Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier luglio 2008

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di luglio registra 7 nuovi casi: 5 suicidi e 2 morti per malattia.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Elvisa Bescagic

32 anni

04 luglio 2008

Suicidio

Roma Rebibbia

Giuseppe Pistorino

47 anni

16 luglio 2008

Suicidio

San Gimignano (SI)

Giuseppe Mercuri

59 anni

19 luglio 2008

Suicidio

Lecce (domicil.)

Sophie Chaffurin

43 anni

19 luglio 2008

Suicidio

Lecce (domicil.)

Detenuto italiano

50 anni

21 luglio 2008

Malattia

Spoleto

Mustafà, francese

41 anni

22 luglio 2008

Malattia

Verona

Manuel Eliantonio

22 anni

25 luglio 2008

Da accertare

Genova

 

Suicidio: 04 luglio 2008, Carcere di Roma Rebibbia

 

Roma: si uccide detenuta slovena di 32 anni appena arrestata. Ha scelto di farla finita impiccandosi con un lenzuolo nel bagno della propria cella. Dopo il ritrovamento del cadavere sono intervenuti, oltre alla Polizia Penitenziaria, anche gli uomini della Polizia scientifica. Sull’episodio indaga il pubblico ministero della Procura di Roma, Stefano Pesci. La donna era stata arrestata due giorni fa dai Carabinieri di Roma con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti. Elvisa Bescagic, di Jesenice, in Slovenia, era stata bloccata insieme ad altre quattro persone con 15 chili di eroina in un’operazione antidroga dei carabinieri della compagnia Cassia. Era stata trasferita a Rebibbia subito dopo l’arresto. (Adnkronos, 5 luglio 2008)

 

Suicidio: 16 luglio 2008, Carcere di San Gimignano (SI)

 

San Gimignano (SI): ergastolano di 47 anni si impicca in cella. Si chiamava Giuseppe Pistorino ed era originario di Messina, il detenuto che ieri mattina è stato trovato impiccato nel carcere di San Gimignano. Il suicidio è avvenuto nella sua cella. Al momento sono ignote le cause che hanno spinto l’uomo a uccidersi. A scoprire il cadavere del detenuto è stato il personale di sorveglianza dell’istituto di pena. Pistorino fu arrestato dalla Dia di Milano e successivamente processato e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Letterio Sofio, anch’egli messinese, e del ferimento di Marco Vannuccini avvenuto nel marzo del 1992 a Milano. Certo è che in carcere, come denuncia Antigone, ci si ammazza diciotto volte di più che all’esterno e soltanto nei primi sei mesi del 2008 si contano già 23 suicidi - più altri 30 morti per cause diverse - a cui si aggiunge il suicidio avvenuto ieri nel carcere di San Gimignano. Nel 2007 sono stati 45, di questi: 43 erano uomini, di cui 27 italiani e 16 stranieri, e due donne italiane. (Il Tirreno, 17 luglio 2008)

 

Suicidio: 19 luglio 2008, Lecce (arresti domiciliari)

 

Lei era sdraiata sul sedile destro reclinabile della vecchia Fiat 126, lui per terra poco lontano dalla vettura, probabilmente nel tardivo tentativo di scampare alla morte che aveva scelto per sé e la compagna. È morta avvelenata dai fumi di scarico dell’auto, convogliati nell’abitacolo con un tubo nel chiuso di un garage di un casolare ottocentesco, una coppia di conviventi agli arresti domiciliari per la detenzione di oltre tre chili di marijuana.

Giuseppe Mercuri, di 59 anni, un possidente terriero di Sannicola, e la sua convivente, la cittadina francese Sophie Chaffurin, di 43, erano stati arrestati lo scorso 13 luglio. I Carabinieri della Compagnia di Gallipoli avevano trovato nella loro tenuta, in località "La Guardia", la grossa partita di marijuana: una metà nascosta nel camino, il resto sepolto in giardino. A nulla la difesa dell’uomo: la droga, che fumava sin da giovane, serviva per uso personale, per alleviare i dolori di una malattia incurabile.

Inevitabile l’arresto e il carcere di Lecce dove la coppia è stata rinchiusa per tre giorni. La detenzione è stata successivamente tramutata dal Gip negli arresti nella propria abitazione.

Sono stati i carabinieri a trovare i cadaveri sabato sera nel corso del quotidiano giro di controllo dei detenuti ai domiciliari. Nessuna traccia di violenza, nulla che possa far pensare a qualcosa di diverso da un duplice suicidio consenziente. I primi esami del medico legale, a quanto si è appreso, farebbero risalire al pomeriggio di ieri la morte. Sarà comunque l’autopsia - disposta dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce Giovanni Gagliotta - a confermare il decesso per avvelenamento da monossido di carbonio, e a datare con precisione l’ora della morte.

Sulle motivazioni alla base del doppio suicidio, gli investigatori propendono per l’incapacità dei due di sopportare la vergogna dopo l’arresto. Ma non sarebbe esclusa neanche un’altra spiegazione, collegate al sequestro dell’ingente partita di marijuana alla coppia nell’ipotesi, per ora tutta da dimostrare, che i due possano aver accettato di custodirla per conto di qualche spacciatore in cambio di denaro.

Mercuri, infatti, discendente di quella che una volta era considerata un’agiata famiglia, e la compagna, stavano attraversando un periodo di ristrettezze economiche. Potrebbero aver fatto i custodi della marijuana per soldi, e dopo il sequestro della droga e l’arresto potrebbero aver deciso di uccidersi temendo la vendetta di qualcuno per il sequestro degli stupefacenti. Ma su questo non c’è alcun riscontro, rimane solo un’ipotesi di lavoro investigativa. (L’Unità, 21 luglio 2008)

 

Malattia: 21 luglio 2008, Carcere di Spoleto

 

La storia di Nino, morto di malasanità penitenziaria, di Carmelo Musumeci (Detenuto a Spoleto).

A parte pochi fatti eclatanti si leggono e si sentono pochi articoli e brevi notizie sui giornali e alla televisione sui morti per malasanità ma nulla proprio nulla sui morti in prigione di carcere. Anche per questo molti detenuti non amano la (in)giustizia di Stato. Anche per questo molti detenuti subiscono e accettano in silenzio le violenze di Stato per non rischiare di essere additati e strumentalizzati come mafiosi (i mafiosi veri e intoccabili stanno fuori quelli finti si fanno il carcere). Non tutti sanno o fanno finta di non sapere che per malasanità non si muore solo fuori, in carcere si muore più spesso e più soli.

Il carcere in Italia oltre a non rieducarti ti ammazza e lo fa in silenzio senza che nessuno sappia nulla. L’esclusione della sinistra, della sinistra vera, della sinistra a sinistra, dal parlamento, ha sicuramente privato molti detenuti di uno strumento di denuncia e di rivendicazione di diritti violati e/o non riconosciuti.

Spesso le persone malate in carcere vengono rinchiuse e legate ancor di più perché sono quelle che danno più fastidio. Ho letto in questi giorni in un libro una frase riportata da una scritta dal muro di un lager nazista: "io sono stato qui e nessuno lo saprà mai".

Per questo ho deciso di scrivere della morte di Nino. La pena non dovrebbe essere vendetta, ma nel caso di Nino lo é stata. Nino era calabrese, piccolo di statura, con la pelle scura e gli occhi azzurri. Sorrideva sempre, amava la vita e la famiglia. Nino frequentava l’Istituto d’Arte di Spoleto. Io e Nino siamo stati in cella insieme per sei mesi. Nino era malato e una volta mi ha confidato che il suo desiderio più grande era quello di morire libero con accanto i suoi familiari. Nino, sollecitato dal dirigente sanitario dell’istituto presenta richiesta di sospensione pena. Gli mancavano due anni. Nino viene trasferito al Centro Clinico del carcere di Napoli. La famiglia lo va a trovare e gli comunicano che Nino é morto.

Questa é la storia sintetica e cruda di Nino ma é anche la storia di tanti detenuti che muoiono in carcere. Forse molti di loro non potrebbero essere salvati ma sicuramente in libertà potrebbero essere curati meglio anche solo con il conforto dell’affetto dei familiari.

Voglio ricordare ai governanti, ai giudici e ai carcerieri che si sono occupati di Nino che Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, un giorno disse: "Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi". Ciao Nino, arrivederci fra le stelle, più di ricordarti in questo modo non posso fare e se mi puniscono per questo ben venga la punizione. (Ristretti Orizzonti, 17 luglio 2008)

 

Malattia: 22 luglio 2008, Carcere di Verona

 

Questa lettera, arrivata dal carcere di Verona, è drammatica e dettagliata. Non abbiamo modo di sapere se tutte le circostanze descritte corrispondano al vero, ma pensiamo di doverla comunque pubblicare, sia perché venga fatta chiarezza al riguardo, sia perché tratta di un problema effettivamente molto sentito nelle carceri, quello dell’assistenza sanitaria, in particolare in questo periodo di ferie nel quali il personale è ridotto al minimo (N.d.R.)

"Mustafà era un 41enne francese di origine maghrebina. Era detenuto presso la Casa Circondariale di Montorio, Verona. Lui aveva rubato una bicicletta e per questo era stato condannato ad un anno di detenzione.

Era gravemente malato. Le sue gambe e i suoi piedi erano rossi e gonfi per cattiva circolazione. Si pisciava addosso senza accorgersene. Era rinchiuso nella sezione "infermeria". Non parlava la lingua italiana. I dottori dell’infermeria certamente non parlavano francese. Così gli parlavano in italiano e lui non capiva niente e i dottori e gli agenti non capivano cosa diceva lui.

Non lo curavano abbastanza, non l’hanno portato all’ospedale, dove avrebbero potuto fornirgli cure più specialistiche ed idonee e assistenza. Non gli è stato fornito nemmeno un pappagallo per pisciare senza farsela addosso, o mutande assorbenti. Non è stato fatto quasi niente per aiutarlo. Spesso, invece, è stato preso in giro e gli sono stati fatti stupidi scherzi.

Io lo conoscevo perché prima veniva spesso all’aria: un posto all’aperto di 15 m per 15, tutto in cemento grigio, con muri altissimi, dove si può andare una volta alla mattina e una al pomeriggio.

Parlavamo un po’ in tedesco, lingua che lui aveva studiato molti anni fa a scuola. Aveva una moglie e due figli che vivono in Francia, vicino a Parigi, e diceva sempre che una volta uscito sarebbe tornato da loro. Era un uomo allegro ed era divertente parlare con lui. Non era un genio, ma era un tipo tranquillo con cui si rideva. Il suo errore, se così si può chiamare, era che non diceva niente quando qualcosa gli mancava o quando stava male. Era probabilmente troppo tranquillo per questo mondo e soprattutto per il carcere! Così è successo quello che non sarebbe mai dovuto succedere.

20.07.08, domenica, ore 20.00 circa: Si sentiva come russare forte dalla cella di Mustafà. Dopo un po’ l’appuntato ha chiamato l’ispettrice e altri assistenti. Una volta arrivati, restano a guardare fuori dalla cella chiamando Mustafà per nome. Lui era sdraiato per terra e quasi non riusciva a respirare. Non c’era neanche un dottore nell’infermeria. Cosa che qui succede spesso. Nessuno è entrato in cella per aiutarlo, perché dicevano che puzzava di piscio. Lo chiamavano solamente da fuori. Dopo un po’ si è rialzato da solo e l’ispettrice gli ha detto di sedersi, di mettersi a letto. Poi sono andati tutti via.

22.07.2008, martedì, ore 16,00 circa: Si sentiva vomitare Mustafà nella sua cella e forti urli. Qualcuno di una cella vicina ha chiamato un dottore. Continuava a chiamare moltissime volte finché finalmente qualcuno non è arrivato a vedere cosa succedesse.22.07.08, martedì, ore 20,30 circa: Mustafà vomita ancora, come nel pomeriggio. Un medico viene a visitarlo. Si è sentito il medico chiedere se aveva bevuto vino rosso, perché il vomito era rosso. Ma di vino in infermeria non ce n’è. Così era sicuro che il vomito era rosso perché c’era dentro sangue, Ma l’hanno lasciato solo in cella.

22.07.08, martedì, ore 22 circa: Si è sentito un appuntato che correva in ufficio per chiamare un medico ed un ispettore. Sono arrivati anche altri assistenti. Mustafà era morto, sdraiato per terra in mezzo al suo vomito. Hanno scattato una foto, poi l’hanno portato via. Dio lo benedica e porti la sua anima in paradiso. Adieu Mustafà. I tuoi compagni di detenzione, italiani e stranieri". (Ristretti Orizzonti, 2 agosto 2008)

 

Cause da accertare: 25 luglio 2008, Carcere di Genova

 

Genova: un giovane detenuto piemontese è stato trovato morto in un bagno della prigione dopo che aveva inalato butano, probabilmente nel tentativo di drogarsi. È accaduto la scorsa notte. La vittima è Manuel Eliantonio, 22 anni, originario di Pinerolo, che stava scontando una condanna a 5 mesi nel carcere genovese di Marassi per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni plurime aggravate. La sua pena avrebbe dovuto terminare il 4 settembre. Quando il giovane è stato trovato dagli agenti della penitenziaria, ormai era troppo tardi. A nulla sono valsi i tentativi di rianimarlo da parte dei medici del carcere. (La Repubblica, 26 luglio 2008)

 

Madre detenuto morto denuncia "me l’hanno ucciso"

 

Alla mamma aveva scritto una lettera drammatica: "Qui in carcere mi ammazzano di botte". "Mi riempiono di psicofarmaci". "Mi ricattano", "Sto male". Ieri lo hanno trovato senza vita riverso per terra, con una bomboletta di gas in mano, in un bagno del carcere di Marassi, a Genova. E adesso, la madre si rigira tra le mani quella lettera tremenda, mentre grida le sue accuse e il suo dolore.

Manuel Eliantonio, 22 anni, originario di Piossaco, è morto l’altra mattina nella struttura penitenziaria dov’era rinchiuso da quasi cinque mesi. Ucciso, dicono al Marassi, dal gas butano respirato da una bomboletta di gas da campeggio. Suicidio? "Forse un incidente", lasciano intendere dalla casa circondariale. Spiegando che il butano è spesso adoperato come droga dai detenuti.

Ma la madre di Manuel, Maria, urla: "Mio figlio lo hanno ammazzato. Lo hanno pestato a sangue e lo hanno stordito con psicofarmaci. Lo hanno ucciso, e stanno cercando di coprire tutto". Mostra l’ultima - nonché l’unica - lettera che il figlio le ha inviato dal carcere dov’era rinchiuso per una condanna a 5 mesi e dieci giorni. "Una storia da niente, resistenza a pubblico ufficiale", dice lei.

L’ultimo scritto di Manuel sono due paginette strappate da un quaderno a quadretti su cui c’è lo spaccato di una vita d’inferno. "Cara mamma, qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Adesso ho soltanto un occhio nero, ma di solito...". E ancora: "Mi riempiono di psicofarmaci. Quelli che riesco non li ingoio e appena posso li sputo. Ma se non li prendo mi ricattano con le lettere che devo fare". E ancora: "Sai, mi tengono in isolamento quattro giorni alla settimana, mangio poco e niente, sto male".

La notizia della morte di suo figlio, Maria l’ha avuta ieri mattina. Una telefonata dal carcere e l’annuncio: "Manuel è spirato stanotte". Disperata, è partita subito per Genova. In tarda serata è di nuovo a casa, dalla figlia più piccola. Ha gli occhi gonfi per tutte le lacrime che ha pianto, è stanca, disperata e distrutta. "Voglio andare fino in fondo a questa storia. Mio figlio era malato. Non avrebbe dovuto assumere psicofarmaci. Doveva essere curato, non sedato. Avrebbero dovuto portarlo in ospedale se stava male, non abbandonarlo in una cella, solo".

In quell’unica lettera ricevuta dal figlio, mamma Maria legge la disperazione di un ragazzo troppo a lungo maltrattato. "Doveva essere scarcerato il 5 agosto", racconta. "Quando la lettera è arrivata gli ho subito risposto con un telegramma: "Resisti, figlio mio. Resisti, è quasi finita". Speravo di rivederlo tra qualche giorno, invece è arrivata soltanto quella maledetta telefonata da Marassi".

Il verbale della polizia penitenziaria racconta che Manuel si sarebbe stordito con il butano di una bomboletta adoperata per un fornelletto da campo che aveva in cella. Prassi assai abituale per detenuti con problemi di tossicodipendenza. Ma qualcosa è andato storto, l’intossicazione gli è stata fatale. Per chiarire i contorni di questa morte la Procura della repubblica ha già aperto un’inchiesta. Ci sarà un’autopsia, che dovrebbe chiarire tutti i dubbi. Anche quelli sollevati da mamma Maria.

 

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