Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier giugno 2008

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di giugno registra 7 nuovi casi: 2 suicidi, 3 morti per cause da accertare e 2 per malattia

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Rolando Pagliarulo

55 anni

04 giugno 2008

Da accertare

Siracusa

Ignazio Romano

34 anni

06 giugno 2008

Malattia

Avellino

Francesco Russo

30 anni

11 giugno 2008

Da accertare

Catania (domicil.)

Sangare Samba

28 anni

11 giugno 2008

Da accertare

Caserta

Niki Aprile Gatti

26 anni

24 giugno 2008

Da accertare

Firenze

Tamara Selli

34 anni

24 giugno 2008

Suicidio

Salerno

Detenuto ghanese

33 anni

29 giugno 2008

Malattia

Cpt Caltanissetta

 

Morte per cause da accertare: 4 giugno 2008, Carcere di Siracusa

 

Rolando Pagliarulo, detenuto 55enne, trovato morto l’altro ieri nella sua cella del carcere di Augusta, in provincia di Siracusa. Un decesso che si tinge di giallo quello di Rolando Pagliarulo, uno dei killer del clan Frasca-Trimarco, il sicario cinquantenne di Giffoni Valle Piana che, nel novembre del 2001, con l’assassinio di Giuseppe Esposito, noto come Peppe ò ribott, aprì la sanguinosa guerra di camorra tra la Piana ed i Picentini. Pagliarulo, condannato sia per il delitto Esposito che per una serie di estorsioni a noleggiatori di videopoker, circa una settimana fa aveva tentato per l’ennesima volta di togliersi la vita. Ma, secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, dopo un ricovero in ospedale era tornato in carcere dove è poi deceduto. La Procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un’inchiesta. Stamane è fissato l’esame autoptico disposto dal pm e, solo nel pomeriggio, ad accertamenti ultimati, la salma sarà restituita ai familiari per essere riportata a Giffoni Valle Piana. Una morte che si tinge di giallo, dunque, quella del killer dei Picentini che, nel febbraio dello scorso anno, era stato condannato in Assise d’Appello a 27 anni di carcere, con l’accusa, appunto, di essere stato uno dei killer che, nel novembre 2001, uccise a Campigliano il boss del clan Pecoraro, Giuseppe Esposito. Rolando Pagliarulo, in primo grado, fu condannato all’ergastolo. Nel corso del processo di secondo grado, attraverso un’indagine medica, era stata scartata la possibilità che l’imputato fosse incapace di intendere e volere, così come aveva chiesto il difensore di fiducia di Pagliarulo, l’avvocato Alessandro Lentini. Il noto penalista salernitano aveva depositato una propria perizia medica che certificava il grave stato di prostrazione in cui si trovava il detenuto, vittima spesso di episodi di autolesionismo. I giudici emisero comunque il loro verdetto: condanna a 27 anni di carcere con il riconoscimento dunque delle attenuanti generiche. A questa condanna si era poi aggiunta quella dei giudici del Tribunale ordinario, per una vicenda legata ad una serie di estorsioni nei confronti di noleggiatori di videopoker, per un cumulo pena complessivo intorno ai trent’anni di reclusione. Costringendolo così di fatto ad situazione di lunga detenzione che, a più riprese, Rolando Pagliarulo, aveva mostrato di non riuscire a sopportare. Per diverse volte aveva tentato il suicidio in cella, tanto da indurre il suo legale di fiducia a presentare diverse istanze per la sua remissione in libertà od il ricovero presso una struttura penitenziaria adeguata. Nel frattempo il detenuto era stato rinchiuso in una cella da solo, sotto stretta sorveglianza. Questo però evidentemente non è bastato tanto che, la scorsa settimana, aveva di nuovo tentato di togliersi la vita. Ricoverato in ospedale era tornato poi in carcere, ad Augusta, dove è stato trovato morto l’altro ieri. La Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, ricevuta la nota ufficiale del decesso, ha aperto un’inchiesta. Stamane l’esame del medico legale per tentare di dare una risposta al mistero. Il resto dovrà farlo l’inchiesta della magistratura siciliana. (La Città di Salerno, 6 giugno 2008)

 

Morte per cause da accertare: 6 giugno 2008, Carcere di Avellino

 

Ignazio Romano, 34enne, viene trovato morto, forse è stato ucciso. Un detenuto nel carcere avellinese di Bellizzi Irpino è stato trovato senza vita nella tarda serata di ieri nella cella che condivideva con altre quattro persone. Ignazio Romano, napoletano di 34 anni, era stato condannato per reati connessi al traffico di droga e aveva scontato un anno dei quattro che gli erano stati inflitti nel processo di primo grado. Nel corso della notte sono stati ascoltati i quattro detenuti con cui Romano, che stava scontando una condanna per traffico di droga, divideva la cella: agli investigatori hanno detto di aver lanciato l’allarme quando si sono accorti che Romano, sdraiato nella sua branda, non dava segni di vita. Ad un primo esame esterno del corpo, il detenuto presentava tumefazioni ed ecchimosi all’altezza del fianco e della spalla sinistra: la ipotesi di una aggressione subita da Romano, precisano gli investigatori, per il momento, non trova conferma anche se gli stessi investigatori non escludono alcuna pista. I carabinieri hanno anche raccolto le testimonianze di alcuni agenti della polizia penitenziaria in servizio ieri a Bellizzi. (Ansa, 7 giugno 2008)

 

Avellino: Uil; detenuto morto, non percosse ma cause naturali

 

"Sarebbe sin troppo facile richiamare i nostri inviti alla prudenza ed alla cautela. È, invece, anche questione di responsabilità. Pur riaffermando a gran voce l’esigenza che l’Amministrazione Penitenziaria faciliti le comunicazioni con la stampa non posso esimermi dall’invitare i giornalisti ad agire con senso di responsabilità nella gestione delle notizie che possono alimentare le già forti tensioni che si vivono negli istituti penitenziari" È quanto dichiara il Segretario Generale della Uil Pa - Penitenziari, Eugenio Sarno, all’esito dell’esame autoptico effettuato sulla salma del detenuto rinvenuto cadavere nella sua cella ad Avellino.

Esame che ha escluso qualsiasi lesione e ha stabilito in cause naturali le ragioni del decesso. "Apprendiamo che l’autopsia ha escluso qualsiasi forma di lesione e violenza pur essendosi riservati ulteriori esami tossicologici, come da prassi. Per quanto ci riguarda ciò non è affatto una sorpresa ben conoscendo il personale che opera ad Avellino. Nessun omicidio, quindi, è stato perpetrato. Né dagli agenti, né da detenuti come pure qualche incauto giornalista aveva voluto far trasparire".

Eugenio Sarno sottolinea come la notizia del decesso riferibile ad omicidio avesse in qualche modo alimentato tensioni all’interno delle carceri. " Una morte dietro le sbarre, piaccia o meno, è sempre una notizia. Quand’essa, però, alimenta ingiustificate ipotesi è consequenziale che le tensioni all’interno degli istituti si elevino proporzionalmente. Soprattutto in un momento, come questo, in cui esauriti gli effetti post- indulto il sovraffollamento sta assumendo proporzioni ingestibili. La notizia di un possibile omicidio è davvero una mina vagante.

Credo sia giusto sottolineare l’estrema professionalità e competenza con cui il Comando di Reparto e la Direzione della Casa Circondariale di Avellino hanno gestito l’intera vicenda. Analogamente sottolineo la correttezza della popolazione detenuta ivi ristretta" La Uil Pa Penitenziari apprezza la celerità con cui gli inquirenti hanno operato e auspica che la notizia sia idoneamente veicolata agli organi di informazione "La celerità delle indagini ha favorito la chiarezza di cui si avvertiva necessità. Ribadisco, comunque, appieno le mie riserve circa l’intendimento del Pm di affiancare alla squadra investigativa della polizia penitenziaria un gruppo di Carabinieri. Per noi non c’era ragione alcuna. Voglio sperare che ora i magistrati chiariscano, direttamente, anche agli organi di informazione che le cause del decesso non sono riferibili a violenze e lesioni, con le stesse modalità con cui hanno reso noto il sopralluogo in carcere". (Comunicato stampa, 12 giugno 2008)

 

Morte per cause da accertare: 11 giugno 2008, Catania, arresti domiciliari

 

Francesco Russo, 30 anni, detenuto domiciliare, muore in circostanze che i familiari hanno definito misteriose e sulla vicenda la Procura della Repubblica di Caltagirone ha aperto un fascicolo. Il giovane si trovava agli arresti domiciliari nella Comunità Terapeutica Santo Pietro per una serie di reati contro il patrimonio, secondo il legale della famiglia sarebbe giunto all’ospedale Gravina in gravissime condizioni senza che i medici abbiano potuto fare nulla per salvargli la vita. Il giovane era affetto da disturbi psichici oltre a soffrire di una grave forma di diabete. La Comunità Santo Pietro sulla vicenda non ha voluto far alcun commento. (Catania Notizie, 13 giugno 2008)

 

Morte per cause da accertare: 11 giugno 2008, Carcere di Caserta

 

Sangare Samba, ivoriano, 28enne, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere era sieropositivo. È morto dopo due giorni dal ricovero in ospedale. Il fatto è avvenuto l’11 giugno. Lo comunicano in una nota congiunta Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Campania e Abou Soumahoro, responsabile immigrazione Rdb Napoli. Sangare era stato arrestato nel novembre del 2007 con l’accusa di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. "A quanto ci risulta - si legge nella nota - aveva fatto regolare domanda di regolarizzazione, ma la richiesta non era stata accolta perché non disponeva di un reddito adeguato. Sangare era sieropositivo. Viene naturale chiedersi perché non fosse ricoverato in un Centro clinico, quali siano le cause di un così rapido e improvviso decesso e perché sia arrivato in ospedale quando ormai non c’era più speranza". (Comunicato stampa, 18 giugno 2008)

 

Da accertare: 24 giugno 2008, Carcere Sollicciano di Firenze

 

Niki Aprile Gatti, 26enne, si impicca in cella. Una corda al collo, a penzoloni nel bagno. Sembra che sia morto così, unendo le stringhe delle scarpe alle strisce di stoffa tagliate dai jeans. Nemmeno una lettera lasciata a qualcuno, nemmeno una parola o un indizio consegnato ai compagni di cella. È sparito per un quarto d’ora dietro la porta e quando la guardia si è insospettita era già troppo tardi. Niki Aprile Gatti aveva 26 anni, era nato ad Avezzano, in provincia dell’Aquila e viveva tra Rimini e Londra. Sposato, senza figli. Era finito nel carcere di Sollicciano pochi giorni fa, il 19 giugno, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle truffe telefoniche legate al prefisso 899, un’operazione condotta dalla squadra mobile fiorentina e coordinata dalla magistratura che aveva emesso diciannove ordinanze di custodia cautelare. Niki Aprile Gatti gestiva un’azienda di servizi di telefonia a San Marino, una di quelle diventate oggetto delle indagini coordinate dal pm della Dda Paolo Canessa e dal sostituto procuratore Giulio Monferini. Secondo le accuse c’era un’organizzazione che avrebbe truffato ignari utenti, inducendoli a telefonare o a collegarsi con connessioni internet a tariffa maggiorata. Tutto ciò sarebbe costato complessivamente 10 milioni di euro ai clienti incappati in quei servizi. I proventi invece sarebbero confluiti in società estere "off shore". Nell’ambito dello stesso filone di indagine è stato arrestato il presidente dell’Arezzo Calcio, Piero Mancini, amministratore di una concessionaria di servizi telefonici. Fra i reati contestati a vario titolo agli indagati l’associazione per delinquere, la truffa informatica e il riciclaggio. Il giovane imprenditore della telefonia è stato portato a Sollicciano lo scorso giovedì: il 20 secondo quanto ricostruisce il garante per i diritti dei detenuti, Franco Corleone, "aveva avuto un colloquio con lo psicologo e non era emerso niente di preoccupante". Dal 20 al 22 era stato ospitato nelle celle del "transito", poi trasferito alla quarta sezione. "Era incensurato e l’impatto con la detenzione deve essere stato traumatico - prosegue Corleone - il giorno prima a due degli arrestati erano stati concessi i domiciliari, a lui no: dopo l’interrogatorio di garanzia il gip gli aveva confermato il carcere. Forse si è scoraggiato pensando a una lunga detenzione, so che aveva cambiato avvocato, altro segnale di inquietudine. Ho parlato col direttore di Sollicciano e con gli agenti, erano affranti, da tempo non si registravano suicidi nell’istituto fiorentino. Mi hanno spiegato anche che i soccorsi sono stati rapidi". Ieri mattina alla 10 Niki Aprile Gatti aveva avuto la sua ora d’aria, era rientrato in cella, aveva scambiato qualche parola con un agente sul processo, alle 11 uno dei suoi compagni di cella era andato in infermeria per prendere il metadone, un altro era rimasto lì. Lui si è chiuso nel bagno e si è impiccato. "Se posso fare una riflessione ampia e non legata strettamente a questo evento tragico - conclude il Garante - dico che non si può pensare di risolvere tutto col carcere e che a volte se ne dovrebbe fare un uso più prudente. Sono preoccupato anche per il sovraffollamento, Sollicciano sfiora quota 900 detenuti". (La Repubblica, 25 giugno 2008)

 

Per genitori non è suicidio

 

Fu arrestato il 19 giugno alle 23.00 a Cattolica con l’accusa di aver commesso una frode informatica, quindi rinchiuso nel carcere di Sollicciano (Firenze). Alle 11.00 del 23 giugno venne trovato senza vita, impiccato alla finestra del bagno con un paio di jeans e un numero imprecisato di lacci da scarpe.

Ora, i genitori di Niki Aprile Gatti, 26 anni, che non hanno mai creduto all’ipotesi di suicidio del figlio, si oppongono alla richiesta di archiviazione avanzata dal pm al procedimento che avrebbe dovuto fare luce sulla morte del giovane. Secondo i genitori del ragazzo, che vivono ad Avezzano (L’Aquila), la richiesta di archiviazione “contrasta con le pur scarne risultanze processuali che rivelano una carente attenzione per il detenuto alla luce delle caratteristiche che il caso presentava; si fonda su un esame parziale e insufficiente degli atti; esprime una valutazione operata in assenza di approfondimento investigativo e di verifica probatoria.

All’interno della casa circondariale e alle fattispecie di reato prospettabili - si legge nell’opposizione - risultano esperibili molteplici attività di accertamento volte a verificare non solo se la morte del detenuto sia effettivamente riconducibile a un atto autolesivo, ma soprattutto se essa poteva essere evitata da coloro che si occuparono del giovane nell’ultima settimana di vita”. Nell’opposizione i genitori ripercorrono le drammatiche fasi che hanno preceduto la morte del figlio. Il giovane, alla prima detenzione, aveva chiesto di essere messo in una cella con detenuti italiani e non violenti.

Era stato invece rinchiuso in una cella della quarta sezione con due detenuti extracomunitari per i quali era stata disposta una sorveglianza assidua. Uno dei due, in una precedente detenzione, aveva minacciato di tagliare la gola al compagno di cella. Ma è anche la dinamica della morte a non convincere i genitori del ragazzo. “L’utilizzo di un solo laccio è di per sé idoneo a causare la morte per strangolamento di una persona - scrivono - ma certamente non idoneo a sorreggere il corpo di Niki del peso di 92 chili”.

Secondo i genitori, inoltre, “non si comprende come possa essere stata consumata l’impiccagione quando nel bagno non vi era sufficiente altezza tra i jeans e il piano di calpestio del pavimento tale da poter garantire il sollevamento e il penzolamento del corpo. In tal caso - sostengono i genitori del ragazzo - il decesso è più riconducibile a uno strangolamento con successiva simulazione di impiccagione”. (Agi, 11 ottobre 2008)

 

Suicidio: 24 giugno 2008, Carcere di Salerno

 

Tamara Selli, detenuta 34enne, si suicida, era in carcere da 8 mesi. Si è tolta la vita impiccandosi all’interno del carcere di Fuorni. È accaduto stamattina nel penitenziario salernitano, dove una donna, Tamara Selli, di origini romane, si è tolta la vita stringendosi al collo una maglia. Ad accorgersi della donna ormai priva di vita sono state le guardie penitenziarie. La donna, che pare non fosse da sola in cella al momento della tragedia (stando ad una prima versione la Sella era insieme ad altre detenute, che però non si sarebbero accorte di quanto stava facendo la loro compagna) già due mesi fa aveva tentato di suicidarsi, procurandosi delle lesioni. La donna era detenuta nel carcere salernitano da circa otto mesi con condanne per rapine ed estorsioni. (Ansa, 25 giugno 2008)

 

Malattia: 29 giugno 2008, Cpt di Caltanissetta

 

Il decesso nel centro d’identificazione di Caltanissetta, causato da un arresto cardiaco la notte del 29 giugno. Ma gli immigrati denunciano: è morto per omissione di soccorso. Aveva chiesto una visita già nel pomeriggio. La versione ufficiale parla di un improvviso malore nella notte, dei soccorsi tempestivi dei medici della cooperativa Albatros, che gestisce il centro, e dell’immediato ricovero al Sant’Elia di Caltanissetta, dove il giovane sarebbe spirato.

Ma la versione di chi gli è stato accanto fino all’ultimo momento è diversa. Gli immigrati raccontano che il giovane ghanese si sarebbe sentito male già nel pomeriggio di domenica. Un medico della cooperativa, dopo una visita affrettata, gli avrebbe fatto bere un bicchiere d’acqua, trascurando i sintomi dei forti dolori al petto. Nella notte, i soccorsi avrebbero ritardato ad arrivare, nonostante le grida degli immigrati che chiedevano aiuto. Quando l’ambulanza è arrivata, alle 7.30 del mattino di lunedì, l’uomo era già morto, secondo la versione degli immigrati. Sarà l’autopsia - disposta dalla autorità giudiziaria - a stabilire i tempi intercorsi tra i primi segni della crisi cardiaca e il successivo arresto cardiaco che ne ha determinato la morte, le cause e l’orario esatto del decesso, tutti i relativi documenti sono stati sequestrati dalla magistratura inquirente.

Se la versione dei fatti degli immigrati dovesse essere confermata, non sarebbe la prima volta che il centro polifunzionale di Pian del Lago finisce al centro di polemiche per la sua gestione. La notte tra il 31 dicembre 2005 e il primo gennaio 2006, moriva in circostanze misteriose il cittadino tunisino Mehdi Alih, classe 1975. M.A. allora aveva accusato un malessere dopo avere appreso per telefono della morte di un parente. Il personale sanitario del centro di Caltanissetta avrebbe quindi provveduto a sedarlo. Gli stessi sanitari, soltanto dopo una seconda crisi cardiaca, ne disponevano il trasferimento in ospedale, visto l’aggravarsi delle condizioni. M.A. moriva quindi in ambulanza durante il trasporto in ospedale.

Nell’ottobre del 2006 inoltre il centro di Pian del Lago era finito al centro di un’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, che dalle pagine del quotidiano Repubblica denunciava un sistema di corruzione per cui mediatori e interpreti del centro prendevano soldi per permettere la fuga degli immigrati nordafricani. Denunce che allora vennero prontamente smentite dai dirigenti della cooperativa Albatros 1973. Due anni dopo, il centro rischia di trovarsi di nuovo nell’occhio del ciclone. (Redattore Sociale, 2 luglio 2008)

 

Paleologo: "Neanche un rigo di cronaca. Silenzio o omertà?"

 

"Neanche un rigo di cronaca. Silenzio, dimenticanza o omertà?" Duro il commento del giurista dell’Università di Palermo Fulvio Vassallo Paleologo sulla morte di un richiedente asilo ghanese avvenuta nella notte tra il 29 ed il 30 giugno nel centro di identificazione all’interno del centro polifunzionale (Cpt, Cid e Cara) di Pian del Lago a Caltanissetta. "Abbiamo atteso per ore un comunicato da parte della direzione del centro o della Questura di Caltanissetta - dichiara Paleologo -, o una agenzia di stampa che almeno desse notizia del fatto, confermato da fonti diverse durante la giornata. Niente. Una cappa di silenzio è calata sul centro polifunzionale di Pian del Lago, mentre probabilmente si staranno sistemando registri e referti, testimonianze e documenti vari, per dimostrare che alla fine si è trattata, come al solito, di una tragica fatalità. Tutti erano al loro posto, tutti hanno fatto il proprio dovere, medici, operatori dell’ente gestore e poliziotti di guardia.

Come al solito, nessun colpevole, nessun responsabile per la vita di un uomo, di un clandestino". Nel centro - sostiene Paleologo - si respira ancora una atmosfera di grande tensione, il rischio è che "i migranti testimoni dei fatti saranno presto trasferiti altrove, in silenzio, prima che la vicenda diventi di dominio pubblico, come avviene di solito in queste circostanze".

"È un copione tante volte visto, in Sicilia ed in altre parti d’Italia, - conclude Paleologo - ma di fronte al quale non cesseremo mai di esprimere la nostra indignazione. Ed una richiesta di chiarezza, in una struttura sempre più affollata, nella quale arrivano molti immigrati sbarcati a Lampedusa ancora da identificare, un centro che è stato negli anni teatro di episodi inquietanti sui quali ancora dovrebbe indagare la magistratura. Anche la relazione della Commissione De Mistura non aveva lesinato critiche alla gestione del centro di Caltanissetta, ed oggi la situazione sembra più grave che in passato, perché i centri di detenzione si vanno riempiendo per le retate di "clandestini" che la polizia sta intensificando nelle grandi aree urbane, mentre i centri di identificazione esplodono per l’aumento esponenziale degli sbarchi a Lampedusa e in altre parti della Sicilia". (Redattore Sociale, 2 luglio 2008)

 

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