che vedano la presenza significativa di detenuti. Nel Carcere di Bologna, inoltre, si realizzerà uno specifico intervento per donne detenute. Il progetto, infine, prevede l’attivazione di due sportelli e servizi telefonici a Bologna e Piacenza, sia per detenuti e famiglie che per operatori, al fine di fornire informazioni sulle risorse di aiuto esistenti e servizi di accompagnamento nei percorsi di reinclusione sociale (consulenza giuridica, accesso ai servizi, accesso ad attività formative). Una iniziativa formativa è stata finanziata nel Piano regionale, affidata all’Opera Madonna del Lavoro, e rivolta a ragazzi detenuti o in regime di semilibertà inseriti all’interno del carcere minorile di Bologna. Il progetto prevede percorsi individualizzati nell’ambito della ristorazione, costruiti tenendo conto del progetto di vita complessivo. Le attività programmate dalle Province sono prevalentemente di tipo corsuale e si rivolgono direttamente ad utenze detenute o con esperienze di detenzione. Si tratta di percorsi formativi, spesso di tipo individualizzato, finalizzati a sostenere l’inserimento lavorativo.

I settori lavorativi presi in considerazione sono diversi e tengono conto sia delle possibilità occupazionali che delle competenze già in possesso dei soggetti detenuti. Si realizzano iniziative per il settore edile, nell’ambito dell’informatica, gestione magazzino, termoidraulica, orto-floro-vivaismo, elettrotecnica, grafica, ristorazione. Numerosi interventi hanno valenza orientativa e sono finalizzati a definire il bilancio di competenze dei soggetti coinvolti per meglio delineare un percorso professionalizzante e di inserimento lavorativo. In alcuni casi tale processo orientativo si sviluppa tramite dei tirocini, ovviamente per quei soggetti che possono svolgere attività extracarcerarie, prevalentemente presso cooperative sociali.

Si sottolinea infine che nelle Province dove non sono state programmate iniziative specificamente rivolte a detenuti, sono comunque presenti progetti che si rivolgono a una generica utenza svantaggiata che può, ovviamente, comprendere anche soggetti con esperienze di detenzione. Nella Provincia di Forlì, ad esempio, è stato finanziato un progetto che si rivolge a utenti del centro di ascolto della Caritas e tra il pubblico che accede a tale servizio sono presenti numerosi ex detenuti, soprattutto di provenienza extracomunitaria.

La programmazione di attività a favore di detenuti è proseguita anche nel 2002. Nel Bando regionale scaduto nell’Aprile 2002, le cui candidature sono in corso di selezione, si richiedeva con l’Azione 5 dell’Asse B 1, la presentazione di progetti a favore di detenuti o persone che usufruiscano di misure alternative, al fine di valutare e verificare l’efficacia degli interventi formativi e di inserimento lavorativo già realizzati e sostenere la rete di soggetti istituzionali e del privato sociale che realizzano tali iniziative.

 

 

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