La detenzione domiciliare speciale

 

I bambini in carcere

 

I figli dei detenuti

Madri e figli dentro

Madri dentro e figli fuori

Lo sviluppo del bambino

Complicanze mediche

Gli asili nido

Analisi della situazione all’estero

Stati Uniti d’America

Bolivia

Canada

Svezia

Regno Unito

I figli dei detenuti

 

Quando si parla di figli di detenuti, ci si ricorda sempre i "piccoli numeri" dei bambini che stanno con le madri in carcere: 50 - 60 in tutta Italia. Ma se si affronta davvero questa questione, badando non solo ai figli "visibili" perché in carcere, ma anche a quelli "invisibili" che stanno a casa, allora ben altre sono le cifre, e ben più complessi i problemi: tanto per cominciare la separazione, a volte addirittura con il trauma per il figlio di assistere all’arresto di uno dei genitori, e poi i colloqui, le telefonate piene di ansia, l’incertezza del dire o del non dire al bambino: tuo padre/tua madre è in carcere. Psicologi, psichiatri, psicoterapeuti per lo più non hanno dubbi: ai bambini bisogna dire la verità. Ma spesso dire questa verità per un genitore non è facile: dipende dall’età del bambino, dalle condizioni psichiche e fisiche del genitore, dall’esistenza o meno di una famiglia che dia il suo appoggio in una tale situazione, dalle persone che si prenderanno cura del bambino (se i famigliari e i parenti o un istituto), dalla presenza di un solo o entrambi i genitori. Sono tanti i fattori che influenzano tale scelta che madri e padri sono costretti a fare.

La condizione della madre detenuta, in particolare, è pesantemente precaria, appesa al filo delle decisioni di magistrati, educatori, assistenti sociali, condizionata dalla paura di perdere i figli, di non vederli crescere, di non poter essere loro vicina quando ne hanno bisogno: è logico quindi che ogni persona esterna, che sembra avere qualche "potere" su quei figli, è vista con sospetto e paura. Quello che in particolare si avverte nelle parole di tutte le donne in carcere - spiega Ornella Favero- è l’"ansia da incontro con l’assistente sociale": a volte esagerata, a volte motivata, a volte del tutto irrazionale, ma è un sentimento di cui tener conto se si vuole capire lo stato d’animo con cui le detenute cercano di non spezzare, stando in carcere, il sottile filo che le lega ai figli.

Un rapporto dove è così forte la paura, come quello tra madri detenute e figli, è destinato a essere fonte continua di ansia e insicurezza: è per questo che è importante per le donne in carcere cercare una via per "pacificarsi" in qualche modo con se stesse e affrontare con un po’ più di serenità tutto ciò che questo rapporto comporta, e primo fra tutti il problema della verità da dire ai figli. Ma decidere di dire a un figlio "non vengo a casa perché sono in carcere" è una scelta pesante, e una donna per farla deve essere aiutata. E una scelta ancor più difficile da fare è, per le madri detenute, quella di tenere con sé i figli o lasciarli a casa.

 

Madri e figli dentro

 

Nella Raccomandazione n° 1469 del 2000, l’Assemblea parlamentare del Comitato per gli Affari Sociali, la Salute e la Famiglia, del Consiglio d’Europa, riguardante "Madri e bambini in carcere" ricorda che nonostante l’invito, fatto nella precedente Raccomandazione del 1995 sulle condizioni di detenzione negli Stati membri, ad un ricorso più limitato a sentenze di incarcerazioni, il numero di donne condannate alla pena detentiva sta aumentando in molti paesi e che la stragrande maggioranza di donne detenute sono accusate, o condannate, per reati relativamente minori e non rappresentano un pericolo per la comunità.

Non si è a conoscenza, continua la Raccomandazione, del numero di bambini e di ragazzi separati dalle loro madri detenute. Ci sono circa 100.000 donne in carcere nei paesi europei, e la "Howard League for Penal Reform", associazione britannica non governativa, ha stimato che ciò significa che circa 10.000 bambini sotto i 2 anni vivono questa condizione. Considerati i provati effetti nocivi che la detenzione delle madri causa ai figli, l’Assemblea parlamentare raccomanda agli Stati membri "di sviluppare ed usare pene alternative al carcere per le donne con figli piccoli, di riconoscere che la detenzione di donne incinte o con figli piccoli dovrebbe essere usata soltanto come ultima risorsa per coloro le quali sono accusate di gravi reati e che rappresentano un pericolo per la comunità, di sviluppare delle linee-guida per i giudici affinché si attengano a tale invito".

L’Assemblea riporta un dato molto importante: circa il 70% delle donne in carcere in attesa di giudizio, non vengono successivamente condannate alla pena detentiva. La gran parte delle detenute sconta, inoltre, un periodo di detenzione inferiore ai 6 mesi. Ciò indica che la maggior parte delle donne potrebbe usufruire delle misure alternative, invece di andare in carcere. Il principio dovrebbe essere quindi quello di riconoscere che la custodia penale per le madri e per i figli dovrebbe essere nella maggior parte dei casi evitata e che il benessere della famiglia e dei bambini trarrebbe beneficio da tale riforma mentre, nello stesso tempo, sarebbero soddisfatti i bisogni della comunità. Infine la sicurezza pubblica, sostiene l’Assemblea, non verrebbe messa in pericolo in alcun modo.

Sono molti, come è facilmente intuibile, gli effetti patologici che l’ambiente del carcere provoca sui bambini: questi sono infatti soggetti a un’irrequietezza, che può essere anche molto pronunciata, a crisi di pianto frequenti e immotivate; hanno molto spesso problemi ad addormentarsi e a dormire in quanto subiscono risvegli bruschi durante il sonno; inappetenza e significative variazioni di peso, sia in eccesso che in difetto, sono frequenti; è ovviamente difficile valutare l’entità del danno emozionale e relazionale.

Il rapporto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del giugno 2000, fa notare che un lungo studio sulle condizioni dei bambini in carcere ha rilevato un graduale peggioramento del loro sviluppo motorio e cognitivo. È stato dimostrato che ciò accade perché l’ambiente del carcere limita l’esercizio e l’esplorazione: una volta che i bambini imparano a stare in piedi, ad andare a quattro zampe e a camminare, hanno poche possibilità di esplorare, trascorrendo al contrario molto tempo sui seggioloni. Le detenute di San Vittore raccontano che una di loro si è convinta a mandare a passeggio il proprio figlio con una operatrice volontaria, dopo essersi resa conto che a 2 anni e mezzo il bambino non era ancora capace di camminare sull’erba.

 

Madri dentro e figli fuori

 

Sono oltre quarantamila, grandi e piccoli, i figli che hanno un genitore dietro le sbarre. Dati che, comparati a quelli riguardanti i bambini dentro, evidenziano il grande numero di figli con la madre in carcere, che non risentono quindi degli effetti nocivi della detenzione sul proprio sviluppo psicofisico, ma che subiscono la privazione della figura materna.

Mentre le donne con i figli in carcere soffrono per la costrizione e i traumi che i propri bambini subiscono senza aver commesso alcun reato, le madri con i figli fuori si tormentano per la terribile sensazione di averli abbandonati: "Le detenute - spiega Donatella Zoia, medico dell’Unità operativa per le tossicodipendenze del carcere di San Vittore a Milano - soffrono più degli uomini per la lontananza, soprattutto le straniere, che spesso hanno lasciato i figli nel proprio paese di origine e che non hanno quindi quasi più nessun contatto con loro, se non al telefono...". Telefonate anch’esse limitate, senza tempo e modo di colmare il vuoto. Una detenuta scrive su "Ristretti Orizzonti": "...mio figlio mi dice al telefono "Devo scrivere un tema sul tipo di lavoro della mia mamma", io penso che sono carcerata, ma non glielo dico, e dico invece "Scrivi che lavoro in una fabbrica"... poi la bambina più grande scoppia in un pianto che non avevo mai sentito, non parlava più, piangeva solo... comincio a tremare, sudare, ho perso la voce, ma ripeto forte il suo nome "Dai, non preoccuparti, scrivimi, dimmi cos’hai"... poi sento l’agente che dice "Saluta, il tempo è scaduto!", abbasso il telefono e rimango lì a fissarlo...".

Secondo gli operatori, la detenuta soffre del suo essere mancante per coloro che lascia fuori: al senso di colpa per aver "abbandonato" i propri figli, si aggiunge la concreta preoccupazione per ciò che ne è di loro o degli altri suoi cari, senza la propria presenza; preoccupazione che i detenuti sentono in maniera minore, sapendo il più delle volte che i figli sono accuditi dalla propria compagna o moglie, o madre. Donatella Zoia, parlando di come il carcere sia separazione violenta dalla propria realtà sociale, precisa: "...le donne ne sono colpite più violentemente degli uomini perché, nella società, sono solitamente loro, le donne, a portare il maggior peso di responsabilità affettiva: quando una donna entra in carcere ci sono sempre, fuori, i figli, una madre, un padre e, a volte, anche un marito che contavano su di lei, che hanno bisogno di lei e che restano "abbandonati" e senza sostegni. E così la donna detenuta, oltre al peso della carcerazione, vive lo star male della colpa. Si sente colpevole per averli lasciati soli, si sente responsabile per non poter far nulla per loro e somatizza il suo malessere".

Su tutti questi problemi la legge Finocchiaro ha voluto intervenire, ma se da un lato ha agevolato il mantenimento del legame familiare fra madri e figli con la concessione della detenzione domiciliare in sostituzione del netto distacco che subiva il bambino al terzo anno di età, dall’altro non ha affrontato (o l’ha affrontato solo superficialmente) il problema della salute mentale e fisica dei bambini in carcere. È tutelato il diritto del bambino a crescere con la propria madre, prima dentro e poi fuori dal carcere, ma non è tutelato il diritto di crescere in un ambiente di vita adeguato, ricco di stimoli e opportunità al pari di quello dei coetanei non reclusi.

 

Lo sviluppo del bambino

 

Non si conoscono approfonditamente le conseguenze sullo sviluppo dei bambini che hanno passato la prima parte della loro vita in carcere, così come non si conoscono quelle dei bambini e degli adolescenti che sono stati separati dal proprio genitore detenuto o, nei casi più drammatici, da entrambi. Sono stati però fatti degli studi approfonditi che hanno portato a ritenere che la profonda sofferenza che accompagna i bambini che vivono questo tipo di esperienza presenta dei rischi da non sottovalutare. L’autrice Renè Spitz diceva che "bambini senza amore diventano adulti pieni di odio", sostenendo che per i bambini che hanno subito l’esperienza del carcere e la successiva separazione dalla madre nei primissimi anni di vita, esiste un rischio di devianza superiore alla "norma": "…l’unica strada che rimane loro aperta è la distruzione dell’ordine sociale di cui sono vittime". Come può un bambino uscire psicologicamente indenne dall’esperienza della detenzione sua e/o del/i proprio/i genitore/i?

Com’è possibile che la separazione forzata dalle proprie figure di riferimento, a volte resa ancora più drammatica dall’aver assistito all’arresto, non crei delle ferite profonde difficili da rimarginare?

La detenzione comporta deprivazione affettiva, relazionale e sensoriale. La detenzione delimita gli spazi, li chiude, scandisce il tempo in modo rigido e innaturale. Il bambino subisce la rarefazione dei contatti, l’isolamento e al tempo stesso la socializzazione (forzata) con le altre detenute (non sempre la madre dispone di una cella singola). Il bambino, come abbiamo già sottolineato, è privato del rapporto con i coetanei e con le altre figure parentali, soprattutto con la figura paterna; la madre risulta essere l’unico punto di riferimento. Poi arriva (ma ora non dovrebbe arrivare più) la separazione: brusca, inspiegabile, vissuta molto spesso da parte del bambino – incapace di elaborare il cambiamento e attribuire un senso alla nuova situazione – come abbandono, rifiuto della madre che, di colpo, non è più con lui. Tutto ciò non può non compromettere uno sviluppo equilibrato e sereno del bambino. L’abuso compiuto nel silenzio e nell’invisibilità del carcere, comporta problematiche di tipo relazionale e psicologico; molti bambini accusano sintomi psicopatologici come ansia e depressione. Non bisognerebbe mai dimenticare che non solo le violenze fisiche possono lasciare ferite profonde.

 

Complicanze mediche

 

Sandro Libianchi, medico penitenziario nella Casa di Reclusione di Rebibbia (Roma), ha evidenziato le possibili cause di danno da carcere per i bambini:

 

Fattori contestuali

 

ambiente coercitivo, stressante

assenza di una figura di riferimento maschile

microsocietà solo femminile

distanza dalla famiglia

perquisizioni

 

Fattori sanitari

 

ambiente patogeno (TBC, epatite virale, etc.)

alimentazione differente

personale non preparato specificamente

 

Fattori generali

 

possibilità di differenti usi religiosi

assenza di standard di riferimento

accreditamento aziendale

disomogenea distribuzione geografica

 

L’ambiente si presenta, quindi, per lo più monotono (specie per coloro che non possono recarsi all’esterno per frequentare l’asilo nido) e con notevoli carenze nelle stimolazioni, e l’assenza di modelli familiari di riferimento e soprattutto della figura paterna appaiono come motivo principale delle problematiche affettivo - relazionali che ne conseguono per i bambini.

Tutti questi fattori sono cause di danno da carcere per i bambini che sono costretti a vivere in un ambiente che non è stato creato per loro, che non è stato adattato per loro e che è fonte di continuo disagio fisico e morale. A creare questo disagio sono le malattie di cui sono spesso affetti i bambini a causa dell’ambiente spesso malsano ma anche e soprattutto dell’ambiente poco "umano" che è il carcere: i bambini, specie i più piccoli, hanno bisogno di crescere e svilupparsi in un luogo rassicurante e tranquillo, ma tutto ciò che offre il carcere non ha nulla a che fare con la sicurezza e la tranquillità e purtroppo nemmeno gli sforzi delle madri che cercano di dar loro una esistenza il meno penosa possibile, risolvono il problema.

Un problema che merita di essere evidenziato è quello che i bambini in visita dall’esterno ai genitori detenuti vengano molto spesso sottoposti a poco qualificanti perquisizioni personali alla ricerca di armi o droga. Tale pratica non risolve il problema della eventuale presenza di armi o siringhe, né quello della presenza di droga e non considera i risvolti umani della sua applicazione.

Rari e controversi, se non addirittura discutibili, appaiono gli studi che hanno indagato sull’effetto della carcerazione sui figli di madri detenute al momento del parto o che hanno comunque subito una carcerazione. Il periodo pre e post-partum è caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per quelle che vivono in carcere i normali stress vengono ad essere moltiplicati, amplificando il vissuto di inadeguatezza ed impotenza. Il retroterra sociale di deprivazione, i contatti familiari inconsistenti, l’isolamento, una instabile salute fisica e/o mentale e la coscienza che il bambino potrà essere affidato ad un ente assistenziale, sono soltanto alcuni dei problemi che subiscono queste donne, testimoniando un bisogno di tutela maggiore rispetto alle libere. Altri studi arrivano a conclusioni palesemente contraddittorie che pur affermando un generico miglior esito dei parti tra le detenute rispetto alla popolazione libera, riportano una maggiore probabilità di parto prematuro e di rottura anticipata delle membrane.

Altri studi ancora affermano che bambini nati da donne che hanno trascorso la loro gravidanza in carcere risultano in migliori condizioni di salute e con un peso alla nascita maggiore rispetto a donne che sono state in carcere per periodi diversi dalla gravidanza. Tutto questo sarebbe dovuto ad una maggiore cura prenatale, una migliore alimentazione ed all’impossibilità di usare droghe e/o alcol. Il paradosso, riportato da qualcuno, che in carcere le donne riceverebbero migliori cure rispetto a quando erano libere, testimonia l’esigenza di impegnarsi maggiormente nello studio delle effettive cause dei problemi della giustizia sociale.

Difficoltà della madre durante la gravidanza e il parto, difficoltà nello sviluppo in carcere del bambino, difficoltà nelle relazioni fra madri e figli e fra madri-figli e l’ambiente esterno alla cella: sono tutti fattori, questi, che turbano e ostacolano la crescita fisica e mentale del bambino.

 

Gli asili nido

 

Il primo asilo nido all’interno di un istituto penitenziario italiano è stato quello di Regina Coeli, aperto nel 1927 e seguito, a tre anni di distanza, da quello del carcere di Napoli. Tali strutture sono state istituite allo scopo di garantire il benessere morale e materiale dei figli delle detenute, specialmente per farsi carico del problema da un punto di vista igienico-sanitario. Questo però non ha mai significato, e non lo significa a tutt’oggi, che l’amministrazione penitenziaria possa e debba farsi carico del ruolo di educatore. Il problema centrale, infatti, resta il fatto che la qualità della relazione madre-bambino all’interno di un istituto penitenziario è del tutto discutibile; all’interno di questo ambiente la madre è necessariamente un soggetto passivo nella crescita del proprio bambino: non le è consentito operare delle scelte, neanche le più semplici, come quelle relative ai vestiti, ai giocattoli, al cibo, per non parlare delle passeggiate, degli sport e di tutte le attività legate agli spazi aperti ed alla presenza di altre persone diverse dagli agenti di polizia penitenziaria, compagne di cella, educatori, psicologi, assistenti sociali ed operatori volontari.

L’Amministrazione penitenziaria, da sempre consapevole che la condizione delle madri detenute richieda una particolare attenzione, sin dall’anno 1976, al fine di dare attuazione alla normativa prevista nella legge 354/1975 (art. 11) e nel regolamento di esecuzione (art. 19), ha autorizzato l’istituzione di asili nido presso gli istituti penitenziari destinati esclusivamente alle donne; ha altresì autorizzato l’organizzazione di asili nido anche presso le sezioni femminili presenti negli istituti penitenziari destinati prevalentemente agli uomini, su richiesta delle direzioni interessate.

Il fatto che l’Amministrazione penitenziaria abbia dato tali autorizzazioni, non significa però che gli asili nido siano stati effettivamente realizzati e siano regolarmente funzionanti: solo 18 carceri in tutto il territorio nazionale, infatti, sono dotate di un asilo nido e 3 di questi non sono funzionanti, come si vede nella tabella seguente:

 

Situazione degli asili nido e delle detenute madri con figli di età inferiore a tre anni

Serie storica anni 1993-2001

Anno

Asili nido funzionanti

Asili nido non funzionanti

Asili nido in allestimento

Detenute madri

Figli

Detenute in stato di gravidanza

30.06.93

18

7

3

59

61

n°r.

31.12.93

18

6

4

55

57

n°r.

30.06.94

13

9

4

62

62

n°r.

31.12.94

18

5

3

32

35

n°r.

30.06.95

16

7

2

46

47

n°r.

31.12.95

16

5

1

31

31

n°r.

30.06.96

16

6

1

42

45

n°r.

31.12.96

16

6

0

44

46

n°r.

30.06.97

17

6

2

47

49

n°r.

31.12.97

17

3

2

51

52

8

30.06.98

15

3

1

44

49

7

31.12.98

14

4

0

41

42

4

30.06.99

17

4

0

66

70

21

31.12.99

14

1

0

58

60

13

30.06.00

13

0

0

56

58

15

31.12.00

15

0

2

70

78

33

30.06.01

17

2

2

79

83

21

31.12.01

18

3

1

61

63

15

 

Fonte: www.giustizia.it, dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

 

A parte la evidente scarsità di strutture di questo tipo, anche la loro distribuzione appare oltre che inadeguata anche disomogenea: ben sette regioni italiane ne risultano attualmente sprovviste: Emilia-Romagna, Friuli, Trentino, Val d’Aosta, Marche, Molise, Basilicata.

 

Situazione degli asili nido e delle detenute madri o in stato di gravidanza o con figli di età inferiore ai tre anni al 31 dicembre 2001 - Riepilogo nazionale

 

Regione

Asili nido funzionanti

Asili nido non funzionanti

Asili nido in allestimento

Detenute madri

Figli

Detenute in stato di gravidanza

Abruzzo

1

0

0

0

0

0

Basilicata

0

0

0

0

0

0

Calabria

1

0

0

0

0

0

Campania

1

0

0

5

6

0

Emilia r.

0

0

0

0

0

0

Friuli

0

0

0

0

0

0

Lazio

2

0

0

12

12

6

Liguria

1

0

0

0

0

0

Lombardia

2

1

0

10

10

2

Marche

0

0

0

0

0

0

Molise

0

0

0

1

2

0

Piemonte

2

1

1

6

6

2

Puglia

2

1

0

8

8

0

Sardegna

1

0

0

2

2

0

Sicilia

1

0

0

1

1

0

Toscana

2

0

0

5

5

1

Trentino

0

0

0

0

0

0

Umbria

1

0

0

3

3

2

Valle d’Aosta

0

0

0

0

0

0

Veneto

1

0

0

8

8

2

 

 

 

 

 

 

 

Totale nazionale

18

3

1

61

63

15

 

Fonte: www.giustizia.it, dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria

 

La scarsa importanza che viene data al problema della salute psicofisica dei bambini in carcere, ammesso che questo sia più importante della stessa presenza in una situazione di reale detenzione, viene testimoniata anche dal fatto che l’incremento che hanno avuto nel corso degli anni queste strutture è stato praticamente nullo, anzi si è assistito ad una progressiva riduzione del loro numero.

Per quanto riguarda poi l’asilo nido esterno al carcere, esso resta una delle poche opportunità per i bambini di avere rapporti con l’esterno; la frequenza di una di queste strutture permette al bambino di uscire comunque dal carcere, di rassicurarsi rispetto ai primi timori di separazione dalla figura materna, di giocare, di interagire con altri bambini che non vivono la sua realtà, con una paura minore nei riguardi di ciò che è nuovo, non si conosce. Restando continuamente rinchiuso, il bambino rinforza i rapporti simbiotici con la madre, si riducono le sollecitazioni e gli stimoli che nel tempo divengono più poveri e scarsi di contenuti, di novità e di imprevedibilità.

Anche il parere degli operatori che lavorano negli istituti penitenziari, è favorevole alla frequentazione di asili esterni al carcere: gli operatori intervistati da Biondi nella sua ricerca sullo sviluppo del bambino in carcere, hanno manifestato preferenza per l’asilo nido esterno per una non idoneità delle strutture interne, per favorire la socializzazione e perché spesso è ciò che richiede per il proprio figlio la madre. In effetti la frequenza di un asilo nido esterno sembrerebbe molto utile per lo sviluppo psico-fisico dei bambini in carcere con la madre, consentendo al bambino di avere, per parte della giornata, un rapporto con altri bambini (rapporto che ha una sua continuità nel tempo), e, soprattutto, offrendo al bambino la possibilità di restare fuori dall’ambiente carcerario.

Un’iniziativa che merita di essere segnalata in Italia e che contribuisce a favorire lo sviluppo del bambino che vive in carcere con la madre detenuta, è quella posta in essere dall’Associazione "Telefono Azzurro" e denominata "Infanzia in Carcere"; questo progetto è stato studiato appositamente per tentare di diminuire il livello di stress cui i bambini sono sottoposti all’interno del carcere e prevede due principali iniziative: un asilo nido all’interno del penitenziario, adattato per offrire al bambino positive esperienze relazionali anche grazie alla presenza di personale volontario il quale attraverso il gioco, ne sollecita l’attenzione in modo positivo ed attivo. Questa iniziativa tende anche a facilitare alle madri la creazione e/o il mantenimento di una situazione spazio-temporale personale. La seconda parte del progetto prevede la creazione di una ludoteca allestita in modo da rappresentare un positivo accoglimento temporale dell’attesa dei bambini per il colloquio con i genitori; il gioco rappresenta qui uno strumento di comunicazione tra bambini e adulti. Nel 1998 questo progetto è stato attivato in via sperimentale con la collaborazione della Direzione del carcere di Monza.

Un’altra iniziativa altamente qualificante e realizzata dal volontariato a Roma presso il Carcere Femminile di Rebibbia, è quella attuata dall’Associazione "A Roma Insieme" i cui associati una o due volte a settimana, di norma il sabato e la domenica, portano in uscita esterna i figli delle detenute ricoverati presso il nido penitenziario interno.

Sporadiche iniziative simili sono segnalate anche presso le quattro sezioni femminili degli istituti per minori di Roma, Nisida (NA), Milano e Torino dove accanto al ginecologo opera anche il pediatra. Proprio a Milano operano i volontari di "Telefono Azzurro", grazie ai quali i minori costretti alla reclusione possono uscire regolarmente dalle celle dove vivono e conoscere il mondo esterno, nella maggioranza dei casi completamente sconosciuto o dimenticato.

 

Analisi della situazione all’estero

 

Sandro Libianchi, medico penitenziario nella Casa di Reclusione di Rebibbia (Roma), in una ricerca sulla situazione di madri e figli in carcere - pubblicata in via informatica sul sito del Centro Studi di documentazione Due Palazzi, www.ristretti.it, - si è occupato di confrontare la situazione italiana con quella di altri paesi. Rispetto al problema della presenza dei bambini in carcere perché la madre è detenuta e non sono altrimenti affidabili, esiste una notevole variabilità di situazioni nei diversi paesi d’Europa e d’America.

 

Stati Uniti d’America

 

Negli Stati Uniti d’America innanzitutto, si osserva una sostanziale concordanza tra i dati federali dell’U.S. Department of Justice, Office of Justice Programs e quelli riportati dalle numerosissime associazioni per i diritti del cittadino detenuto presenti sul territorio e nelle carceri americane (Legal Services for Prisoners with Children, Families with a Future, California Caolition for women Prisoners, Families Against Mandatory Minimums, National Women’s Law Center, Mothers in Prison Children in Crisis. Annual Campaign, Childrens of Prisonners Support Group, Prison Congregation of America, Women in Prison, ecc.).

Circa il 75% di tutte le donne in carcere hanno dei figli e 2/3 di queste hanno dei figli minori di 18 anni; un milione e mezzo sono i bambini figli di un genitore detenuto. In totale nel circuito penitenziario americano, all’epoca della rilevazione (1994) vennero calcolati 25.714 donne madri detenute con circa 56.000 figli minorenni; nell’ambito degli uomini detenuti tali percentuali appaiono leggermente meno elevate. Fonti non governative riportano che i figli di donne in carcere sarebbero circa 167.000.

Nell’ambito della popolazione detenuta, le donne sono quelle che più probabilmente hanno dei contatti con i figli rispetto a valori leggermente più bassi tra gli uomini (80%).

Il 46% delle donne detenute con figli minorenni ha contatti telefonici con loro almeno una volta a settimana o per lettera ed il 9% viene visitato dai figli in carcere. Il 65% delle donne detenute ha usato droghe regolarmente nell’ultimo mese prima della carcerazione; il 6% delle donne che entrano in carcere è in stato di gravidanza con una percentuale molto simile se ripartita tra le diverse razze (nera: 6,7%; ispanica 5,9%; bianca: 5,2%).

La stragrande maggioranza degli stati USA non fa menzione specifica nel proprio ordinamento penitenziario del problema di dover fornire assistenza alle detenute madri o di dare una collocazione sicura al bambino al momento della loro carcerazione. Soltanto qualche raro carcere è attrezzato per ospitare detenute donne con bambini e, ancora molto scarsi, sono i programmi federali intesi ad affrontare il tema.

In qualche carcere femminile sono attivi programmi trattamentali che prevedono la presenza dei figli per la durata della notte; altri presentano aree attrezzate per bambini ed altre ancora hanno programmi gestiti da volontari che trasportano i bambini dall’alloggio al carcere per visitare le madri. Sebbene nelle carceri maschili esistano programmi di incontri familiari ("trailer programs" e "conjugal visiting") agli amministratori penitenziari appare altamente improbabile creare situazione di pernottamento di bambini all’interno di carceri maschili.

I dati ufficiali statunitensi non riportano la presenza in carcere di bambini a nessun età. Per meglio comprendere l’effettiva situazione a questi dati è utile aggiungere alcune notizie storiche.

Dal 1950 tredici stati si sono dotati di una legislazione che permette alle madri di convivere con i propri figli all’interno delle carceri; il più delle volte attraverso autorizzazioni che permettono solo il "nursing" dei bambini alle donne le quali devono essere giudicate fisicamente in buona salute per farlo. Questi provvedimenti sono stati adottati nell’intento di tutelare le relazioni tra madre e figlio.

Dal 1960 al 1970 gli stati iniziarono ad abrogare questa legislazione perché si iniziò ad attribuire importanza ai rischi per la sicurezza, difficoltà per la gestione dei problemi connessi, rischi di responsabilità civile per eventuali danni a terzi, effetti negativi della prigionia sul normale sviluppo del bambino, problemi correlati all’eventuale separazione tra madre e figlio dopo che sono stati abituati ad avere una relazione prolungata in carcere ecc.

Qualche stato americano è ora in procinto di riprendere questo tema e sedici su cinquanta di questi hanno adottato modifiche agli ordinamenti penitenziari che riguardano le donne detenute in stato di gravidanza o donne con figli in tenera età. Molti di questi provvedimenti sono rivolti soltanto verso il problema di dare un’assistenza pre e post partum alle detenute (Indiana) o nello stabilire procedure che permettono una temporanea sospensione della pena per dare alla luce il bambino presso ospedali locali (Idaho, Maryland, Massachusetts, Minnesota, Pennsylvania) od ancora particolari condizioni custodiali dopo la nascita del bambino (Florida, Maine, Maryland, North Carolina, West Virginia). Un solo stato, il Montana, ha espresso norme per determinare l’interruzione dei diritti parentali in caso di detenzione.

Gli stati che hanno la pena di morte nel loro ordinamento, generalmente, prevedono uno spostamento nell’esecuzione capitale se la donna è in stato di gravidanza. Soltanto cinque stati su cinquanta parlano espressamente del problema che si viene a creare con la nascita di un bambino se la donna è incarcerata o se la donna ha dei figli in giovane età. Tre stati (California, New Jersey, New York) hanno norme specifiche circa la presenza di bambini al di sotto dei due anni di età; questi possono restare con la madre in carcere se nascono durante la carcerazione stessa.

Lo stato di New York ha una struttura specifica che è stata allestita per ospitare 75 donne e relativi bambini contemporaneamente (700 l’anno) denominata "Children’s Center Bedford Hills Correctional Facility (Houses)" dove trovano alloggio detenute con figli fino ad un anno di età o fino a 18 mesi se vi è certezza che possano uscire insieme dalla struttura. Il programma prevede una permanenza da uno a cinque giorni insieme ogni settimana ed attenzioni particolari alle donne con eventuali problematiche di salute mentale, programmi con bilinguismo, attività culturali specifiche anche attraverso l’opera di un coordinatore detenuto ed un coordinatore volontario esterno.

In Connecticut viene permesso alla madre di accudire al figlio in carcere soltanto nei primi sessanta giorni dopo la sua nascita.

In Illinois è permesso alla madre di tenere con sé il figlio fino ad un anno di età se il Department of Corrections decide che vi siano delle ragioni speciali per farlo.

Esiste un programma denominato "Girls Scouts Beyond Bars" che consente la collaborazione tra una organizzazione per i servizi all’infanzia, lo stato proponente ed il dipartimento penitenziario locale. Attualmente tale programma viene implementato nel Maryland, Florida e Ohio. In Maryland dal 1992 questo programma è attivo presso il Maryland Correctional Institution for Women dove circa trenta bambini visitano la madre per due domeniche al mese e nelle restanti partecipano alle funzioni religiose presso la chiesa locale. In Florida è iniziato dal 1994 presso la Jefferson Correctional Institution di Tallahassee e a Fort Lauderdale; in tali sedi il programma prevede corsi di istruzione genitoriale, l’attivazione di servizi di transizione ed accompagnamento per le madri e di monitoraggio della resa scolastica dei bambini anche in collaborazione con i locali servizi di salute mentale. L’Ohio è stato il primo stato ad applicare questo programma, come connessione tra la carcerazione ed il rientro a casa, ed è stato iniziato presso il centro di prescarcerazione "Franklin" a Columbus e presso l’Ohio Reformatory for Women° In Arizona a Maricopy County presso Phoenix, si è registrata la prima partnership allargata ad altre associazioni (Jail-Girl Scout-Parents Anonimous-BigSister/BigBrothers).

In Tennessee presso il carcere femminile a bassa sicurezza, ogni settimana la direzione promuove il "Weekend Visitation Program" che permette al bambino di età inferiore ai sei anni di trascorrere un fine settimana con la madre detenuta. Ogni madre può vedere un figlio per volta ma un totale di dieci bambini può essere ospitato all’interno dell’edificio principale; possono frequentare la palestra, determinate aree e mangiare al bar.

In California - dove il fenomeno è rilevante - nel corso del 1998 sono state presenti 340 donne con bambini e di fronte ad una realtà di così grande rilievo, il California Department of Corrections Family Foundations Programme ha posto le basi per la creazione di una struttura intermedia per donne detenute con bambini nati durante la carcerazione; l’ammissione a questo programma avviene dopo il parto ed in stato simile alla semilibertà. Resta, però, inaccettabile e contrario ad ogni diritto umano minimo, che queste donne spesso debbano partorire con misure di sicurezza personali in atto (ammanettate).

 

Bolivia

 

In Bolivia si assiste ad un caso assolutamente unico al mondo: 2.143 bambini il cui unico crimine è quello di essere nati, vivono in 17 diversi carceri in quanto entrambi i genitori sono detenuti e non esistono alternative assistenziali. La situazione è ancora più grave se si considera che queste carceri hanno una capacità di circa 1.800 persone ed invece ne contengono 5.173 delle quali 4.351 uomini e 822 donne (Febbraio 1998); la stragrande maggioranza di queste persone (3.104) sono detenute per fatti inerenti al traffico di droga. Nel solo carcere di Palmasola a Santa Cruz che è anche il più grande del paese, c’è una situazione senza precedenti in quanto sono presenti più bambini che detenuti (1.200) che vivono con i loro genitori che in totale sono circa 500. Due recenti casi che hanno coinvolto bambini in carcere, hanno costretto il governo boliviano ad avviare misure eccezionali stanziando un milione di dollari per il programma "Do not imprison my childhood").

 

Canada

 

La tendenza dei programmi educazionali canadesi è di ricongiungere il nucleo madre-figlio, ma possibilmente fuori dal carcere; nel contempo sono stati avviati programmi per bambini che possono restare con le madri detenute nel penitenziario, ma la condizione necessaria per cui ciò avvenga è che queste "dimostrino un loro effettivo ed alto interessamento". In tali casi alcune strutture penitenziarie hanno allestito dei reparti dove i familiari possono fare delle visite di una giornata o comunque tali da incoraggiare la relazione madre-figlio. A fronte di ciò molte altre strutture non permettono neanche le normali visite dei parenti.

 

Svezia

 

In Svezia, l’ordinamento penitenziario non prevede la presenza di bambini all’interno delle carceri e non vengono peraltro previste neanche particolari norme per donne detenute. Questo testo normativo - scarno e generico - rimanda l’intera politica di gestione delle carceri alle Regional Prison and Probation Agency che applicano del tutto autonomamente le indicazioni dello Swedish Prison and Probation Board.

 

Regno Unito

 

Nel Regno Unito circa il 60% delle donne detenute ha figli minori e spesso sono donne non coniugate; circa 4000 sono i bambini che vivono questa situazione. Il 3% delle donne detenute ha presso di sé il bambino, che però durante il giorno viene affidato all’esterno. L’85% di questi bambini subisce questo trauma di separazione per la prima volta nella vita in questa occasione, ed i fratelli vengono spesso separati creando particolari situazioni depressive con presenza di problemi fisici, come difficoltà all’addormentamento (nel 25% delle situazioni esaminate), ed il 60% del totale vede la madre anche una sola volta al mese. La metà dei bambini affidati e sotto un anno di età cambia da 2 a 4 differenti case.

 

 

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