Omicidi in famiglia

 

Quando la vita famigliare diventa un inferno,

da cui non si riesce in nessun modo a scappare

 

Il cortile della Giudecca é grandissimo, ci sono cinque aiuole in mezzo e tre pozzi chiusi sparsi in tre spazi diversi, ci sono due alberi pieni di fichi e 4-5 panchine in ferro messe in cerchio, così che le donne possano sedersi all’ombra, quando fa molto caldo. Spesso sono donne anziane che stanno sedute, perché non resistono al sole.

Camminando con Branka, lo sguardo mi cade su una signora con i capelli bianchi come la neve, seduta su una di quelle panchine di ferro, con indosso un vestito a fiori. Il suo viso rotondo ci sorride ogni volta che passiamo davanti a lei. Dico alla mia amica Branka: "Poverina, guarda quella com’è anziana! Cosa avrà fatto secondo te? Sicuramente ha ucciso il postino perché non le ha portato la pensione in tempo" e scoppiamo a ridere, con quella crudeltà che a volte si usa, in carcere, per difendersi dalle cose che, altrimenti, farebbero solo star male. E’ una battuta, la nostra, che nasce dall’incredulità di vedere, qui dentro, una persona di quell’età: ma dai, come si fa a mettere una donna così in carcere? Secondo me, il giudice non l’ha neanche vista in faccia quando l’ha mandata in galera.

La curiosità é più forte di noi, e ci spinge allora a scoprire perché quella donna sia qui. Notiamo subito che lei ha voglia di sfogarsi: parla, parla, facendo gesti con le mani. Decidiamo allora di farle delle domande e di cercare di capire che cosa le è successo, che cosa l’ha portata in carcere.

Ci sediamo vicino a lei e cominciamo subito in modo quasi brutale.

Scusi, signora, ma quanti anni ha?

Settantacinque.

E ti hanno mandato in galera!

Per omicidio. Ho ucciso mio marito e mi hanno condannata a sei anni e quattro mesi. Sono dentro dal 23 marzo. In camera di Consiglio mi hanno detto che, avendo una condanna superiore a quattro anni, dovevo entrare in carcere, e più avanti potevo ottenere gli arresti domiciliari per potermi curare, perché sono malata di artrosi deformante. Dovevano già mandarmi in una clinica, invece sono ancora qui e senza alcuna cura.

La mia storia è cominciata così, tanto tempo fa: mio marito ed io ci fidanzammo quando lui aveva 23 anni ed io ne avevo 22. Quando poi ci sposammo non aveva una lira da parte, perciò ho sofferto la miseria in quantità, malattie, una vita dura. Con enormi sacrifici siamo riusciti ad acquistare il terreno per poter costruire la casa, ci siamo rimboccati le maniche e giù a mischiare ghiaia e cemento, ogni ora che mio marito era libero dal servizio, ogni lira che riuscivamo a far saltare fuori veniva impiegata lì. Io a un certo punto ricevetti un piccolo indennizzo per i beni abbandonati nell’Istria, a Pola, più un’elemosina che altro, che naturalmente investii lì. Ne sono usciti due appartamenti. La casa fu intestata a tutti e due, per cui eravamo proprietari entrambi.

Con tuo marito hai sempre avuto un buon rapporto?

Giravo tutto il mondo con lui, guai se andava da qualche parte da solo, eravamo sempre assieme.

Ma quando é cambiata la vostra vita?

Gli ultimi tre anni lui è cambiato da così a così, (lei ci mostra prima il dorso poi il palmo della mano e intanto diventa subito rossa, e comincia ad agitarsi). Nel 1992, circa, ha cominciato a farmi qualche stupida osservazione ed è andato avanti così per un pezzo, poi ha iniziato a usare modi violenti, in una parola voleva farmi andar via di casa a tutti i costi e così la casa si è messo a spaccarla, a manomettere il riscaldamento, a staccarmi luce e acqua.

Dopo che cosa è successo?

Lui ha cominciato a scappare di casa, andava via senza di me. Non ho mai capito il perché.

Ti tradiva?

Non lo so. Non ho mai indagato, ma avevo dei dubbi. Tutte le notti tornava a casa ubriaco.

Ti picchiava?

Mi chiamava puttana... e io gli dicevo di lasciarmi stare, e una volta l’ho graffiato sul viso e lui rideva. Poi mi ha preso per i capelli e tirava. Ma secondo me gli davano qualcosa. Era cambiato come il giorno e la notte: prima tante gentilezze, tante carezze, dopo è diventato per me tutto buio. Voleva vendere la casa, io gli chiedevo dove saremmo andati a vivere, lui non voleva rispondermi. Voleva dividere la casa con due porte, così non ci saremmo visti per niente. Siamo andati davanti al giudice, e il giudice ha stabilito che doveva passarmi 250 mila lire al mese. Mio marito non voleva darmi neppure quelli. Il giudice mi aveva detto che ero padrona di un appartamento. Quando siamo usciti dalla stanza del giudice, mio marito mi ha detto solo: "Spacco tutto". Ma già metà era spaccato. Aveva gli occhi da pazzo di rabbia, ma penso che era una rabbia fatta di meschinità, per la paura del giudizio dei suoi colleghi e amici.

E quando sei tornata a casa?

E’ incredibile cosa ho trovato. Tutti i vetri della parte interna erano rotti, mobili distrutti, tutto spaccato e rovinato.

Era violento sempre, negli ultimi tempi?

Sono andata tante volte a denunciarlo, ma non facevano niente, perché dicevano che lui era a casa sua e poi se ne andavano.

Dopo che aveva distrutto quello che trovava intorno, rimaneva in casa?

No, andava via e non tornava a dormire per qualche giorno.

Ma quando lo hai ucciso, lui dormiva?

Era a letto e mi minacciava; mi diceva: "Vedrai cosa ti faccio, puttana..." ...Allora ho preso un pezzo di legno, e con tanta rabbia glielo ho dato addosso, poi non si é più mosso. Allora sono uscita, ho preso dei sonniferi. Mi sono anche tagliata le vene, ma il sangue non usciva, si coagulava. Avevo tanta rabbia dentro. Sono tornata nella stanza dove giaceva lui. Ho anche tagliato la gomma di un tubo del gas, e mi sono distesa sul letto, accanto al corpo di mio marito.

Ma tu non volevi ammazzarlo?

Ero troppo arrabbiata dentro di me, in quel momento volevo proprio fargli del male. Poi mi sono svegliata, e ho ricordato un po’ cosa era accaduto. Ho chiamato la Polizia, e ho detto: "Credo di avere ucciso mio marito", e poi ho dato l’indirizzo. Quando sono arrivati, hanno visto quello che era successo, ma hanno visto anche la casa con tutto rotto e distrutto. Il Pubblico Ministero, fatto il sopralluogo, non riusciva a capire come mai, con la casa in quelle condizioni, io non avessi neppure un graffio.

Dove ti hanno portata?

Mi hanno portato all’ospedale psichiatrico, sono rimasta lì 3 mesi e mezzo. Dopo tutto quello che mi aveva fatto, ho pensato anche che era meglio se l’avessi ammazzato prima.

Da quanto durava questo comportamento violento?

Da quando usciva con certi amici. Penso che avesse anche qualche "amica" e che usasse qualche droga.

Quando ti sei svegliata, come ti sei sentita?

Avevo ancora rabbia dentro di me, ho pensato davvero che avrei dovuto farlo prima, da quando mi ha chiamato "puttana" per la prima volta.

Al processo hai detto così?

Non mi sono neppure presentata; il mio avvocato mi aveva detto che non serviva, tanto non sarei finita in carcere, perché avevo più di 70 anni.

Secondo te la condanna é troppo pesante?

Sì, per tutto quello che ho subito credo che mi abbiano condannato a troppi anni.

Cosa pensi di fare quando uscirai?

Vivere a casa mia con la mia pensione.

 

Guardiamo la signora. Con le sue mani ci vuole spiegare tutto, gli occhi sono pieni di lacrime, le vuole nascondere, ma non ci riesce, parla ancora con rabbia, perché non vuole perdonare. Abbassa la testa e dice: "Io cercavo di andare via di casa, perché già sentivo che con il mio carattere sarebbe successa una cosa così. Non avevo via di scampo". Mentre ci allontaniamo la guardiamo, le sue labbra si muovono ancora e dicono: "Non perdono più, non perdono più...".

Donne così anziane, pensiamo noi, e nessuna assistenza psicologica. Il carcere proprio non offre niente di simile. E finisce che siamo sempre noi detenute che facciamo anche questo, una specie di assistenza psicologica.

 

Questa testimonianza è stata raccolta da Svetlana e Branka

 

 

 

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