Indulto: discussione alla Camera

 

XV Legislatura - Camera dei Deputati

Seduta n. 31 del 26/7/2006

Esame dell’articolo unico - A.C. 525-bis ed abbinate

 

Seguito della discussione della proposta di legge: Buemi ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall’Assemblea il 18 luglio 2006) (A.C. 525-bis); e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella (ore 15,10).

 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge d’iniziativa dei deputati Buemi ed altri: Concessione di indulto; e delle abbinate proposte di legge d’iniziativa dei deputati: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella.

Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

 

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo unico della proposta di legge, nel testo della Commissione, e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l’allegato A - A.C. 525-bis ed abbinate sezione 3).

Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso il prescritto parere (vedi l’allegato A - A.C. 525-bis ed abbinate sezione 1 e 2).

Avverto che non sono da considerarsi ammissibili, ai sensi dell’articolo 86, comma 1, e 89 del regolamento, i seguenti articoli aggiuntivi, non previamente presentati in Commissione e che non vertono nell’ambito degli argomenti già considerati nel testo e negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione: Contento 1.01 (pag. 69), che prevede che ministro della giustizia individui, in sede di approvazione della legge finanziaria per l’anno 2007, un programma di interventi urgenti in materia di edilizia carceraria; Palomba 1.02 e 1.03 (pag. 70), che prevedono rispettivamente l’istituzione di un fondo per la corresponsione di un contributo a favore dei consigli di aiuto sociale e l’istituzione di un fondo per la corresponsione di un contributo a favore dei detenuti che beneficiano dell’indulto e che versino in condizioni di disagio economico.

Ricordo peraltro che, ai sensi dell’articolo 79 della Costituzione, l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Ove i predetti articoli aggiuntivi fossero ammessi, gli stessi - essendo collocati in una proposta di legge di indulto - sarebbero posti in votazione con una maggioranza aggravata, pur non essendo il contenuto degli stessi riconducibile alla concessione dell’indulto.

Informo l’Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l’articolo 85-bis del regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell’articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l’applicazione dell’ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare. A tal fine, i gruppi Italia dei Valori, Alleanza nazionale e Lega Nord Padania sono stati invitati a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione. Tuttavia, in considerazione della rilevanza dell’argomento trattato e del fatto che la proposta in esame consta di un unico articolo, la Presidenza - senza che ciò costituisca precedente - ha ritenuto di ammettere alla votazione un numero di emendamenti pari al triplo di quelli consentiti dal richiamato articolo.

Ricordo nuovamente che, ai sensi dell’articolo 79 della Costituzione, l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale.

Da tale previsione discendono, come già ricordato dalla Presidenza nella seduta del 12 gennaio 2006, le seguenti conseguenze. Poiché l’articolo 79 non fa alcun riferimento alle votazioni intermedie che caratterizzano il procedimento legislativo, alle votazioni riguardanti gli emendamenti riferiti ai singoli articoli si applica il principio generale della maggioranza semplice, fatta eccezione per gli emendamenti interamente sostitutivi e per gli articoli aggiuntivi che necessitano per essere approvati della maggioranza dei due terzi.

Come già ricordato, la votazione dei singoli articoli del progetto di legge deve avvenire con la maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera. Nel caso in esame, tuttavia, essendo la proposta composta di un unico articolo, secondo quanto previsto dall’articolo 87, comma 5, del regolamento, non si procederà alla votazione di tale articolo, ma si passerà direttamente alla votazione finale del provvedimento che avrà luogo, conformemente alla norma costituzionale, con la maggioranza dei due terzi dei componenti.

Gli emendamenti soppressivi dell’articolo unico del testo devono essere viceversa votati con la maggioranza ordinaria. Poiché il quorum aggravato è previsto dalla Costituzione solo per l’approvazione del progetto e dei suoi singoli articoli, esso non può infatti ritenersi applicabile per una deliberazione di carattere negativo, quale la proposta di soppressione di un articolo.

Il deputato Buontempo ha chiesto di parlare sulla dichiarazione di inammissibilità dell’articolo aggiuntivo Contento 1.01. Ne ha facoltà.

 

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, l’articolo aggiuntivo Contento 1.01 è stato dichiarato inammissibile. A mio avviso, invece, sarebbe stato più opportuno chiedere al collega di riformulare tale articolo aggiuntivo prima ancora che lo stesso venisse inserito nel fascicolo delle proposte emendative presentate.

Come è noto, il provvedimento in esame si basa sul fatto che le carceri italiane sono insufficienti a contenere l’attuale numero di detenuti. Dato questo presupposto, all’onorevole Contento sembrava giusto che in questo provvedimento si prevedesse, tra l’altro, che il ministro della giustizia individuasse, in sede di approvazione della legge finanziaria per l’anno 2007, un programma di interventi urgenti in materia di edilizia carceraria, che possano essere realizzati a partire dal 2007, con le necessarie coperture finanziarie.

Tale articolo aggiuntivo al momento non mi pare che comporti un aumento della spesa. A questo riguardo, ricordo che l’articolo 86, comma 2, del nostro regolamento prevede che qualora i nuovi articoli aggiuntivi o emendamenti importino maggiori spese o diminuzione di entrate, sono trasmessi, appena presentati, alla Commissione bilancio affinché siano esaminati e valutati nelle loro conseguenze finanziarie. A tal fine, il Presidente della Camera stabilisce, ove occorra, il termine entro il quale deve essere espresso il parere della Commissione bilancio.

Ciò detto, desidererei sapere se nei confronti di questo articolo aggiuntivo vi è una presa di posizione della Commissione bilancio e conoscere, qualora questa abbia espresso parere contrario, le motivazioni che l’hanno indotta ad esprimere tale parere. A mio avviso, lo ripeto, si poteva chiedere al collega Contento, tramite gli uffici, una riformulazione di tale articolo aggiuntivo proprio perché la materia in esso trattata a me pare attinente al provvedimento in esame. Quello che con tale articolo aggiuntivo si chiede è di fissare, come peraltro avvenuto centinaia di volte, in questo provvedimento dei «paletti» (chiamiamoli così) affinché norme successive

 

 

 

 

 

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vertenti sulla stessa materia tengano conto dell’indirizzo già espresso da questa Camera.

Non ritengo - e concludo, Presidente - che la dichiarazione di inammissibilità sia stata fatta secondo la previsione regolamentare. Semmai, a tempo debito, avrebbe potuto essere chiesta una riformulazione, in quanto nell’articolo aggiuntivo in questione si sarebbe potuta modificare la dicitura «a partire dal 2007», in base al principio per cui all’interno di una legge non si può stabilire una data per un evento che deve essere previsto da un’altra legge.

Se venisse eliminata l’espressione «che possono essere realizzati a partire dal 2007», l’articolo aggiuntivo sarebbe accoglibile. Altrimenti, dovremmo dire, ma lo svilupperemo nel corso del dibattito, che il provvedimento in esame si regge sul nulla, poiché non è accompagnato da un impegno, nella proposta di legge, per cui si provvede all’indulto - a cui personalmente sono contrario insieme al gruppo cui appartengo - a causa di un sovraffollamento. Se non viene previsto nulla per eliminare le condizioni di tale sovraffollamento, mi pare che il provvedimento stesso risulti monco.

 

PRESIDENTE. È stata sollevata un’obiezione circa la decisione della Presidenza di dichiarare inammissibile l’articolo aggiuntivo Contento 1.01. Mi rendo conto del contenuto politico delle osservazioni svolte; tuttavia, dal punto di vista regolamentare, non posso che ribadire la decisione assunta.

L’articolo 86, comma 1, del regolamento della Camera dei deputati stabilisce, infatti, che per l’esame in Assemblea possono essere presentati solo gli emendamenti o articoli aggiuntivi già respinti in Commissione, nonché ulteriori emendamenti o articoli aggiuntivi, purché nell’ambito degli argomenti già considerati nel testo o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione. L’articolo aggiuntivo in questione non risponde palesemente ai citati requisiti, non essendo stato presentato in Commissione e non vertendo sulla materia specificamente oggetto del provvedimento. La Commissione bilancio ha dato parere sull’argomento, ma questo è ininfluente sulla sua ammissibilità.

Deve inoltre essere ribadito che, ai sensi dell’articolo 79 della Costituzione, l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Ove i predetti articoli aggiuntivi fossero ammessi, gli stessi, essendo collocati in una proposta di legge di indulto, sarebbero posti in votazione con una maggioranza aggravata, pur non essendo il contenuto degli stessi riconducibile alla concessione dell’indulto.

Ha chiesto di parlare sull’ordine dei lavori il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.

 

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, abbiamo letto con una certa sorpresa l’elenco dei deputati che hanno chiesto di parlare nella parte pomeridiana della seduta. Francamente, ci aspettavamo un confronto aperto, visto che si tratta di un provvedimento che nasce in una sede prettamente parlamentare.

Vedo invece che, dopo l’onorevole D’Elia, sono iscritti a parlare soltanto deputati del gruppo dell’Italia dei Valori. Dunque, proprio per poter esprimere al meglio il senso del nostro contributo, vorrei pregarla, signor Presidente, di invertire l’ordine degli interventi facendo iniziare i colleghi Leoluca Orlando, Raiti, Costantini, Palomba, Borghesi, Belisario, Donadi e, a seguire, gli altri.

Le sarei estremamente grato se volesse concederci tale opportunità.

 

PRESIDENTE. Mi si fa rilevare che hanno chiesto di intervenire sul complesso delle proposte emendative presentate anche deputati appartenenti ai gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania.

I deputati che hanno chiesto di intervenire sono stati «intercalati» finché si è potuto; dopo di che, non ne sono rimasti

 

 

 

 

 

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altri se non quelli appartenenti al gruppo dell’Italia dei Valori, i quali sono stati così aggiunti all’elenco.

 

FABIO EVANGELISTI. Non ho capito la risposta, Presidente!

 

PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Chiedo di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Vorrei chiedere al Presidente di sospendere la seduta per qualche minuto, al fine di consentire al Comitato dei nove di esaminare una richiesta formulata da un gruppo parlamentare in sede di Commissione giustizia.

Data l’importanza del dibattito che ci apprestiamo a svolgere questo pomeriggio, credo che affrontare tale questione possa risultare utile ai fini dell’economia dei lavori parlamentari.

 

PRESIDENTE. Presidente Pisicchio, per favore, può dirmi di quanto tempo ha bisogno?

 

PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, saranno necessari non più di dieci minuti.

 

PRESIDENTE. Inviterei l’Assemblea a riflettere sulla proposta di sospendere i nostri lavori per il tempo indicato.

 

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

ELIO VITO. Signor Presidente, vorrei far presente che il problema non è costituito dalla durata della sospensione della seduta. Per noi, infatti, tale sospensione può anche essere eterna, ma il problema è che si è già svolto l’esame in sede di Commissione.

Segnalo che la stessa Commissione ha già espresso il proprio parere su tutte le proposte emendative presentate e non riteniamo corretto che quando, in sede di Assemblea, si sta per avviare la discussione sul complesso delle proposte emendative presentate, il presidente della stessa Commissione giustizia richieda una sospensione dei lavori.

Il tempo può anche essere limitato - dal momento che sono limitate le modifiche ai pareri espressi che si intendono apportare -, tuttavia si tratta, a nostro avviso, di una questione di principio. Pertanto, se deve essere accolta la richiesta di sospensione, signor Presidente, allora tanto varrebbe rinviare l’esame del provvedimento in Commissione e rivederci a settembre!

Non si tratta solo di sospendere i lavori per dieci minuti, perché il problema è tener fede al lavoro già svolto dalla Commissione giustizia, e vorrei rilevare che il presidente di tale organo dovrebbe essere il garante dell’attività già svolta.

Credo, pertanto, che l’Assemblea sia in condizione di procedere con l’esame del provvedimento all’ordine del giorno. Non riteniamo necessarie ulteriori sospensioni: anzi, le consideriamo del tutto controproducenti (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.

 

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, mi sembra che, in questa vicenda, siano già capitate un po’ troppe stranezze. Vedo l’onorevole Di Pietro in aula - mi rivolgo a lei per rispetto nei suoi confronti, onorevole Di Pietro: la mia era solo una cortesia - e, tra le varie stranezze di questo dibattito sull’ordine dei lavori, vorrei citare il comunicato emesso, ieri sera, dall’ufficio stampa del Ministero delle infrastrutture, il quale ci ha informato riguardo ad una sorta di «autosospensione».

Tale comunicato, infatti, afferma che, visto il perdurare del silenzio da parte dei leader del centrosinistra, il ministro delle infrastrutture ha sospeso gli incontri e le attività a data da destinarsi per dedicarsi alla questione dell’indulto.

Si tratta, a mio avviso, di una stranezza: non credo, infatti, che la nostra

 

 

 

 

 

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Costituzione preveda il congelamento o l’autosospensione da incarichi di Governo. Rispetto comunque fino in fondo, naturalmente, il parere del ministro, il quale è evidentemente contrario all’approvazione del provvedimento in esame, così come lo sono, d’altronde, alcuni gruppi parlamentari.

Vorrei tuttavia rivolgere una richiesta alla Presidenza. In questo caso, qualcuno - il Presidente del Consiglio dei ministri, oppure il Vicepresidente del Consiglio, dal momento che è presente in Assemblea - deve chiarire la dinamica alla base degli eventi che si stanno dipanando; in caso contrario, si tratterebbe veramente di aggiungere stranezza a stranezza (Applausi dei deputati dei gruppi dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale); oltretutto, si inserirebbero, nell’ambito di una vicenda già di per sé complicata, ulteriori questioni che la renderanno, inevitabilmente, indistricabile!

Vorrei aggiungere che, in materia di indulto, anche in passato sono state espresse opinioni diverse. Tutti noi conosciamo la situazione carceraria: ebbene, oggi è il 25 luglio, ed i gruppi contrari alla concessione dell’indulto possono seguire due strade. La prima via è esprimere la propria contrarietà e cercare di convincere della bontà delle loro ragioni chi, come me, la pensa diversamente.

L’altra strada è quella di ricorrere all’ostruzionismo parlamentare, che consentirebbe al Presidente della Camera di applicare il contingentamento nel calendario successivo, vale a dire nei primi giorni di agosto.

L’unico risultato sarebbe non tanto quello di far ritornare i deputati ad agosto - perché questo è nostro dovere e, dunque, torneremmo -, quanto quello di rendere ancora più difficile la situazione carceraria in ordine ad attese che si sono prodotte anche a causa del fatto che il ministro della giustizia del vostro Governo, qualche settimana fa, è andato ad evocare questo tema nelle carceri, mentre tutti sappiamo che questo non è un tema da evocare nelle carceri (Applausi dei deputati dei gruppi dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! Infatti, una classe politica seria o accetta di andare avanti sulla strada delle decisioni oppure, con rispetto, assume una decisione diversa. L’unica cosa che non può fare è andare irresponsabilmente ad evocare questo tema nelle carceri, giocando con le attese dei detenuti.

In definitiva, onorevole Presidente Bertinotti, il presidente Pisicchio ha chiesto una interruzione di dieci minuti. Da semplice parlamentare, dico al presidente della II Commissione che io e il mio gruppo le concediamo volentieri dieci minuti di sospensione; non solo dieci minuti: mezz’ora, un’ora, ma lei ci deve dire quali sono gli elementi nuovi che devono essere esaminati dal Comitato dei nove. Altrimenti, è un’assurdità; qui si stanno stravolgendo le regole!

Come sottolineato dall’onorevole Elio Vito, il problema non sono i dieci minuti, in quanto siamo di fronte ad una questione di principio. A cosa serve questa sospensione? Vi sono elementi nuovi? Devono essere presentati ulteriori emendamenti?

Presidente Pisicchio, se ci chiarisce questo aspetto, possiamo anche essere d’accordo in ordine alla sospensione, altrimenti - Presidente Bertinotti - sono convinto che lei, come sempre ha fatto, sarà garante della regolarità delle procedure. Ciascuno si dovrà assumere la responsabilità davanti al paese di dire «sì» o «no» all’indulto.

Auspico che i gruppi dell’opposizione - come ha fatto Alleanza nazionale attraverso il presidente La Russa - si assumano la responsabilità di dire «no» all’indulto senza ricorrere all’ostruzionismo che, in questo caso, significa giocare con le attese dei detenuti (Applausi dei deputati dei gruppi dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.

 

 

 

 

 

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IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, dico subito che siamo contrari alla proposta di sospensione anche di un solo minuto, in quanto - grazie ai colleghi dell’Italia dei Valori - siamo nella condizione di fornire risposta al quesito posto dall’onorevole Casini in ordine a quale sia la motivazione di tale sospensione.

Credo che il contrasto evidente esistente all’interno della maggioranza spinga l’Italia dei Valori a presentare tardivamente una «pezza» che farebbe diventare ancora più arlecchinesca l’intera coloritura di questo provvedimento. Credo cioè che i deputati dell’Italia dei Valori abbiano lecitamente in animo - ma dovevano pensarci prima - che il termine dal quale comincerà a decorrere la possibilità di godere dell’indulto non sia più quello del 2 maggio 2006, ma sia legato alla situazione dei reati passati in giudicato.

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi sembra si stia discutendo di situazioni che ci consentono di denunciare una sorta di gioco delle parti.

Caro onorevole Di Pietro, occorre essere chiari: non è necessario fare ostruzionismo e noi non ne faremo. È necessario consentire che il Parlamento decida liberamente se intende concedere l’indulto o se invece ritenga - come noi riteniamo - che ciò non sia utile allo svuotamento delle carceri, che a nostro avviso, dopo tre mesi, in mancanza di altri seri provvedimenti, si riempirebbero nuovamente. Il tentativo di approvare norme che consentano che gli amici escano dal carcere e che i nemici restino nel carcere non trova alcun accoglimento da parte nostra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di deputati dei gruppi di Forza Italia e dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Ne ha facoltà.

 

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, intervengo per esprimere l’appoggio dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori alla richiesta di sospensione formulata dal presidente Pisicchio.

Ho ascoltato parole, frasi, ma soprattutto toni, che mi sembrano veramente poco pertinenti con l’oggetto della discussione attuale.

Mi è parso di percepire nelle sue parole, onorevole Vito, - lo dico con il massimo rispetto nei suoi confronti - quasi un timore rispetto al fatto che chissà cosa di drammatico questa sospensione possa cambiare negli equilibri di un indulto, che, evidentemente, si ritiene di aver già concordato nei termini e nei contenuti.

Devo dirlo con uguale rispetto: ho sentito negli altri interventi tutta una serie di considerazioni, condivisibili o meno, a seconda dei punti di vista, probabilmente più consone a un contenzioso elettorale, piuttosto che a un confronto parlamentare su un aspetto che mi pare limitato e puramente tecnico, ovvero quello di concedere o meno questo breve termine di riflessione.

Da parte nostra, la chiarezza dei nostri comportamenti e la mancanza di qualsiasi intenzione di accedere ad «accordicchi» e piccole contrattazioni dell’ultimo minuto saranno manifestate, nelle prossime ore, con il nostro comportamento in aula. Il nostro comportamento non avrà nulla di ostruzionistico e, semplicemente, cercherà, attraverso il contributo che ognuno dei deputati del nostro gruppo tenterà di fornire a un dibattito chiaro, articolato e preciso, rispetto a un tema che riteniamo centrale, importante e cruciale per tanti aspetti della vita del nostro paese, di apportare quella dignità e quella ampiezza che merita un simile argomento.

Mi sembrano assolutamente fuori luogo le considerazioni svolte in questa sede nei confronti del ministro di Pietro, ma non credo che egli abbia bisogno di difensori. Per questo motivo, esprimiamo il nostro consenso a questa breve interruzione (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Franceschini. Ne ha facoltà.

 

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, mi pare che, fino ad oggi, siamo

 

 

 

 

 

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riusciti positivamente ad affrontare il tema di un provvedimento di clemenza, che richiede, come sappiamo, la maggioranza dei due terzi dei componenti su ciascun articolo e sul voto finale, tenendo in qualche modo slegato il dibattito politico dal confronto normale tra maggioranza ed opposizione.

Credo che, sulla base del testo approvato dalla Commissione, l’esigenza di dieci minuti o di un quarto d’ora di sospensione per verificare la praticabilità e l’accoglimento di alcuni elementi, che non cambiano la natura del provvedimento - lo dico rispetto a quanto dichiarato dal presidente La Russa -, per quel che riguarda il gruppo dell’Ulivo, non abbia nulla a che vedere con la data rispetto alla quale verrebbe applicato il provvedimento di clemenza.

Credo che tale sospensione sarebbe utile per consentire di raggiungere il quorum dei due terzi dei componenti. Se, invece, prevalesse la volontà di fare apparire all’esterno ciò che è utile, piuttosto che cercare utilmente di concorrere ad una soluzione che metta insieme i due terzi dei componenti di quest’Assemblea, potremmo scegliere un’altra strada.

Siccome mi pare, signor Presidente, anche rispetto agli appelli che lei ci ha rivolto in questi giorni, che sia utile cercare di costruire questa intesa, ritengo sia assolutamente fisiologico e normale dare tempo alla Commissione di riunirsi un quarto d’ora, per vedere se è praticabile una soluzione che ci consenta di raggiungere il quorum previsto (Applausi dei deputati del gruppo de L’Ulivo).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gibelli. Ne ha facoltà.

 

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, io mi rivolgo particolarmente a lei per un invito formale sulla necessità assoluta di garantire il rispetto delle regole che la Camera si è data in questi anni.

Non possiamo accettare che, magari attraverso una votazione dell’Assemblea, si tenti di forzare una condizione politica che vede una componente della maggioranza fare palesemente ostruzionismo rispetto all’attività e alle scelte della propria maggioranza e del proprio Governo. Non vogliamo e, quindi, non accettiamo la possibilità che si interrompano i lavori parlamentari, perché siamo oltre il tempo massimo.

Il tempo richiesto, al di là dei dieci minuti, che non sono importanti in quanto tali, non può diventare un modo per trovare un ulteriore artifizio per la componente capitanata e guidata dal ministro Di Pietro, che chiamo ex ministro, perché non si comprende fino in fondo che cosa intenda dire quando congela le proprie funzioni, visto che ci sono milioni di persone sulle strade che hanno bisogno di un ministro che si occupi di infrastrutture, quando, per questioni di lana caprina, viene qui a fare il primo della classe e a dirci che sta nella maggioranza di Governo, un giorno sì e dieci minuti no, per permettere al Comitato dei nove di intervenire (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!

Perché le chiedo, come hanno già fatto i miei colleghi, di rispettare il regolamento? Perché non vorrei che accadesse che, dopo gli interventi delle numerose persone appartenenti al gruppo dell’Italia dei Valori che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti con una chiara azione ostruzionistica, si giungesse all’applicazione dell’articolo 44 del regolamento. Probabilmente, il ministro Di Pietro è più abituato a Porta a Porta che alle aule del Parlamento...

Signor Presidente Bertinotti, mi rivolgo a lei: non vorrei che, dopo aver visto l’elenco dei colleghi dell’Italia dei Valori che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti per svolgere chiaramente un’azione ostruzionistica, qualcuno, magari seduto vicino all’onorevole Franceschini, chieda l’interruzione della discussione, ai sensi dell’articolo 44 del regolamento. Tale meccanismo consentirebbe di chiudere la discussione e permetterebbe al ministro Di Pietro di affermare di portare

 

 

 

 

 

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avanti la sua azione ostruzionistica sapendo benissimo che ciò non avverrà.

Allora, le chiedo di consentire il proseguimento dei lavori. Questa Assemblea non può accettare di mettere delle «pezze» a tale provvedimento: oggi, si chiede di essere a favore o contro l’indulto. O si sta in questa maggioranza o non si sta in questa maggioranza; e non si può decidere a giorni alterni, come fa qualcuno che nelle piazze grida vergogna rispetto a questo provvedimento, mentre continua a sedersi nei banchi del Governo, facendo finta di niente (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia).

 

PRESIDENTE. Per quanto riguarda la Presidenza, faccio soltanto notare, per evitare polemiche a mio giudizio sovrabbondanti, che il ministro Di Pietro è presente nei banchi del Governo, come è suo diritto, naturalmente senza intervenire nel dibattito.

Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.

 

LUCIO BARANI. Signor Presidente, noi ci rimettiamo alla sua autorevolezza. Lei ha sotto gli occhi il clima di ricatto politico con cui la maggioranza e il Parlamento stanno affrontando un serio atto di giustizia e di responsabilità. L’indulto non può essere una merce di scambio. L’atto di clemenza o di giustizia erga omnes non deve essere barattato con regole ed eccezioni palesemente costruite per coprire o colpire Tizio, Caio e Sempronio.

Il nostro gruppo - Democrazia Cristiana-Partito Socialista - ovviamente è favorevole all’indulto, all’amnistia, ad una completa revisione del sistema carcerario, nonché ad una completa revisione del sistema di giustizia, con la speranza, infine, non tanto recondita, che il ministro Di Pietro mantenga la sua minaccia e vada finalmente a casa. Il motivo che non possiamo nascondere è che proviamo vergogna per il giudizio che l’Europa esprime sul nostro sistema carcerario e sulla nostra giustizia. Non si può portare avanti un ministero da pubblici ministeri. I pubblici ministeri devono fare i pubblici ministeri e non devono stare in questo Parlamento. Egli non può continuare a ricattare il suo gruppo, imponendo ai suoi appartenenti di parlare ad ogni costo, pur sapendo che molti di loro sono a favore dell’indulto. Non sono uomini liberi; è l’Italia dei dis-valori !

 

FEDERICO PALOMBA. Chiedo di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, in questa sede si stanno stravolgendo le regole del gioco. Il presidente Pisicchio ha chiesto legittimamente, a termini di regolamento, la riunione del Comitato dei nove, poiché è data a quest’ultimo organo la possibilità di proporre autonomamente nuovi emendamenti. Il gruppo dell’Italia dei Valori ritiene di dover proporre alla Commissione, attraverso il Comitato dei nove, una seria proposta emendativa: non vediamo niente di stravolgente rispetto a ciò che la Commissione può liberamente e autonomamente decidere. Faccio parte del gruppo dell’Italia dei Valori e voglio dire al collega che mi ha preceduto che mi sento pienamente libero, forse più libero di quanto egli non si senta nel suo gruppo, e non gli permetto minimamente di insultare alcuno dei deputati di questo Parlamento, i quali sono tutti liberi, fino a prova contraria (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori)!

Inoltre, signor Presidente, non ho bisogno di prendere le difese di alcuno. Tuttavia, se l’intervento nei confronti del ministro Di Pietro volesse significare che c’è qualcuno a sovranità politica limitata, questo lo si deve dimenticare! Ad ognuno, tanto più ad un leader di un partito che ha manifestato, e confermato, la piena fiducia alla maggioranza ed al Governo, deve essere consentito di esprimere le sue opinioni e posizioni nel modo da lui ritenuto più opportuno, senza che alcuno possa ergersi a giudice!

 

 

 

 

 

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Raiti, (Commenti), naturalmente sull’ordine dei lavori. Ne ha facoltà.

 

SALVATORE RAITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento il dovere di intervenire, non foss’altro che per puntualizzare, per rispondere ad affermazioni di un collega della Lega che, per il pulpito dal quale provengono...

 

PRESIDENTE. Per favore, vorrei che lei si attenesse all’ordine dei lavori.

 

SALVATORE RAITI. Certo, signor Presidente, mi sto sforzando di seguire un percorso logico per far capire la ragione per la quale chiederò di procedere in un certo modo relativamente all’ordine dei lavori.

Il collega della Lega si è sforzato, in maniera impropria, nel compito di offendere l’attività del ministro delle infrastrutture, quando il gruppo dell’Italia dei Valori, con il suo presidente, non sta conducendo altro che una battaglia politica nella quale non soltanto ci siamo spesi nel corso di questi anni, ma abbiamo chiesto il voto, dapprima durante le primarie e, successivamente, alle elezioni politiche. Non si possono sentire certe affermazioni da parte del collega della Lega, il quale dimentica che, spesso, nel corso nella precedente legislatura, i ministri del suo partito saltavano a piazza Montecitorio al grido di: «Chi non salta italiano è!», offendendo, in tal modo, tutto il popolo italiano (Commenti dei deputati della Lega Nord Padania)!

 

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, ma che ordine è?

 

SALVATORE RAITI. Oggi, si viene ad attaccare un ministro che, nel corso della sua attività istituzionale...

 

PRESIDENTE. Per favore, la prego!

 

SALVATORE RAITI. ...sto arrivando alla conclusione, signor Presidente ... sia per ore sia per qualità di lavoro, ha già svolto più di un mandato rispetto al ministro precedente! Lo dico soltanto per ribadire che noi ci sforziamo di essere (Commenti)...

 

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia! Invito tutti ad avere pazienza e chi parla a concludere.

 

SALVATORE RAITI. Sto arrivando alla conclusione, signor Presidente.

 

PRESIDENTE. Lei sa che, per consuetudine, parla un solo deputato per gruppo, mentre io sto permettendo ulteriori interventi sull’ordine dei lavori, in ragione degli argomenti trattati; però, prego anche lei di favorire la conclusione.

 

SALVATORE RAITI. La ringrazio, signor Presidente: favorirò subito la conclusione.

Dicevo che noi ci sforziamo di essere una forza moderata ed equilibrata. Il contesto nel quale ci muoviamo ci porta a dire che la richiesta di una sospensione di dieci minuti va nella direzione di un ulteriore confronto propositivo, per trovare una strada che ci possa consentire di soddisfare esigenze opposte e che, comunque, come accade nella politica, spesso possono trovare una sintesi. Grazie.

 

PRESIDENTE. Grazie a lei.

Come loro capiscono, siamo ad un passaggio molto delicato, cui corrisponde nel paese un’attesa assai grande. Ho sentito richiami al senso di responsabilità di tutti e debbo dire che da qualunque parte essi vengano mi sembrano assolutamente da accogliere.

Vorrei far notare, tuttavia, che i riferimenti al regolamento mi sembrano francamente difficili da accogliere: come loro sanno, la Commissione ed il Governo possono presentare emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi fino a che sia iniziata la votazione dell’articolo. Dunque, è assai evidente che esiste la facoltà della Commissione, in questo caso del Comitato dei nove, di potersi disporre a tale bisogna.

 

 

 

 

 

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Tuttavia, è stata posta una domanda al presidente Pisicchio: di formulare la motivazione sulla base della quale viene richiesta la sospensione della seduta.

Il presidente ha seguito l’andamento della discussione e credo, quindi, sarebbe utile fare uno sforzo - ma chiedo appunto a lei, presidente Pisicchio, ragguagli in merito a tale possibilità - per poter diluire tale richiesta in un ambito di conoscenze che ne consentano una più precisa motivazione, alla luce della quale eventualmente si possa valutare.

Per tale ragione, le chiedo, presidente Pisicchio - in caso contrario, naturalmente, non potrei che accogliere la sua richiesta - se possibile, di soprassedere alla richiesta medesima, in modo da consentire l’apertura del dibattito sul complesso degli emendamenti e nel caso emergessero, durante il dibattito, ragioni che facessero ritenere a lei ed al Comitato dei nove di necessitare di una rapida valutazione, chiederei a tutta l’Assemblea di accogliere - in tal caso - la richiesta, in modo da consentire - accolta o no che fosse - una prosecuzione ordinaria dei lavori.

Prego, presidente Pisicchio, ha facoltà di parlare.

 

PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, desidererei certamente accogliere il suo invito. Tuttavia, mi permetterò di insistere nella richiesta di sospensione della seduta, per una ragione. Credo che onestamente nessuno dei miei colleghi della Commissione giustizia possa immaginare - o sostenere - di aver visto il presidente della stessa Commissione giustizia in una dimensione diversa dal tentativo di sviluppare un momento di equilibrio e di sottolineatura delle regole che hanno, in modo onesto, trasparente ed assolutamente sgombro da pregiudiziali ideologiche, animato il dibattito nella Commissione medesima.

Qual è stato l’intento di ciò? Quello di arrivare ad una determinazione che fosse davvero comprensiva delle ragioni, altissime e forti, di umanità - ed al tempo stesso di giustizia - che lo stesso tema del provvedimento di clemenza evoca. Questo è il motivo per cui ritengo che, a fronte della richiesta che viene formulata da un gruppo - a questo punto, attraverso una richiesta rivolta al Comitato dei nove - che ha già anticipato di rapportarsi a questo provvedimento con uno spirito collaborativo sì, ma non di rispecchiamento dello schema proposto all’Assemblea, il dovere di un presidente di Commissione, proprio ricorrendo l’obiettivo di un risultato armonioso ed il più possibile coerente con le premesse che hanno così utilmente animato il nostro lavoro in Commissione, sia verificare se è possibile raggiungere l’obiettivo di una convergenza.

La richiesta formulata in Commissione in modo formale dall’onorevole Palomba, quale capogruppo dell’Italia dei Valori, concerne le condizioni di applicabilità dell’indulto. Credo che se fosse già stata accolta la richiesta di sospensione per dieci minuti, a quest’ora avremmo utilmente impiegato il nostro tempo, ma conosciamo bene le procedure parlamentari e l’importanza di questo provvedimento.

In ragione di ciò, signor Presidente, mi permetto di rinnovarle la richiesta della concessione di una pausa.

 

PRESIDENTE. Hanno chiesto la parola i deputati Volontè e Capotosti. Proporrei, in ogni caso, ascoltati i due deputati che hanno chiesto la parola, di concludere la discussione su questo punto.

Prego, deputato Volontè, ha facoltà di parlare.

 

LUCA VOLONTÈ. Presidente, mi consenta. Intervengo solo per chiederle - non so, a questo punto, lei cosa deciderà, se concedere tale pausa subito o alla fine della discussione sulle proposte emendative -, considerata la delicatezza dell’argomento ed anche del momento in cui ci troviamo in quest’aula, in cui vi è un ministro che sulle prime pagine dei giornali dichiara di essersi «autosospeso», di domandare al ministro della giustizia, con tutto il rispetto per il sottosegretario, di essere presente. Ciò perché la presenza del ministro della giustizia possa in qualche

 

 

 

 

 

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modo dimostrare quanto al Governo può essere rappresentato anche in quest’aula rispetto ad un argomento che sulle pagine dei giornali sta a tutti a cuore e poi, invece, in quest’aula, senza niente togliere agli altri ministri presenti, viene però rappresentato dal responsabile del dicastero.

 

PRESIDENTE. Prego, deputato Capotosti, ha facoltà di parlare.

 

GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, con tutto il rispetto per il presidente della Commissione giustizia, come membro del Comitato dei nove ritengo opportuno sostenere le ragioni formulate dalla Presidenza; infatti, ritengo che sarebbe opportuno dare corso alla discussione per poi, laddove emergessero situazioni particolari, provvedere ad una sospensione.

Al momento mi sembra che non ce ne siano i presupposti. A tal proposito vorrei rimarcare che questo provvedimento - come è stato già detto tante volte - è un provvedimento di natura parlamentare e siamo qui per questo.

 

PRESIDENTE. Malgrado la mia sollecitazione, ha chiesto la parola il deputato Lussana. Ne ha facoltà.

 

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, ho chiesto di parlare per intervenire sull’argomento e, chiaramente, per invitare sia lei sia l’Assemblea a non assecondare la richiesta del presidente Pisicchio, la cui cortesia, anche sotto il profilo istituzionale, è ampiamente riconosciuta sia da me personalmente sia dal mio gruppo; però, mi sembra che questa richiesta sia alquanto irrituale come è già stato detto poco fa.

Noi siamo arrivati in aula alle 15 pronti ad entrare nel merito del provvedimento; infatti, siamo in sede di interventi sul complesso degli emendamenti. Alle 14 c’è stata una riunione del Comitato dei nove e in quella riunione nessuno - neanche i rappresentanti del gruppo dell’Italia dei Valori - ha sollevato eccezioni. C’è stata anche un’esplicita richiesta del presidente a fronte del parere negativo su tutti gli emendamenti da parte del relatore di, eventualmente, entrare nel merito nel corso della discussione e di chiedere ulteriori approfondimenti.

Allora qual è il fatto nuovo che dovrebbe far riconvocare il Comitato dei nove, senza essere entrati nella discussione articolo per articolo ed emendamento per emendamento?

Lei, signor Presidente, ha fatto bene a chiedere maggiori chiarimenti al presidente Pisicchio. Che cosa è cambiato se il gruppo Italia dei Valori o il ministro Di Pietro vogliono presentare degli emendamenti nuovi ed aggiuntivi? Potevano farlo prima, potevano presentare la richiesta alle 14 nel Comitato dei nove e non sicuramente adesso; oppure richiamiamo il regolamento: qualunque emendamento nuovo può essere presentato dal relatore o dal Governo. A questo punto intervenga il Governo.

 

PRESIDENTE. Mi sembra che abbiamo sentito tutta la gamma delle opinioni e io stesso ho avanzato una proposta che pensavo potesse tenere conto dell’andamento della discussione in cui tutti gli elementi sono stati sviscerati.

Noi rischiamo, però, di infilarci in una strada senza via di uscita; quindi, formulo, per l’ultima volta, al presidente Pisicchio la domanda: intende mantenere la sua richiesta?

 

PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Sì, signor Presidente.

 

PRESIDENTE. Sospendo pertanto brevemente la seduta per consentire al Comitato dei nove di riunirsi.

 

 

 

La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16,35.

 

 

Preavviso di votazioni elettroniche.

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall’articolo 49, comma 5, del regolamento.

 

 

 

(Ripresa esame dell’articolo unico - A.C. 525-bis ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato D’Elia. Ne ha facoltà...

 

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, chiedo di parlare ai sensi dell’articolo 40 del regolamento.

 

PRESIDENTE. Mi scusi, ma ho dato la parola al deputato D’Elia sul complesso delle proposte emendative.

Prego, deputato D’Elia.

 

ANTONIO BORGHESI. Presidente, è la seconda volta che mi impedisce di parlare! È la seconda volta! Protesto!

 

SERGIO D’ELIA. Signor Presidente, intervengo a nome del gruppo della Rosa nel Pugno, ma non utilizzerò tutto il tempo a nostra disposizione. Evidentemente, non si tratterà di un intervento ostruzionistico. Ritengo che i lavori debbano procedere speditamente in questa fase di discussione del provvedimento, ma credo anche che il dibattito vada onorato essendo la questione molto importante.

Colleghe e colleghi, la disastrosa situazione delle carceri e, più in generale, la non amministrazione della giustizia nel nostro paese costituiscono ormai la prima e principale questione sociale in Italia; questione, è il caso di ricordarlo, per cui lo Stato italiano viene condannato ripetutamente da molti anni per violazione di diritti umani fondamentali. Una situazione di cui - va detto con nettezza - sono responsabili sia le maggioranze sia le opposizioni che si sono succedute, almeno negli ultimi vent’anni, e che ora è giusto sia affrontata con senso di responsabilità sia dalla maggioranza sia dall’opposizione di oggi.

Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali oltre 61 mila detenuti sono ammassati in celle che potrebbero contenerne al massimo 43 mila. Si tratta anche e soprattutto della vita e della dignità di almeno 18 milioni di cittadini italiani. Stiamo parlando del 30 per cento della popolazione italiana in attesa, anche da dieci o quindici anni, di una decisione giudiziaria, essendo parte in causa negli attuali 9 milioni e mezzo di processi pendenti. Per questo, oltre all’indulto, vogliamo sia approvata anche un’amnistia, la più ampia possibile, che possa immediatamente ridurre di almeno un terzo il carico processuale che sta soffocando l’amministrazione della giustizia perché essa possa, liberata dai processi meno gravi, proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi.

Intanto, e a condizione che dopo segua anche l’amnistia, va bene l’indulto, che tuttavia avremmo voluto senza esclusioni, che, se hanno senso nel caso dell’amnistia, che cancella il reato, sono assolutamente ingiustificate per un provvedimento che incide solo sull’entità della pena. Ciò perché chi è stato condannato per un reato grave usufruirà dell’indulto dopo molti - e negli ultimi - anni di espiazione di una pena che si presume commisurata alla gravità del reato commesso. Un indulto non generalizzato come questo equivale, di fatto, ad un ulteriore grado di giudizio che aggrava la pena di chi sta già espiando una condanna pesante, si presume, tanto quanto il fatto commesso.

La proposta di indulto della Rosa nel Pugno era volta a sgravare di almeno un terzo il carico umano che soffre in tutte le sue componenti - non solo i detenuti, ma anche gli operatori penitenziari, gli agenti di polizia penitenziaria, il personale amministrativo - per la condizione disastrosa delle prigioni. Anche se la proposta in discussione non ci appare adeguata a questo obiettivo, comunque la voteremo, tuttavia ci opporremo a tutti gli emendamenti volti a ridurre ulteriormente la portata di

 

 

 

 

 

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un provvedimento già ridotto ai minimi termini; siamo ai livelli dell’indultino di qualche anno fa!

Il fatto che la maggioranza e il Governo, nella scorsa legislatura, abbiano deciso di affrontare alcuni, pochi, aspetti della crisi della giustizia nel nostro paese, sulla spinta di alcuni e pochi casi o interessi individuali, per cui si è parlato giustamente di leggi ad personam, non è una buona ragione per contraccambiare oggi, e specularmente, introducendo nel provvedimento che stiamo discutendo e che affronta un solo aspetto della crisi della giustizia, quello del sistema penitenziario, esclusioni odiose, politiche o addirittura personali. Alle leggi ad personam non possiamo rispondere con le leggi contra personam.

Non possiamo andare avanti così, chiedendoci ogni volta a chi giovi o a chi nuoccia questa o quella legge, questo o quell’articolo, questo o quell’emendamento. Sgombriamo quindi il campo dalla casistica individuale, da antipatie o simpatie personali, ma pure dai travagli da Stato etico, dai «grilli parlanti» giustizialisti e dalla demagogia dei luoghi comuni sulla sicurezza sociale e sulla certezza della pena. Chi ha veramente a cuore il problema della sicurezza sociale sa che la soluzione non sta nella politica propagandistica sulla certezza della pena intesa volgarmente come lo sbattere in cella una persona e buttare via la chiave, ma in quella volta ad affermare la legalità e soprattutto ad aumentare la probabilità che chi ha commesso un delitto sia individuato e ne risponda in un’aula di giustizia.

Se l’80-90 per cento dei reati - sono due milioni e mezzo di reati ogni anno - resta impunito, nel senso che non è stato individuato l’autore, il problema per la sicurezza sociale è soprattutto questo, e non certo quello della certezza della pena. È la certezza dell’arresto e del processo, non l’entità o la durata effettiva della pena, il vero deterrente contro la criminalità. Chi si oppone all’indulto dimentica che in molti casi è il carcere stesso a portare alla commissione di nuovi reati. I dati dicono che, se la percentuale della recidiva è del 75 per cento nei casi di detenuti che scontano per intero la condanna in carcere, questa si abbassa drasticamente al 27 per cento nel caso, ad esempio, dei tossicodipendenti condannati che scontano una parte della condanna in affidamento ai servizi sociali e si abbassa al 12 per cento nel caso di non tossicodipendenti affidati ai servizi sociali. L’indulto, è bene chiarirlo, come l’amnistia, non è un atto di clemenza. È innanzitutto un atto volto al ripristino della legalità e al buon governo di un’emergenza che rischia di divenire irreversibile e di tramutarsi in catastrofe vera e propria dell’amministrazione del carcere e della giustizia.

L’indulto è lo strumento tecnico a disposizione del Parlamento per interrompere e rendere possibile l’uscita da una situazione di flagrante illegalità, nella quale si trova il carcere in Italia: 61 mila detenuti, ristretti - è proprio il caso di dirlo - in spazi che potrebbero contenerne al massimo 43 mila, rappresentano la cifra di questa illegalità. Nelle condizioni attuali del carcere, è la stessa legge penitenziaria a non poter essere applicata. Ricordo che il regolamento penitenziario varato nel 2000 e che doveva entrare in vigore entro il 2005 è rimasto lettera morta. È ridotto il lavoro per i detenuti, sono impossibilitati i corsi professionali in carcere e le attività risocializzanti, tutto lo spazio esistente è adibito a cella e a posto letto, con letti a castello che arrivano ad un palmo dal soffitto e con detenuti costretti a stare sdraiati ventidue ore al giorno e a fare i turni per poter sgranchirsi le gambe o andare in bagno.

Gli operatori penitenziari, gli educatori, gli psicologi, gli assistenti sociali e i magistrati di sorveglianza, che sono le figure chiave per il trattamento finalizzato al reinserimento nella società, non sono in grado di trattare e rieducare, reinserire nella società una popolazione così numerosa, che resta quindi buttata in carcere, come se fosse immondizia. In queste condizioni, non è un caso che in carcere ci si suicidi diciannove volte di più rispetto a

 

 

 

 

 

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fuori. Nel 2005, i suicidi sono stati almeno cinquantasette, senza tener conto di altri ventidue casi di detenuti morti, come si suol dire, per cause non ancora accertate, per cui sono ancora in corso le inchieste della magistratura sui reali motivi del decesso.

Nei primi tre mesi del 2006, si sono tolti la vita almeno quattordici detenuti, mentre altri sei sono morti per malattia, o sarebbe meglio dire a causa di un’assistenza sanitaria disastrata dal taglio di fondi, che sono diminuiti del 20 per cento negli ultimi anni, a fronte invece dell’aumento dei detenuti. L’indulto è uno strumento volto non solo a ripristinare la legalità violata nelle carceri, ma anche a conquistare il tempo necessario per porre mano a tutte le proposte che giacciono nei cassetti, finalizzate ad una riforma delle carceri e della giustizia nel nostro paese.

Colleghi e colleghi, approvando questa legge - intanto sull’indulto, ma subito dopo l’estate approvando anche una legge sull’amnistia -, la Camera dei deputati può dire di avere iniziato a fare la sua parte nella difesa dello Stato di diritto, per la civiltà e l’umanità nelle prigioni e per la riforma della giustizia nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

 

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, siamo chiamati ad adottare un provvedimento in una materia che credo sia forse la più delicata in un sistema di divisione dei poteri. Siamo chiamati cioè ad approvare, per legge, un provvedimento che mette nel nulla una sentenza validamente espressa da una magistratura penale.

Questo è certamente il punto limite e di confine tra il potere legislativo ed il potere giudiziario, per molti versi ancora più significativo di quanto non possa essere un provvedimento di amnistia e, di certo, più importante di una normale disciplina del codice penale. È il primo provvedimento che la Camera dei deputati adotta e che viene definito di clemenza, disciplinata dall’articolo 79 della Costituzione e ripresa dall’articolo 134 del codice penale. Quest’ultimo fa espressamente riferimento all’indulto come causa di estinzione totale o parziale di una pena che sia stata accertata in sede giudiziaria.

Noi avremmo immaginato che questo provvedimento, come peraltro previsto nel programma dell’Unione, sarebbe stato approvato insieme e contestualmente alla riforma del codice penale ed in subordine o, comunque, in armonia con tale riforma. Tuttavia, abbiamo una proposta di un indulto, peraltro senza amnistia, che è in contrasto con le ipotesi che la stessa Unione s’era data come possibile riforma del codice penale.

Si dice che questo provvedimento è necessario per lo svuotamento delle carceri. Noi dell’Italia dei Valori siamo convinti che i provvedimenti di clemenza devono essere applicati, in quanto previsti dalla Costituzione, ma come elemento in armonia e non in disarmonia rispetto al complessivo sistema politico. Tali provvedimenti devono accompagnarsi ad interventi per rendere più umane le condizioni di vita nelle carceri e, soprattutto, non devono disperdere l’obiettivo della rieducazione della pena e dell’umanizzazione delle carceri.

Questo provvedimento, nel testo proposto, a nostro avviso non risponde a tali requisiti, per alcune motivazioni che sono poi alla base di alcune proposte di modifica. Noi siamo, infatti, favorevoli all’approvazione di un provvedimento di clemenza, ma non vogliamo che esso diventi un colpo di spugna non soltanto per i reati già accertati, ma anche per quelli non ancora contestati né accertati.

Il primo elemento di valutazione si basa sulla scelta della data del 2 maggio 2006; i reati commessi entro quel termine beneficeranno dell’indulto. Ciò significa che tale misura rischia di diventare un bonus di impunità per ipotesi non ancora contestate, non ancora accertate e non ancora oggetto di un procedimento penale. Chiunque abbia commesso un illecito penale

 

 

 

 

 

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prima del 2 maggio 2006 sa che, quand’anche venisse sottoposto ad un procedimento penale, fosse condannato o venisse confermata la condanna, potrà, tra tre, quattro o cinque anni, presentare, per così dire, un bonus di impunità in forza di un indulto approvato grazie al voto determinante di quella nuova maggioranza che dovrebbe governare in maniera diversa il nostro paese rispetto al quinquennio precedente.

Il secondo aspetto è il seguente: questo indulto esclude dalla sua applicazione alcuni reati in ragione dell’allarme sociale che procurano, ma non esclude alcune ipotesi da noi, invece, ritenute di grave allarme sociale. Non comprende la previsione di esclusione sottoposta al nostro esame, l’articolo 416-ter del codice penale; ricordo, al riguardo, che l’articolo 416-bis del codice, come è noto, fa riferimento all’associazione mafiosa. Ebbene, l’articolo 416-ter fa invece riferimento al voto di scambio mafioso. Applicando la previsione tenendo conto della data del 2 maggio del 2006, prevedendo, cioè, l’indulto anche per i reati consistenti in voti di scambio mafioso commessi prima di quella data, vale a dire anche con riferimento alle ultime elezioni del 9-10 aprile 2006 (dalle quali è nato questo Parlamento), avremmo la seguente conseguenza. Se vi fosse - certamente non vi sarà - qualche parlamentare che ha stretto un patto scellerato con un capomafia o con un mafioso, egli saprebbe che, se un giorno tale reato gli verrà contestato o verrà accertato o egli verrà condannato per averlo commesso nelle ultime elezioni del 9-10 aprile, potrà esibire un bonus di impunità che gli consentirebbe di non espiare la pena.

Noi riteniamo che tale reato sia di grave allarme sociale; lo è in particolare laddove la data del 2 maggio 2006 è riferita alla commissione del reato, e non all’accertamento dello stesso. Diverso sarebbe se si fossero considerati i reati accertati con sentenze passate in giudicato alla data del 2 maggio 2006: almeno, si sarebbe limitato l’effetto devastante, diseducativo, di incentivo all’illegalità del sistema proposto.

Noi riteniamo che costituiscano grave allarme sociale tutti i reati di cui al capo I e al capo II del titolo II e del titolo III del Libro Secondo del codice penale; in altre parole, i reati contro la pubblica amministrazione e quelli contro l’amministrazione della giustizia. Noi riteniamo che costituisca un reato di grave allarme sociale il peculato e che l’articolo 316-bis - malversazione a danno dello Stato - lo sia ugualmente. Riteniamo che la concussione, così come la corruzione in atti d’ufficio lo siano e che l’articolo 319-ter - corruzione in atti giudiziari - configuri certamente un reato di grave allarme sociale. Ma come si può non pensare che sia di grave allarme sociale l’ipotesi di un magistrato corrotto! Noi non vogliamo che possano avvalersi di tale indulto i magistrati corrotti; l’attuale proposta consente al magistrato corrotto, riconosciuto responsabile di corruzione, di avvalersi dell’indulto così come, ovviamente, anche al corruttore dei magistrati.

Noi riteniamo che le false informazioni rese al pubblico ministero siano un reato di grave allarme sociale e crediamo che lo sia altresì l’avvelenamento delle acque, come l’adulterazione alimentare.

È soltanto un’elencazione; tralascio, peraltro, di citare tutti i reati societari e fiscali. Noi crediamo che sia nel programma dell’Unione il penalizzare nuovamente il falso in bilancio; con questo indulto, sostanzialmente, garantiamo l’impunità a chi si sia reso responsabile di un falso in bilancio, ancorché non ancora accertato - ciò significa anche per il bilancio dell’anno corrente - e ancorché non ancora contestato. E, tra tre o quattro anni, noi avremo la soddisfazione di dire che qualcuno non espierà una pena perché ha ottenuto il bonus, approvato grazie ai voti determinanti dell’Unione.

Credo che tutto questo non sia un buon servizio e ritengo che non cominciamo ad affrontare nel modo migliore i temi della giustizia in questo Parlamento.

È vero, qualcuno può obiettare che vi sono 10 mila detenuti che vivono in condizioni assolutamente disumane e che non dovrebbero restare in carcere; mi permetto

 

 

 

 

 

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di ricordare che si tratta in gran parte di detenuti per reati che per noi non sono di grave allarme sociale, per effetto dell’applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini. Se si vuole risolvere questo problema, basta approvare un articolo unico di depenalizzazione di questi reati e, l’indomani, 10 mila detenuti usciranno dal carcere senza bisogno di mandare un messaggio devastante, che sostanzialmente tiene in sequestro 10 mila persone, per garantire l’impunità presente e futura derivante dalla concessione del bonus di impunità, del quale ho parlato.

Siamo tutti attenti a seguire le vicende della giustizia sportiva e conosceremo questa sera la sorte degli arbitri e degli amministratori di società che hanno contribuito a falsare il sistema del calcio professionistico nel nostro paese; ebbene, noi sappiamo che, approvando questo indulto, Moggi e compari non potranno mai essere condannati per sentenze, perché quand’anche fosse accertata in sede penale la loro responsabilità, quand’anche venissero condannati ad espiare delle pene, queste rientrerebbero tutte per intero nella previsione di questo indulto.

Crediamo che i «furbetti di quartiere», come gli amministratori della Parmalat, che hanno depredato e derubato milioni di risparmiatori, sappiano che, con l’approvazione di questo indulto, non verranno mai sottoposti alle pene previste dall’attuale normativa. Lo stesso vale per i corruttori di magistrati e per i magistrati corrotti.

Riflettete, vi prego, sul senso che questo può avere nei riguardi delle Forze dell’ordine e dei magistrati, che saranno chiamati a svolgere indagini su reati che spesso comportano dei rischi; essi faranno pedinamenti, realizzeranno anche scontri a fuoco, sapendo che il destinatario dei loro provvedimenti ha in tasca un bonus di impunità che potrà spendere e utilizzare in qualunque momento, anche in futuro.

Credo che, con questo provvedimento, se dovesse essere approvato, daremmo un cattivo segnale, relativamente alla nostra concezione della cultura della legalità. I nostri emendamenti mirano invece a correggere l’indulto. In Commissione giustizia abbiamo tentato di invitare alla ragionevolezza, sostenendo di introdurre almeno la data del 2 maggio del 2006 per sentenze di condanna passate in giudicato e di limitare quanto meno l’effetto devastante della clausola di impunità garantita per il futuro, che questo testo finisce per introdurre. Abbiamo detto di escludere perlomeno i reati contro la pubblica amministrazione, i reati di corruzione, di applicare il provvedimento laddove si siano espiati almeno i due terzi della pena; ma sembra che i nostri appelli siano destinati a restare inascoltati. Continueremo ad insistere su questa posizione perché non ci rassegniamo all’idea che un indulto, atto di clemenza, possa essere un cavallo di Troia e possa essere utilizzato, con la scusa di tante migliaia di persone che vivono in drammatiche condizioni nelle carceri, per distribuire scampoli di impunità a personaggi che di tutto hanno bisogno tranne che di un atto di clemenza.

In altri tempi - fatemelo dire -, avremmo visto i responsabili politici nazionali dei partiti dell’Unione in piazza con noi, che siamo stati in tanti a dire «no» a questa vergogna. Vogliamo fare appello alla coerenza di questa Unione, alla coerenza di questa coalizione, alla speranza che abbiamo alimentato nel nostro paese, quando abbiamo detto che con noi si voltava pagina. Con questo provvedimento non si volta pagina. La maggioranza precedente - amici e compagni della nostra maggioranza - non si era mai permessa di presentare all’approvazione del Parlamento un provvedimento come quello che vi accingete a varare.

Con molta forza ripetiamo le nostre ragioni e vi diciamo: fermatevi! Riflettete! La coerenza di oggi vi ripagherà domani.

Noi per cinque anni non accettiamo di essere confusi con coloro i quali si sono prestati ad un patto scellerato che, con la scusa dei due terzi di maggioranza, realizza un risultato che nessuna maggioranza del passato si era mai permessa di ottenere. Quando parlate di questi argomenti, inoltre, fatemi la cortesia di rispettare i laici e chi è credente! Non citate il

 

 

 

 

 

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Santo Padre! Mi rifiuto di pensare che il Santo Padre avesse in testa di operare un colpo di spugna che andasse, magari, a favore di qualche finanziere d’assalto che si trova in qualche isola felice, in qualche paradiso fiscale, e che attende con trepidazione che il Parlamento approvi un provvedimento che lo renda esente da condanne, sia del passato sia future.

Con questi sentimenti, con queste posizioni, noi rivolgiamo un appello forte affinché il Parlamento, realizzando il massimo di unità possibile, possa elaborare un provvedimento di clemenza e non dia invece un colpo di spugna che rappresenterebbe una vergogna per questa istituzione (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gasparri. Ne ha facoltà.

 

MAURIZIO GASPARRI. Deputato Presidente, onorevoli colleghi, ritengo sia più che lecito, in un dibattito che a tratti ha assunto toni quasi da conformismo, esprimere un «no» non a rate o parziale, come quello pronunziato da chi mi ha preceduto, il quale ha detto «no» ad alcune norme ma di fatto «sì» all’indulto, bensì un «no» all’indulto in quanto tale. Questo è l’orientamento prevalente nel nostro gruppo, l’indicazione di voto che proviene da Alleanza Nazionale, oggi più volte ribadita dal presidente del partito, onorevole Gianfranco Fini, e dal presidente del gruppo, onorevole La Russa.

Diciamo ciò anche per distinguerci da un conformismo dei «sì» o dei falsi «no», che sono poi dei «nì». Quando si passerà al voto, mi auguro che chi ora esprime perplessità voti a favore degli identici emendamenti Gasparri 1.6 e Lussana 1.90 (i primi emendamenti che saranno votati dall’Assemblea), con i quali si chiede, senza entrare nei distinguo, la soppressione dell’articolo 1. A questo proposito, il presidente Casini, intervenendo nel corso del dibattito, ha detto che sono preferibili - di ciò gliene diamo atto -, in una differenza di posizione tra il suo e il nostro gruppo, le posizioni contrarie a quelle che fingono di esserlo ma che poi, alla fine, non saranno sufficientemente chiare. Ma ciò, come detto, lo vedremo quando si passerà al voto.

Noi riteniamo anche che si debba manifestare in questa sede la presenza di chi intende tutelare la gente comune. Non siamo insensibili ai problemi delle carceri e alle situazioni di emergenza in essere in quel settore. Avevamo chiesto più volte, anche nel corso delle settimane che hanno preceduto l’approdo in aula del provvedimento, di conoscere le intenzioni del Governo sull’edilizia carceraria, sul diritto penale e sulle pene alternative. Ma il ministro Mastella, al di là di un comizio tenuto a Regina Coeli, non l’abbiamo visto neanche oggi per sapere che cosa intenda fare in tema di giustizia, di edilizia carceraria e di ordinamento penale nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Perché il ministro Mastella non viene qui, in Assemblea, una volta smaltiti i postumi del succulento pranzo o della cena di nozze su cui gli organi di stampa ci hanno deliziato? Complimenti: abiti da 120 mila euro (Commenti)! Chissà che cosa avranno pensato di tutto ciò in carcere! Il ministro Mastella fa ancora in tempo a dirci cosa intenda fare, oltre a tenere, come detto, un comizio a Regina Coeli che abbiamo potuto seguire in televisione.

Colleghi, il mio gruppo non è contrario, ad esempio, ai meccanismi delle sanzioni alternative. Ma in questa sede vi sono parlamentari che, qualche giorno fa - mi riferisco ad un collega della sinistra -, hanno presentato un’interrogazione a risposta immediata per chiedere al Governo se alcune strutture dedite alla lotta alla tossicodipendenza (faccio riferimento alla Comunità Incontro di don Gelmini e alla Comunità di San Patrignano) avessero i requisiti adatti per poter accogliere al loro interno detenuti. Le leggi vigenti consentono, e la legge Giovanardi-Fini ha ampliato questa possibilità, di far uscire dal carcere tossicodipendenti, anche con condanne significative alle spalle, per trasferirsi

 

 

 

 

 

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in comunità che sono sicuramente dei luoghi migliori delle strutture detentive carcerarie.

Alcuni giorni fa, persone che ora sono a favore dell’indulto hanno contestato la possibilità che quelle strutture accolgano detenuti, e il ministro della giustizia ha dato una risposta evasiva, impiegando ventiquattr’ore per dire che le strutture della Comunità Incontro o di San Patrignano possiedano i requisiti per poter svolgere una funzione di grande significato sociale: infatti, i tossicodipendenti che escono dal carcere e vanno nelle comunità fruiscono di misure alternative. Su questo punto, siamo aperti all’ampliamento di tali opportunità, ritenendo infatti che, per taluni reati meno gravi, le sanzioni che possono essere scontate fuori dal carcere (come per i lavori di pubblica utilità o altri ancora) possano essere ragionevolmente allargate.

Un parlamentare di Alleanza Nazionale, il senatore Martinat, ha proposto, ad esempio, laddove occorresse sfoltire le presenze nelle carceri per l’emergenza causata dal sovraffollamento, la realizzazione di strutture meno vigilate e meno protette per coloro che fruiscono del regime di semilibertà, per quei detenuti cioè che passano la giornata fuori dal carcere e che vi tornano soltanto per dormire e che, se volessero fuggire, potrebbero farlo durante il giorno quando sono liberi. Si potrebbe intervenire su tali situazioni non facendoli più dormire in carcere, bensì in altre strutture, utilizzando caserme dismesse e altri immobili con una vigilanza attenuata, trattandosi di persone che non fuggirebbero nella notte potendolo fare durante il giorno, quando sono liberi, se volessero sottrarsi all’esecuzione della parte residua della pena. Vi sono, insomma, strade più efficaci per attenuare l’emergenza esistente nelle carceri a causa del sovraffollamento.

La stessa sinistra, che propone l’indulto e che ha contestato in quest’aula, alcuni giorni fa, coloro che tolgono i ragazzi dal carcere portandoli fuori dai penitenziari e inserendoli nelle comunità, non dice nulla sulle sanzioni alternative e non ha risposto alla nostra sollecitazione affinché le persone che fruiscono della semilibertà possano vederne ampliate le opportunità e sgravare quindi della loro presenza le strutture carcerarie: di tutto questo non si è avuto modo di parlare!

Si vara un provvedimento che porterà, appena approvato, oltre 10 mila detenuti sulle strade. Conosciamo la lunga storia italiana dei provvedimenti sugli indulti: da subito vi sono le scarcerazioni, poi, in un tempo relativamente breve, molte di quelle persone ritornano in carcere per aver commesso nuovi reati. Si tratta di provvedimenti rivelatisi sempre del tutto inutili ed inadeguati: accadrebbe così anche questa volta, se il provvedimento venisse approvato dal Parlamento.

Tra l’altro, voglio richiamare l’attenzione in termini schematici sulla gravità della decisione che il Parlamento potrebbe assumere. Si sta discutendo di alcuni tipi di reati, con distinzioni che sono, francamente, di scarso rilievo.

Con il provvedimento in esame, così come è stato licenziato dalla Commissione, persone che hanno riportato condanne anche fino a nove anni, potrebbero ritrovarsi in libertà se venisse approvato, perché nel corso di un procedimento penale potrebbero essere concesse le attenuanti, con la riduzione da nove a sei anni della condanna, che per la metà, cioè per tre anni, potrebbe essere scontata attraverso l’affidamento ai servizi sociali e quindi non in condizione detentiva. La condanna detentiva di tre anni, per una persona che ha commesso reati per cui sono previste sanzioni fino a nove anni di carcere, può portare alla fruizione dell’indulto in questione. Se si va a verificare quali siano i reati da far rientrare entro tale tetto di condanna, si può constatare come vi siano reati di grave allarme sociale.

Riteniamo dunque che l’approvazione del provvedimento in esame sia un errore, commesso tra l’altro in piena estate, e già possiamo immaginare quante persone potranno, nelle città meno presidiate, riprendere la loro attività predatoria. Il provvedimento in esame finisce con il premiare

 

 

 

 

 

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proprio, ed in particolare, quella criminalità predatoria che è molto preoccupante.

Non voglio entrare nel merito, ma richiamo l’attenzione, tra i vari emendamenti, non numerosi, in particolare sul primo di essi, volto a sopprimere l’articolo 1 della proposta di legge in esame.

Leggevo nei giorni scorsi un’intervista del senatore Brutti, che è responsabile del settore giustizia dei DS, il quale, entrando nel merito del finto dibattito nel centrosinistra sui reati da includere e da escludere, ha affermato che alcuni reati di carattere predatorio (quali rapine, estorsioni o reati collegati ad altre attività criminali) sono ben più allarmanti di altri tipi di reati: Brutti dixit! Lo cito per dire come tutta la discussione su questo o quel reato inventata da un gruppo parlamentare, quasi per farsi una verginità ed una credibilità, abbia poco rilievo.

Devo dare ragione - anche se con qualche fatica, ma è giusto farlo - al senatore Brutti, dei Democratici di Sinistra, quando afferma che le misure in discussione riguardano soprattutto alcuni reati.

Vorrei allora rivolgere al senatore Brutti - e, in maniera immaginaria, a tutto lo schieramento delle forze di sinistra - le seguenti domande: vale la pena scarcerare persone che hanno commesso gravi reati? Vale la pena esporre le nostre città ad un grave pericolo? Vale la pena iniziare l’attività dell’attuale legislatura in questa maniera, con un Governo che si è molto attivato, tramite il suo ministro della giustizia, in tal senso?

Riteniamo che i principi di legge ed ordine debbano essere difesi, e la destra ha il dovere di difenderli, anche in questa stessa Assemblea! È questo il motivo per cui esprimiamo la nostra contrarietà al provvedimento in esame, che molti cittadini potrebbero veder tradotto in un ulteriore aumento della criminalità, dei furti e delle rapine. Con il provvedimento di indulto, in altri termini, si accentuerebbero gli aspetti peggiori della vita delle città!

Crediamo che si debbano combattere senza tregua e senza pietà i fenomeni del terrorismo e della criminalità organizzata; invitiamo anche a non sottovalutare quella criminalità diffusa che colpisce quotidianamente la gente comune. Non dobbiamo sottovalutare, infatti, tale azione di disturbo costante allo svolgimento della vita libera ed ordinata della gente perbene, ed è per tale motivo che questi cittadini vedono nel provvedimento in esame una grave minaccia.

Riteniamo che fare tali affermazioni in Parlamento sia un dovere. Al riguardo, vorrei associarmi a quanto sostenuto dal collega che è precedentemente intervenuto. Noi siamo cattolici, e crediamo quindi giusto considerare gli inviti e le esortazioni provenienti dalla Chiesa. Ricordo che ho avuto l’onore, come tanti altri colleghi, di essere presente in quest’aula quando, nel 2002, il Santo Padre rivolse un appello per l’adozione di un provvedimento di clemenza.

Vorrei pertanto formulare due considerazioni. In primo luogo, ricordo che quell’appello fu parzialmente accolto da un provvedimento importante (il cosiddetto «indultino»), il quale, anche in omaggio a tale forte appello, determinò la liberazione di alcune migliaia di detenuti.

Rivolgendomi soprattutto ad alcuni colleghi della sinistra, vorrei tuttavia osservare che i loro appelli «papisti» sarebbero più credibili se seguissero le indicazioni della Chiesa anche quando si parla di contrasto alla droga, di diritto alla vita e di lotta all’aborto (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Si tratta, infatti, di questioni importanti, ma voi non le prendete affatto in considerazione!

Non si può, pertanto, fare riferimento alla Chiesa quando fa comodo per ignorare, invece, il suo costante richiamo su altre questioni: il Parlamento, dopo - perché siamo qui per assumerci le nostre responsabilità davanti agli elettori -, potrà compiere, in maniera laica, le proprie valutazioni. Esistono, pertanto, mille ragioni per dire «no» al provvedimento in esame!

Ricordo che il nostro gruppo si pronunciò in tal senso quando, il 27 dicembre dello scorso anno, si svolse alla Camera

 

 

 

 

 

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dei deputati un dibattito sollecitato da molti parlamentari. Vorrei evidenziare che numerosi di essi parteciparono al corteo indetto per chiedere al Parlamento di varare un provvedimento di clemenza, ma dopo essere sfilati davanti alle telecamere vennero in questa Assemblea a sostenere il contrario. Anche in tale circostanza, infatti, vi erano questioni di lana caprina, poiché vi era chi voleva approvare l’amnistia, chi voleva l’indulto e chi voleva varare sia l’una sia l’altro!

Rammento che noi mantenemmo una posizione coerente, esprimendo la nostra contrarietà: è una posizione che intendiamo ribadire anche oggi. Mi auguro, pertanto, che si apra una riflessione su tale questione, e non sulla distinzione tra i reati. Vorrei dire al collega Leoluca Orlando di leggersi l’intervista rilasciata dal senatore Brutti, poiché forse ha ragione!

Non voglio giustificare nulla, ma, probabilmente, alcuni reati trovano già una grave sanzione nella perdita di credibilità di chi li ha commessi; alcuni criminali di un certo tipo, invece, possono rinnovare e reiterare i propri comportamenti delittuosi in caso di estorsione, usura, furto e via dicendo.

Ritengo giusto, allora, considerare tale aspetto in maniera ferma ma pacata, rispettando tutte le posizioni esistenti. Tali temi, infatti, suscitano dibattiti e divisioni all’interno degli schieramenti e dei partiti, poiché si tratta di realtà composite che hanno tutto il diritto di discutere. Anche nel mio partito, peraltro, la discussione su tali questioni è costante ed appassionata, e talvolta può incontrare anche toni e sensibilità molto differenziati. Riteniamo, tuttavia, che una posizione chiara e netta debba essere affermata.

Mi rivolgo a quei soggetti che conducono un ostruzionismo che non ho capito a quali obiettivo miri. Non ho compreso, infatti, se esso sia posto in essere per recuperare visibilità, poiché si ritiene sottostimata la loro presenza nel Governo; qualcuno, inoltre, come è stato precedentemente osservato da alcuni colleghi, si autosospende a fasi alterne. Probabilmente, il collega Di Pietro è, nel suo animus, più ministro della giustizia che ministro delle infrastrutture, e dunque, quando emergono alcune questioni, partecipa con maggiore vis polemica alla discussione!

Noi vorremmo conoscere anche la posizione del Governo. È possibile affermare che l’indulto e l’amnistia sono materie che attengono alla coscienza delle singole persone, e quindi è giusto che il Governo non si presenti compatto e unito. Vorrei tuttavia osservare che il vostro programma, che citate numerose volte, si è occupato di tali questioni, e probabilmente Di Pietro, o qualcun altro che lo ha sottoscritto, non se ne è accorto.

Si tratta, allora, di un programma inattendibile, perché, se non lo seguono coloro che lo hanno sostenuto, figuratevi quale considerazione potremmo averne noi che, ovviamente, non lo abbiamo né apprezzato, né condiviso. Riteniamo, soprattutto, che vi sia una carenza assoluta di orientamenti da parte del Governo. Avete rivolto tante critiche al centrodestra che tuttavia, negli anni di Governo, ha registrato una diminuzione del numero dei reati, delle aggravanti per i recidivi. Tanti provvedimenti sono stati criticati, ma alcune norme poi tornarono alla loro accezione originaria, aumentando la funzione nei confronti di chi reitera il reato.

Abbiamo contrastato i fenomeni del terrorismo internazionale e abbiamo contenuto e disciplinato il fenomeno dell’immigrazione clandestina. In questi giorni, notiamo un regresso complessivo sul fronte dell’immigrazione clandestina, attraverso maxisanatorie che tentano di svuotare una legge che non avete la forza, i numeri e la credibilità di modificare.

In ordine al tema della lotta al terrorismo, dimostrate un atteggiamento equivoco, sia per la balbettante politica estera nei confronti dei vari contendenti in Medio Oriente, sia perché un clima politico ambiguo sta facendo moltiplicare pericolose sentenze, come quella che giorni fa, a Bologna - replicando deprecate decisioni di giudici di altre città -, ha scambiato ancora una volta terroristi per guerriglieri,

 

 

 

 

 

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fornendo messaggi assolutamente pericolosi e devastanti (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

Noi giudichiamo i fenomeni nel loro complesso. L’indulto, che libera 10-12 mila persone pronte a commettere nuovamente reati, le maxisanatorie per i clandestini, una giurisprudenza singolare, con riferimento soprattutto ai fenomeni del terrorismo internazionale: vi è dunque un insieme di atteggiamenti che, a nostro avviso, può determinare un abbassamento della guardia di fronte ai fenomeni criminali. Credo che questo sia il problema di fondo.

Per tale motivo, non ci appassiona la diatriba se viene inserito questo o quell’argomento; ciò non si può fare in assoluto! D’altra parte, emanare le leggi contro Tizio o contro Caio ha poco senso.

Pertanto, deputato Presidente, vi è la possibilità di chiudere la questione, se nel paese non si avverte un consenso adeguato a questa misura e se prevedere solo l’indulto, senza l’amnistia, non riesce a risolvere i problemi della giustizia. Alleanza Nazionale è contraria anche all’amnistia che, come qualcuno ha affermato, sarà realizzata successivamente, in questa specie di telenovela a puntate. La conseguenza sarà la presenza di sempre più giudizi pendenti, aule di giustizia ingolfate e un bel po’ di criminali nelle strade.

Per tale motivo, riteniamo vi sia la mancanza di una logica, la mancanza di un disegno, la mancanza di un orientamento. Noi ci proponiamo quale credibile punto di riferimento per la gente che non è d’accordo! Probabilmente - mi auguro di no -, potrebbe capitare di essere in minoranza in quest’aula, ma spero che questa fase di discussione possa servire anche per cambiare i numeri dell’Assemblea di Montecitorio. In ogni caso, sappiamo che nel paese vi sono tante persone che condividono la nostra posizione. La condivide la gente comune, le persone vittime della criminalità e i tanti operatori delle Forze dell’ordine, ai quali vogliamo rinnovare la nostra solidarietà e il nostro apprezzamento. A tali operatori giungono messaggi contraddittori sulla lotta alla droga, all’immigrazione clandestina e alla criminalità. Noi, invece, riteniamo che le Forze dell’ordine avrebbero bisogno di indicazioni, di direttive ben diverse e molto più chiare. E questo senso di resa, che conseguirebbe anche dal provvedimento in discussione, è un qualcosa di pericoloso che va avversato. Sono queste le ragioni per le quali crediamo vi debba essere una forte assunzione di responsabilità.

Voglio dire anche alla cosiddetta Unione, che si rivela sempre più disunita su tanti temi, che non vale neanche il giochetto del «megafonaggio» dalle 9 alle 11 per poi tenere chissà quale atteggiamento, nelle aule, nelle ore successive. Occorre assumersi responsabilità precise e, se si compiono determinate scelte, si va fino in fondo; allora, si vota l’emendamento soppressivo dell’intero articolo e, se poi qualcuno ritiene che aver voluto il provvedimento di indulto non sia accettabile, esce anche dal Governo. Questo Governo dal quale, prima Mastella, poi Di Pietro, poi altri, annunciano di voler uscire. Ci auguriamo che escano tutti insieme e al più presto a seguito di qualche evidente fatto parlamentare che sancisca l’inadeguatezza di questo esecutivo.

Invitiamo, soprattutto, i parlamentari a ricordarsi che fuori da qui c’è un’Italia onesta, che crede nei principi della legge e dell’ordine e che non vuole vedere le città infestate da una nuova ondata di criminalità.

Se poi questo fenomeno, una volta che il Parlamento dovesse malauguratamente assumere questa decisione, si dovesse realizzare, sapremo di chi è la responsabilità. Allora, vi invitiamo, come già è successo in altre occasioni, ad accantonare questo provvedimento, a dire «no» all’indulto e a far prevalere le ragioni della legge e dell’ordine (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Jannone. Ne ha facoltà.

 

GIORGIO JANNONE. Signor Presidente, intervengo in qualità di primo firmatario

 

 

 

 

 

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della proposta di legge, A.C. 372, ossia la prima che trattava questa materia nel nuovo Parlamento.

È scontato, quindi, che il mio parere sia favorevole alla misura dell’indulto. Sono favorevole pur essendo consapevole delle molte conseguenze, anche non positive, che una misura del genere comporta. È chiaro, però, che esistono alcune motivazioni oggettive sulle quali vale la pena soffermarsi.

Innanzitutto, questa misura è richiesta fortemente dal mondo carcerario, inteso nella accezione più ampia del termine, non solo cioè dai detenuti, ovviamente, che sono direttamente coinvolti, ma anche da tutti gli operatori che si trovano a lavorare in un contesto invivibile, dove il sovraffollamento, le condizioni umane, il caldo, le condizioni climatiche ed igieniche raggiungono, soprattutto in questi giorni, un livello inaccettabile.

Credo che si stia vivendo uno stato di necessità emergenziale e, come in tutte le emergenze, un paese, grande come il nostro, civile come il nostro, ha il dovere di intervenire tempestivamente, anche con misure che, talvolta, non possono essere totalmente accettabili sotto il profilo normativo.

Come si conciliano le tante parole spese in quest’aula da molti mesi a questa parte, le posizioni giustizialiste del ministro di Pietro, le scene e le sceneggiate di un ministro, le uscite, le minacce, le assenze, strategiche o tattiche, di alcuni rappresentanti dell’esecutivo, con le condizioni di vita di chi di vive in una cella a 40 gradi, sovraffollata, aspettando da mesi di sapere esattamente il proprio destino? Come si conciliano tutte le parole spese con la situazione che vivono i detenuti, gli operatori delle carceri e anche tutti i familiari che si trovano, loro malgrado, a vivere in queste condizioni?

Io credo che esista il dovere da parte di questo Stato e di questo Parlamento di arrivare celermente, senza tattiche che nascondono contraddizioni politiche, soprattutto all’interno della maggioranza, ad una soluzione il più possibile condivisa.

Se è giusto, infatti, che esistano uno Stato di diritto, la certezza del diritto e la certezza della pena, è ancora più giusto e irrinunciabile che esista la certezza della dignità delle persone. Parliamo, sì, di detenuti, di persone che hanno commesso certamente dei reati e che si sono macchiati di errori, ma parliamo soprattutto di uomini e di donne, che vivono in condizioni oggi davvero inaccettabili a causa della situazione oggettiva delle nostre carceri.

La nostra Carta costituzionale, all’articolo 27, sancisce alcuni obblighi e le finalità che tutti noi sappiamo in questo momento non essere pienamente rispondenti alla realtà. È solo per questo che ritengo che il Parlamento debba intervenire velocemente, senza contraddirsi, senza perdere tempo, senza i tatticismi in questo Governo, senza le contraddizioni di questa maggioranza, cercando una soluzione il più possibile unitaria e condivisa, per fare in modo che tutte le persone - lo ripeto - e tutto il mondo carcerario nella sua accezione più ampia, i detenuti e gli operatori, abbiano una risposta chiara e definitiva.

A più riprese ho sentito in questo dibattito evocare la visita di Giovanni Paolo II in quest’aula.

Come molti di voi, ero tra coloro che hanno vissuto quel momento storico importante ed emotivamente coinvolgente. E, come molti di voi, ero fra coloro che hanno applaudito, quando Papa Giovanni Paolo II ha chiesto un gesto di clemenza. Sapete bene che l’applauso nell’aula di un Parlamento assume un significato preciso: è una presa d’atto, una presa di coscienza ed anche una chiara volontà di consenso. Ricordo bene quel gesto e quell’applauso: in quel momento storico per quest’aula, tutti i gruppi parlamentari, senza alcuna eccezione, hanno preso un preciso impegno.

Onorevole Orlando, non si tratta di chiamare in causa a sproposito il Santo Padre. Probabilmente, le sue parole sono state pronunciate a sproposito, quando con una parentetica del tutto impropria e poco felice ha cercato di distinguere i reati

 

 

 

 

 

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e i protagonisti dei reati. Questo modo di operare nell’ambito della giustizia - ma non solo in tale settore - da parte dell’attuale maggioranza e della passata posizione non è accettabile.

Le leggi non possono essere contra personam, o disegnate per giovare o far del male a qualcuno in particolare. Questo provvedimento, in particolare, riguarda una popolazione molto ampia. Quando il Santo Padre richiamava un gesto di clemenza, certamente si riferiva a tutte le persone. Egli, infatti, faceva riferimento ai diritti, alla dignità di tutte le persone, quella dignità che talvolta voi, pronunciando discorsi ad personam non condivisibili, dimostrate davvero di non rispettare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.

 

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, anche noi avremmo preferito che oggi giungesse in Assemblea un provvedimento di indulto senza restrizioni, così come sottolineato prima dall’onorevole D’Elia della Rosa nel Pugno. L’indulto interviene sulle pene e non già sui reati e, quindi, è abbastanza discutibile che da questo provvedimento vengano escluse alcune tipologie di reato.

Pur tuttavia, voteremo a favore di questo provvedimento e contro gli emendamenti che sono stati presentati. Riteniamo, infatti, che esso sia un punto d’intesa importante e utile, affinché si risponda concretamente ad un’esigenza, in questo momento assai diffusa e profonda, della popolazione carceraria, che è aumentata sempre più, anche a seguito di mancati provvedimenti di amnistia e di indulto, che nel corso degli ultimi anni non sono stati presentati nel nostro paese.

È evidente - e mi pare di cogliere l’essenza politica di questo dibattito - che una parte dell’attuale maggioranza, che fa capo all’onorevole Di Pietro, ricongiungendosi in questo con la posizione più naturale della destra politica italiana, si opponga a questo provvedimento, non già per l’indulto in sé, ma perché esso non esclude quegli stessi reati che l’onorevole Di Pietro ha perseguito per anni come magistrato del pool «mani pulite» e sui quali ha costruito la sua carriera politica.

Egli mi ricorda un vecchio partigiano che vive sempre nel ricordo delle imprese della guerra di liberazione. Per Di Pietro quei ricordi sono rappresentati dalle sue iniziative giudiziarie degli anni Novanta, quando divenne improvvisamente un eroe popolare, forse il più popolare degli italiani. Certo, non può accettare che in questo provvedimento di indulto - e lo capisco bene - non vengano esclusi questi reati. Faccio solo una notazione, non temporale, ma politica: l’ultimo provvedimento di perdono e di amnistia è stato adottato in Italia il 10 aprile 1990, cioè due anni prima che esplodesse la cosiddetta tangentopoli.

L’Italia è priva di provvedimenti di clemenza, di indulto o di amnistia da 16 anni: non era mai avvenuto nella storia del nostro paese, perché la distanza che ha separato un provvedimento di perdono da quello successivo era stata, al massimo, di otto o nove anni. Ad esempio, al decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1970, n. 283, mediante il quale si intervenne nei confronti dei movimenti operai e studenteschi del 1968 e degli episodi di violenza che si erano verificati in Italia, era seguito il decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n. 413 (subito dopo l’assassinio di Aldo Moro e, quindi, in pieno terrorismo), che, ovviamente, escludeva dall’indulto proprio i reati concernenti il terrorismo.

Ebbene, sono passati sedici anni dall’ultimo provvedimento di clemenza della Repubblica italiana. A mio giudizio, ciò è avvenuto perché quella parte di destra che si è installata, diciamo così, nella sinistra, ha culturalmente pervaso larga parte della sinistra italiana: il suo atteggiamento giustizialista, non di garanzia del singolo cittadino, il suo atteggiamento non favorevole a provvedimenti di condono e di amnistia, sanciva l’esistenza di una posizione «pura» della sinistra italiana. Oggi, vorrei che tutti si rendessero conto di

 

 

 

 

 

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come questa congiunzione, o ricongiunzione, della destra politica italiana con l’Italia dei Valori, ed il distacco da tale posizione di gran parte della sinistra italiana, riconsegni quest’ultima, per alcuni aspetti, alla sua tradizione, profondamente segnata dal rispetto dei diritti di tutti i cittadini, delle garanzie costituzionali e della libertà di ognuno di noi.

Con questo mio breve intervento desideravo manifestare l’adesione del mio gruppo al provvedimento di indulto in esame. Speriamo che esso non incontri altri ostruzionismi. Onorevole Di Pietro, in genere, gli ostruzionismi li fa un esponente dell’opposizione, non un ministro di un Governo in carica. Allo stesso modo, in genere, i sit-in li organizzano gli esponenti dell’opposizione parlamentare (quando non sono troppo notabili...), ma non credo che li possa promuovere un ministro in carica se non ha il coraggio di mettere in discussione anche la sua poltrona di ministro. Non si è mai verificato, in Italia, che un ministro protesti con i sit-in davanti al Parlamento della Repubblica e definisca in un certo modo la situazione che vive all’interno del Governo! Scrive Di Pietro: «Non ritiro l’Italia dei Valori dal Governo e sono ostaggio di una situazione che mi fa schifo». Non è linguaggio da ministro della Repubblica! Se proprio la situazione è così - come dice lui - schifosa, dovrebbe risolvere il problema semplicemente presentando una lettera di dimissioni. Ma a questo siamo oggi in Italia! Questa è l’Italia delle contraddizioni e, quindi, non ci stupisce un simile atteggiamento.

Noi voteremo a favore del provvedimento in esame anche per ricongiungerci all’appello che Giovanni Paolo II ci rivolse, in quest’aula, per un atto di clemenza nei confronti del popolo delle carceri. Sono passati troppi anni da allora: ritengo sia giunto il momento di dare una risposta al popolo delle carceri ed anche a quel grande Papa che fu Giovanni Paolo II (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, de La Rosa nel Pugno e dei Popolari-Udeur)!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.

 

ROBERTO COTA. Signor Presidente, con tutto il rispetto, nel condurre il dibattito lei ha parlato, in precedenza, di una forte aspettativa del paese per il provvedimento in esame, ovviamente sottintendendo che si trattava dell’aspettativa nel senso dell’approvazione. Francamente, tutta questa aspettativa non la vedo, signor Presidente! Penso, invece, signor Presidente, colleghi, che questo costituisca uno degli esempi della grande distanza che esiste tra le istituzioni ed i cittadini: noi siamo qui - voi siete qui - per approvare un provvedimento cui è sotteso un vostro interesse. Non sottende l’interesse della maggioranza dei cittadini che, in un bilanciamento di interessi, preferisce l’interesse ad una vita sicura e tranquilla, l’interesse a non rivedere i delinquenti che vengono messi in libertà, perché proprio questo sarà il risultato pratico del provvedimento che state per approvare. E, poi, vi è il contesto nel quale avviene la discussione e l’approvazione del provvedimento stesso, un contesto di grave sofferenza politica di questa maggioranza, un’ulteriore sofferenza dopo le altre che abbiamo già constatato negli altri provvedimenti che, in questi pochi mesi di legislatura, sono stati sottoposti al Parlamento. Oggi assistiamo ad un ministro che si «autosospende». Penso che sia un istituto nuovo nella vita parlamentare e quando un ministro si «autosospende» vuol dire che non vi è più una maggioranza parlamentare, perché i voti del movimento che il ministro Di Pietro rappresenta sono oggi sospesi e congelati e, quindi, dopo le tensioni che abbiamo constatato anche in quest’aula sul provvedimento sulla missione in Afghanistan, vi è una nuova tensione all’interno della maggioranza, che non esiste più virtualmente, per effetto dell’atteggiamento del ministro Di Pietro. Egli parla di «furbetti del quartierino». Penso che sia lui, oggi, il «furbetto» in quest’aula che, con il suo atteggiamento, denuncia un uso strumentale delle istituzioni e della carica di ministro, per portare

 

 

 

 

 

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avanti i propri interessi di carattere eminentemente elettorale.

Ed ancora, vi è l’assenza del ministro della giustizia, Mastella. È molto grave tale assenza, sia perché egli è competente per materia, sia perché noi oggi avremmo voluto conoscere dal ministro stesso i dati sull’impatto di questo provvedimento, per quanto riguarda lo svuotamento delle carceri e per quanto riguarda i rischi, molto alti, di recidiva. Inoltre, il ministro della giustizia, di fronte a questo provvedimento, avrebbe dovuto chiarirci le linee del Governo, considerato che si dice che il provvedimento è necessario perché occorre gestire una situazione esplosiva all’interno delle carceri. Allora, qual è la linea del Governo per gestire questa situazione esplosiva all’interno delle carceri? Realizzare l’indulto, che sappiamo non risolverà il problema, perché abbiamo già i dati dell’«indultino» che ci testimoniano come un terzo di coloro che vengono fatti uscire immediatamente tornano in carcere?

In tale contesto, discutiamo di un provvedimento che vede la Lega fermamente contraria. Noi siamo sempre stati contrari all’indulto, perché riteniamo che il principio della certezza della pena debba essere assolutamente da salvaguardare, nell’interesse dei cittadini comuni. Oggi, se dobbiamo fare un bilanciamento di interessi, dobbiamo far pendere la bilancia a favore della gente comune, a favore delle vittime, a favore degli Abele, non dei Caino. Questa è una posizione che la Lega ha perseguito nel corso di tutta la legislatura precedente, con grande coerenza e grazie all’impegno del ministro Castelli, che non è scappato quando si trattava di prendere una posizione sull’indulto e sull’amnistia! Ed è anche grazie a lui che questo provvedimento non è stato approvato nella scorsa legislatura, garantendo un po’ di sicurezza in più ai nostri cittadini!

Allora, anche illustri studiosi, quando parlano della funzione della pena, affermano che la pena stessa deve avere, sì, una funzione rieducativa, ma essa deve comunque avere una funzione repressiva e preventiva, general preventiva e special preventiva.

Ci stiamo scordando quella che deve essere, anche da un punto di vista giuridico, considerato che in quest’aula tutti si riempiono la bocca con citazioni di dottrina e con principi di carattere giuridico, la funzione principale della pena.

Anche la funzione rieducativa della pena non può coincidere con uno svilimento completo della pena stessa; infatti, se quest’ultima deve avere una funzione rieducativa, comunque non può essere cancellata con un colpo di spugna. La pena deve, comunque, esistere e deve essere scontata.

La Lega voterà contro il provvedimento e per questo motivo ho presentato una serie di emendamenti, non ostruzionistici, che puntano a fare riflettere l’Assemblea su quello che viene approvato. Emendamenti certamente abrogativi, ma anche emendamenti che puntano a ridurre il danno che si crea con l’approvazione di questo provvedimento. Noi puntiamo, ad esempio, ad escludere dalla previsione il reato di omicidio; infatti, oggi si può concedere l’indulto, con il testo che voi andate ad approvare, anche a chi è stato condannato per omicidio, cioè il reato più grave in assoluto. Considerando anche l’impatto molto grave che questo provvedimento ha rispetto ad un fenomeno come quello dell’immigrazione clandestina, che porta a commettere reati, abbiamo, inoltre, presentato alcuni emendamenti in materia; infatti, è inutile nasconderci dietro ad un dito e riempirsi la bocca con il solito buonismo. Il 45 per cento degli ingressi in carcere sono di immigrati clandestini e di extracomunitari e il 33 per cento della popolazione carceraria risponde a questa tipologia. Noi, quindi, stiamo per scarcerare migliaia di persone che non solo hanno commesso dei reati, ma, una volta usciti dal carcere, vivranno in una situazione di illegalità e di irregolarità che è ulteriormente propedeutica alla commissione di altri reati. A questo scopo abbiamo presentato degli emendamenti per

 

 

 

 

 

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fare in modo che gli immigrati clandestini che saranno scarcerati vengano immediatamente rimpatriati.

Tutti gli emendamenti che abbiamo presentato servono a ridurre il danno; così come abbiamo presentato proposte emendative per escludere dall’applicazione dell’indulto alcuni reati che noi riteniamo molto gravi, quali l’omicidio, i reati collegati alla corruzione, alla pubblica amministrazione e ad un allarme sociale diffuso. In questo periodo, ad esempio, stiamo assistendo a numerose rapine all’interno delle ville. Ci sono persone tranquille che vengono minate in uno dei beni più preziosi, cioè la tranquillità della propria esistenza; quindi, riteniamo che questo tipo di criminali non possa uscire impunemente dalle carceri ed è per questo abbiamo presentato un emendamento in tal senso.

La Lega, con coerenza, voterà contro questo provvedimento e non tradirà le aspettative della gente, cioè le aspettative della maggioranza dei cittadini che hanno diritto ad un’esistenza tranquilla; noi siamo per gli interessi dei molti, non per gli interessi dei pochi che, per giunta, non lo meritano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Raiti. Ne ha facoltà.

 

SALVATORE RAITI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, intervenire su questo argomento per uno come me, che è profondamente cattolico, è un po’ difficile. Non v’è dubbio che noi dell’Italia dei Valori non siamo a priori contrari all’indulto, come ha detto qualcuno negli interventi precedenti, che ci ha descritti come giustizialisti, sostenendo che vogliamo continuare nelle aule parlamentari l’attività che qualcuno di noi ha iniziato prima di venire in Parlamento; tutto questo non c’entra nulla con la battaglia parlamentare che oggi stiamo conducendo per portare avanti le nostre ragioni. Anzi, per quanto ci riguarda, siamo assolutamente favorevoli ad atti di clemenza che vadano nella direzione auspicata dalla nostra Costituzione, ma che, nello stesso tempo, tengano conto di quelle che sono le esigenze sociali del nostro paese e, soprattutto, di quello che era il programma dell’Unione che tutti noi abbiamo sottoposto al giudizio degli elettori e sul quale gli elettori ci hanno dato la fiducia per governare questo paese. Noi, su questi principi, siamo assolutamente coerenti e vogliamo continuare ad esserlo, correndo il rischio di venire considerati pedanti. Infatti, crediamo non si possa tradire il mandato elettorale.

In linea di principio, siamo favorevoli ad un atto di clemenza, perché - lo sappiamo bene e lo sanno anche i cittadini italiani -, nel corso di questi anni, lo Stato è stato forte con i deboli e deboli con i forti. Lo Stato, attraverso una serie di atti normativi, ha determinato il sovraffollamento delle carceri, nonché disumane ed inaccettabili condizioni di vita per i detenuti. Vi sono quasi sessantamila carcerati. Ma se consideriamo da chi è composta la popolazione carceraria, ci rendiamo conto che l’assunto di cui parlavo è reale e dobbiamo lottare per modificare lo stato delle cose.

Il provvedimento in esame, purtroppo, non determina quell’inversione di marcia che tutti noi auspicavamo e che abbiamo richiesto, fin dal momento in cui ci siamo presentati alle primarie, quando abbiamo proposto il codice etico composto di 102 punti che si poneva l’obiettivo, appunto, di un inversione di marcia.

Oggi, invece, constatiamo che la popolazione carceraria è composta quasi per il 60 per cento da poveracci (il 27,9 è composto da tossicodipendenti, il 30,7 da immigrati e il 10 per cento da persone che hanno commesso piccolo reati contro il patrimonio); questi soggetti stanno per diventare uno specchietto per le allodole, purtroppo, per portare avanti un percorso intrapreso dal vecchio Governo e dalla vecchia maggioranza. A tutto questo vogliamo dire «no»! Continuiamo a dire «no» e invitiamo i colleghi dell’Unione a riflettere, per cercare di aggiustare il tiro.

 

 

 

 

 

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Sempre più spesso si cerca di indurre a compiere una riflessione che va nella direzione opposta ad una giustizia giusta e celere e ad uno Stato di diritto che sia veramente tale. Al contrario, registriamo una giustizia sempre più diseguale, una giustizia che non riesce a soddisfare in tempi ragionevoli la richiesta di attuazione dei diritti. Vi è un abbandono della legalità, non solo come priorità da perseguire, ma anche come valore fondamentale di riferimento!

Sappiamo anche che questo provvedimento, pur rispondendo all’esigenza di rendere più umane le carceri e di fare uscire i soggetti che hanno compiuto reati di non particolare gravità, non affronta alcuni degli aspetti fondamentali che vorremmo fossero considerati, anche nei riguardi della popolazione carceraria. Sappiamo che, spesso, i soggetti che escono dalle carceri ci tornano presto, perché non esiste una normativa di accompagnamento che preveda la possibilità di reinserirli nella società e di trovare un lavoro che possa evitar loro di tornare a delinquere! Molti di loro ci ricadranno e dopo tre mesi torneranno nelle carceri, così come ci torneranno quei poveri disgraziati che non avranno vitto e alloggio e commetteranno reati per tornare nelle carceri!

A queste esigenze, purtroppo, il provvedimento non risponde e, a nostro avviso, questo fatto è assolutamente grave. Se a ciò si aggiunge che questi poveracci, cui va tutta la nostra solidarietà, così come va alle forze dell’ordine, alla polizia penitenziaria che chiede di essere sollevata da un modo di lavorare insostenibile, diventano solo degli specchietti per le allodole, la cosa diventa ancora più grave! Il provvedimento, infatti, viene esteso ad una serie di altri soggetti cui non poteva e non doveva essere esteso, perché ci siamo impegnati a compiere un’inversione di marcia rispetto a quello che è stato fatto nella precedente legislatura! Questo provvedimento non realizza un’inversione di marcia! Si va invece nella stessa direzione! Questo non lo possiamo accettare! Alle forze dell’Unione chiediamo di modificare tutto ciò!

Infatti, da una esigenza giusta e da un obiettivo giusto non possiamo arrivare ad ottenere un risultato sbagliato che va nella direzione contraria agli impegni assunti nei confronti dei cittadini. Sappiamo bene che, purtroppo, la nostra giustizia ed il nostro processo hanno compiuto alcuni passi all’indietro. Il nostro processo, oggi, sta diventando sempre più un processo di classe, tanto implacabile nei confronti di alcuni strati sociali quanto ineffettivo e declamatorio per altri. I processi sono messi sotto accusa per parzialità o malafede o con minacce ministeriali o con procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Sappiamo bene che, nel corso degli ultimi cinque anni, sono state cambiate le leggi da applicare nel processo. Ciononostante, nel migliore dei casi si è affrontato tutto cercando di considerare che non vi è più l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ma vi sono cittadini - i cosiddetti colletti bianchi, cioè coloro i quali appartengono alle classi sociali più alte - che sono al di fuori della legge, perché non possono essere perseguiti. Costoro hanno avuto a disposizione tutti gli strumenti necessari per evitare di rispondere, come deve accadere in uno Stato giusto ed egualitario, per le loro responsabilità in maniera seria ed equilibrata. Questo è accaduto nel corso degli ultimi cinque anni. Come se non bastasse, questo provvedimento mira a garantire ad essi, ancora una volta, la totale impunità anche per il futuro. Infatti, si applicherà anche a coloro che hanno commesso reati fino al 2 maggio 2006 e potranno essere condannati negli anni a venire. Oltre a depotenziare l’attività dei magistrati, non facciamo ciò che sarebbe giusto fare, cioè alleggerire il peso dei fascicoli processuali. In virtù di questo provvedimento, infatti, i magistrati lavoreranno sapendo che, spesso, le loro sentenze e gli sforzi compiuti non porteranno ad alcuna pena certa ed effettiva. Questo non possiamo tollerarlo!

Allo stesso modo, non possiamo tollerare che il provvedimento preveda l’esenzione dall’applicazione anche delle pene accessorie. Questo è un fatto gravissimo! Mi rivolgo soprattutto ai colleghi dell’Unione,

 

 

 

 

 

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ricordando che la nostra Costituzione e i principi del nostro ordinamento processuale affermano che l’indulto non si applica alle pene accessorie. Invece, questo provvedimento si estende anche a queste ultime. Come tutti sapete, si tratta di quelle pene che hanno, soprattutto, finalità rieducativa e sono applicate a quei soggetti che, pur non andando in carcere, devono pagare una sanzione che, spesso, risulta essere più onerosa della stessa detenzione, soprattutto per i cosiddetti colletti bianchi o per coloro che appartengono ai ceti sociali più alti. Questa esigenza, prevista dalla nostra Costituzione, voi pensate che non debba essere rispettata, con questo provvedimento. In tal modo, quindi, si concede una impunità totale!

Ma c’è un fatto ancora più grave. L’articolo 151 del codice penale prevede che generalmente sono esclusi dall’applicazione dell’indulto coloro che commettono reati abitualmente o professionalmente: ebbene, si è previsto che questo provvedimento si possa applicare anche a tali soggetti. Quindi, non solo il danno ma anche la beffa: si applica ai cosiddetti colletti bianchi e si estende anche alle pene accessorie e a coloro cui sarebbe inapplicabile in virtù dell’articolo 151 del codice penale!

Questi sono fatti gravi per i quali non possiamo accettare di esprimere un voto favorevole su questo provvedimento; questi sono fatti gravi che ci inducono a combattere una battaglia parlamentare seria e determinata. Vogliamo far valere le nostre ragioni, che credo siano le ragioni della maggioranza degli italiani. Vogliamo essere assolutamente consequenziali con gli impegni assunti nel corso della campagna elettorale e in occasione delle primarie. Noi di questo facciamo una questione vitale perché ne va della serietà della politica. Invitiamo i colleghi dell’Unione che la pensano allo stesso modo - so che sono numerosi - a cercare di correggere il tiro. Dobbiamo mandare un segnale serio. Nel corso della campagna elettorale avevamo affermato che questo sarebbe stato il Governo della serietà e dell’equità. Della serietà e dell’equità dobbiamo fare un impegno preciso. Dobbiamo essere determinati, fino in fondo, soprattutto in questo caso (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori)!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.

 

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi deputati, come hanno già puntualizzato i colleghi dell’Italia dei Valori che mi hanno preceduto, noi non siamo pregiudizialmente contrari ad un provvedimento di clemenza, anche se riteniamo che il ricorso ai benefici clemenziali intesi come modalità per ridurre il sovraffollamento degli istituti carcerari non solo non costituisca la migliore soluzione del problema, ma neppure costituisca una soluzione del problema. Il regolare avvicendarsi di indulti ed indultini in questi ultimi decenni ha dimostrato quanto sia stata impropria ed anzi spesso assolutamente deleteria la scelta di voler risolvere i problemi delle condizioni di vita della popolazione carceraria con un atto di clemenza.

Non devo essere io a ricordare rimedi tanto scontati quanto efficaci per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri che ormai tutti conosciamo, ma per coerenza con quanto sempre sostenuto dall’Italia dei Valori devo piuttosto rivolgermi a voi tutti, deputati colleghi, per invitarvi a svolgere alcune riflessioni. La convinzione dell’inadeguatezza dell’atto di clemenza è suffragata dalla maggior parte dei giuristi. Nel nostro paese si è fatto e si continua a fare un grande abuso dell’amnistia e dell’indulto, che fioriscono per le ragioni più o meno demagogiche, celebrative ed elettoralistiche, neppure dissimulate, di alleggerire spesso in modo effimero il carico della giustizia o come pessimo surrogato di mancate riforme penali o processuali o come depenalizzazione surrettizia, sempre con la solenne promessa che sarà l’ultima.

Ciò determina uno svilimento dell’autorità dello Stato ed una diminuzione della forza della legge penale. Vanifica gli sforzi

 

 

 

 

 

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della polizia e della magistratura. Comporta un prolungamento artificioso dei processi, in attesa dell’immancabile provvedimento clemenziale, ed un aumento del numero dei delinquenti in libertà, senza alcun previo accertamento sulla loro pericolosità e con non infrequenti recidivismi, anche efferati, a breve scadenza. Il valore criminogeno dei provvedimenti di clemenza è comprovato dall’aumento degli indici di criminalità, che sempre segue la loro concessione. Queste considerazioni, colleghi deputati, sono testualmente contenute in uno dei manuali di diritto penale più autorevoli e diffusi nelle nostre università e dunque più approfonditi dai giovani e dagli operatori del diritto di domani.

Anche l’incremento degli indici di criminalità, che segue sempre la loro concessione, è provato documentalmente. Dal 2002 al 2003 i reati erano in diminuzione, da 211 mila a 204 mila. Nel 2004, dopo l’approvazione di un indulto, i reati sono aumentati sino a 215 mila e sino a 225 mila nel 2005. Questo è quanto avvenne anche negli anni successivi alle amnistie del 1978, del 1986 e del 1990. Addirittura in quest’ultimo caso, nel 1991, i reati aumentarono del 41 per cento. A sostegno dell’effetto impunità vi sono dati che mostrano la stessa tendenza anche al di fuori del nostro paese. In Spagna ad esempio, dopo l’indulto del 2000 a favore di 1.500 persone, nel 2001 la popolazione carceraria in un solo anno aumentò di ben 1.200 unità rispetto all’anno precedente. Ciò dimostra che dopo ogni provvedimento di clemenza le carceri si riempiono nuovamente, in maniera maggiore, creando un circolo vizioso che finisce con il danneggiare proprio i nostri detenuti.

In passato questi errori sono stati già commessi. Al sovraffollamento delle carceri si rispondeva con l’indulto, fino ad aspettare che le carceri si riempissero nuovamente ed altri detenuti morissero per le condizioni igienico-sanitarie disumane, per poi risolvere nuovamente il problema con un nuovo indulto. Su questo è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 175 del 1971, con la quale le Camere furono invitate ad un uso più ponderato degli atti di clemenza. Ciò condusse nel 1991 alla riforma dell’articolo 79 della Costituzione che, volta a frenare gli abusi delle Camere, stabilì che la legge di delegificazione dovesse essere approvata con la maggioranza dei due terzi.

Ebbene, colleghi deputati, queste considerazioni oggettive avrebbero consentito a noi dell’Italia dei Valori di argomentare fondatamente una posizione di totale contrarietà ad un qualsivoglia provvedimento di clemenza, ma ciononostante, muovendo proprio dalla constatazione della reale attuale insostenibilità della situazione di sovraffollamento delle carceri, abbiamo deciso di aprirci al confronto, convinti che - a titolo di solo esempio e non in modo esaustivo - nel centrosinistra non si sarebbe mai rinnegato l’impegno assunto nella precedente legislatura contro la legge sul legittimo sospetto, che ha determinato la sospensione e con essa l’allungamento dei tempi di definizione dei processi.

Nel centrosinistra non si sarebbe mai rinnegato l’impegno assunto nella precedente legislatura contro l’ex Cirielli che ha modificato, in termini negativi per il funzionamento della giustizia, i tempi di prescrizione dei reati, inclusi quelli relativi ai reati societari, finanziari, contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia; non si sarebbe rinnegato l’impegno contro la depenalizzazione del falso in bilancio, che ha consentito in molti casi l’inflazione della sola sanzione amministrativa, né l’impegno contro le iniziative legislative che hanno svilito e svuotato le funzioni proprie del pubblico ministero.

Era l’impegno, colleghi deputati, di tutto il centrosinistra che voleva che i reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia fossero perseguiti e puniti. Era l’impegno di un centrosinistra che voleva che i reati societari che avevano messo in ginocchio decine di migliaia di risparmiatori fossero perseguiti e puniti; era l’impegno di tutto il centrosinistra che voleva che i reati di natura fiscale e finanziaria, quelli commessi dagli speculatori e dai grandi evasori,

 

 

 

 

 

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che irresponsabilmente scaricano i costi di un funzionamento devastato sui ceti più deboli, fossero perseguiti e puniti.

Questi sono reati che hanno come vittime non una o due o tre persone, ma che incidono direttamente sull’intero apparato economico statale ovvero sull’insieme degli organi e delle attività direttamente preordinati al concreto perseguimento degli scopi considerati di pubblico interesse in una collettività statale. Nei reati contro la pubblica amministrazione, l’oggetto giuridico è il regolare funzionamento, nonché il prestigio degli enti pubblici e dei soggetti che ad essi appartengono; nei reati finanziari e societari ad essere mortificati sono gli interessi dei creditori e dei consumatori e della collettività tutta, intere categorie di soggetti, lavoratori, piccoli risparmiatori e giovani che si accingono, con non pochi giustificati timori, ad entrare nell’universo lavorativo. Vengono altresì mortificate le condizioni e la qualità di vita quotidiana della maggior parte degli italiani. È inaccettabile includere anche le categorie di reati con i quali gli ex responsabili della Parmalat e dei vari crack ed i «furbetti del quartierino» hanno messo in ginocchio, a terra, un milione di famiglie.

Questi obiettivi, contenuti negli emendamenti presentati dall’Italia dei Valori, hanno unito per cinque anni il centrosinistra quando era opposizione ed incredibilmente lo dividono oggi che è maggioranza. È questo l’aspetto più sconcertante della questione, il quale non riusciamo davvero a comprendere o che forse comprendiamo troppo bene: esso rinnega in un solo giorno anni di impegno politico, parlamentare e sociale del centrosinistra e di tanti italiani che in quel centrosinistra vorrebbero continuare a credere. La nostra è quindi l’unica posizione possibile, coerente con le indicazioni programmatiche dell’Unione rispetto alla possibilità di adottare provvedimenti di clemenza, ma coerente anche con anni d’impegno politico e sociale di partiti e di cittadini impegnati contro il tentativo del precedente Governo di una vera e propria demolizione del sistema giudiziario.

Nessuno potrà, infine, obiettare che l’accoglimento degli emendamenti dell’Italia dei Valori vanificherebbe gli obiettivi attuali del provvedimento di clemenza in discussione. Sappiamo infatti, sulla base di informazioni ufficiali fornite dal Ministero, che sarebbero poco più di sessanta i detenuti che non beneficerebbero della scarcerazione, un numero davvero privo di ogni rilevanza rispetto alla complessiva portata del provvedimento all’esame della Camera.

Non esiste, quindi, alcuna ragione logica e soprattutto spiegabile dignitosamente agli elettori dell’Unione, per non sostenere gli emendamenti che recepiscono queste indicazioni e per impedire che vengano approvati: con essi, passerebbe anche la concessione di un indulto che conserva intatta tutta la sua efficacia rispetto all’immediata soluzione, auspicata da tutti, del sovraffollamento delle carceri (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Palomba. Ne ha facoltà.

 

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, anzitutto mi consenta di ringraziarla perché si è rivolto a me con l’appellativo di deputato; preferisco, infatti, non essere chiamato onorevole. Se sarò onorevole, lo diranno gli altri, e probabilmente alla fine della legislatura.

Questa non è la Camera degli onorevoli: è la Camera dei deputati, ed io sono orgoglioso di farne parte. Quindi, vorrei che la Presidenza sempre si rivolgesse a me - non agli altri che desiderano ed hanno bisogno di essere chiamati «onorevoli» dal Presidente - come deputato (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

 

PRESIDENTE. Colleghi...

 

FEDERICO PALOMBA. La ringrazio, Presidente. Speravo così, se possibile, di portare una nota di sdrammatizzazione nella trattazione di un tema di tale straordinaria importanza.

 

 

 

 

 

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Non ripeterò quanto già dichiarato dai colleghi dell’Italia dei valori; la nostra posizione è nota: io l’ho illustrata in Commissione giustizia e, in questa sede, i colleghi che mi hanno preceduto l’hanno ribadita con molta nettezza. Mi limiterò perciò a riassumerla con poche parole.

Noi non siamo insensibili alle esigenze della popolazione carceraria: rifiutiamo di essere messi all’angolo, tacciati di insensibilità nei confronti delle sofferenze di tanti detenuti. Vorrei ricordare che noi abbiamo presentato una proposta emendativa per dare un assegno di reinserimento ai tanti «poveracci» che l’indulto scarcererà e che torneranno sulla strada senza avere, probabilmente, la possibilità di reinserirsi; noi, inoltre, per nostra sensibilità, abbiamo previsto un fondo a favore del consiglio di aiuto sociale per l’indennizzo alle vittime del reato. Non abbiamo scorto analoga sensibilità in chi ha proposto il testo in esame.

Noi, quindi, siamo favorevoli, in una situazione di emergenza, ad un provvedimento che allevi la situazione delle carceri; però, a tale proposito, ho bisogno di fare una precisazione. Non accettiamo l’idea che nelle carceri si viva una situazione di illegalità perché, se così fosse, coerenza vorrebbe che l’indulto non fosse limitato alla misura di tre anni ma giungesse sino a cinque, dieci o venti anni, fino, cioè, a scarcerare tutti. Non possiamo sostenere che noi ripariamo dall’illegalità soltanto 10 mila persone che stanno nelle carceri mentre tolleriamo che tutte le altre vi restino. In secondo luogo, non accettiamo l’idea che, per eliminare una supposta illegalità presente nelle carceri, si faccia ricorso ad un’altra illegalità, ovvero non si applichino le leggi che esistono, banalizzando la regola sociale e decretando, in fondo, una resa dello Stato. Neppure accettiamo che a tale presunta illegalità si risponda con la scarcerazione dei detenuti senza intervenire, invece, sulle ragioni strutturali della sofferenza degli stessi.

Allora, non siamo contrari ad un indulto; piuttosto, siamo contrari ad un provvedimento che, sotto il pretesto di venire incontro alle esigenze di tanti «poveracci», nella realtà si rivolge a tanti potenti i quali la fanno sempre franca; e tale indulto sarà un’occasione attraverso la quale essi, ancora una volta, la faranno franca.

Perciò, forse in maniera non del tutto rituale - ma nella speranza di trovare un punto di mediazione -, abbiamo proposto alla Commissione giustizia, attraverso il Comitato dei nove, di presentare un proprio emendamento volto ad introdurre, lasciando intatta la data del periodo di decorrenza dell’indulto, una modifica che sostituisse, al riferimento ai «reati commessi», quello ai reati per i quali fosse intervenuta una sentenza definitiva di condanna. In tal modo, a noi pareva di valorizzare un’esigenza di chiarezza facendo in modo che l’indulto fosse rivolto alle situazioni già conclamate e non avesse invece un effetto devastante e nefasto sulle tante inchieste che si stanno svolgendo, sui tanti scandali che hanno angosciato la società italiana, devastando le nostre istituzioni e gettando sul lastrico tante gente. Possiamo immaginare con quale entusiasmo gli inquirenti continueranno a fare le loro indagini, sapendo che dal Parlamento viene un messaggio di sostanziale disinteresse per il perseguimento di questo tipo di reati. Si sta verificando questo. All’esterno, quello che si sta per fare in quest’aula potrebbe essere percepito come un rumore sordo di straordinaria «lavanderia» parlamentare.

Abbiamo proposto agli alleati dell’Unione che si evitasse di mettere in discussione immediatamente l’indulto e che si accettasse il criterio previsto nel programma dell’Unione, per cui l’indulto doveva essere necessariamente accompagnato da una serie di interventi di carattere normativo, legislativo - a cominciare dalla riforma del codice -, che fossero capaci di incidere strutturalmente sulle ragioni del sovraffollamento penitenziario.

Abbiamo anche detto che stavamo elaborando una proposta di legge (oggi atto Camera 1392) che prevede l’abrogazione di alcune leggi che forniscono un gettito straordinario al carcere. Come valutiamo i

 

 

 

 

 

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10 mila detenuti che entrano nelle carceri in conseguenza della cosiddetta legge Bossi-Fini sull’immigrazione? Quella è una legge iniqua, che manda in carcere persone nei confronti delle quali era prevista una pena minore dell’arresto e nei confronti delle quali si potrebbe intervenire con strumenti amministrativi. Come è valutabile in termini di deflazione carceraria il fatto che in carcere tante persone non entrino? Probabilmente, questi soli provvedimenti, insieme ad altri - come l’abrogazione della cosiddetta legge Fini-Giovanardi, che proponiamo, o dell’ex Cirielli, che prevede un meccanismo perverso di aumento della recidiva -, avrebbero avuto lo stesso effetto deflativo, perché avrebbero avuto immediata attuazione. Non solo, ma abbiamo proposto anche una serie di interventi alternativi alla pena detentiva. In ogni caso, pensavamo che una serie di interventi contestuali all’approvazione o alla presa in esame dell’indulto avrebbero potuto avere gli stessi effetti.

Questa nostra richiesta non è stata accolta; non ne capiamo la ragione, così come non capiamo la ragione per la quale, insieme ad altri partiti dell’Unione, nella scorsa legislatura abbiamo condotto una battaglia straordinaria contro alcune di quelle che noi consideravamo deviazioni rispetto alla legalità. Mi riferisco prima di tutto alle leggi ad personam, in secondo luogo all’approvazione di leggi inique che mandavano ingiustamente in carcere le persone. Abbiamo fatto delle battaglie contro chi non prevedeva rimedi per la situazione carceraria, e in conseguenza di queste battaglie, Presidente, noi dell’Unione ci siamo presentati all’elettorato e abbiamo chiesto i voti per sconfiggere questa cultura, per voltare finalmente pagina.

Ecco perché non comprendiamo il motivo per il quale i nostri amici alleati dell’Unione, invece di continuare lungo la strada della coerenza, della linearità, della legalità, che fino alle elezioni insieme a noi hanno percorso, oggi abbiano preferito trovare un’alleanza con quelle stesse forze che ieri hanno combattuto e che sono le maggiori responsabili di quelle leggi vergogna, di quelle leggi che hanno mandato in carcere tanta gente che non ci voleva andare. Ecco perché siamo contrari ad un indulto fatto in questo modo.

Presidente, non riusciamo a capire francamente la ragione di un provvedimento che, con il pretesto di pensare ai poveri disgraziati, in realtà pensa a condonare e ad avvantaggiare una serie di persone che si sono rese responsabili del malaffare in Italia o che comunque sono per questo indagate. Presidente, noi non abbiamo sentito - o non l’abbiamo letto - nelle parole di Giovanni Paolo II quali siano i reati da includere e quelli da escludere dal condono. Questo è un compito che spetta a noi; è una nostra responsabilità politica.

Non accettiamo l’idea secondo cui noi stiamo conducendo una battaglia contro qualcuno. Non l’accettiamo nella stessa misura in cui noi potremmo dire che questo provvedimento di indulto potrebbe rappresentare la continuazione delle leggi ad personam, cioè la continuazione di una cultura di produzione legislativa fatta per beneficare i soliti potenti, i quali non hanno mai scontato un giorno di carcere e, probabilmente, non lo sconteranno mai, grazie anche a questo provvedimento. È proprio per questo che noi siamo abbastanza sconvolti dal patto che è stato fatto. Ci viene detto che, senza questo patto, l’indulto non si fa. Ebbene, noi pensiamo che la coerenza valga molto di più di qualunque altra cosa. Pensiamo che altri interventi e altri provvedimenti normativi avrebbero potuto avere lo stesso risultato pratico dell’indulto. Non averli voluti è un fatto per noi abbastanza incomprensibile e ci fa capire che dobbiamo vigilare sull’attuazione del programma dell’Unione. Non è possibile, infatti, fare strappi come quelli che ci sono stati in questo caso.

Per tutti questi motivi, noi abbiamo condotto, senza alcuna volontà ostruzionistica, una limpida battaglia in Parlamento e nelle piazze, sia per annunciare all’opinione pubblica la nostra posizione favorevole alla scarcerazione di tanti poveri disgraziati, sia per dire con limpidezza

 

 

 

 

 

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che siamo coerenti ai programmi con i quali ci siamo presentati in campagna elettorale e, conseguentemente, non siamo disposti ad accettare un’ennesima legge ad personam che preveda l’inclusione, nel beneficio dell’indulto, di tante categorie di persone che riteniamo non ne debbano beneficiare (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.

 

GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un’Assemblea ormai fin troppo stanca perché provata da tante ore di dibattito e con un grado di attenzione che raggiunge i livelli più bassi, ho ritenuto comunque di intervenire in quanto penso che sul tema che stiamo trattando sia obbligatorio svolgere alcune considerazioni.

Vi è, a mio avviso, innanzitutto un equivoco di fondo che ha guidato questo dibattito e che, quindi, andrebbe dissipato con forza. Mi riferisco al fatto che l’argomento che ci occupa possa essere oggetto, bandiera e riferimento di una parte politica in contrapposizione ad un’altra; come se la questione dell’indulto potesse appartenere ad una sorta di ben identificata maggioranza, tale per cui persino la stessa sorte del Governo, in particolare la sua capacità di coesione e di omogeneità, fosse legata all’esito che all’interno del Parlamento si avrà a seguito della deliberazione che l’Assemblea assumerà.

Credo che la materia che trattiamo sia precipuamente, se non esclusivamente, una competenza del Parlamento e non del Governo. E su questa materia, prima ancora che i partiti, sono le coscienze a doversi confrontare e manifestare.

Colleghi, sono sempre stato convinto che la nostra civiltà sia in realtà figlia di una storia plurimillenaria. Proprio per questa ragione, in questo momento e in questo luogo, voglio ricordare, a me stesso per primo ma anche a voi, che siamo figli della civiltà romana che ha dato fondamento ai principi della cultura giuridica, che a loro volta hanno informato di sé tutti gli ordinamenti degli Stati del mondo: una cultura giuridica antica che riconosceva come parte della sua essenza l’atto di clemenza. I romani governarono il mondo non solo perché lo conquistarono con le armi, ma anche perché riuscirono a metabolizzare le culture dei popoli che assoggettavano, trasferendo in quelle culture anche parte della propria essenza, della propria stessa cultura, e ritornando, subito dopo l’evento bellico, ad essere il popolo civile capace di esercitare la funzione di governo. È questo il punto, e cioé che uno Stato forte in un paese libero, autenticamente democratico, non può avere paura di compiere atti di clemenza, perché, qualora ciò si verifichi, tale Stato non è completamente libero, se non altro da quella stessa paura cui ho accennato.

La verità è che qui si fronteggiano essenzialmente due culture. Il collega Del Bue, in qualche modo, precedendomi con il suo intervento poc’anzi, ha cercato di farlo intendere. Sono la cultura di chi crede in una giustizia che possa essere amministrata solo con atti di assoluta severità e quella, più moderata, di chi crede che la giustizia possa anche contemplare il riconoscimento della capacità di redenzione dell’individuo. È, prima di tutto, un problema di cultura laica, ma, proprio perché qui qualcuno ha evocato il cattolicesimo e la propria appartenenza a tale fede religiosa, alla quale anch’io appartengo, è anche un fondamento al quale noi credenti cattolici non possiamo rinunciare, se non altro in virtù, non della visita del Santo Padre in quest’aula (che storicizzata come lo è stata ha il valore che ha), ma di quella preghiera che noi credenti recitiamo e nella quale ricordiamo di avere il dovere di rimettere i peccati nei confronti dei debitori. Questo modo di concepire la vita, di approcciarsi anche all’attività pubblica, non può essere disconosciuto dai credenti e dai cattolici: non vi sono mediazioni su questo! Nessun credente può fare mediazioni su questo!

L’ho detto in altre circostanze a proposito della violenza e della guerra, l’ho detto anche durante la discussione molto ampia che si è svolta riguardo alla presenza

 

 

 

 

 

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in quest’aula di alcuni parlamentari che avevano avuto problemi con la giustizia.

Il fronteggiarsi delle due culture si trascina ormai da molto tempo, pervade i due massimi schieramenti in campo nel nostro paese, ed in realtà pone questioni che non siamo capaci, ancora una volta, di risolvere.

In verità, il tema dell’indulto pone anche altre questioni, come ad esempio quella della giustizia ammalata, che non vogliamo, che non riusciamo a sanare. Ciò perché, straordinariamente, in un paese dove tutto è stato messo in discussione, nel quale molto spesso sento parlare di seconda Repubblica e dove non vi è organizzazione politica, sociale e culturale che non abbia pagato un prezzo all’esigenza della verità e del cambiamento, esiste una casta di soggetti che sta al di sopra ed al di fuori di ogni giudizio, e nessuno ha il potere di interferire con tale sfera senza temere di venire accusato di essere contro non tale casta, ma questa associazione di «giusti» che cercano di difendere lo Stato contro tutto e contro tutti.

Non è così. Lo Stato, infatti, è un complesso di elementi non solo positivi, ma anche negativi, e noi, in questa sede, rappresentiamo la realtà composita del paese, in ogni sua espressione. Non ci sono «puri»: se noi fossimo semplicemente una turris eburnea e credessimo seriamente che tutto ciò sia vero, allora saremmo al di fuori da ogni verità e da ogni realtà.

Noi dobbiamo compiere questo gesto di clemenza e dobbiamo farlo per una ragione laica, vera ed autentica. Dobbiamo realizzarlo non per la condizione «disumana» in cui si trovano le nostre carceri, bensì, sul piano del diritto, per la condizione ingiusta in cui esse versano. Non può essere esercitata giustizia, infatti, nelle condizioni in cui noi abbiamo mantenuto il nostro sistema carcerario.

Se vi è una vergogna che viene posta in capo non a questa, ma alle legislature che si sono succedute da quando è stato interrotto il fluire degli indulti o delle amnistie, essa è il non aver pensato, immaginato e costruito un sistema detentivo diverso. È questa l’onta che ci colpisce sia come civiltà, sia come legislatori, e non abbiamo il diritto di credere che chi, nel nostro paese, sconta la pena in tali condizioni debba continuare a farlo in virtù di una giustizia che, in verità, è una somma ingiuria, vale a dire una somma ingiustizia!

Abbiamo il diritto, invece, di credere, per certi reati, alla capacità di redenzione di alcuni cittadini che hanno commesso errori. Non possiamo supporre di avere la sfera di cristallo (la «palla dei maghi»), per cui possiamo sapere in anticipo che tali cittadini torneranno a delinquere: chi crede in ciò ha una visione della realtà distorta, pericolosa e fortemente arretrata!

Noi abbiamo il diritto di credere nell’uomo e di credere, altresì, che possano essere compiuti atti, anche successivi all’indulto, in grado di mettere coloro che hanno commesso errori in condizione di utilizzare validamente questo strumento per reintegrarsi all’interno della società, seguendo percorsi virtuosi e corretti in direzione del suo sviluppo. Tutto ciò deve avvenire nella salvaguardia e nel rispetto delle leggi dello Stato.

Un Parlamento autenticamente moderno e nuovo non ha paura di compiere questo gesto, sapendo - per carità! - che si corrono alcuni rischi. I rischi, infatti, sono insiti in ogni atto che compiamo, nonché in ogni provvedimento legislativo che contribuiamo tutti insieme ad approvare. Tali rischi, tuttavia, non possono compromettere il disegno di fondo.

Vorrei allora affermare, con molta sincerità e molta lealtà, che abbiamo il dovere di compiere tale passo e di credere nell’indulto. Abbiamo il dovere di farlo e, successivamente, di impegnarci, fino in fondo, per costruire ulteriori percorsi in grado di consentire la correzione dei possibili errori che potrebbero derivare non tanto dalla concessione dell’indulto in sé, quanto dagli effetti prodotti dall’azione di alcuni beneficiari.

In tal senso, nella consapevolezza di appartenere a questa civiltà plurimillenaria - e sapendo che, prima di noi, furono

 

 

 

 

 

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proprio coloro che costruirono le premesse del diritto a credere negli effetti degli atti di clemenza -, ci accingiamo non solo a votare a favore della concessione dell’indulto, ma a rivolgere a tutti gli altri parlamentari un appello.

Auspichiamo, infatti, che essi, non in rappresentanza di questo o quell’altro partito, ma come singole persone, possano svolgere una seria riflessione ed esprimere il loro consenso, nella convinzione di farlo nell’interesse del paese e dello sviluppo della nostra civiltà democratica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l’Autonomia, dei Popolari-Udeur e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Brigandì. Ne ha facoltà.

 

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, non ripeterò le argomentazioni che, già ampiamente, i parlamentari del mio gruppo hanno svolto con riferimento al reingresso nella vita sociale di delinquenti. Intendo invece svolgere un ragionamento tranquillo e pacato su quali siano i meccanismi che servono a svuotare le carceri. Infatti, fin dall’inizio della discussione, ho sentito richiamare solo questo tipo di esigenza.

Evidentemente, le ipotesi teoriche sono quelle dell’amnistia e dell’indulto. Con l’indulto, a persone condannate - e delle quali, dunque, è stata accertata la reità -, viene eliminata o diminuita la pena di due o tre anni, a seconda di quale sarà l’ipotesi che verrà approvata dall’Assemblea. Nel primo caso (due anni), uscirebbero dalle carceri circa 10 mila soggetti; nel secondo caso (tre anni), si arriverebbe a 12 mila.

A fronte dell’indulto, vi è l’amnistia che, a mio avviso, sarebbe connotata da una maggiore logicità. Infatti, l’amnistia estingue il reato, quindi ne potrebbero usufruire non persone che certamente hanno commesso reati, ma coloro che forse hanno commesso reati; in tal modo, sarebbero avvantaggiate le persone sottoposte a un procedimento penale del quale non conosciamo l’esito.

Oggi, sono in carcere circa 38 mila soggetti italiani e 10 mila extracomunitari, a fronte di una popolazione carceraria di 61 mila persone. Tuttavia, i conti non tornano perché vi sono circa 22 mila detenuti in attesa di giudizio.

Siccome la statistica ci dice che i carcerati in attesa di giudizio vengono, per il 50 per cento, dichiarati innocenti, la strada maestra è quella di svolgere i processi, mandare in carcere i colpevoli in maniera definitiva e far uscire gli innocenti, risolvendo in tal modo la situazione per almeno 11 mila casi. A mio avviso, questa è la strada migliore da seguire: svolgere i processi significherebbe automaticamente svuotare le carceri nel numero esattamente corrispondente a quello che deriverebbe dall’applicazione dell’indulto o dell’amnistia per due o tre anni.

Si parla di una situazione carceraria infame, di una situazione illegale, in quanto vi sono 65 mila persone a fronte di 45 mila posti in carcere. Tuttavia, non abbiamo sentito parlare del motivo per il quale ci si trovi in questa situazione. Oggi, dobbiamo supplire ad un ordine dello Stato, la magistratura, che non fa il proprio lavoro, non svolge i processi, se non quelli che le convengono.

Pertanto, la nostra contrarietà al provvedimento in esame è dovuta al fatto che siamo di fronte ad un provvedimento di clemenza che non è fisiologico, ma patologico.

La patologia si chiama magistratura e, prima di arrivare alla soluzione del problema, dobbiamo andare alla sua causa, che deve essere risolta con dei provvedimenti che facciano sì che i magistrati lavorino.

Lo dico semplicemente perché, ad esempio, non ho mai visto il procuratore generale della mia regione in udienza una volta. So che una grossissima fetta del lavoro giudiziario viene svolta da giudici onorari, che evidentemente suppliscono ad una carenza di magistrati, i quali, tuttavia, certamente non sono sotto organico, perché vi sono circa 9 mila magistrati, ossia un numero di gran lunga superiore alla media europea.

Mi permetto, inoltre, di svolgere alcune considerazioni in riferimento al ministro

 

 

 

 

 

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Di Pietro ed alla sua posizione politica. Innanzitutto, bisogna ringraziarlo perché ha fatto chiarezza, affermando che lui, come ministro, è offeso, perché in aula si discute di indulto, al punto da autosospendersi. Ciò significa che non ha alcuna considerazione per l’Assemblea, perché ricordo a tutti quanti che questo provvedimento non nasce dal Governo, ma dall’Assemblea e, quindi, farebbe forse meglio a portare rispetto a quest’aula, senza autosospendersi per un problema che nasce, cresce, si evolve e vive o muore secondo la volontà di quest’Assemblea.

La seconda questione è che, autosospendendosi, egli porta il dibattito sull’indulto dal livello parlamentare a quello governativo. Quindi, devo ringraziarlo perché i casi sono due: o il provvedimento sarà approvato da quest’aula e, quindi, il ministro Di Pietro si dimetterà, perché è un uomo d’onore; oppure, il provvedimento non sarà approvato da quest’aula e, quindi, il Governo si dimetterà, proprio perché il ministro, che in quanto tale si è autosospeso, ha coinvolto il Governo, che verrebbe clamorosamente battuto.

Capisco bene, inoltre, tutti i discorsi in riferimento ad alcune esclusioni soggettive. Ci stanno dicendo che alcuni imputati possono beneficiare di questo indulto ed altri no. Quelli che non possono beneficiarne non sono gli assassini, gli stupratori, coloro che hanno compiuto rapine od omicidi o che hanno commesso i reati da «colletti bianchi».

Il parlamentare che mi ha preceduto, parlava di reati dei «colletti bianchi». Capisco bene questo discorso, perché il ministro Di Pietro - lo ricordo - quando era pubblico ministero diceva una serie di cose sui politici, sul suo ingresso in politica e sui reati dei «colletti bianchi» (causando sette morti, ossia sette persone che si sono suicidate in carcere, senza che la magistratura potesse decidere se erano innocenti o colpevoli) che lo hanno portato a quella fama e a quella notorietà che, pur non avendo nessun precedente di carattere politico, hanno determinato per lui, come primo incarico, quello di ministro dei lavori pubblici.

Capisco bene il fatto di escludere questo tipo di reati. Ovviamente, quando parlo di magistratura mi riferisco ad una sua ala specifica, non a tutta la magistratura, che, in una sua gran parte e nella maggioranza dei soggetti, è composta da persone perbene e che lavorano. Mi riferisco, quindi, solo ad una sua parte, quella che costituisce il pugno armato di talune forze politiche e che su questi reati fa la sua carriera politica.

Io faccio l’avvocato, quando non faccio il parlamentare. E, rivolgendomi all’onorevole Fitto, gli consiglierei semplicemente di cambiare avvocato. Infatti, quest’ultimo avrebbe dovuto dire: male ha fatto Fitto a prendere soldi ed a registrarli, come la legge prevede. Avrebbe dovuto prendere i soldi e, laddove la magistratura ne avesse chiesto la provenienza, sarebbe bastato dire che gli erano stati prestati e un giorno sarebbero stati restituiti. Magari, l’onorevole Fitto, avrebbe potuto farsi prestare una macchina, una Mercedes, per poi dire: non c’è problema, non sono corrotto, mi stanno prestando la macchina perché ne ho bisogno, nient’altro!

C’è ancora un altro piccolo particolare, onorevole Fitto: lei avrebbe dovuto sostenere il concorso in magistratura e superarlo. Ciò l’avrebbe resa realmente immune da alcuni tipi di reati e le avrebbe consentito di fare una brillante carriera politica, senza che la stessa fosse interrotta da procedimenti privi di fondamento.

Io, al suo posto, non sarei molto tranquillo, affermando di non aver fatto niente. Questa è una causa necessaria, ma non certo sufficiente alla sua assoluzione.

Per questi motivi, credo che, finché non ci sarà questo tipo di onestà nel riconoscere l’origine dei meccanismi che producono il sovraffollamento delle carceri e le disfunzioni del sistema giudiziario, finché non si dirà in maniera chiara che la colpa sta nel manico e non nella lama, nella causa e non negli effetti, saranno adottati i peggiori provvedimenti che si possa pensare.

Lo ripeto: la soluzione maestra è quella di fare processi che porterebbero a 11 mila assoluzioni e a risolvere questo problema.

 

 

 

 

 

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Quindi, bene gli innocenti fuori delle carceri; meno bene far uscire dalle carceri coloro la cui colpevolezza è dubbia; certamente, non siamo assolutamente d’accordo con l’ipotesi che persone riconosciute colpevoli escano dalle carceri per far piacere a una categoria di persone, ossia i magistrati, che non lavorano (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Silvana Mura. Ne ha facoltà.

 

SILVANA MURA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell’Italia dei Valori ha presentato numerosi emendamenti alla proposta di legge all’ordine del giorno per rimarcare la profonda contrarietà ad un provvedimento di indulto così concepito, che implica un colpo di spugna rispetto a reati che offendono il sentire comune dei cittadini.

Oggi ci confrontiamo sulla capacità del Parlamento di rappresentare effettivamente le esigenze, le richieste e i sentimenti dei nostri concittadini.

Onorevoli colleghi, la convivenza civile è intimamente legata al grado di giustizia percepito dai cittadini: non possiamo - noi per primi - abbassarne il livello. Non possiamo far passare l’idea che il nostro sia un paese in cui può essere conveniente ed utile non rispettare le leggi e commettere reati, sapendo di non incorrere nelle giuste e doverose sanzioni, magari con pratiche processuali che tendono ad evitare il giudizio dei tribunali.

Il nostro non può essere il paese dei «furbetti del quartierino». Abbiamo il dovere di difendere quel senso di giustizia che lega ed unisce la collettività. Abbiamo il dovere di mantenere alto il senso di giustizia che passa attraverso il rispetto delle leggi. Lo dobbiamo a quella maggioranza di cittadini onesti che le rispettano e lavorano ogni giorno con sacrificio per costruire il loro futuro. Dobbiamo rispettare la loro aspettativa di giustizia. Il rispetto della legge è un dovere per tutti, nessuno escluso, nemmeno i più potenti!

Un altro aspetto da porre in rilievo è relativo alle proposte emendative presentate dal nostro gruppo e, più in generale, al confronto che si è sviluppato sul provvedimento in esame.

Come in passato, una delle motivazioni principali, anzi di gran lunga la più importante, a sostegno del provvedimento oggi in discussione è lo stato di necessità, vale a dire la necessità di ridurre il numero dei detenuti, troppo numerosi rispetto alla capacità di accoglienza delle nostre carceri. Si tratta di una motivazione che noi sinceramente condividiamo: è nota a tutti la situazione di sovraffollamento e di precarietà delle carceri italiane, così come sono a tutti noti il disagio e, in alcuni casi, la sofferenza dei carcerati, i quali, anziché vivere la pena come rieducazione ai fini del loro reinserimento sociale, trovano nel carcere ispirazione per delinquere ulteriormente una volta scontata la condanna.

Tutti conoscono la composizione della popolazione carceraria italiana. Essa è rappresentata, per quasi il 34 per cento, da cittadini extracomunitari, mentre la quota degli italiani è costituita, in gran parte, da persone con titolo di studio basso o senza titolo di studio, tanto è vero che i laureati rappresentano soltanto lo 0,9 per cento di tutti i detenuti: 565 unità su 59.523! In altri termini, quasi sempre finiscono in carcere, oggi come ieri, i rappresentanti delle classi sociali più deboli e meno acculturate.

Occorre concludere che, se queste persone hanno infranto la legge penale e rappresentano un pericolo sociale, anche la società nel suo complesso ha qualche debito nei loro confronti, quanto meno in termini di opportunità di vita e di condizione sociale. Anche soltanto per questi motivi, oltre che per i raggiunti limiti di sopportabilità della vita carceraria dovuti al sovraffollamento, il provvedimento di indulto, volto a ridurre le sofferenze dei reclusi, non può che trovarmi favorevole; e, insieme a me, è favorevole l’intero gruppo dell’Italia dei Valori.

A tale proposito, ricordo l’intervento in Parlamento di Papa Giovanni Paolo II, il quale, già nel novembre del 2002, chiedeva al Parlamento in seduta comune, dall’alto

 

 

 

 

 

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del suo magistero e della sua umanità, l’adozione di un provvedimento di clemenza.

Proprio secondo questo spirito, e per evitare che le stesse persone rientrino in quelle stesse celle in tempi più o meno brevi (vanificando, di fatto, l’effetto dell’indulto, così com’è avvenuto nei precedenti casi), occorre, contemporaneamente, prevedere sul territorio, a sostegno della loro integrazione sociale, interventi senza i quali è più facile che esse ricadano nella spirale carcere-reato-carcere.

Onorevoli colleghi, se vogliono essere vere, credibili e condivise dai normali cittadini, proprio da quei cittadini che sono le vittime dei reati troppo spesso impuniti, occorre che tutte queste considerazioni trovino una giusta collocazione e specificazione.

Con l’indulto proposto da parte della maggioranza, le persone responsabili di reati contro la pubblica amministrazione che godranno del beneficio saranno in tutto 67, un numero tanto esiguo da non avere alcuna relazione con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’affollamento nelle carceri. Inoltre, è bene ricordare che tutti i provvedimenti di amnistia e indulto approvati nel dopoguerra hanno sempre escluso dall’ambito di applicazione delle misure di clemenza i reati di corruzione e concussione contro la pubblica amministrazione.

Come spiegare che l’indulto arriverà a graziare quei «colletti bianchi» che non hanno alcuna attenuante sociale, culturale e economica per delinquere se non - cosa ancora più odiosa - quella di sfruttare la loro posizione di potere per infrangere le leggi e per creare un danno sociale ben più pesante di quello provocato dai «ladri di polli» che affollano le carceri italiane? Questi signori che hanno fatto parte della classe dirigente politica, economica e finanziaria del paese dovevano essere di esempio e guida per i cittadini nel rispetto scrupoloso delle leggi. Al contrario, hanno abusato delle funzioni per un loro interesse personale, chiamandosi fuori dalla legge e cercando in tutti i modi di sottrarsi al giudizio dei tribunali. Ora, se costoro, dietro la massa dei carcerati comuni, si sottraessero, grazie all’indulto, alle fin troppo miti condanne ricevute, credo che nessun cittadino onesto crederebbe più nella giustizia del nostro paese né nella classe politica responsabile di un tale insulto al senso di giustizia della nazione.

Il paese in cui il Parlamento democraticamente eletto calpestasse il sentire comune dei suoi cittadini su una questione essenziale per la convivenza civile, qual è la giustizia, sarebbe un paese senza un futuro di sviluppo civile.

Tanto più ciò è vero se riferito all’Italia, dove una quota importante degli appalti pubblici e dell’economia di intere regioni è nelle mani della criminalità organizzata; dove per cinque anni il Governo del paese ha scritto leggi ad personam, nell’interesse esclusivo di grandi affaristi, circostanza che ha rappresentato una tra le più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano; dove sono prodotti alcuni tra gli scandali e le truffe più gravi a livello internazionale, che hanno coinvolto persino la Banca d’Italia, l’unica istituzione del paese che avesse mantenuto nel tempo stima e credibilità internazionali. Mi riferisco allo scandalo Parmalat: 10 miliardi di euro persi e circa 135 mila risparmiatori coinvolti; allo scandalo Cirio (un miliardo e 250 milioni di euro persi e 35 mila risparmiatori coinvolti), allo scandalo Banca Popolare Italiana, con l’arresto del suo amministratore delegato - che nel corso del suo interrogatorio, ha ammesso persino di aver accumulato un tesoro di 70 milioni di euro a spese dei propri clienti! -; allo scandalo Unipol, per arrivare - ma, temo, per non finire - allo scandalo del calcio, di gran lunga più il grave nell’ambito dello sport a livello mondiale.

Che il tema della legalità in Italia sia fondamentale è scritto anche nel programma dell’Unione, sottoscritto da tutti i partiti dell’attuale maggioranza e che dovrebbe rappresentare il patto inderogabile con i cittadini che ci hanno dato la loro fiducia, votandoci. Il programma afferma testualmente: «Obiettivo primario della prossima legislatura è l’approvazione di un nuovo codice penale. A questo deve associarsi

 

 

 

 

 

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un provvedimento di clemenza e la contestuale modifica della norma costituzionale relativa al quorum necessario per la concessione di amnistia e di indulto. Bisogna innanzitutto combattere la corruzione, fenomeno ancora vivo, come prova il quarantaduesimo posto che l’Italia ha ottenuto nel 2004 nella classifica di un’autorevole ONG indipendente, che si batte contro i fenomeni di corruzione. Daremo maggiore attenzione sia ai reati connessi con l’attività amministrativa, come la corruzione, sia alla criminalità economica, che falsa le condizioni di concorrenza e di mercato (...)». Si tratta de Per il Bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011, sottoscritto da tutti i segretari dei partiti del centrosinistra nell’aprile 2006.

Questo alto impegno morale fu assunto prima delle elezioni. A tre mesi da tale data, registriamo le dichiarazioni dell’onorevole Pierluigi Mantini, capogruppo dell’Ulivo in Commissione giustizia, che afferma: «Se non lasciamo, nel testo, la possibilità di far beneficiare dell’indulto Cesare Previti, Forza Italia non voterà con noi questo provvedimento (...). Vorrei ricordare a tutti che il quorum è dei due terzi (...)». Notizia Ansa del 20 luglio 2006.

La riforma del codice penale e l’approvazione di provvedimenti urgenti sono le misure fondamentali per diminuire la popolazione carceraria in maniera duratura. Si doveva presentare, contestualmente all’indulto, un testo che abrogasse le leggi che maggiormente producono inflazione carceraria come, ad esempio, la Bossi-Fini che solo nel 2005 ha prodotto quasi diecimila nuovi detenuti, la ex-Cirielli e la legge sugli stupefacenti, e, al tempo stesso, promuovere quelle misure di controllo sociale che possono sostituire la sanzione detentiva. Questi provvedimenti, affiancati all’indulto, avrebbero prodotto un effetto duraturo sulla diminuzione della popolazione carceraria, in attesa di un intervento sostanziale di riforma del codice penale, che richiederà naturalmente tempi più lunghi.

Appare evidente dalle argomentazioni addotte che i principi di un provvedimento come l’indulto non possono essere riconducibili solo allo stato di necessità. Il vero indulto da approvare nel paese dovrebbe riguardare i casi drammatici dei 56 bambini detenuti assieme alle loro madri, bambini da zero a tre anni, innocenti, che vivono in carcere subendo traumi permanenti, bambini che dovrebbero crescere in ambienti umani, secondo quanto previsto dalla legge 8 marzo 2001, n. 40, che consente la detenzione domiciliare per le madri con figli di età inferiore ai dieci anni e che nella realtà italiana si trovano reclusi e costretti a crescere in situazioni drammatiche. Per questi bambini vogliamo l’indulto, non per i grandi truffatori di cui si preoccupa in particolare il testo in esame!

Abbiamo espresso la nostra contrarietà all’approvazione della proposta di indulto presentata: lo abbiamo detto chiaramente in Commissione e lo ribadiamo, con coerenza, in quest’aula.

La Costituzione italiana prevede per l’approvazione del provvedimento di indulto la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera; quindi, oltre al consenso dei gruppi di centrosinistra, occorre il consenso anche di una parte dell’opposizione. Proprio la necessità di questa larga condivisione impone alle forze politiche la responsabilità ulteriore di rappresentare la parte migliore del paese, cioè l’Italia degli onesti, che per troppo tempo, per troppi anni, è stata umiliata e calpestata. Questa è l’occasione per tutti per restituire credibilità e dignità al nostro paese anche a livello internazionale, mantenendo il giusto rigore verso alcune tipologie di reati particolarmente gravi.

La discussione e il compromesso non possono avvenire a livello più basso e nell’interesse esclusivo di pochi grandi potenti cui vengono abbonati preventivamente tre anni di pena e, anche se condannati, in carcere non torneranno mai. La rinascita morale, civile ed economica del paese può nascere da un patto tra le maggiori forze politiche che voltino pagina realmente rispetto alla corruzione, al malaffare e alla criminalità organizzata; quindi, se non vi dovessero essere le

 

 

 

 

 

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condizioni per un tale patto di rinascita morale, sarà meglio procedere con una riforma della legislazione che depenalizzi alcuni reati, piuttosto che deludere per l’ennesima volta la fiducia dei cittadini con una norma che finisce con il premiare anche alcuni tra i maggiori artefici della corruzione, degli arricchimenti illeciti in Italia.

Non si possono chiedere sacrifici senza offrire esempio e coerenza morale; quindi, in mancanza di un serio impegno riformatore e morale l’Italia dei Valori esprime la sua contrarietà a questo tipo di provvedimento così com’è presentato dalla maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi dell’Italia dei Valori e di Alleanza Nazionale).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Mazzoni. Ne ha facoltà.

 

ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, in questa sede l’UDC riconferma una posizione di favore ad un provvedimento di clemenza che ha già espresso negli anni passati; infatti, tra le proposte abbinate a quella in discussione c’è anche una proposta a firma dell’onorevole Forlani.

Potrei dire che questo è il primo provvedimento che si muove in una logica di doverosa continuità istituzionale, perché il tema della clemenza è un argomento che stiamo affrontando da oltre quattro anni in quest’aula. Ricordo ai colleghi che, nella precedente legislatura, non più tardi di un anno fa, l’allora Presidente della Camera, onorevole Casini, convocò questa Camera in seduta straordinaria proprio per verificare la sussistenza delle condizioni necessarie all’approvazione di quell’atto del quale si era tanto parlato; ma in quell’occasione non trovammo la convergenza necessaria, anzi riscontrammo una situazione di disomogeneità all’interno del centrosinistra. Disomogeneità non ufficialmente dichiarata, mentre nel centrodestra c’erano e ci sono posizioni chiare e nette di favore e di contrarietà.

Nel centrosinistra, invece - purtroppo devo verificare che accade ancora oggi -, ci sono delle posizioni di incertezza rispetto alla gestione complessiva di questa maggioranza (che mi permetterete di definire un po’ traballante) che ci portano oggi a caricarci di un supplemento di responsabilità. Noi avremmo voluto un provvedimento che comprendesse anche l’amnistia, avremmo voluto un provvedimento di clemenza che fosse collegato organicamente a riforme strutturali; oggi, però, l’incertezza sui tempi futuri ci spinge ad accettare questo provvedimento e ad esprimere una posizione di favore nei confronti del solo indulto perché siamo convinti di avere il dovere di farci carico di una gravissima ferita che ormai colpisce il nostro Stato di diritto.

Certo ci affidiamo fiduciariamente agli impegni che questa maggioranza ha annunciato rispetto all’azione di riforma che vorrà mettere in campo. L’onorevole Silvana Mura ha appena terminato di fare un elenco dettagliato di impegni riformatori, molti dei quali sono stati già avviati dal centrodestra; quindi, siamo convinti di poter dare una mano a realizzare questi impegni di riforma. Noi riteniamo come UDC che un atto di clemenza non confligga con l’esigenza di sicurezza che viene dalla società.

Da troppo tempo ci confrontiamo con una crisi profonda del sistema della giustizia che ha prodotto una condizione di grave emergenza sociale dentro le strutture penitenziarie, ma, quel che è più grave, anche fuori delle stesse.

In questa sede, abbiamo il dovere di farci carico di un atto di responsabilità, ben sapendo che questa non è la soluzione ai problemi, ma è un modo necessario per rendere possibile un’azione di riforma strutturale efficace che risponda alla situazione patologica cui faceva riferimento l’onorevole Brigandì.

Il testo sul quale ci confrontiamo impone comportamenti diversi che fanno appello, o dovrebbero fare appello, ad una sensibilità diversa. Nei comportamenti dell’Italia dei Valori non riscontro questa sensibilità. A mio avviso, non si può fare propaganda su simili temi. Come ha detto l’onorevole Casini - voglio ripeterlo -, su

 

 

 

 

 

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questi temi bisogna agire, non parlare, non fare annunci. Non si può piegare questo argomento alle esigenze della maggioranza e, mi perdoni, signor Presidente - mi perdoni anche il presidente della mia Commissione -, la sospensione dei lavori di prima rientra in questa logica di asservimento ad un rapporto di coalizione.

L’Italia dei Valori in tutti i suoi interventi ha fatto riferimento all’aspirazione alla legalità. Credo che questa aspirazione a garantire la legalità nel paese appartenga a tutti noi. Il problema è quale sia il concetto di legalità che abbiamo. Forse, le cifre aggiungono qualcosa in più delle parole. Ma, al di là delle cifre riguardanti le persone che affollano le carceri (i circa 60 mila ristretti, a fronte di una capienza di circa 45 mila unità; le 50 mila persone in misura alternativa alla detenzione; le 70-80 mila già condannate a pene inferiori ai tre anni, in attesa della decisione del giudice sulla possibilità di scontare la condanna con misura alternativa), vorrei citare un altro dato che ancora non è stato ricordato e che si riferisce al numero dei reati prescritti: dal 2000 al 2004, sono circa un milione i reati prescritti. Molti di più sono quelli neanche perseguiti. Nel 2003, le persone denunciate sono state circa 537 mila. I delitti denunciati, per i quali non è iniziata neanche l’azione penale, sono stati circa 2 milioni e 800 mila; nell’80 per cento dei casi, non si conosceva e non si conosce ancora l’autore del reato.

Sono dati allarmanti che ho ricavato dall’ultima relazione del Procuratore generale e che dimostrano che nei prossimi anni il problema della sicurezza andrà ad ingigantirsi e richiede un atto di responsabilità. Questi numeri dimostrano che, molto spesso, la giustizia ha un corso casuale, a volte addirittura censuario. Questo sistema non può garantire la sicurezza e non può garantire la legalità. Non pensiamo, come ho già detto, di risolvere il problema, ma sicuramente questo è un passaggio stretto, necessario per riuscire a realizzare riforme efficienti.

In Commissione, noi dell’UDC abbiamo presentato degli emendamenti per includere i reati finanziari, i reati contro la pubblica amministrazione, alcuni reati ambientali. Queste proposte emendative sono state tutte respinte dalla maggioranza. Non ne abbiamo fatto una bandiera. Abbiamo presentato, anche a fronte di questo voto contrario, un emendamento per ampliare il termine della condizione risolutiva da cinque a sette anni, un termine che è uno strumento di prevenzione importante per garantire la sicurezza dei cittadini e forse per offrire quel supplemento di legalità del quale abbiamo bisogno. Su questo emendamento andremo avanti (lo abbiamo ripresentato). Rispetto alle esclusioni dei reati che ho menzionato, invece, facciamo un passo indietro, perché quello di cui ci stiamo facendo carico oggi è un atto di alta, altissima responsabilità politica, che non può lasciare spazio a diatribe tra reati di un colore e reati di un altro colore, né tanto meno ad iniziative persecutorie. Non è questa la sede e non è l’indulto lo strumento per celebrare un processo di moralizzazione!

Mi rivolgo al ministro, onorevole Di Pietro: se è questo il suo obiettivo, se è questo il suo intento, faccia chiarezza, affronti la questione morale nelle sedi opportune e con i modi opportuni e confacenti a questi luoghi e sicuramente, in quel caso, troverà l’UDC al suo fianco (Applausi dei deputati del gruppo dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Buontempo. Ne ha facoltà.

 

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, resto stupito dal silenzio dei deputati dell’Ulivo: di essi, ha chiesto di parlare soltanto un deputato e, finora, non è intervenuto nessuno. Del resto, non ha preso la parola neppure un solo deputato di Rifondazione Comunista; non ha preso la parola neanche un solo deputato dei Comunisti Italiani; nemmeno ha chiesto di parlare, sul complesso delle proposte emendative presentate, alcun deputato del gruppo dei Verdi.

Ritengo tutto questo inquietante e rivolgo un primo appello ai colleghi deputati:

 

 

 

 

 

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coloro che sono contrari a questo provvedimento facciano il possibile per rompere il torpore che aleggia in questa Assemblea in cui, sottobanco, già è stato programmato il voto ed il relativo orario! Noi facciamo finta che ci sia un reale confronto e un reale dibattito! Proprio per l’importanza e la delicatezza della materia, sarebbe stato necessario svolgere questo dibattito con molta maggiore profondità e con molta maggiore serietà. Coloro che sono contrari a questo provvedimento facciano il possibile per impedirne l’approvazione e non soltanto per affermare che sono contrari!

Ci vuole più determinazione perché, onorevoli colleghi, la cosa più raccapricciante di questo provvedimento è il fatto che dalle carceri, che sono sovraffollate, come tutti affermiamo, nelle quali si vive in promiscuità, nelle quali non ci può essere recupero e nelle quali si umilia la dignità del detenuto, dopo l’approvazione di questo provvedimento non usciranno 10 o 12 mila detenuti, come si dice. L’indulto nella misura di tre anni avrà effetto anche sulle condanne maggiori ed usciranno dal carcere coloro che sono stati condannati mentre, in quelle fetide carceri, resteranno i detenuti in attesa di giudizio. Vergognamoci!

Da tutte le statistiche risulta che, alla fine del percorso, tra il 36 ed il 40 per cento dei detenuti in attesa di giudizio sono dichiarati innocenti. Pensate, allora, come si possano sentire quelle persone che si trovano in carcere e che, nel 40 per cento dei casi, saranno dichiarate innocenti da sentenze dei tribunali, che assistono alla scarcerazione di coloro che sono stati condannati ed hanno leso la vita o la libertà altrui. Questi ultimi escono ed essi restano, in promiscuità, in quelle carceri sovraffollate nelle quali non si tutela la dignità della persona, non ci sono gli asili, nonostante una legge per l’allattamento dei minori, non c’è recupero e non c’è assolutamente alcunché di quanto dovrebbe essere a monte di un atto di clemenza! È possibile, onorevoli colleghi, che chi è in attesa di giudizio debba rimanere in carcere mentre chi è stato condannato sia liberato? A me pare una cosa fuori dal mondo, incredibile!

Ecco perché sarebbe occorso un dibattito serio. Vedete, onorevoli colleghi, non vi ringrazieranno coloro che voteranno a favore e neppure le famiglie dei detenuti perché, salvo casi eccezionali, tutte le statistiche dimostrano che chi è uscito dal carcere, almeno nel 65 per cento dei casi, vi ritorna. Neppure vi ringrazieranno le famiglie che si sono liberate di una persona che non rispetta la dignità umana e le regole della convivenza civile.

Quando queste persone usciranno dal carcere e non troveranno una struttura a cui rivolgersi per chiedere un lavoro, che pensate che faranno dopo sei mesi, se non delinquere ancora, per riempire poi nuovamente le carceri, com’è sempre avvenuto nel corso degli ultimi venti anni, dopo ogni atto di clemenza?

Raccogliere l’appello del Pontefice al senso dell’umanità non significa in maniera esclusiva tirare fuori dalle carceri i delinquenti! Significa costruire carceri a dimensione umana, creare le strutture per il recupero di colui che ha compiuto delitti. Significa impegnarlo anche mentalmente e manualmente all’interno delle carceri, affinché egli si senta un uomo che ha ancora capacità di farcela nella vita. Nelle carceri invece non si fa assolutamente nulla.

Presenterò poi un ordine del giorno, con il quale illustrerò quante sono le carceri in Italia finite, ma lasciate abbandonate. Vi sono almeno una decina di strutture carcerarie che sono lì - le stanno smontando - e non si fa nulla per completarle. Qual è l’affare perverso che c’è dietro l’edilizia carceraria? È incredibile pensare che in quattro anni - il Pontifice è venuto qui in Parlamento nel novembre del 2002 - non si sia fatto assolutamente nulla! Neppure per aprire le carceri che erano già state costruite! Onorevole Di Pietro, lei che fa parte del Governo, dica all’onorevole Mastella di venirci a raccontare cosa occorre per aprire quelle carceri!

 

 

 

 

 

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Il Parlamento è a disposizione se si tratta di fare cose che servono sul serio ad alleviare la condizione del carcerato.

Onorevoli colleghi, colgo l’occasione per dire che è bene che si voti a scrutinio palese, perché si veda come hanno votato sull’indulto qui in aula tutti coloro che sono andati in giro per l’Italia - amici dei DS - a dire: certezza della pena! Si veda che hanno la lingua biforcuta: una cosa si dice ai cittadini in piazza, un’altra cosa si dice qui in Assemblea! Salvo la libertà di coscienza e la libertà di pensiero.

E poi anche voi, colleghi di Forza Italia! Forza Italia è un partito che deve assicurare il cambiamento in questo paese e che ha fatto la campagna elettorale sulla certezza della pena. Allora non si può legiferare per fare uscire dalle carceri non 12 mila detenuti ma molti di più, perché questo sarà l’effetto dello sconto di tre anni! Infatti, a chi ha avuto cinque anni di condanna, tolti i tre anni, ne restano due; e così, potendo essere dato in affidamento ai servizi sociali, esce dal carcere. Chi ha avuto sei anni esce dal carcere. Quindi anche uno che ha avuto una condanna per omicidio preterintenzionale, che si aggira intorno ai nove anni di carcere, tra condoni, sconti di pena e questo indulto, esce dal carcere!

Allora, onorevoli colleghi, vedo che in quest’aula c’è tanta attenzione verso chi ha compiuto i delitti. Ma un po’ di attenzione la vogliamo mettere anche verso quelle famiglie che hanno subito la violenza degli usurai che adesso usciranno dalle carceri? Quelle famiglie non hanno volto? Non hanno diritti? Non hanno la Camera attenta ai loro problemi? Che risposta diamo a quei commercianti che hanno dovuto subire il racket e l’usura e quando non hanno pagato si sono visti violentare le loro donne e picchiare i loro figli, come le cronache dimostrano ogni giorno? Guardate che le cronache riportano solo una bassa percentuale dei delitti legati all’usura: infatti, se lo Stato dà la risposta che chi ha compiuto un delitto esce dalle carceri, non si può pretendere che il cittadino comune che vive in un quartiere ad alta intensità mafiosa o camorristica faccia l’eroe e abbia il coraggio di sporgere denuncia, chiedendo protezione ad uno Stato che gli riporta sotto casa il delinquente che ha tentato di togliergli la vita!

Nel nord-est non ci sono solo gli imprenditori, ma cittadini (anche imprenditori) che ormai non vivono più una notte serena nelle loro case. Ebbene, questi dovrebbero forse ringraziare chi fa uscire il delinquente, la bestia entrata a casa loro alle due o alle tre di notte con la pistola in pugno?

Abbiamo esaltato - e giustamente -, signori del centrodestra, la legge sulla legittima difesa, che noi della Casa delle libertà abbiamo approvato sostenendo che chi entra in una casa privata o in un negozio, non può partire alla pari con la sua vittima, se si giunge ad un processo. Dopo avere approvato la legge sulla legittima difesa - che ritengo essere una buona legge -, ora invece facciamo uscire dal carcere colui che merita di essere duramente condannato nel caso in cui violenti il cittadino nella sua intimità, nella sua privacy, nella sua casa? Come possiamo spiegare che persone per le quali abbiamo chiesto severità di pena ora escono dal carcere?

Vedete, io non sono contrario al fatto che ci sia attenzione verso la popolazione carceraria, ma questo significa portare umanità, solidarietà, dare la possibilità di un impegno psicofisico e possibilmente un posto di lavoro, assistere le famiglie, liberare da una bieca condizione colui che si trova nelle carceri costretto a piegarsi in ginocchio davanti a chi è più delinquente di lui. Se si approva una legge che dice solo «è’ concesso indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive», ci domandiamo quanti sono coloro che usciranno dal carcere per la diminuzione dei tre anni di pena. Il Governo avrebbe dovuto dirlo! Quando si presenta un provvedimento del genere, signori relatori della maggioranza e signori della Commissione, dovete fornire all’Assemblea i dati relativi a quanti sono coloro che usciranno dal carcere: tali dati non sono stati forniti da nessuno.

 

 

 

 

 

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Allora, qui si continuerà a ripetere che questo provvedimento si vuole approvare in quanto atto di clemenza, affinché le carceri si alleggeriscano. Se la mia memoria non m’inganna, l’ultimo atto di clemenza risale al 1992: andando a leggere i dati, non si riscontra che a seguito di tale provvedimento i reati siano effettivamente diminuiti.

Colleghi, se dal 2002 ad oggi, dopo il nobile messaggio dato in Parlamento dal Sommo Pontefice, fossero diminuiti i delitti nel nostro paese e così anche la delinquenza, oggi potremmo dire che effettivamente il Parlamento ha raccolto questa novità e questa sensibilità perché vi possa essere una nuova pagina per la convivenza civile.

Nel momento in cui, dal 2004 al 2006, sono aumentati tutti i tipi di delitti, sono, altresì, aumentati - aspetto più grave ancora - i reati compiuti dai minori, dai giovani e dalle donne: oggi, nelle carceri, vi sono più giovani, più donne e più minori che devono subire i processi. Quindi, si è registrato un segnale di segno opposto.

Nel 1990, è intervenuto l’ultimo provvedimento di clemenza; ebbene, nel 1990 - anno dell’atto di clemenza -, i delitti sono diminuiti rispetto al 1989: si passa dai 2 milioni 274 mila del 1989 ad un milione 980 mila nel 1990. Però, se immediatamente a ridosso del provvedimento si registra un calo delle azioni delittuose, nell’anno successivo si è assistito - registrateli, tali dati! - ad una crescita del numero dei delitti che non ha avuto, forse, altri precedenti. L’idea dell’impunità e dell’immunità - e il fatto che, usciti dal carcere, non avevano alternativa di vita - ha portato, nel 1991, ad un incredibile aumento dei delitti compiuti nel nostro paese; una flessione cui è dunque seguito un aumento di non poco conto. Perciò, ogni atto di clemenza ha portato ad un successivo aumento dei reati commessi; dopo l’atto di clemenza del 1990, vi è stato un incremento del 41 per cento degli atti delittuosi nel nostro paese.

Ma vengo anche ai precedenti relativi agli anni Ottanta. Si è passati da 1 milione 912 mila delitti nel 1975 ad oltre due milioni nel 1977; da 2 milioni 101 mila nel 1978 ad un incremento del 7,3 per cento dei delitti compiuti nel nostro paese dopo l’amnistia nello stesso anno. Anche i quozienti di criminalità di quegli anni riflettono tale tendenza: si è passati da 3 mila 413 del 1977 a 3 mila 615.

Ma voglio concludere; è inutile intervenire in un’aula «cloroformizzata», dove l’«inciucio» prevale sul merito della discussione e dove non si ha il coraggio di parlare e si è tuttavia d’accordo nel «giocare» su quale reato ricomprendere e quale no nell’ambito di applicazione dell’indulto. Ma, se il principio è quello del ravvedimento, esso può valere per qualunque persona, qualunque delitto abbia commesso; questo mercato, quindi, di chi è incluso e di chi è escluso è assolutamente indecoroso.

Cari colleghi, non lamentiamoci della disaffezione dei cittadini alla politica: quando verrà approvato questo provvedimento, non avremo aiutato la popolazione carceraria, né le famiglie dei carcerati, né avremo dato maggiore fiducia verso le istituzioni e lo Stato a quelle famiglie che hanno subito gli atti delittuosi.

Tenete conto che la criminalità, negli ultimi anni, sta diventando più crudele, più cattiva, più sadica e più violenta; quindi, a tale crescita del livello di criminalità, con lo spessore di una maggiore crudeltà, si darebbe il nulla osta, generando la convinzione che in Italia, prima o poi, arriva un momento nel quale il delinquente esce ed il cittadino perbene, il cittadino comune, che paga le tasse e rispetta le leggi, viene messo in ginocchio; anzi, deve nascondersi perché coloro che sono finiti in carcere escono. E ciò, inoltre, a rischio della vita dei tanti agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie di finanza, vigili urbani! Quanti sono gli uomini delle forze dell’ordine che hanno rischiato la loro incolumità e la loro vita? E quanti sono coloro che hanno perso la vita per assicurare alla giustizia i 15, 20, 25 mila detenuti che ora si vorrebbe far uscire dalle carceri? A quelle famiglie...

 

 

 

 

 

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PRESIDENTE. La prego, ha abbondantemente superato il suo tempo...

 

TEODORO BUONTEMPO. Concludo, Presidente.

A quelle famiglie che hanno subito questa violenza oggi non si può dire che il Parlamento nei suoi primi cento giorni se n’è fregato dei contratti a tempo, se n’è fregato della delinquenza in un terzo d’Italia e invece ha rivolto tutta la sua attenzione a coloro che purtroppo sono in carcere e che, come le statistiche dimostrano, ci tornano.

Colleghi che avete promesso la certezza della pena...

 

PRESIDENTE. La prego...

 

TEODORO BUONTEMPO. ...oggi è il momento di dimostrarlo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).

 

PRESIDENTE. In considerazione dell’elevato numero di deputati che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti e al fine di dare ordine ai nostri lavori, avverto i colleghi che nella giornata di oggi non avranno luogo votazioni. Proseguiremo comunque fino all’esaurimento degli interventi sul complesso degli emendamenti e all’espressione del parere da parte del relatore e del Governo. Esauriti tali interventi, si passerà alla discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria.

Domani, la Camera sarà convocata alle 9,30. Dopo l’esame della risoluzione sul DPEF e la votazione per l’elezione della delegazione del Consiglio d’Europa, riprenderà il seguito dell’esame della proposta di legge relativa all’indulto, cui faranno seguito, dopo la votazione delle dimissioni del deputato Cacciari, gli ulteriori argomenti previsti nel calendario dei lavori.

Ha chiesto di parlare il deputato Belisario. Ne ha facoltà.

 

FELICE BELISARIO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, intervengo in un momento poco propizio. Stiamo discutendo da qualche giorno e da un’intera giornata su una proposta di legge che sintetizza le molteplici proposte presentate da più parti politiche. È noto che il varo di un provvedimento legislativo di clemenza è necessario che venga votato dai due terzi di ciascuno dei due rami del Parlamento. Non meraviglia dunque che molti gruppi politici abbiano a cuore la particolare crisi del sistema penitenziario italiano: sovraffollamento inaudito, sieropositivi in aumento, condizioni igieniche tutt’altro che edificanti. Un sistema, quindi, che offende la dignità dell’uomo, un degrado delle condizioni di vita che portano ad un abbrutimento piuttosto che alla rieducazione.

A questo proposito, ricordando che in varie regioni italiane vi sono carceri costruite ma non inaugurate, probabilmente neppure collaudate, è utile precisare che il problema esiste e l’Italia dei valori non intende mettere la testa sotto la sabbia; tuttavia, è l’approccio al problema che non ci convince, che non ci vede concordi né sul piano del metodo né sotto il profilo del merito.

Per quanto riguarda il metodo, da più parti, anzi da tutte le parti compresa la nostra, si ricorda l’appello del Santo Padre, Giovanni Paolo II, ad un gesto di clemenza che secondo l’insegnamento evangelico dev’essere rivolto innanzitutto verso i derelitti, i diseredati, gli ultimi, quelli che spesso hanno infranto la legge per disperazione piuttosto che per inclinazione criminale o perché volessero truccare la politica, la giustizia, la finanza; sono i poveri cristi, quelli verso cui occorre rivolgere un gesto di clemenza ed il calore di una parola buona, della esortazione a non più ricadere. Ma questa clemenza, questo gesto che a mio parere ha in sé i caratteri della carità cristiana per non finire con l’essere un ipocrita rituale e per far salve le nostre coscienze, pretende che il sistema giustizia sia riformato e rifinanziato: riformato con la riforma dei codici e rifinanziato perché esso possa funzionare. Ma non basta.

 

 

 

 

 

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Pensare di mettere fuori dalle carceri migliaia e migliaia di detenuti impone anche un sistema di solidarietà e di reinserimento sociale di cui il presente provvedimento non reca traccia. Una manovra sull’onda emotiva del sovraffollamento, onda emotiva che, signor Presidente della Camera, non ha risparmiato nemmeno lei, a cui diciamo, sommessamente e con grande rispetto, che il gruppo dell’Italia dei Valori non è insensibile a questo problema. Ma tutto il nostro gruppo chiede, con pari pacatezza e uguale fermezza, rispetto per le ragioni che rappresenta. Ragioni non ideologiche, Presidente, colleghe e colleghi, ma il rispetto della nostra storia personale e di partito, il rispetto per i nostri elettori, per i nostri aderenti e simpatizzanti ed anche, permettete che lo dica alla maggioranza a cui ho l’orgoglio di appartenere, per il famoso popolo delle primarie che, non dietro nostra sollecitazione, si rivolge ai mezzi di informazione per manifestare un dissenso tanto più clamoroso quanto più in contraddizione con i valori dell’umana sensibilità a dare indulgenze. No, dunque, ad un colpo da solleone! No ad un colpo di spugna! No ad un provvedimento raffazzonato, frettoloso ed estivo!

Il merito del provvedimento non ci convince. Noi oggi non abbiamo voluto protestare per mettere in pace i nostri buoni propositi, per essere fedeli a un cliché o per essere etichettati come i soliti brutti, sporchi e cattivi. No, signor Presidente, chiediamo all’intera Assemblea di adottare un provvedimento di clemenza, ma eliminando quei reati subdoli, quei reati che hanno fatto dire a qualcuno che l’indulto che sta per passare è come una patente a punti: chiunque fino al maggio 2006 ha concusso, ha corrotto o si è fatto corrompere, ha abusato dei suoi poteri per favorire qualcuno, ha derubato lo Stato col peculato o la sua società con la bancarotta, ha truffato il prossimo, ha truccato gare d’appalto, incassato fondi neri, frodato il fisco, falsato i bilanci, turbato il mercato finanziario con l’aggiotaggio, scalato le banche violando le leggi, speculando con l’insider trading, giocando con la salute dei dipendenti e con gli infortuni sul lavoro, avrà una patente a punti e un bonus di tre anni quando, se e come il suo reato verrà scoperto.

Tutti gli indulti approvati in precedenti occasioni hanno visto esclusi i reati di corruzione e concussione commessi contro la pubblica amministrazione. Per la prima volta nella nostra legislazione, questi beneficeranno della clemenza che il Parlamento sembra ineluttabilmente, senza discutere e senza parlare, andrà a votare. Ed allora la domanda che pongo ai colleghi è la seguente: perché, dietro all’estensione dell’indulto ai reati di concussione, corruzione, peculato, reati contro la giustizia, reati fiscali e finanziari, l’Unione, o gran parte di essa, vota su questa linea?

Probabilmente perché, senza questa estensione, una parte della minoranza farebbe venire a mancare il quorum. E allora, questo rospo evidentemente qualcuno intende inghiottirlo.

Rimaniamo fedeli al nostro programma elettorale, come anche alla richiesta di un indulto che escluda determinate violazioni. Vogliamo un indulto che non porti i cittadini, che verranno fatti uscire dalle carceri, a rientrarvi nel breve volgere di una o due stagioni.

Per questo motivo, chiediamo che il provvedimento in esame venga sostanzialmente modificato ed emendato, nel senso di andare incontro alle esigenze dei cittadini che stanno manifestando in tutte le sedi contro questa bruttura (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.

 

ANTONIO BORGHESI. Sono sicuro di avere la parola, Presidente, perché vorrei protestare con lei in quanto non me l’ha data quando l’ho richiesta all’inizio della discussione sulle linee generali, prima che intervenisse il relatore, per un richiamo all’articolo 40 del regolamento, intendendo presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità.

Poiché neppure la scorsa settimana mi ha dato la parola quando l’ho chiesta ai

 

 

 

 

 

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sensi dell’articolo 41 del regolamento, credo che ciò non sia giusto, tanto più che vi sono colleghi in quest’aula che in questi mesi hanno avuto la possibilità di intervenire, richiamandosi sempre all’articolo 41, e poi hanno parlato di questioni assolutamente non attinenti agli argomenti all’ordine del giorno (tanto per fare degli esempi, gli onorevoli La Malfa e, in più occasioni, l’onorevole Vito). Mi piacerebbe che le regole valessero per tutti. Tra l’altro, ho citato due colleghi che, forse, hanno qualche attinenza con la discussione di oggi e spero che non occorrano medaglie particolari perché sia possibile avere la parola quando la si richiede.

Proseguendo nel mio intervento, Presidente, vorrei dire che il tema di cui stiamo discutendo, in realtà, attiene alla certezza della pena, ed era proprio sotto questo profilo che intendevo presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità.

Voglio richiarmarmi al fatto che non può esservi certezza della pena se non vi è legalità e se le leggi non vengono rispettate. Voglio partire proprio per questo motivo dagli interventi svolti da alcuni colleghi in quest’aula, non più tardi dell’11 gennaio dell’anno in corso, per chiederne loro conto.

Non so se sia ancora presente in aula l’onorevole Gasparri, il quale ha criticato il ministro Di Pietro perché in contrasto con la maggioranza ed ha citato a tale proposito - secondo me sbagliando - il programma dell’Unione. Temo che non l’abbia letto perché, ove lo avesse fatto, avrebbe verificato che i provvedimenti di clemenza erano da collegarsi strettamente alla riforma della giustizia e alla capacità di punire realmente le persone che commettono i reati.

Non ci sentiamo perciò vincolati al programma dell’Unione nel nostro atteggiamento ed, anzi, mi sembrerebbe di dover chiedere ai colleghi dell’Unione di tenere anche conto di questo, citando semplicemente alcune loro affermazioni svolte nel corso del dibattito avvenuto in questa sede l’11 gennaio 2006, durante la scorsa legislatura.

Mi riferisco all’onorevole Bonito, che cito testualmente dal resoconto stenografico: «In altri termini, l’amnistia e l’indulto hanno necessità di vivere in un complesso di altre misure; misure di natura e di carattere strutturale che attengano all’organizzazione giudiziaria e, ancor di più, a mio avviso, attengano alle modalità del processo penale e alla platea e alla individuazione delle figure e dei comportamenti che per l’ordinamento debbono essere penalmente sanzionate». Questo affermava l’allora onorevole Bonito, che proseguiva dicendo che dovrebbe accompagnare un provvedimento di clemenza ad un provvedimento relativo alla individuazione dei reati per i quali deve risultare meritevole la maggiore delle sanzioni penali, quella carceraria.

«Ed allora» - proseguiva l’onorevole Bonito - «(...) non possiamo accettare un’amnistia che prescinda da interventi di natura strutturale che si inseriscono in un insieme di interventi riformatori (...)». Ma, onorevole Bonito, dove sono gli interventi sui quali si dichiarava d’accordo? Non sappiamo neppure quali sono le linee della riforma della giustizia, eppure discutiamo provvedimenti di clemenza!

Non si tratta solo dell’allora onorevole Bonito, ma anche di altri colleghi, che nella scorsa legislatura, si sono espressi in tal senso. Vorrei citare, ad esempio, l’allora deputato Pisapia, il quale dichiarava: «Non posso non ribadire che, tra le ragioni fondamentali che ci hanno portato a ritenere ragionevole, necessario ed urgente un provvedimento di clemenza, vi sia proprio quella di eliminare quel grande debito giudiziario relativo agli atti bagatellari (...)».

Onorevole Pisapia, ma le migliaia di piccoli risparmiatori che sono stati truffati nei crack della Parmalat e della Cirio sono forse delle bagattelle? Si vergogni per aver affermato ciò! In questo caso, infatti, ci troviamo in presenza di reati di natura finanziaria, nonché dei crimini di corruzione e di evasione fiscale. Non è ammissibile che tali delitti vengano ricompresi all’interno di un provvedimento di indulto!

 

 

 

 

 

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Per concludere, vorrei ricordare che perfino l’allora deputata Finocchiaro chiese che l’esame dei provvedimenti di clemenza fosse riservato al nuovo Parlamento, poiché sarebbero stati accompagnati da misure strutturali. Oggi, invece, ci troviamo in queste condizioni, e di ciò chiedo conto agli amici che condividono assieme a noi il programma di governo: non era questo, infatti, ciò che vi era scritto!

Per tornare al tema della legalità, vorrei citare alcune considerazioni svolte da Elio Veltri, in un libro intitolato Il topino intrappolato. Legalità, questione morale e centrosinistra, per ricordare che viviamo in un paese dove vige la cultura dell’illegalità. È straordinario pensare a quanti inquisiti e condannati siedano, o siano stati seduti, anche in questo Parlamento. Vorrei comunque osservare che un Parlamento di inquisiti e condannati è non una deplorevole eccezione all’interno di un paese onesto, bensì l’espressione visibile e clamorosa di un malcostume che riguarda gli italiani in generale.

Non credo, dunque, che provvedimenti di clemenza, quali amnistie, indulti e condoni - che, negli ultimi cinque anni, con il Governo Berlusconi, sono stati una marea! -, riescano a cambiare gli italiani ed aiutino a portarli dalla cultura dell’illegalità a quella della legalità.

L’assenza della cultura delle regole si riscontra anche nelle piccole questioni, come persino il divieto di fumare, signor Presidente! Infatti, se lei avesse qualche volta la pazienza di oltrepassare le porte dell’aula, troverebbe una manifestazione di tale illegalità. Una legge dello Stato, approvata da questo stesso Parlamento, vieta di fumare nei luoghi pubblici; i deputati questori lo hanno ricordato, eppure dietro queste porte si fuma tranquillamente! Anche ciò, così come evitare di fare la fila, denota la cultura dell’illegalità, signor Presidente.

Molti sono convinti che l’illegalità e l’efficienza nell’economia e nei servizi non possano convivere, ed a rimetterci sono i cittadini che rispettano le leggi. È evidente, infatti, che mentre vi è un cittadino che commette un abuso edilizio, numerosi altri, invece, aspettano pazientemente il rilascio delle concessioni, pagando gli oneri di urbanizzazione, la tassa sulla depurazione e sulle acque, la tariffa sui rifiuti e via dicendo.

Lo stesso discorso vale per il fisco: chi evade aspetta il condono, mentre la maggioranza dei cittadini versa le imposte in base al reddito personale o di impresa. Ciò vale anche per quanto riguarda l’esportazione illecita di capitali: mentre i furbi ed i delinquenti hanno danneggiato l’economia del paese, il Governo precedente, attraverso il cosiddetto scudo fiscale, ha permesso loro di pagare un imposta pari al 2,5 per cento per riportare in Italia i capitali illecitamente esportati. Questo è concetto di illegalità che l’indulto in esame farà ulteriormente crescere!

Voglio altresì ricordare che la cultura dell’illegalità trova un riscontro puntuale negli indici di corruzione stilati periodicamente da organismi internazionali. In tali rapporti, infatti, l’Italia figura tra i paesi più corrotti al mondo, e sta solo un po’ meglio rispetto alla Thailandia, all’India, alle Filippine, al Brasile, al Venezuela, al Pakistan, alla Cina ed all’Indonesia. Questa è la situazione attuale! Addirittura, nel 1998, Ray Kendall, segretario dell’Interpol - e non di un’associazione sconosciuta -, dichiarava che l’Italia è messa peggio della Colombia e, in un documento presentato in una conferenza stampa a Milano, evidenziava che in Italia vi erano larghe aree di corruzione inesplorate.

Anche la strategia del precedente Governo ha favorito questa illegalità; infatti, fino al crack Parmalat, l’obiettivo era chiaro: la diminuzione del controllo di legalità per tutte le categorie economiche e per i colletti bianchi e la negazione dei rapporti tra mafia e politica. Pertanto, si approvavano leggi che incidevano sull’economia, spostando i confini dell’economia legale verso l’economia criminale, bloccando i processi, delegittimando la magistratura, difendendo i politici inquisiti. Fra deputati e senatori vi sono circa 80 persone

 

 

 

 

 

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che potrebbero beneficiare di questo indulto o perché già condannate o perché condannabili, essendo indagate.

In base al nostro diritto societario, il consigliere di amministrazione di qualsiasi società di capitali ha il dovere, sanzionato penalmente, di astenersi dall’assumere decisioni nel caso di conflitto di interessi. Eppure, in questo consesso, non vi è nessuno che senta l’obbligo morale di astenersi dovendo votare una legge che potrebbe favorirlo.

Ritengo che l’intervento svolto dal collega Brigandì abbia rappresentato l’apoteosi della discussione svolta oggi in aula. L’onorevole Brigandì ha utilizzato cinque minuti del suo intervento per attaccare il ministro Di Pietro - rimarcando anche questioni datate - e ha preannunciato il suo voto contrario sul provvedimento in esame. Probabilmente, dovrà poi ringraziare la maggioranza che approverà il presente testo in quanto, quando nel 2003 era assessore regionale, fu arrestato ed è sotto processo per truffa con riferimento agli indennizzi per le alluvioni. Dunque, può darsi che in futuro potrà usufruire di tale provvedimento di clemenza (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori)!

 

PRESIDENTE. Mi scuso per la pignoleria, ma vorrei ricordare al deputato Borghesi che, per quanto riguarda le questioni pregiudiziali, ai sensi dell’articolo 40 del regolamento, è in facoltà di ciascun deputato presentarle prima che abbia inizio la discussione, ovvero possono farlo dieci deputati entro la conclusione della discussione sulle linee generali. Non essendosi gli aventi titolo avvalsi di tale facoltà, non si poteva in alcun modo procedere al relativo esame.

Per ciò che riguarda gli interventi incidentali, vorrei ricordare che mi sono riferito semplicemente ad un parere consolidato della Giunta per il regolamento, secondo il quale gli interventi incidentali, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, del regolamento, sono in linea generale ammissibili soltanto quando i richiami al regolamento o per l’ordine dei lavori vertono in modo diretto e univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione, della deliberazione o comunque del passaggio procedurale nel quale, nel momento in cui vengono proposti, sia impegnata l’Assemblea o la Commissione. Ogni altro richiamo o intervento andrà collocato, secondo la sua natura, al termine della seduta.

Ha chiesto di parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.

 

GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, giunti a quest’ora tarda diventa anche stucchevole indugiare ancora sulle componenti strutturali, giuridiche e normative del provvedimento in esame. Tuttavia, siccome la confusione è grande - mi pare si sia giunti davvero a fare un polpettone, un rimescolio di carte tale da indurre dubbi anche ai più preparati sul piano del diritto -, ritengo sia opportuno fare un po’ di chiarezza.

Intanto, siamo di fronte ad un provvedimento di natura squisitamente parlamentare. Il piano del Governo è un’altra cosa e nulla ha a che vedere con questo tipo di iniziativa che, per la maggioranza richiesta nonché per la sua genesi - ricordo che si tratta di un testo di iniziativa parlamentare e non governativa -, non può assolutamente riferirsi al piano del Governo.

Mi pare piuttosto grave, inoltre, che si continui a confondere il reato con la pena. Trattasi, in realtà, di due elementi ben distinti. Il reato è l’illecito penale, ossia la violazione della norma penale; la pena è la conseguenza di questa violazione. Quindi, trattare di indulto, vuol dire trattare esclusivamente di un provvedimento - lo ripeto - di natura parlamentare, che incide sulla pena e che nulla c’entra con l’accertamento del reato e con la condanna, ma sta esclusivamente sul piano dell’espiazione della pena.

Mi piace anche ricordare, come componente della Commissione giustizia, nonché del Comitato dei nove, che il novero dei reati che sono stati inclusi è strutturato sulla base del codice penale, in cui per ogni reato è prevista una sanzione

 

 

 

 

 

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graduata in ragione dell’allarme sociale che esso genera. Pertanto, vengono considerati reati omogenei, in quanto diversamente ci si esporrebbe ad un marcato profilo di incostituzionalità.

Se ad un reato consegue una pena definita, non può essere trattato in modo diverso da un reato per il quale è prevista la stessa pena, perché il grado di allarme sociale è il medesimo. Ciò non perché lo dice il sottoscritto, ma semplicemente perché è stabilito dal codice Rocco, ancora in essere, che, secondo molti autorevoli pareri, è di carattere marcatamente poliziesco e repressivo. Quindi, penso che su tale piano si sia già fatta chiarezza.

Veniamo alle varie componenti di merito. Ho sentito parlare delle condanne definitive, si è affermato che bisognerebbe applicare questo provvedimento alle sentenze di condanna definitive. A parte il fatto che, così facendo, tratteremmo probabilmente i reati commessi alla fine degli anni Ottanta, ma si porrebbe anche un profilo di incostituzionalità marcata, perché, in ordine a condanne definitive, ci sono soggetti che hanno finito di espiare la pena, soggetti che la stanno espiando e altri che, invece, sono riusciti a prolungare gli accertamenti e i processi penali. Allora, è chiaro che, in questa situazione, diventa complicato ragionare di sentenze definitive di condanna.

Per quanto riguarda il rilievo sollevato in ordine al cattivo esempio che si darebbe ai magistrati, i quali potrebbero sentirsi indotti a non avviare l’azione penale, noi, che crediamo al principio di buona fede e che pensiamo che i magistrati siano onesti funzionari dello Stato, pensiamo che l’obbligo dell’azione penale in capo al pubblico ministero e il reato di omissione in atti di ufficio siano sufficienti a spingere i magistrati a lavorare seriamente. Non credo che un provvedimento di indulto possa in qualche modo incidere su questa volontà, perché, se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un reato.

Venendo poi alla questione battutissima degli extracomunitari, a me dispiace che non siano più presenti i tanti «attori» della Lega, che prima si sono esibiti. Vorrei chiarire un concetto: la legge Bossi-Fini mette in galera gli extracomunitari che non adempiano all’obbligo di via. La legge Bossi-Fini fa sì che questi extracomunitari, una volta espiato un periodo abbastanza indefinito di prigione, tornino ad essere extracomunitari, sprovvisti del permesso di soggiorno, in strada. Tale legge non si pone il problema del rimpatrio effettivo, o meglio, ipocritamente ignora che lo Stato non possiede i mezzi per procedere all’espatrio coattivo. Quindi, invece di risolvere il problema degli extracomunitari, lo fa diventare un doppio problema, perché incide sulla capienza delle carceri, così gravemente compromessa da evitare spesso, a chi si è macchiato di delitti gravi, di andare in carcere. Siamo arrivati a momenti di differimento dell’esecuzione della pena, ossia ad un sistema al collasso, fattore di cui non si può non tenere conto nell’analisi di questo provvedimento.

In ordine alle pene accessorie, infine, faccio presente che l’articolo 174 del codice penale stabilisce che l’indulto non si estende alle pene accessorie, salvo che si disponga diversamente. Pertanto, è pienamente legittima una qualsivoglia iniziativa che disponga in modo diverso, come oggi stiamo pensando di fare. Quindi, porre la questione sul piano della Costituzione, dei valori, della famiglia, della fecondazione artificiale o del racket (per cui se gli uomini non pagano, le loro donne sono violentate), mi sembra non c’entri assolutamente nulla. Si tratta di temi clamorosamente estranei alla materia, che non ci «azzeccano» nulla. Sarebbe opportuno che rimanessero fuori, onde evitare di fare confusione e, soprattutto, di perdere tanto tempo.

In buona sostanza, o si parla di un piano di confusione, che nel mio piccolo spero di avere contribuito a dissipare, ed allora dobbiamo pensare a un’ingenuità; oppure siamo sul piano della malizia, ossia andiamo verso un processo di deviazione dei processi democratici. Trattasi di demagogia, di giustizialismo, ossia di fenomeni

 

 

 

 

 

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che negano la vita associata secondo le regole ordinarie e semplicemente strumentalizzano la questione.

Vorrei parlare alle coscienze di tutti i colleghi che mi stanno ascoltando: strumentalizzare la vita dei detenuti, delle loro famiglie, degli ambienti in qualche modo connessi a questo fenomeno, mi sembra un fatto veramente grave, se tutto ciò è giustificato da un mero principio di apparenza o da un fenomeno di protagonismo. In ordine al fenomeno del protagonismo mi sembra che noi del gruppo Popolari-Udeur abbiamo già fatto qualche distinguo consistente. Abbiamo detto più volte, marcatamente, che non ci sembra opportuno che ci sia un’invasione del piano istituzionale. Contesto che un ministro, che non ha la titolarità del dicastero competente, venga a ricoprire il ruolo di ministro di lotta e di governo.

Ringrazio il ministro Mastella, che non è venuto in aula, perché così facendo ha dimostrato di conoscere i piani istituzionali; ha dimostrato che il Governo è una cosa e il Parlamento un’altra e che c’è consapevolezza di questo fenomeno. Dimostrando di conoscere le regole basilari, egli dà un contributo affinché la democrazia parlamentare faccia il suo corso secondo le procedure esistenti. Non mi permetto assolutamente di esprimere giudizi. Tuttavia, come cristiano, non posso non richiamarmi al Vangelo, nel caso specifico a San Paolo, che scrive: «la stoltezza è un peccato». Poiché la stoltezza è un peccato, io faccio sempre un esame di coscienza.

Allora, credo non sia più il momento di indulgere a ingenuità, a malizie, a tentazioni demagogiche o a strumentalizzazioni. Oggi, come legislatori, siamo chiamati a pronunciarci con coscienza su un provvedimento che inciderà sulla vita di migliaia e migliaia di persone. In Commissione è stata compiuta un’analisi seria, si è arrivati ad un testo oggettivamente accettabile perché è equilibrato e tiene conto dei vari fattori connessi, quindi del piano della sicurezza, del rispetto della vita delle persone, della durata dei processi.

Ringrazio ancora il Governo che sta lavorando alacremente e che ha cominciato a ragionare sulla riforma del sistema della giustizia. Si è insediata la Commissione per la riforma del codice penale, si sta lavorando ad una serie di ipotesi che possano consentire di dar vita ad una riforma strutturale, ossia di giungere a una situazione che eviti le storture che fino ad oggi abbiamo vissuto.

 

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 19,55)

GINO CAPOTOSTI. Più di questo credo che oggettivamente non ci sia nulla da dire. Francamente, penso che non sia indice di serietà tornare a svolgere un dibattito ampio, inserendo all’interno dello stesso di tutto e di più. Ritengo non sia indice di serietà nemmeno ignorare le procedure parlamentari ed i piani istituzionali. Se qualcuno è contro l’indulto come istituto in sé - posto che è un istituto esistente - bisogna presentare una proposta di legge per la sua abolizione o un progetto di legge per l’abolizione dell’amnistia, secondo le regole del caso. A me sembra che queste iniziative non siano state prese. Non vorremmo che molti lanciassero il sasso, per poi nascondere la mano!

Noi ci assumiamo la responsabilità che ci compete davanti all’Assemblea e anche davanti al paese, innanzi al Governo, liberamente, in coscienza, onestamente, sapendo di non aver nulla da nascondere e nessuno da difendere, consapevoli che ci toccano scelte che sono necessarie. Penso ed auspico che si possa arrivare ad un pronunciamento positivo sul provvedimento in esame.

Diversamente, avremmo sprecato tanto tempo; e ciò non sarebbe serio, non sarebbe rispettoso dell’intera popolazione nazionale. Ripeto che il testo in esame, in quanto di iniziativa parlamentare, è frutto dell’incontro di una serie di volontà e, quindi, non si pone sul piano del rapporto tra Governo ed opposizione, non è inserito in tale schema: il provvedimento è riferibile

 

 

 

 

 

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al potere legislativo, che compete alle Camere - e basta - e, in quanto tale, va preso per quello che è.

Fatti i distinguo del caso, invito chi non ritenga di formulare ulteriori rilievi a chiedere l’abolizione degli istituti dell’indulto o dell’amnistia. Certo, ci rendiamo conto dei tanti interessi coinvolti e del fatto che ciò può ingenerare interpretazioni in malafede. Per questo motivo, vanno evitate le interpretazioni in malafede. Non ci sarà uno scenario da far west e non ci saranno assassini armati di pistole in giro ma, semplicemente, persone che avranno usufruito di uno sconto di pena, condannati che rimarranno tali e che esprimeranno un po’ di pena in meno (e che perderanno il beneficio nel momento in cui si dovessero macchiare, nei cinque anni successivi, di ulteriori reati). Più di questo non esiste. Il meccanismo è condiviso da molte democrazie mature, da molte democrazie occidentali.

Spero che si possa arrivare ad una deliberazione in tempi brevi. Sottolineo negativamente, ancora una volta, l’ingerenza sul piano istituzionale, che non va assolutamente tollerata (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari-Udeur e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Maran. Ne ha facoltà.

 

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, amnistiare alcuni reati e condonare una parte delle pene già comminate attraverso l’indulto è sempre una forma di rinuncia, di lesione del diritto dei cittadini e delle vittime dei reati a vedere riconosciute le proprie ragioni, ma oggi il funzionamento della giustizia penale e del sistema delle pene carcerarie non risarcisce nessuno o risarcisce le vittime in modo casuale. Negli ultimi cinque anni, oltre 800 mila persone hanno beneficiato della prescrizione. Le cifre della detenzione sono ugualmente allarmanti: 60 mila detenuti; 50 mila persone sottoposte a misure alternative. E la mole dei processi penali pendenti raggiunge il numero di 5 milioni 580 mila unità.

Ecco che, allora, la questione dell’amnistia e dell’indulto si è trasformata da semplice provvedimento umanitario in risposta obbligata ad un’emergenza giudiziaria e sociale che deve essere per forza affrontata. Si potrebbe parlare addirittura di un cambiamento promesso e contraddetto, di una promessa mancata.

Nel secondo dopoguerra, l’istituto è diventato, come tutti sanno, strumento ordinario di controllo del funzionamento della giustizia e degli istituti di pena: ogni due o tre anni, si cancellavano, con l’amnistia, i reati puniti con la reclusione fino a tre anni e si condonavano, con l’indulto, uno o due anni di pena. In questo modo, lo scopo pratico di far funzionare la macchina giudiziaria e di gestire il carcere era, bene o male, raggiunto, ma in modo inaccettabile, perché una fascia di crimini minori risultava di fatto impunita ed un numero elevato di detenuti riceveva periodicamente una sorta di regalo. Da qui la necessità di cambiare rotta.

Nel 1992, allo scopo di circoscriverne l’utilizzazione, si è deciso di modificare la Costituzione, subordinando l’approvazione delle leggi di amnistia e di indulto al voto favorevole dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e, dunque, di subordinarla ad una valutazione ampiamente condivisa da parte delle forze politiche.

Nel 1988 è stato approvato un nuovo processo penale che prevedeva patteggiamenti della pena e riti abbreviati che avrebbero dovuto garantire, secondo le intenzioni, un elevato sfoltimento dei processi. Contemporaneamente, sono state previste norme penitenziarie che assicuravano liberazioni anticipate dei detenuti e forme di esecuzioni penali alternative al carcere che avevano riguardo alla specifica personalità dei detenuti e che, pertanto, subordinavano il «premio» alla valutazione individualizzata dell’avvenuta risocializzazione.

In concreto, però, il nuovo sistema non è riuscito ad impedire, per molte ragioni, che gli uffici si ingolfassero e le carceri si affollassero ulteriormente. Da qui l’emergenza giudiziaria, penitenziaria e sociale denunciata da più parti. In particolare, si

 

 

 

 

 

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tratta di un’emergenza penitenziaria ingigantita dagli effetti perversi di alcune leggi recenti (come la Bossi-Fini, in materia di immigrazione, o la Fini-Giovanardi).

È questo il contesto nel quale deve essere valutata la pressante richiesta di amnistia e di indulto. È questo il contesto della decisione dello stralcio, di procedere cioè immediatamente, prima della pausa estiva, alla concessione dell’indulto. Un provvedimento che le emergenze presenti e quelle che rischiano di verificarsi in caso di mancato tempestivo intervento, rendono ineludibile. E se il provvedimento sarà approvato, sarà assunto, quale che sia il suo contenuto specifico - sempre perfezionabile, su ciò torneremo -, dovrà esserlo - avvertiva qualche tempo fa, Carlo Federico Grosso - senza soddisfazione, piuttosto con la consapevolezza che non costituisce affatto una vittoria della giustizia, ma il riconoscimento del suo fallimento.

Ecco cosa c’è dietro al tentativo di giungere ad un’intesa sul provvedimento in discussione. Vi è l’esigenza, e sopratutto la necessità, di alleviare le condizioni drammatiche, di autentica emergenza in cui si trovano le nostre carceri. Nel programma dell’Unione, a pagina 65, abbiamo scritto, citando Dostoevskij, che il livello di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri ed abbiamo sostenuto che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Abbiamo aggiunto che nel nostro paese le condizioni attuali di vita carceraria sono lontane da ogni senso di umanità e di rispetto della dignità del detenuto e che il degrado è connesso sempre più pesantemente al sovraffollamento delle carceri.

Se così stanno le cose - e stanno davvero così, sono ben 60 mila, come dicevo, i detenuti letteralmente stipati, in condizioni disumane in un sistema carcerario dalle strutture e dal personale inadeguati - un provvedimento di clemenza non è rinviabile. E non vi è dubbio che sarebbe meglio trovare soluzioni stabili per i problemi della giustizia, ma tali soluzioni non sono pronte per essere usate. Ed allora, la legge di indulto cui stiamo lavorando interviene, come è noto, sul periodo finale delle pene. Esso non può applicarsi ai reati più gravi, di maggiore allarme sociale, dalla criminalità organizzata al terrorismo ed ai reati sessuali e di pedofilia, che sono esclusi. Le esclusioni sono le più estese della storia dell’istituto e non vi è alcun colpo di spugna. Mentre l’amnistia estingue il reato e preclude l’esercizio dell’azione penale nei confronti del reo o dell’imputato, l’indulto estingue la pena e presuppone, invece, l’accertamento della colpevolezza dell’imputato. Dunque, per i reati contro la pubblica amministrazione ed i reati finanziari, i fatti di corruzione di cui si è parlato, è necessario che le responsabilità e le complicità vengano accertate, che processi si svolgano e su ciò l’indulto non incide.

Ma io mi chiedo, e vi chiedo, uno sconto relativo alla pena detentiva per quei reati è in contrasto con le esigenze e i principi di giustizia? Credo di no. Abbreviare la reclusione, specie nelle condizioni che tutti abbiamo descritto, è un atto di umanità che non cancella la colpevolezza degli autori di tali reati, né può attenuare la riprovazione sociale nei loro confronti.

Non condivido, poi - è un giudizio personale - l’accanimento di chi vuole, a tutti i costi, negare uno sconto di pena per questo genere di reati: è la retorica vendicativa della galera. Senza contare che la disciplina delle pene accessorie non temporanee, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, fissata dal codice penale resta ferma e non può essere modificata dall’indulto. Altrettanto proporremo e sosterremo per le pene temporanee. In altre parole, faccio un esempio su cui si è tornati in queste settimane, certo che Cesare Previti potrà giovarsi dello sconto di pena, ma ciò non incide sulle sue responsabilità, accertate processualmente, né sull’interdizione perpetua dai pubblici uffici, che l’indulto non cancella. Aggiungo che Cesare Previti non sta in carcere, sta a casa sua, da due mesi sta scontando la

 

 

 

 

 

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pena detentiva agli arresti domiciliari, e non ce l’ha mandato il Parlamento, ma un magistrato.

Si è parlato, in queste settimane, di ricatto, di «inciucio». Ma come tutti sanno, le modifiche costituzionali del 1992 hanno reso più difficile, a causa della particolare maggioranza prescritta, giungere ad un provvedimento di clemenza. La legge deve essere deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale. La maggioranza di Governo non è, dunque, autosufficiente ed un compromesso con l’opposizione è pertanto indispensabile. Dunque se vi sono le condizioni per giungere entro l’estate ad un’intesa largamente maggioritaria, come prevede la Costituzione, per approvare una legge utile, umana, in nome dell’interesse generale, sottraendo per una volta la giustizia al terreno del conflitto politico aspro che ha segnato questi ultimi anni, che si fa? Rinunciamo a rendere meno disumane, meno sovraffollate, meno violente, meno patogene le carceri italiane? Rinunciamo al provvedimento di clemenza per il fatto che anche Previti e qualche altro potranno avvalersi dello sconto? Non credo che si possa considerare questa campagna qualificante dell’identità del centrosinistra, del suo programma e del suo sistema di valori.

Le leggi ad personam hanno rappresentato una delle più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano e, quindi, è tempo che il Parlamento, a differenza di quello che accadeva con il Governo Berlusconi, torni ad occuparsi dei tanti e non soltanto dei pochi, dei disgraziati e non soltanto di quelli ricchi e famosi.

La mia opinione è che l’indulto, la larga intesa che è condizione necessaria per l’esercizio del potere di clemenza, servano ai tanti e non ai pochi. Servono innanzitutto a porre fine all’inaccettabile violazione del principio costituzionale per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Per questa ragione, abbiamo presentato un unico emendamento - sul quale torneremo - e sosterremo il testo della Commissione; infatti, occuparsi non dei pochi ma dei tanti, dei tanti senza nome e senza tutela, rappresenta la vera discontinuità rispetto al quinquennio trascorso e di questo ci assumeremo l’onere e la responsabilità.

Va da sé che la concessione di misure di clemenza deve abbinarsi a misure di sistema per dare più efficienza alle istituzioni giudiziarie, perché ciò è essenziale per la legalità e la sicurezza dei cittadini. Questo è il compito che il Governo e la maggioranza che lo sostiene si sono proposti di realizzare nel corso della legislatura e su questo - lo dico al ministro della giustizia che non ha avuto timore di esprimersi sul problema dell’indulto e della amnistia e si è espresso con semplicità e chiarezza - varrebbe la pena ora concentrarsi, cioè su quel cambiamento molte volte promesso e molte volte rinviato e contraddetto (Applausi dei deputati dei gruppi de L’Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Garavaglia. Ne ha facoltà.

 

MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema dell’indulto che affrontiamo oggi per la prima volta alla Camera merita qualche approfondimento, che va oltre il «teatrino» che si fa quando si sa che, in partenza e dietro un finto dibattito con finti toni accesi, si è già d’accordo su quello che è il compromesso e la via di uscita per trovare la maggioranza dei due terzi necessaria per approvare il provvedimento.

Per noi è difficile intervenire dando un contributo che vada oltre quelli che sono i termini scontati di una questione. Voi sapete che la Lega da sempre è contraria ai provvedimenti di clemenza, all’amnistia e all’indulto, per ovvi motivi che riguardano sostanzialmente la certezza della pena, la tutela del territorio e dei nostri cittadini; però, dal dibattito di oggi sono emersi molti spunti di riflessione e, quindi, è opportuno fare anche qualche ragionamento in più.

 

 

 

 

 

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I dati che sono stati snocciolati dimostrano come sempre che, a seguito di un provvedimento di clemenza, c’è un forte incremento di criminalità e di reati; quindi, già questo dovrebbe, ovviamente, portare ad una prudenza nell’applicare un simile tipo di provvedimento. Questo è uno dei motivi per cui è stato elevato a due terzi il quorum per approvare questo tipo di provvedimento.

Non voglio dilungarmi su ciò, però, ci sono altri dati che è necessario ribadire e conoscere; quindi, a tale proposito citerò degli esempi concreti, perché è con le cose concrete che si approfondiscono i fatti.

Io vengo da un comune di 5 mila 500 abitanti, 2100 famiglie dell’est milanese, nella provincia di Milano - sono sindaco del comune di Marcallo Concasone -, dove l’anno scorso ci sono stati ben 180 furti dichiarati in appartamento. Ciò vuol dire che il 10 per cento della popolazione del mio comune ha subito un furto in appartamento e lo ha denunciato; quindi, probabilmente i furti sono molti di più. Fatta presente la situazione alla compagnia dei carabinieri del nostro territorio, ci è stato detto che, sostanzialmente, dobbiamo ritenerci fortunati perché siamo un’ isola felice. Rispetto ad altre zone, abbiamo un tasso di furti negli appartamenti molto basso. Sarà anche molto basso, ma, se andiamo avanti così, nel giro di dieci anni, i furti riguarderanno le case di tutti i nostri cittadini. Quindi, non è poi così basso. Non è vero che si può continuare in questo modo.

Sono abbastanza giovane, ma ricordo che, non cento né venti anni fa, ma dieci anni fa, da noi, non c’era neanche un sistema di allarme, non era necessario. Dieci anni fa, non avevamo le spranghe alle finestre. Non era necessario. Si lasciava la chiave nella toppa. Cosa è cambiato dal 1990 ad oggi? Nel 1990, avevamo unicamente il fenomeno dei nomadi e qualche furto negli appartamenti: bastava chiudere e portarsi via la chiave. Adesso non è più così. Cosa è cambiato, dunque? Semplicemente, sono state approvate alcune leggi (le cosiddette leggi Martelli e Turco-Napolitano) che hanno fatto invadere il nostro territorio. Ora abbiamo una realtà di criminalità diffusa che prima non c’era: non c’era e non c’è mai stata.

Si sostiene che è necessario arrivare a questo provvedimento di indulto per vari motivi, uno più demagogico dell’altro. Il primo: il sovraffollamento delle carceri. Bene, ma se le carceri sono sovraffollate, perché non andiamo avanti sulla linea intrapresa giustamente dal ministro Castelli? Facciamo nuove carceri e soprattutto «esportiamo» nei paesi di provenienza i criminali che attualmente abbiamo nelle carceri. Avremmo enormi risparmi economici ed un consistente effetto deterrente. Infatti, un albanese sa benissimo cosa sono le carceri in Albania; altro che la situazione critica e pessima delle nostre carceri! Dunque, le cose da fare sono tante.

Un altro problema che il provvedimento di indulto in esame scarica sui cittadini riguarda gli effetti dell’uscita dei detenuti. Coloro che escono dalle carceri semplicemente perché gli viene abbonata una quota della pena cosa fanno? Non è stato fatto cenno ad un problema fondamentale: è già stato detto che, nel 60 per cento dei casi, tornano in carcere, perché non hanno un’alternativa. Attualmente, le carceri - questo è vero - non offrono una vera riabilitazione per cui chi vi esce, nel 60 per cento dei casi, torna a fare ciò per cui era in carcere.

La questione riguarda anche gli enti locali. Mi piace richiamare, anche in questo caso, esempi concreti, perché qui si deve parlare di cose concrete e non di massimi sistemi. Cito il caso di un nostro concittadino in carcere per rapina. Sapete che per arrivare in carcere bisogna accumulare almeno cinque anni di pena? Quindi, bisogna farne di rapine, non è sufficiente andare solo una volta in una villa. Bisogna farne un bel po’. Il nostro concittadino viene affidato al comune dai servizi sociali. Il comune deve sobbarcarsi l’onere di sistemare queste persone. Il problema è in che modo. In primo luogo, non ci sono le risorse. Se lo Stato pensa di scaricare, con l’indulto, 10 mila persone sugli enti locali, deve anche chiedersi dove

 

 

 

 

 

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tali enti troveranno i quattrini per sistemare dette persone. Non è serio credere che queste persone arrivino al comune, suonino il campanello del sindaco o dell’assessore e dicano: va bene, ora sono fuori, devi trovarmi un posto di lavoro.

Abbiamo tentato, con riferimento al caso che ho citato precedentemente, di trovare il posto di lavoro alla persona a cui facevo riferimento prima: il risultato è stato che, dopo sei mesi, ha preferito tornare a fare rapine e adesso è di nuovo in carcere. Con l’approvazione dell’indulto, ce lo troveremo di nuovo fuori e dovremo trovargli nuovamente un posto di lavoro e ... avanti Savoia! E chi paga? Paga Pantalone!

Un altro problema specifico e concreto. Si tratta di un nostro concittadino che è in carcere ormai da 15 anni, sostanzialmente perché ha anche problemi di carattere psichiatrico. Tant’è che ha seguito un lungo percorso riabilitativo presso il carcere di Peschiera del Garda. È stato deciso che, adesso, questo signore è guarito, ma non ho capito bene come sia possibile. Dopo un periodo di sei mesi in carcere, il 25 agosto verrà a suonare il campanello del comune - come già ha fatto la sua famiglia - e ci dirà che gli dobbiamo dare una casa e un lavoro e lo dobbiamo aiutare. Un aiuto non si nega a nessuno, ma dobbiamo avere gli strumenti per farlo. Voi non vi rendete conto che con questo sistema riversate sui comuni un problema enorme e devastante.

C’è - dicevamo - una ipocrisia di fondo in questo provvedimento. Non si è avuto il coraggio di proporre, insieme, un’amnistia, perché sapevate che i numeri per approvarla non ci sono. Si sta tentando di portare a compimento questo piccolo provvedimento - perché, in fin della fiera, è cosa da poco - che crea più danni che guadagni e che servirà per poter dire, sotto l’ombrellone, e poter leggere, sui giornali estivi, che è stato risolto il problema delle carceri e che, finalmente, c’è una discontinuità (termine che adesso è di moda). Poi, ci troveremo a dover aprire un tavolo (altra espressione di moda) per risolvere i problemi che questo indulto inevitabilmente comporterà.

Dov’è l’ipocrisia? La Lega la individua, essenzialmente, in due aspetti. Innanzitutto, in ciò che si è detto. Se davvero vogliamo aiutare queste persone, perché non si è pensato a pene alternative, invece di buttarle fuori, per la strada, lasciando che i comuni risolvano il problema con la bacchetta magica? Perché non le impieghiamo in lavori socialmente utili, come accade in Germania o negli Stati Uniti, paesi più evoluti sotto questo aspetto? Non potete pensare che questi problemi li risolvano gli enti locali, non è compito dei comuni! Si può pensare a percorsi alternativi di pena e su questo siamo perfettamente d’accordo. Del resto, è assurdo rinchiudere le persone tra quattro mura, bisogna impegnarle in qualche attività. Allora, ci sarà davvero un percorso di riabilitazione e potremo pensare che, scontata la pena, questi signori si troveranno a poter affrontare una vita differente. Invece, si preferisce l’ipocrisia di pensare che con la bacchetta magica si risolve il problema e si liberano le carceri. Poi, si affidano queste persone ai comuni e chi vivrà, vedrà. Questa è la prima ipocrisia.

La seconda è quella consistente nell’«inciucio» che si sta perpetrando in questa Assemblea e che già altri deputati hanno giustamente evidenziato. Non è corretto far finta di non vedere, solo per arrivare alla maggioranza dei due terzi, che a fianco dell’indulto - che può anche essere condivisibile, nonostante tutti i dubbi che ho espresso in precedenza -, si depotenziano i cosiddetti reati finanziari, i reati di corruzione contro la pubblica amministrazione. In questo caso, l’ipocrisia c’è ed è molto grave. Mi spiego: non si tratta semplicemente di abbreviare la pena di tre anni ma si tratta anche di eliminare le pene cosiddette accessorie. Cari colleghi, non prendiamoci per i fondelli! Eliminare le pene accessorie a beneficio di chi ha commesso reati contro la pubblica amministrazione significa semplicemente dire che, da domani, queste persone torneranno

 

 

 

 

 

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a fare quel che hanno fatto fino ad adesso. Non sono i tre anni di pena ad incidere in questo tipo di reati. Sappiamo benissimo, infatti, che è difficile arrivare ad una condanna a tre anni per truffa aggravata. A me piace parlare di esempi concreti. L’ex assessore provinciale dei Verdi, Arzuffi, ha riempito di rifiuti un capannone che, poi, è casualmente bruciato. Ebbene, la sentenza, passata in giudicato, lo ha condannato a tre anni per truffa aggravata e, non arrivando la pena ai cinque anni, il carcere non lo ha neanche visto. In realtà, quella pena non c’è, non serve a niente. In più, noi dovremmo anche togliere le pene accessorie? Vuol dire che il signore di cui si è detto - il problema non è questo caso specifico, che riferisco come esempio -, beneficiando di questo tipo di provvedimento, potrebbe riprendere l’attività politica. Siamo veramente alla follia!

Qui l’«inciucio» c’è ed è molto pesante, perché da una parte la maggioranza accusa il centrodestra, Forza Italia in particolare, di volere introdurre questo tipo di reato, dall’altra parte dice: va bene, ma siete anche voi che avete gli stessi problemi. In effetti è vero, perché di scandali finanziari e di reati contro la pubblica amministrazione ne abbiamo tanti e questi coinvolgono un po’ tutti. Abbiamo il caso Parmalat ed in questo caso sarebbe davvero uno scandalo se la gente che ha defraudato le nostre vecchiette finisse come se nulla fosse. Abbiamo il caso della Banca Popolare di Lodi, abbiamo i bond argentini, abbiamo il caso Unipol, del quale non si sente più parlare, come se nulla fosse.

Dunque, l’impressione forte è che vada bene per tutti. Si fa finta di parlare dei poveri cristi che escono dalle carceri, sapendo peraltro che li fate uscire dalle carceri lasciandoli peggio di prima, perché li mandate fuori senza una soluzione alternativa, ribaltando costi enormi sugli enti locali, che non sapranno come affrontare il problema. In più, risolvete il problema dei cosiddetti furbetti: furbetti del quartierino, furbetti di sinistra, di destra. Insomma: i furbetti! E questo sicuramente alla Lega non va e non potrà mai andare bene.

Dunque, per concludere, se davvero si voleva fare qualche cosa perché non si sono messe in pista davvero delle modifiche al codice di procedura penale? D’accordo, vogliamo alleggerire un po’ le carceri? Potremmo anche ragionare di accorciare le pene. Perché no? Una pena corta? Basta che sia certa. Perché bisogna accumulare un bonus di cinque anni prima di andare in carcere? Perché abbiamo un sacco di benefici? Stabiliamo pene più brevi, certe, e in questo modo qualcuno ha anche paura di andare in carcere!

Inoltre, se mi consentono i colleghi dell’Italia dei Valori, che spesso si ergono a moralizzatori del tema della pubblica amministrazione, vorrei lanciare una piccola provocazione. Spesso si affronta il tema dei reati di corruzione verso la pubblica amministrazione pensando sempre e solo al lato della politica. Ricordiamoci che c’è stata la riforma Bassanini, che in un clima giustizialista ha tolto il potere di firma sostanzialmente a sindaci e assessori, lasciandolo a tutti i vari capi ufficio, soprattutto degli uffici tecnici. Ma quando mai si fa una verifica o un controllo che non ci sia corruzione anche da parte degli agenti della pubblica amministrazione? Noi pensiamo sempre e solo al settore politico, invece noi con la riforma Bassanini abbiamo aperto un fronte che è devastante e che è assolutamente fuori da ogni tipo di controllo. Perché non ragioniamo anche su questi aspetti?

Ci sarebbero tante altre cose da dire, però non voglio tediarvi oltre. Ribadisco il concetto espresso all’inizio di questo mio breve intervento. La Lega Nord è contro questo tipo di provvedimento, perché nel clima attuale - che non è di straordinarietà, bensì di ordinaria situazione di malessere di criminalità diffusa - non c’è una situazione tale da arrivare ad un gesto di clemenza. Quindi, noi - giustamente - voteremo contro questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).

 

 

 

 

 

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

 

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, citerò subito una data, quella del 12 gennaio 2006. Proprio in quest’aula, eravamo qui a battagliare contro il primo tentativo di far passare l’amnistia e l’indulto. Fu una grande battaglia, fatta esclusivamente dalla Lega Nord e da Alleanza Nazionale. Poi c’è stato qualcuno che, nell’ambito del centrosinistra, ha voluto prendere le distanze dall’amnistia, votando «no» all’amnistia e «sì» all’indulto, però la faccenda si era chiusa lì, respingendo appunto sia l’amnistia sia l’indulto.

Dopo nemmeno sette mesi, ci ritroviamo sempre qui, in quest’aula, signor Presidente - guarda caso, con il primo provvedimento di iniziativa parlamentare -, a parlare di nuovo di clemenza, questa volta solamente di indulto.

Però, questa volta, purtroppo, con i voti che sia dal centrosinistra che dal centrodestra - e dico malauguratamente del centrodestra -, faranno passare per l’appunto questo provvedimento.

Debbo ricordare innanzitutto che la nostra posizione, quella della Lega, è stata contraria a gennaio ed è ancora contraria ora a luglio, per la coerenza che noi dobbiamo ai nostri elettori. Tale coerenza la chiediamo anche a chi, durante la campagna elettorale, è andato in giro a dire che occorre avere la certezza della pena e che ora invece si dichiara favorevole a questo provvedimento. Ora, abbiamo sentito in quest’aula, diversi interventi favorevoli e contrari, comunque nessuno - a parte pochi - ha detto di essere coerente con le proprie idee e con le promesse fatte ai propri elettori.

Vedete, si è parlato tanto delle attese dei detenuti e delle condizioni di essi. Giustamente, prima, il collega Garavaglia faceva menzione anche ad altri Stati civili: ha citato l’esempio della Germania e degli Stati Uniti, dove ai detenuti si fanno fare dei lavori socialmente utili, ma che sono nel contempo utili ai detenuti stessi. Allora non capiamo perché non si possa fare questo anche in Italia; perché, per esempio, con tutte le opere di ingegneria fluviale che possono essere fatte da noi, non si possano adoperare i detenuti.

Tuttavia, la maggior parte degli interventi favorevoli all’indulto suscitano delle attese nei detenuti: io vorrei invece esprimere le attese della maggior parte dei nostri cittadini, di coloro che hanno sempre pagato la tasse e fanno la fila, giorno per giorno, presso la nostre amministrazioni locali, coloro che, comunque, non hanno mai compiuto un atto delinquenziale. Cosa si aspettano da noi questi cittadini? Chi voterà «sì» a questa proposta di legge avrà la coscienza di guardare dritto in faccia, le migliaia, i milioni di cittadini onesti che, giorno dopo giorno, lavorano e di dire loro di aver scarcerato chi, magari poco tempo fa, è entrato nelle loro abitazioni per rubare o chi è favorevole all’indulto avrà il coraggio di guardare dritto in faccia l’anziano che ha subito violenza da chi ora viene rimesso in libertà? Entrare in casa e trovare l’appartamento distrutto è uno shock. È un reato odioso perché chi entra in una proprietà privata, lede in maniera molto cruenta la vita civile. Allora, cosa penseranno questi cittadini quando si ritroveranno per le strade delinquenti abituali?

Vorrei dire qualcosa anche sulle attese delle nostre forze di polizia, di chi, giorno per giorno, cerca di reprimere la delinquenza. Cosa diranno la polizia, i carabinieri, gli uomini preposti all’ordine pubblico, al controllo e alla repressione della delinquenza, quando vedranno di nuovo scarcerati queste migliaia di detenuti? Cosa penseranno di coloro che voteranno «sì» all’indulto?

Non so cosa penserà la magistratura; mi attendo vi sia una forte sollevazione: già qualche presidente di tribunale - ho letto sui giornali - si è dichiarato contrario all’indulto, ma mi sarei aspettato veramente, considerati anche gli scioperi di recente memoria, che buona parte dei magistrati si sollevassero contro questa proposta di legge. Invece, mi sembra che tutto taccia, fuorché qualche voce sparuta.

Vorrei inoltre ricordare che l’ultimo provvedimento di clemenza risale al 1990; su 25 mila 800 detenuti ne furono scarcerati 12 mila 500. Vorrei capire quanti effettivamente ne usciranno ora, con l’approvazione

 

 

 

 

 

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di questo nuovo indulto; infatti, se è vero che il ministro Mastella ha dichiarato che saranno circa 12 mila 500, è altresì vero che la commissione istituita presso il Ministero della giustizia ha quantificato un ammontare di 22 mila 500 detenuti. Come giustamente qualcuno dianzi faceva rilevare, dato il limite di tre anni, qualcuno comunque nei prossimi anni avrà questa riduzione ed uscirà prima di avere scontato per intero la propria pena.

Dunque, mi domando quanto grande sarà la frustrazione dei cittadini onesti e mi chiedo se esistano altre soluzioni per risolvere i problemi di sovraffollamento nelle carceri. A mio avviso, invero, esistono altre soluzioni; nei cinque anni trascorsi, il ministro Castelli ha dato attuazione al programma di edilizia carceraria: vi sono dunque strutture carcerarie che sono pronte per essere aperte; sarebbe la via giusta per dare migliori condizioni ai detenuti. Migliori condizioni che nessuno vuole loro negare.

Qualcuno favorevole all’indulto si è appellato alla visita del Santo Padre in quest’aula, ma io ricordo le parole pronunciate; il Santo Padre non ha citato né l’amnistia né l’indulto: ha solamente chiesto di far sì che vi fossero migliori condizioni per i detenuti. In questa sede, dunque, si stanno travisando le parole del Santo Padre, che non ha assolutamente parlato di amnistia o di indulto.

L’assenza, durante tutto il dibattito, del Ministro della giustizia, l’onorevole Mastella dimostra che all’interno della maggioranza non c’è una univoca posizione come invece si vorrebbe far credere. Forse, permettetemi questa battuta, il Ministro sarà ancora irritato per la mancata introduzione in questo provvedimento dell’indulto su calciopoli.

Veniamo così ad una questione di carattere politico; sono presenti i colleghi dell’Italia dei valori. Abbiamo sentito che sono fortemente contrari a questo provvedimento ed abbiamo altresì sentito che comunque si avranno delle conseguenze politiche all’interno della maggioranza, all’indomani del voto sul provvedimento - che sicuramente raggiungerà la maggioranza dei due terzi di questo Parlamento -. Mi aspetto dunque atti concreti da parte dei colleghi deputati dell’Italia dei Valori e anche da parte del ministro Di Pietro. Ho letto alcune interviste oggi apparse su vari quotidiani; il ministro ha detto: tirate la corda e questa corda si spezzerà. Vorrei dunque capire in questo momento se la corda si è spezzata o meno, quindi invito i colleghi dell’Italia dei Valori ad essere coerenti loro stessi, perché la coerenza paga sempre. Noi della Lega abbiamo presentato una serie di proposte emendative; prima fra tutte, quella tesa all’abrogazione di questo articolo unico. Ma abbiamo presentato anche altre proposte, ad esempio per far sì - secondo un’espressione di moda - che vi sia una riduzione del danno; tutti, nei vari interventi, parlano di tale famosa riduzione del danno e noi abbiamo presentato proposte emendative in tal senso. Però, Presidente, una decisione spero non si prenda: quella relativa alla votazione a scrutinio segreto: ognuno deve assumersi la propria responsabilità in una votazione che deve essere assolutamente a scrutinio palese. Spero che nessun presidente di gruppo richieda la votazione a scrutinio segreto.

Infatti, se è vero che qui in aula abbiamo tutti una posizione, è giusto che su quel tabellone appaiano i puntini verdi o quelli rossi, ma non una schermata blu. Vedete, è una questione di assoluta coerenza.

Vorrei ricordare - e concludo, signor Presidente - che qui abbiamo votato una legge, quella sulla legittima difesa, che veramente è una buona legge, che è stata votata da tutto il centrodestra (ha avuto pareri contrari naturalmente dall’ex minoranza) e che ha già avuto effetti positivi. Se è stato giusto votare quella legge sulla legittima difesa, non vedo perché parte della minoranza oggi insista nel voler votare questa legge sull’indulto. È una contraddizione politica ed etica, è una contraddizione che comunque occorre dirimere, anche perché - e non lo nego: l’ha detto

 

 

 

 

 

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ieri il nostro presidente, l’onorevole Maroni - ciò pone dei grossi problemi all’interno della Casa delle libertà. Non neghiamo infatti che questa sia una questione politica fondamentale. Mi auguro che nel prosieguo dell’esame e nella votazione finale qualcuno cambi parere.

Da ultimo, mi conceda una battuta, Presidente; non so se l’indulto cancelli anche il tradimento politico - non credo, non è contemplato -, ma questo comunque è un marchio che ti rimane per tutta la vita!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bodega. Ne ha facoltà.

 

LORENZO BODEGA. Signor Presidente, certamente la Lega Nord è la forza politica che sui temi legati alla giustizia ha sempre avuto un atteggiamento coerente, senza lasciarsi prendere la mano da strumentalizzazioni politiche o da ondate emotive. Spesso, troppo spesso, a sostegno di provvedimenti di questa natura, di amnistia o di indulto - e voglio ribadirlo come hanno già fatto altri colleghi e da ultimo l’onorevole Dozzo - ci si è richiamati all’intervento di Papa Giovanni Paolo II - sono in questo caso ripetitivo - , che in quest’aula ha descritto la condizione dei detenuti e invocato provvedimenti di clemenza. Anche in quella occasione e anche oggi - e me ne sono dispiaciuto - si è tentato di piegare persino le intenzioni oltre le parole del Sommo Pontefice, quando doveva essere ben evidente l’afflato umanistico e lo spirito misericordioso che ispirava il Capo della Chiesa cattolica. Va da sé che, specie per chi crede, la compassione, cioè il soffrire insieme, è uno dei fondamenti delle proprie convinzioni religiose e della propria appartenenza ad un progetto trascendente. Voglio dire cioè - e non vorrei sembrare in questo momento troppo ecumenico - che per il cristiano la parola perdono assume un significato particolare e irrinunciabile, anche se occorre stare in guardia dal rischio di farla scadere in quella deriva perdonista che mette in discussione principi fondamentali della convivenza civile. Anche per il cristiano il «chi sbaglia paga» deve essere un principio informatore della coesistenza tra gli uomini, altrimenti siamo nella giungla e, peggio ancora, nella impunità. E proprio nell’alveo di queste osservazioni, voglio ricordare come ancora una volta si confondano l’aspetto umanitario con l’esigenza di risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri. Conosciamo la situazione e sappiamo anche che non è svuotando le prigioni che si rende vivibile la giornata dei detenuti. Ben altre sono le esigenze rieducative e riabilitative. Certo, il recupero sociale, previsto nella nostra Costituzione, è un impegno che va sempre più perseguito con riforme strutturali all’interno delle carceri, dove sappiamo che spesso il delinquente occasionale viene a contatto con figure che si sono macchiate di delitti efferati e che cercano di avvolgere nella loro rete chi vive momenti di disperazione. Ma da qui a giustificare ipotesi di indulto o di amnistia, dell’uno o dell’altro istituto, ce ne corre. Ci corre soprattutto il buonsenso, che, tradotto in pillole, altro non significa se non che qualsivoglia provvedimento di clemenza svuoterebbe in parte le carceri ma riempirebbe le strade delle nostre città di migliaia e migliaia di persone che non sanno come procacciarsi da vivere - lo ha ricordato bene poc’anzi il collega Garavaglia - e che perciò sono predisposti a reiterare i loro errori mettendo così a repentaglio la sicurezza dei cittadini. E che esito avremmo poi? Che ricaduti in un reato di furto o di rapina - i più diffusi come risulta dai dati forniti dalle Forze dell’ordine - tornerebbero facilmente in carcere e riproporrebbero, in termini ancora più aggravati, i problemi che si vorrebbero risolvere. È, insomma, il cane che si morde la coda.

Allora diciamo che in questo paese di altissima tradizione giuridica vi è stato, ad esempio, accanimento verso i reati di opinione mentre si è assai più indulgenti verso delitti ben più gravi. Cito per tutti il caso dell’assassino del Circeo che, trovata la libertà, non ha esitato a ripetere con uguale ferocia il suo delitto dopo che i

 

 

 

 

 

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giudizi sul suo comportamento carcerario erano improntati all’ottimismo e corroborati dalla buona condotta.

Occorre, a mio parere, intervenire ancora una volta sul processo, sui tempi della giustizia, sulla certezza della pena. Principi ripetuti fino alla nausea in questa sede. A Lecco, la mia città, negli ultimi sei mesi sono approdati al giudizio di primo grado sei casi che sono balzati alla ribalta della cronaca nazionale e che hanno dimostrato come un tribunale efficiente possa arrivare in tempi ragionevoli a svolgere le proprie funzioni. E si trattava di casi delicati come quello dell’infermiera killer e del giovane che ha ucciso un benzinaio a sangue freddo per pochi spiccioli. Quel benzinaio, Giuseppe Maver, era un amico della Lega Nord Padania, un militante al quale va il mio ricordo.

Certamente, amnistia e indulto non hanno a che vedere con questi reati, ma se non si capisce il meccanismo complessivo della giustizia così come è amministrata nel nostro paese si rischia di cogliere solo aspetti limitati e specifici di una vicenda della quale, come si sa, si continua a parlare con cadenza frequente e ripetitiva. La Lega Nord Padania ha provato sulla sua pelle la mano pesante della giustizia con le condanne per la vicenda del campanile di San Marco «assaltato» (lo dico tra virgolette) o le stesse condanne del nostro leader Umberto Bossi, quando invece c’è una tolleranza inammissibile verso l’ondata di crimini che pervadono le città, legati soprattutto - dico io - alle invasioni dei clandestini. È vero che non c’è colore di pelle o lingua parlata o etnia che sancisca una propensione a delinquere, ma di sicuro i dati parlano chiaro e confermano come, ad ogni massiccio ingresso di extracomunitari nel paese, corrisponda un’impennata dei crimini, un picco che si manifesta, come ha ricordato poc’anzi l’onorevole Dozzo, proprio in questi giorni. Si manifesta in questi giorni negli appartamenti vuoti per le legittime vacanze degli italiani, con incursioni che toccano i beni propri e più cari di ciascuno, che violano la «privatezza» e segnano quella casa che per tutti noi è la prima conquista ed il primo rifugio, l’approdo della nostra autonomia di abitare e di vivere.

Indulto per chi? Vi è chi ritiene che non debba essere approvato perché rivolto a favore dei potenti, ma tale ragionamento può tenere sul piano della qualità, non su quello della quantità. Provvedimenti per particolari e circoscritti reati non hanno ragione di essere approvati, sia perché ogni cittadino deve essere uguale davanti alla legge sia perché di certo non risolvono il problema delle nostre carceri, per le quali è bene dire una volta per tutte come sia necessario proseguire nelle ristrutturazioni previste nella riforma. Non è moltiplicando le carceri, però, che diminuiscono i crimini; occorre una politica severa, nella quale stia tutta la prevenzione di questo mondo, in cui abbia cittadinanza anche quella giusta pena che garantisce, in prima istanza, la convivenza dei cittadini dei ceti più deboli, dei più esposti alle truffe quotidiane, all’esercito di finti funzionari che bussano alla porta ed estorcono denaro ai nostri anziani.

Un’amnistia o un indulto - e concludo - applicati con i principi che li sorreggono aprirebbero le porte delle carceri, ma soprattutto - e di questo sarete responsabili - dischiuderebbero le porte delle nostre città ad un pericolosissimo rigurgito di delinquenza comune (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pini. Ne ha facoltà.

 

GIANLUCA PINI. Grazie, Presidente, e grazie anche ai colleghi presenti che hanno sopportato tutta la giornata di dibattito, che purtroppo però non ha visto la partecipazione di coloro che hanno proposto il provvedimento in esame, che per la Lega Nord è un vero e proprio schiaffo morale al paese, a quello reale che, onestamente, non ne sentiva assolutamente il bisogno.

Oltreché per la gente comune, cioè i nostri elettori, l’indulto costituisce un imbarazzante esempio di debolezza istituzionale per il paese. È imbarazzante perché

 

 

 

 

 

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non è una risposta seria ad una problematica pratica, quale è sicuramente quella del sovraffollamento delle carceri, per la quale si poteva studiare una soluzione, anzi tante soluzioni alternative, ma non sicuramente quella di far crollare la certezza della pena, uno dei pochi istituti che ancora, in qualche modo, rimaneva nella percezione della gente comune come capacità dello Stato di punire i delinquenti.

Non si è voluto fare questo, bensì si è voluta cercare una soluzione molto all’italiana, cioè risolvere un problema creandone altri cento. Perché dico creandone altri cento? Perché alla fine, dalle carceri, con la scusa di diminuire un po’ l’affollamento, si fanno uscire 10, 12, 15, 18, 20 mila persone: non si sa quante perché nessuno qui ci ha fornito cifre reali e precise né sul numero dei detenuti che potranno beneficiare dell’indulto, né sul tipo di reati specifici rispetto ai quali essi beneficieranno della misura, uscendo, sia pure gradatamente, dalle carceri.

Ciò che balza agli occhi, sia del legislatore che della gente comune, in questi giorni, è l’assoluta incongruenza fra l’obiettivo preposto - se è veramente quello di risolvere un problema pratico di sovraffollamento delle carceri - e lo strumento legislativo che si intende adottare.

Non è credibile, visto che in altri paesi vi sono ben altri e diversi strumenti per ridurre l’affollamento delle carceri, che per far questo si dia un colpo di spugna.

Qui vi sono questioni che vanno oltre l’aspetto pratico del sovraffollamento delle carceri: infatti, esistono problemi di natura sicuramente politica.

Oggi è stato affermato, nel corso del dibattito, che il sovraffollamento delle carceri è stato determinato dalla cosiddetta legge Bossi-Fini. Si tratta, se mi passate il termine, di una «stupidata» di dimensioni bibliche! Infatti, non è tale legge ad avere fatto finire in carcere 10 o 12 mila detenuti in più: è la tipologia di immigrati (soprattutto clandestini) giunti in questo paese a provocare questa situazione. La maggior parte di tali immigrati è sostanzialmente venuta nel nostro paese per delinquere, e questo lo sappiamo benissimo! I dati statistici relativi alla presenza degli immigrati negli istituti penitenziari lo dimostrano: siamo oltre il 40 per cento!

Il collega Bodega ha precedentemente affermato che non si tratta di una questione di pelle, di etnia o di religione; tuttavia, se sono questi i dati relativi alle carceri, non voglio assolutamente sostenere che chi proviene dal Maghreb, o da altri paesi extracomunitari, sia maggiormente propenso a delinquere, ma vorrei rilevare che da quelle aree sono arrivate nel nostro paese quasi esclusivamente persone con una propensione a delinquere sicuramente maggiore rispetto alla media. La questione, dunque, si sposta dal piano pratico a quello politico, e questo è un dato di fatto.

Bisogna altresì prendere atto che, quando si parla di situazioni abbastanza difficili all’interno delle carceri, nessuno parla mai - a parte la Lega, che lo ha già fatto, più di una volta, anche nel corso della scorsa legislatura - del fatto che, al nord, gli istituti di pena hanno una pianta organica costantemente sotto il limite minimo di personale che sarebbe necessario per gestire tali istituti.

Vorrei aggiungere, inoltre, che, preliminarmente al passaggio parlamentare di un provvedimento di indulto come quello in esame, alcuni esponenti del Governo, anziché venire in questa sede per relazionare sull’argomento, si sono recati nelle carceri per - passatemi il termine - «sobillare». Infatti, quando si propone ai detenuti una parvenza di riduzione della pena, o addirittura l’ipotesi di una amnistia, allora è logico che, quando tali provvedimenti non vengono varati, ci si trovi di fronte a gravi problemi di ordine pubblico all’interno delle carceri.

Pertanto, questo Governo gioca anche sulle aspettative dei reclusi, oltre che sulla pelle degli stessi cittadini. Vorrei ricordare che si discute molto non solo del tema della sicurezza, ma anche della necessità di tutelare tutti gli aspetti legati alle attività produttive del nostro paese. Per portare un esempio, si parla della tutela delle produzioni italiane contro la contraffazione. Ebbene, la contraffazione dei prodotti

 

 

 

 

 

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made in Italy, di nicchia o di marca - vedo il ministro Bonino presente in aula, e potrà sicuramente confermare tali dati -, vale il 25 per cento del giro d’affari complessivo dei prodotti la cui origine è certificata; con il provvedimento di indulto in esame, invece, chi pratica la contraffazione delle merci nazionali uscirà dalle carceri. Da una parte, allora, cerchiamo di individuare strumenti legislativi idonei a difendere il made in Italy, ma dall’altra rimettiamo in libertà coloro che hanno commesso reati legati alla contraffazione degli stessi prodotti.

Vorrei proseguire il mio intervento ricordando anche i reati dell’usura e dell’estorsione. Infatti, prima conduciamo la lotta all’usura e all’estorsione e ci stracciamo le vesti in Parlamento ogni qualvolta un caso eclatante finisce sui giornali, ma poi, con il provvedimento in esame, tranquillamente e a cuor leggero facciamo beneficiare dello sconto di pena anche persone che hanno commesso reati che, se si pensa al modo con cui vengono perpetrati nei confronti della povera gente (vale a dire le classi meno abbienti), fanno veramente accapponare la pelle!

Possiamo continuare con l’elenco dei reati, poiché vi sono i truffatori, i rapinatori e gli evasori fiscali. Vorrei ricordare che, giustamente, è stato sollevato un clamore enorme, poiché centinaia di migliaia di famiglie italiane sono state truffate da chi ha posto in essere evasioni fiscali colossali. Adesso, tuttavia, ci accingiamo a varare un provvedimento che, in qualche modo, mitiga la pena o addirittura premia, lasciandoli completamente fuori dal carcere, questi personaggi dopo che, per mesi, in questa stessa Assemblea si è cercato di approvare una legge volta a tutelare i risparmiatori.

Ma che razza di tutela possiamo offrire nel momento in cui lanciamo un segnale esattamente contrario alla difesa dei risparmiatori? Così facendo, infatti, noi premieremo gente come Tanzi, Fiorani e Ricucci; andremo a premiare, in altri termini, persone che hanno letteralmente e dichiaratamente rubato centinaia, se non migliaia, miliardi di vecchie lire dalle tasche della povera «signora Maria» che aveva risparmiato 10 o 20 milioni di lire! Poi, magari, tra qualche mese, ci sentiremo dire che occorre emanare una legge sul risparmio per tutelare nuovamente i risparmiatori!

Questo procedere ondivago relativamente alla tutela dei cittadini a trecentosessanta gradi è veramente ipocrita da parte del centrosinistra. Purtroppo, quando si parla di reati fiscali, qualcuno cerca sempre di puntare il dito su qualche caso particolare ascrivibile al centrodestra, ma nessuno cita mai il caso Unipol che, probabilmente, è la vicenda più eclatante ascrivibile alla sinistra.

La Lega è visceralmente e convintamente contraria a questo provvedimento di clemenza - come a tutti i provvedimenti di clemenza in generale - perché, fornendo il segnale che chi delinque la può sempre far franca, il senso civico - che, in questo paese, è già molto basso - va completamente a farsi friggere! Poi non ci lamentiamo se lo sport nazionale diventerà non quello di rispettare la legge, ma quello di tirare a campare fregandosene altamente delle regole!

Concludo, sottolineando l’assenza del ministro della giustizia. Il collega Dozzo, in precedenza, lo ha detto con una battuta: evidentemente sperava in qualche provvedimento di clemenza anche per quanto riguarda il calcio! Comunque, tra la scarsa presenza dei componenti della sinistra, l’assenza di fatto del Governo e la posizione fortunatamente contraria al provvedimento in esame dell’Italia dei Valori, qualcuno ci deve chiarire se il provvedimento di indulto è veramente mirato a decongestionare le carceri o se, invece, vi sono ragioni politiche di altro tipo.

Ad esempio, visto che si è parlato molto della legge Bossi-Fini, posso immaginare che, facendo uscire dalle carceri 10 mila immigrati, si voglia dimostrare il fallimento di tale legge. Ma qualcuno dovrebbe fare un passo indietro e chiedersi chi ha portato in Italia gli immigrati che delinquono. Sicuramente non il Presidente del Governo di centrodestra. La politica posta in essere dal centrosinistra alla fine degli

 

 

 

 

 

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anni Novanta è stata la causa dell’invasione di questi soggetti dediti a delinquere! Quindi, diciamo le cose come stanno!

Il provvedimento di indulto serve per coprire sia alcuni reati fiscali e finanziari commessi dalle cooperative di centrosinistra, sia qualche reato simile compiuto da pochissimi personaggi ascrivibili all’area di centrodestra. Tale provvedimento servirà a svilire il senso delle istituzioni dello Stato e il senso del dovere delle Forze dell’ordine.

In questi giorni, ho parlato con molti amici delle Forze dell’ordine che, se prima mi dicevano di sentirsi abbastanza frustrati nel dover sempre correre dietro a delinquenti che poco dopo erano nuovamente liberi, adesso saranno ancora più avviliti vedendo persone condannate anche a più anni di galera uscire per commettere gli stessi reati.

Non dimentichiamo che la maggior parte dei reati posti in essere dai detenuti che beneficeranno del provvedimento di indulto sono compiuti da delinquenti abituali, non da gente che ha sbagliato per qualche motivo e che si è trovato in una situazione di indigenza tale da indurla a compiere il reato. Anche questa è una favola che qualcuno ha cercato di vendere, ma che non attacca certo tra la gente comune: si tratta, infatti, di delinquenti abituali che sanno vivere esclusivamente di truffe, rapine, estorsioni ed usura.

Quindi, quando ci sarà un’impennata di quei reati, che ci sarà sicuramente se questo provvedimento sarà approvato dal Parlamento, mi auguro anch’io, come il mio collega Dozzo, che non si faccia ricorso al voto segreto, perché in quel caso noi faremo un elenco di nomi e cognomi di tutti coloro che voteranno a favore dell’indulto e, ad ogni futura vittima di qualsiasi tipo di reato, gli spediremo l’elenco di questi personaggi perché possano ringraziarli (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pedica. Ne ha facoltà.

 

STEFANO PEDICA. Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi - ne vedo molto pochi -, oggi continuiamo a parlare di un tema molto delicato ed importante, l’indulto, un istituto che andava sotto il nome di «clemenza sovrana», tipico della concezione assolutistico-teocratica del monarca, che può, a suo piacimento, punire, perdonare o dispensare dalla pena.

Si tratta di un istituto che, proprio perché non facilmente conciliabile con le funzioni fondamentali della pena, dovrebbe trovare la propria giustificazione in eccezionali e pressoché irripetibili ragioni di opportunità politica. Nel nostro paese, invece, si è fatto un grande abuso di tale provvedimento per ragioni più o meno demagogiche, celebrative ed elettoralistiche. Tale abuso ha nuociuto non poco alla serietà della nostra giustizia nel nostro paese.

Le pene solennemente inflitte dai giudici nelle sentenze di condanna vengono così vanificate. Sotto questo profilo, a poco è servita la reintroduzione, nel marzo 1992, dell’articolo 79 nella nostra Carta costituzionale, a seguito della quale la concessione dell’indulto spetta ora al Parlamento.

Proprio per la peculiarità e la delicatezza di un provvedimento come quello di cui oggi discutiamo, proprio per gli effetti che lo stesso produrrà nel nostro paese, per restare esenti da facili critiche, noi dell’Italia dei Valori abbiamo proposto alcuni emendamenti di fondamentale importanza, primo fra tutti quello che prevede l’inserimento, al terzo comma, di ulteriori fattispecie criminose alle quali l’indulto non dovrà applicarsi. Non è sufficiente, infatti, escludere dall’indulto i reati di natura mafiosa, quelli riguardanti la pedofilia ed i reati di terrorismo interno ed internazionale.

Vi sono altri reati di fortissimo allarme sociale, quali i reati contro la pubblica amministrazione, previsti dal Capo primo, titolo II, libro secondo, del codice penale, i reati contro l’amministrazione della giustizia, previsti dal Capo primo, titolo III, libro secondo, del codice penale, i reati di natura fiscale e finanziaria, puniti con la pena detentiva, e le fattispecie previste

 

 

 

 

 

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dagli articoli 2621 e 2622 del codice civile e dagli articoli 416-ter, 439 e 440 del codice penale.

Può considerarsi un reato come il peculato una fattispecie criminosa di scarso allarme sociale? Può un paese coscienzioso decidere di lasciare impuniti coloro che se ne macchiano? Possono reati quali la malversazione ai danni dello Stato, prevista dall’articolo 316-bis del codice penale, l’indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato, prevista dall’articolo 316-ter del codice penale, reputarsi fattispecie prive di pericolosità sociale? In un paese serio questo non può e non deve avvenire!

Coloro che hanno commesso reati quali la concussione, la corruzione e l’istigazione alla corruzione non devono essere lasciati impuniti. I nostri cittadini non possono tollerare che l’ordinamento permetta che delinquenti di tal genere non scontino le pene che lo stesso ordinamento prevede. Non si può vanificare, in tali materie, un principio fondamentale del diritto penale, quale quello della certezza della pena.

Noi dell’Italia dei Valori diciamo che ciò non deve accadere.

Per non parlare, poi, della gravità e della pericolosità sociale dei reati contro l’amministrazione della giustizia. La giustizia deve essere tutelata e protetta. Non è coscienzioso ricomprendere in un provvedimento di clemenza coloro che non solo non la rispettano, ma addirittura l’aggrediscono: sarebbe un pessimo esempio per tutto il paese, una resa dell’ordinamento, un inaccettabile colpo di spugna.

Può considerarsi serio decidere di mandare esenti da pena soggetti colpevoli del grave reato di scambio elettorale politico-mafioso previsto dall’articolo 416-ter del codice penale, laddove tale fattispecie è stata inserita nel nostro codice dal legislatore nel 1992, proprio per ricomprendervi fatti sentiti dalla società come molto pericolosi, che altrimenti rischiavano di non essere sussumibili sotto l’egida di alcuna norma penale?

L’importanza e la gravità di tale fattispecie penale è, d’altronde, confermata dal recente intervento sul tema delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Noi dell’Italia dei Valori consideriamo una tale ipotesi vergognosa e inaccettabile. Possono considerarsi reati privi di allarme sociale fattispecie come l’avvelenamento di acque o di sostanze alimentari previsto dall’articolo 439 del codice penale e l’adulterazione e la contraffazione di sostanze alimentari previsto dal successivo articolo 440? Nessuno lo potrebbe scientemente sostenere!

Per non dire poi cosa comporterebbe, sotto il profilo più strettamente sociale, decidere di consentire l’impunità ai soggetti resisi colpevoli dei reati di false comunicazioni sociali e false comunicazioni in danno dei soci o dei creditori previsti dagli articoli 2.621 e 2.622 del codice civile. Quale esempio verrebbe così dato a tutti i consociati? Includere nell’indulto reati di tal genere non può esser giustificato dalla necessaria risoluzione del problema dell’affollamento delle carceri, che dovrebbe essere l’intento principale del provvedimento di clemenza.

Sono favorevole agli atti di clemenza previsti dal nostro ordinamento, qualora ne sussistano i presupposti e le condizioni. Ma non è credibile, non è serio, non è sostenibile che la vera ratio dell’estensione dell’indulto ai reati societari e finanziari e a quelli contro la pubblica amministrazione sia ravvisabile nell’esigenza di fronteggiare il problema del sovraffollamento delle carceri. Sappiamo tutti che non è attraverso queste tipologie di reati che si risolve questo grave problema. Sul totale dei detenuti, coloro che scontano una pena per tali fattispecie criminose sono veramente un numero esiguo. Nelle nostre carceri la maggioranza dei detenuti è rappresentato dai condannati per reati di minore gravità e da extracomunitari costretti a delinquere per sopravvivere. Non è ammissibile voler approvare un provvedimento tendente a favorire solo le cosiddette classi superiori.

Il sillogismo motivazionale di quelle parti politiche che sostengono la tesi contraria non è condiviso dall’Italia dei Valori, ma ancor più non è validabile in termini logico-giuridici. Mai nel nostro paese sono stati ricompresi nei provvedimenti di clemenza i reati di concussione e corruzione contro la pubblica amministrazione. In un paese civile, in un paese serio e responsabile, i corruttori e i corrotti devono essere puniti, e non meno importante è sapere che saranno puniti.

Rispetto a materie così importanti non è possibile vanificare la fondamentale funzione general-preventiva che assegna alla pena una funzione deterrente. I soggetti, in tal modo, non vengono distolti dall’assecondare i propri impulsi criminosi, ma al contrario spinti a delinquere di nuovo o per la prima volta, confidando in una non improbabile impunità.

Noi dell’Italia dei Valori non vogliamo tutto questo: non lo vogliamo per noi, ma soprattutto non lo vogliamo per tutti i cittadini, per la loro tutela, che resta e deve restare un bene primario da salvaguardare. Non si può, anzi non si deve estendere questo provvedimento a tali reati solo per ovviare al rischio del mancato raggiungimento del quorum necessario all’adozione del provvedimento: non è serio né coscienzioso!

Abbiamo criticato e lottato per anni contro leggi ad personam; ora è necessario un atto di onestà e di coerenza. Abbiamo chiesto, altresì, la modificazione, al primo comma dell’articolo 1, della data del 2 maggio 2006 con quella del 1o gennaio 2005 e la soppressione del secondo comma. L’applicazione dell’indulto ai reati commessi prima del 2 maggio 2006 sarebbe una vergogna nei confronti non solo della giustizia ma anche e soprattutto degli onesti cittadini. È necessario dimostrare senso di responsabilità nei confronti del nostro paese, e non solo. Sarebbe una vergognosa e disonorevole resa di fronte ai gravissimi fatti di mala amministrazione e mala attività imprenditoriale. Non dimentichiamo che si tratta di delinquenti colpevoli di reati che hanno dato vita a Tangentopoli, Bancopoli e Calciopoli: non sarebbe onesto né rispettoso nei confronti di milioni di elettori! Sarebbe un provvedimento che neppure il Governo Berlusconi è riuscito a fare. Bisogna evitare di cominciare la legislatura con un atto di clemenza ricco di contraddizioni e intollerabilmente comprendente persone colpevoli di reati gravissimi e dal forte allarme sociale, di reati per i quali sarebbe auspicabile, al contrario, un inasprimento delle pene.

In realtà, come noi dell’Italia dei Valori abbiamo più volte ribadito, sarebbe necessaria una riforma seria della giustizia, tendente a depenalizzare alcuni tipi di reati ed a migliorare le difficili e precarie condizioni dell’attuale sistema carcerario. Noi dell’Italia dei Valori ci dichiariamo contrari ad un tale provvedimento di clemenza e, quindi, contrari al voto (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Astore. Ne ha facoltà.

 

GIUSEPPE ASTORE. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio anche il rappresentante del Governo che ha la pazienza di ascoltarmi, contrariamente a qualcuno che, oggi, ha disertato l’aula.

Mi spiace, signor Presidente, doverle dire della gestione degli interventi: mi ero prenotato tra i primi, eppure mi ritrovo a parlare tra gli ultimi. Credo che la volontà di cancellarsi sia individuale e, pertanto, faccio le mie rimostranze al riguardo; le faccio con serenità, ma penso che situazioni simili non dovrebbero ripetersi: i deputati sono tutti uguali, in occasione del voto, e via dicendo. Credo che la dimostrazione di essere tutti uguali in quest’aula sia la più civile che possiamo dare al paese.

Stamani, onorevoli colleghi, mentre salutavo alcuni amici dell’Italia dei Valori venuti a Roma, davanti a palazzo Montecitorio, per manifestare liberamente contro la proposta di legge in materia di indulto, un membro di questa Assemblea (che certamente voterà a favore del provvedimento in esame), con atteggiamento sprezzante, gridava: «Vergognatevi!», senza ottenere alcuna - forse, sperata - reazione scomposta.

Spero che tra noi - ognuno con le proprie opinioni - vi sia rispetto per le

posizioni altrui, rispetto che non c’è stato, almeno in parte, in questo dibattito. Allora, le accuse di giustizialismo, che stiamo ricevendo, in questi giorni, da diversi settori di questo Parlamento, sono da respingere decisamente al mittente: sono strumentali e si basano su luoghi comuni, sono liturgie conosciute che nascondono disprezzo per tutti coloro che richiamano la nostra società al rispetto delle regole - purtroppo, viviamo un periodo difficile sotto questo aspetto -, per una convivenza civile, serena e democratica.

Essere portatori di un principio di legalità e prendere atto che, ormai, l’uso personale delle istituzioni (ne abbiamo esempi anche in quest’aula) e la violazione continua della legge nella pubblica amministrazione non meravigliano più nessuno non generano, spesso, alcuna reazione nella pubblica opinione, che si distacca sempre più dalla politica e dai suoi rappresentanti. Quello al nostro esame è uno di quei provvedimenti che distaccano il paese dai suoi rappresentanti.

L’Italia dei Valori non è per il primato dei giudici sulla politica (questo è un altro dei luoghi comuni che dobbiamo respingere), perché i giudici non possono e non debbono dettare le regole alla politica. Tuttavia, siamo anche coscienti che più volte la politica ha cercato di invadere l’autonomia del potere giudiziario. Siamo meravigliati - indignati - perché, talvolta, anche quest’Assemblea ha voluto celebrare un processo ai giudici, ridicolizzando indagini che alcuni magistrati portano avanti nel rispetto delle leggi e della loro indipendenza, adempiendo il loro dovere. Bisogna fare ogni sforzo per riportare alla piena autonomia i poteri di uno Stato moderno e democratico.

Respingiamo, inoltre, le critiche e le accuse che indicano l’Italia dei Valori come il partito che «rompe» la maggioranza che sostiene il Governo. Ho ascoltato da diverse parti che dobbiamo dare giustificazioni, del fatto che il nostro ministro e noi votiamo in maniera diversa. Siamo consapevoli che questo provvedimento, che noi osteggiamo nell’attuale formulazione licenziata dalla Commissione, è frutto di un’iniziativa parlamentare e non governativa. Confermiamo la nostra fiducia a questo Governo, anche se avremmo desiderato una più forte iniziativa per comporre e dare ascolto alle nostre richieste.

Non ci scandalizziamo che su alcuni argomenti importanti, quali alcune grandi riforme di cui l’Italia ha bisogno, si ricerchi un auspicabile accordo trasversale tra le forze politiche. Siamo per un trasversalismo sano, per arrivare al bene comune. Ecco perché plaudo all’iniziativa di questi giorni di alcuni partiti che si pongono responsabilmente il problema legato alla considerazione che un bipolarismo solo «muscolare» non porta da alcuna parte. Ma questo trasversalismo di oggi, le convergenze di diverse forze politiche sul provvedimento di indulto che la Camera dei deputati sta per approvare, non si basano su alcuna volontà di raggiungere il bene comune, ma su interessi di parte o, peggio, su falsi conflitti di interessi. È - lo dichiariamo - un vero e proprio «inciucio».

Il Santo Padre ha chiesto a quest’aula un provvedimento di clemenza - lo hanno ricordato in tanti - per i deboli, per gli emarginati, per i peccatori pentiti, non per chi ha approfittato del suo ruolo di pubblico amministratore per togliere i diritti agli altri. Siamo per una clemenza giusta, soprattutto per i detenuti meno abbienti, che hanno anche bisogno di sostegno per favorire il proprio reinserimento sociale, aspetto che ha portato il nostro capogruppo in Commissione a presentare un opportuno emendamento in proposito.

L’Italia dei Valori non vuole inutili sofferenze delle persone detenute in carcere, spesso in condizioni disumane, dove la pena diventa particolarmente afflittiva, senza svolgere quel ruolo di rieducazione per il recupero pieno dei cittadini reclusi e per impedire la reiterazione dei reati e, quindi, il ritorno alle patrie galere. Dunque, lo gridiamo: siamo per la riduzione della pena, per l’indulto, ma non per questo tipo di provvedimento, che include i reati più odiosi e riprovati dall’opinione pubblica.

Un provvedimento di clemenza, proprio per rispettare la volontà del Santo Padre, nella scia dell’insegnamento di Beccaria e della dottrina giuridica italiana, deve avere come scopo anche quello di educare la società al rispetto delle leggi, non ad ottenere una reazione indignata come quella che si verifica in Italia in questi giorni, anche se il periodo scelto - ad arte - avrebbe potuto far pensare diversamente. La gente ha capito e reagisce, e questa non è demagogia. L’Italia ha bisogno, come sottolinea il programma dell’Unione, di un nuovo codice penale e, con esso, di un provvedimento di clemenza.

Questa accelerazione dubbia, questo anteporre l’indulto ad azioni concrete per una nuova politica giudiziaria in Italia mi sembra aver tradito coloro che in Italia vogliono la politica delle regole e non quella dei regali. Qualcuno si vuol lavare la coscienza per aver riempito le carceri negli anni passati, con leggi dal carcere facile. Sì, amici della Lega, la Bossi-Fini ha portato in carcere molte e molte persone che oggi non vi sarebbero, ed altrettanto può dirsi della legge ex Cirielli e della stessa legge che ha inasprito le pene sugli stupefacenti!

Siamo offesi per aver trovato un muro di fronte alle nostre proposte. La risposta, di contro, è stata quella di accelerare l’iter del provvedimento legislativo in esame, senza accettare una necessaria pausa di riflessione, che noi chiediamo ancora questa sera, con forza, soprattutto ai partiti amici ed alleati.

Ecco perché abbiamo riproposto alcuni emendamenti che escludono dall’indulto i reati finanziari e quelli contro la pubblica amministrazione; abbiamo fatto questo per chiedere alle coscienze libere di ognuno di voi parlamentari una risposta libera da condizionamenti di parte e da interessi di alcuni. Siamo offesi dal fatto che in quest’aula alcuni gruppi non abbiano nemmeno preso la parola, è chiaro qual è il loro intendimento: quello di fare presto, quello di accelerare e quello più grave di non spiegare alla pubblica opinione qual è la loro posizione.

Siamo stati e siamo contrari ad ogni forma di perdonismo, «condonismo», «indulgentismo», in ogni campo, sia esso fiscale, urbanistico, penale o altro, attività che ha rappresentato una costante della precedente legislatura ridicolizzando il nostro ordinamento giudiziario. Tutto ciò non ha ovviamente niente a che vedere con supposte esigenze di sicurezza, giacché pensiamo che la scarcerazione di un certo numero di soliti disgraziati non comporterà apprezzabili pericoli per la collettività; semmai ci preoccuperebbe di più rimandare sulla strada le persone scarcerate senza una concreta prospettiva di reinserimento sociale.

Abbiamo sempre detto di non essere per l’indulto purché contemporaneamente, anche in attesa della riforma del codice penale, si abroghino le pesanti leggi incriminatrici ereditate dalla precedente legislazione. Noi auspichiamo che vengano esclusi dall’indulto alcuni particolari reati, come quelli di natura fiscale, quelli contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari punibili con una pena.

Apprendo stasera, amici - io sono nato e vivo nel paese dove successe una terribile disgrazia, il 31 ottobre 2002 -, che quei reati, anzi quegli eventuali reati (io spero che tutti siano assolti, che nessuno sia colpevole), quali la strage e il disastro colposo, sono compresi nell’indulto. Quando mi recherò nel mio paese, dove ho svolto la funzione di sindaco per quindici anni e dove la gente aspetta giustizia, credo di dover dare risposta alle mamme sulle spalle delle quali qualcuno piangeva (e spero piangesse sinceramente): sono le mamme di San Giuliano di Puglia, che attendono ancora giustizia.

La risposta negativa, l’accelerazione del provvedimento, ci hanno fatto capire il disagio che abbiamo generato in qualcuno. Non chiniamo la schiena anche se questa sera dovessimo rimanere soli, perché abbiamo il dovere di parlare ai cittadini; infatti, ci appelleremo ai cittadini per spiegare loro che, forse, oggi il Parlamento ha celebrato un grande «inciucio», rifiutando di iniziare a discutere la riforma della giustizia.

Signor Presidente, colleghi, avremmo potuto fare ostruzionismo su tutto, ma noi non abbiamo fatto ostruzionismo, anche se qualcuno ci ha accusati di ciò; infatti, se lo avessimo voluto fare, lo avremmo saputo fare come gli altri, anzi meglio degli altri: avremmo potuto parlare sul processo verbale, avremmo potuto continuare a parlare, sfruttando ogni piega del regolamento, e vi giuro che qualcuno di noi è veramente bravo in questo per aver svolto tale lavoro per tanto tempo. Abbiamo scelto un’opposizione dura - ecco perché abbiamo parlato tutti - e trasparente per parlare all’Assemblea e, attraverso di essa, al paese perché la gente deve sapere: questo non può essere un provvedimento nascosto, un provvedimento che il Parlamento porta avanti dietro l’angolo.

Decidere che la data del 2 maggio 2006 sia la data fino alla quale si applica l’indulto vuole significare il perdono dello Stato a tutti gli odiosi reati che sono stati ricordati, persino quelli di «calciopoli» di cui si parla stasera. È un altro attentato al senso comune e al buongoverno che la coalizione di centrosinistra aveva promesso al paese. Non vi è alcun vulnus politico nella nostra coalizione, nella maggioranza di Governo, per i motivi esposti precedentemente. Ai nostri alleati diciamo che non vogliamo essere sopportati (perché, questa sera, qualcuno ha dato anche segni di fastidio nei confronti dei nostri interventi), ma rivendichiamo la nostra autonomia, quando si tratta di affrontare temi che riguardano la persona, per ciò che ha fatto e per ciò che ha subito.

Questi provvedimenti riguardano i fatti dell’uomo, della persona umana; e su questi fatti si può passare un sostanziale colpo di spugna, per cui la nostra società si ritroverà a non comprendere più chi sia l’onesto e chi il disonesto, chi sia il furbo e chi la persona leale.

Con il nostro voto contrario, che ci sarà (qualcuno chiedeva come voteremo: se non saranno accettati i nostri emendamenti, voteremo contro in maniera netta e chiara), non vogliamo abbassare la guardia contro certi odiosi reati, ma indicare un percorso nuovo alla politica: la legge, che dobbiamo rispettare prima noi per poi chiedere agli altri di fare altrettanto. Nessuna stranezza. Dico all’onorevole Casini, che ha parlato questa mattina: preoccupiamoci del fatto che oggi alcuni membri di questa Assemblea non fanno gli interessi del paese, ma gli interessi propri, visto che allungando il termine fino al 2 maggio 2006, credo vengano ricompresi anche alcuni di noi (i sospettati, gli indiziati per alcuni dei reati che intendiamo escludere).

Ci rammarichiamo che il primo atto importante di questo Parlamento sia rivolto non agli interessi generali, ma ad avvantaggiare pochi eletti (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Onorevole Astore, in risposta alla sua segnalazione circa l’ordine degli interventi, lei sa che il regolamento prescrive che i deputati parlino nell’ordine di iscrizione. Tuttavia, è prassi assolutamente consolidata che, soprattutto in occasione di atteggiamenti ostruzionistici, la Presidenza riceva le iscrizioni a parlare e le relative cancellazioni dai rappresentanti dei gruppi.

Nel caso di specie, la sua iscrizione, originariamente collocata in una certa posizione, è stata ritirata dal rappresentante del suo gruppo e quando, in un momento successivo, ella ha rappresentato la sua volontà di intervenire, la Presidenza ha provveduto ad iscriverla nuovamente. Le assicuro quindi che la procedura seguita da questa Presidenza è del tutto conforme alla prassi.

Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

 

ENRICO BUEMI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate. Mi riservo di soffermarmi, in particolare, sull’emendamento Mantini 1.2, per motivare meglio il parere contrario.

 

PRESIDENTE. Il Governo?

 

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo si rimette alla volontà dell’Assemblea su tutte le proposte emendative presentate (Applausi dei deputati del gruppo dell’Italia dei Valori).

 

PRESIDENTE. Sta bene.

Come già comunicato dal Presidente della Camera, il seguito dell’esame è rinviato alla seduta di domani.

 

 

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