In permesso a Roma

 

Tutti a Roma!

 

Da Padova e da Venezia (Giudecca femminile) sono arrivati a Roma, per la manifestazione di arte reclusa Oltre il muro del sogno, una marea di detenuti in permesso premio

 

A Roma sono arrivati alcuni redattori e redattrici di Ristretti Orizzonti, e poi quelli del gruppo Rassegna stampa e del TG Due Palazzi, l’Extra & Communitarian Orchestra (gruppo musicale della Casa di Reclusione di Padova), la compagnia del Tam Teatrocarcere (che ha anche vinto il primo premio con lo spettacolo Fratellini di legno). Un successo portare tanti detenuti a Roma, e noi qui vogliamo proprio sottolineare l’importanza di organizzare, in carcere, iniziative che "escano" il più possibile e che permettano di far fare qualche passo avanti al difficile rapporto tra il "dentro" e il "fuori".

Di Roma vogliamo ricordare anche le "fotografie" che hanno fatto Anais e Marianne: i permessi premio, in fondo, sono fatti di queste piccole sensazioni, una telefonata in più, le corse per arrivare in tempo, nel traffico di Roma, al commissariato dove hai l’obbligo di firma, il sole delle panchine di Villa Borghese, invece della solita ora d’aria della Giudecca.

 

Gentile Magistrato di Sorveglianza,

il prossimo permesso lo vorremmo trascorrere… nella più vicina cabina telefonica!

 

Roma, luglio, Giubileo del detenuto, e poi anche Oltre il muro del sogno, Manifestazione di arte reclusa: è lì che due detenute della Giudecca, cioè Marianne e io, siamo andate in permesso, per assistere a un mare di iniziative che avevano a che fare con il carcere: mostre dei lavori artigianali e artistici fatti da detenuti, gruppi musicali, spettacoli teatrali, e noi che eravamo lì in rappresentanza del giornale Ristretti Orizzonti.

Quando un detenuto, e per giunta straniero, dopo tanto tempo usufruisce di un permesso premio, la prima cosa a cui pensa una volta fuori è di telefonare con calma ai propri cari, visto che in carcere abbiamo solo 6 minuti per parlare con casa, che alla fine sembrano un minuto, perché quando si telefona all’estero gli scatti sono più veloci e hai appena il tempo per dire pochissime parole.

Beh, non pensate che, andando in permesso, la faccenda possa migliorare.

Così, il nostro ricordo delle bellezze di Roma è fatto soprattutto di … cabine telefoniche! Eh sì, perché ogni cinque minuti ci fermavamo per telefonare, e qualcuno sicuramente si chiederà: quante volte telefonavano in un giorno? Ma la cosa non è così semplice, il vero problema era riuscire a prendere la linea, che era sempre satura. Io dovevo telefonare in Venezuela, e a un certo punto mi è venuta la voglia di spaccare quei telefoni perché non ce la facevo a chiamare.

Alla fine, siamo arrivate a un "accordo" con i volontari che ci accompagnavano: cercare sempre un telefono vicino a un bar, così mentre noi facevamo la tanto desiderata telefonata, loro si rinfrescavano o leggevano i giornali all’ombra. Il terzo giorno ho deciso di fare l’ultimo tentativo disperato e sono stata (e non sto esagerando) per tre ore attaccata a una cabina e lì finalmente ci sono riuscita, e allora ho detto a Ornella: "Adesso che ce l’ho fatta, da qui non mi muovo più". C’erano Marianne e Nabil che ogni tanto mi portavano una coca cola e delle noccioline per sostenermi, volevano addirittura portarmi una sedia per farmi stare più comoda.

E’ stato, quindi, un "permesso telefonico", con momenti di disperazione nei quali ci siamo dette (Marianne e io): "Ci toccherà tornare alla Giudecca senza poter parlare con i nostri familiari", perché ci vergognavamo di "rompere" tanto i volontari: loro si sedevano a pranzare e noi eravamo al telefono, loro camminavano e ad un certo punto si fermavano perché non ci vedevano più, e noi naturalmente eravamo sempre al telefono e cosi via. Ma forse non è difficile capire che cosa significa, dopo anni di "digiuno telefonico", tornare a "fare il pieno" delle voci dei propri cari.

 

Anais

 

Fotografie di Roma: davvero una strana città, per un’olandese in permesso premio

 

Dell’Italia finora non ho visto nulla: la prima volta che sono arrivata alla frontiera, sono stata trasferita direttamente in carcere. Roma è tutta nuova, per me. Nella prima fotografia siamo nella casa di accoglienza dove dovremo dormire, a Roma naturalmente. Una città bellissima ma pericolosa, questo l’abbiamo capito fino in fondo appena dopo l’arrivo. Entriamo nella casa d’accoglienza, e subito pare che siano sparite le lenzuola, lavate di propria mano da chi ci deve ospitare. Forse rubate dal terrazzo, dove erano stese ad asciugare.

Per questo, durante la notte eravamo abbastanza nervose, sentivamo qualcuno aggirarsi qua e là per rapinare anche le federe coordinate.

Sprangavamo porte e finestre: avevamo paura di lavarci, nel caso che scorresse sangue dal rubinetto, o qualcosa di simile. Ma poi il furto si è rivelato una "temporanea sparizione" e l’accoglienza romana piacevolissima.

In questa fotografia invece siamo sedute al sole vicino alla Questura. E’ lì infatti che ci siamo presentate, e un ispettore, bello come un attore, ci ha accolte a braccia aperte. Tanto affascinante, ci dava da intendere che ci voleva vedere tutti i giorni, e così noi, tutti i giorni, abbiamo visitato il Commissariato di San Basilio, la "bellezza" di Roma che conosciamo meglio.

Qui siamo davanti al Vaticano. Dove ho capito che il Vaticano è un altro stato, ma non ci sono da comprare articoli esenti da imposte: i prezzi delle bancarelle sono spesso al tremila per cento più alti che altrove nella città. Intanto, inizia la nostra ricerca di una cabina telefonica, ma in questa area non ne troviamo nessuna.

E qui, già abbastanza abbronzate, stiamo al mercato di Porta Portese: è un altro paio di maniche! Prezzi da ridere! Un’esperienza squisita, che ci fa dimenticare di telefonare.

Questa è l’ultima foto! Attenzione, siamo già in treno. Ultima considerazione: se i giorni in cella passassero veloci come quelli in permesso, la galera finirebbe davvero prestissimo!

 

Marianne

 

 

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