Giustizia riparativa mediazione penale

 

La giustizia riparativa e i Centri di Servizio Sociale per Adulti

(luglio 2002 - febbraio 2003)

 

Realizzato mediante un questionario rivolto ai direttori dei Centri di servizio sociale per adulti, il monitoraggio ha riguardato la rilevazione della "politica", degli orientamenti e delle iniziative operative di ciascun servizio in merito alle esperienze riparatorie nell’affidamento in prova al servizio sociale. La scheda è stata compilata personalmente dai direttori dei Centri. L’elaborazione dei dati pervenuti è stata curata dall’Ufficio statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

 

Il decreto istitutivo

Il questionario utilizzato

 

Obiettivi del monitoraggio

 

L’applicazione della norma prevista dall’art. 47 comma 7 O.P., ispirata al modello della giustizia riparativa, ha dato vita a prassi operative interessanti e diversificate che vedono come protagonisti i Tribunali di Sorveglianza, i Centri di servizio sociale, gli affidati e altri soggetti.

Il monitoraggio avviato dalla commissione ha tentato di fare una mappa dell’esistente, di conoscere come e quanto i Centri di servizio sociale già oggi programmano, rispondono all’autorità giudiziaria e impiegano principi di giustizia riparativa.

 

Riflessioni e commento dei risultati del monitoraggio

 

Al questionario, inviato nel luglio 2002 ai direttori dei Centri di servizio sociale per adulti, hanno risposto tutti i 57 Centri di servizio sociale per adulti dell’Amministrazione Penitenziaria.

L’analisi dei risultati, pur se denota alcune incongruenze dovute soprattutto all’interpretazione dei quesiti posti, fornisce comunque delle indicazioni utili non solo per una valutazione delle applicazioni attualmente in corso, ma anche per individuare i nodi irrisolti che saranno oggetto di approfondimento nei successivi lavori della Commissione. Si tratta di nodi irrisolti che investono non solo gli aspetti operativi, ma anche e soprattutto la definizione dei contenuti e dei significati connessi alla giustizia riparativa, la cui chiarificazione è un presupposto imprescindibile per il corretto avvio di una sperimentazione. Il questionario è stato formulato ricomprendendo gli items in tre aree:

 

L’area di indagine sugli aspetti organizzativi

 

La prima area di interesse riguarda gli aspetti organizzativi dell’attività dei Centri di servizio sociale in relazione all’applicazione della giustizia riparativa: come si è attivato il Centro, quali le linee operative, quali gli operatori e le risorse/strutture coinvolte (items 1-4).

Dai dati si rileva una discreta attivazione dei 57 Centri rispetto alla "Giustizia Riparativa": interlocutori privilegiati risultano essere la Magistratura di Sorveglianza (29), gli Enti Locali (24) e il Privato sociale (29). È invece del tutto irrilevante il dato relativo agli incontri con Centri di mediazione, associazioni di volontariato e associazioni a favore delle vittime. Compare in qualche misura il coinvolgimento in attività formative (16). Se ne deduce una tendenza ad inserire la giustizia riparativa in una prospettiva soprattutto giudiziaria ove i principali interlocutori sono il Tribunale di Sorveglianza e il Centro di servizio sociale, con un’assenza di coinvolgimento del territorio.L’ipotesi di applicazione della giustizia riparativa si concretizzi allo stato attuale soprattutto in attività interne all’ufficio quali riunioni (23 - 1° scelta), o definizioni delle linee di intervento (24 - 2° scelta). Ciò dimostra la fase del tutto iniziale delle azioni/attività che riguardano la giustizia riparativa, sia in relazione alle istituzioni referenti sia in relazione alle iniziative intraprese.

Tale fase ancora iniziale è ulteriormente confermata dal fatto che molti Centri di servizio sociale (41) non hanno ancora provveduto a elaborare un "progetto di riparazione". I 16 Centri che hanno provveduto a elaborare un progetto in tal senso non sono pochi, ma i dati disponibili non forniscono al momento ulteriori informazioni riguardo i contenuti e le modalità di attuazione di tali progetti.

La quasi totalità dei Centri (56) non si è mai avvalsa dell’opera di mediatori penali e ciò, oltre ad essere effetto dell’attuale incertezza in merito alle ipotesi operative praticabili, potrebbe anche essere la conseguenza di una scarsa diffusione sul territorio di servizi di mediazione. È quasi completamente assente (49) la stipula di convenzioni ed è interessante notare che ove esistano convenzioni (8) queste vengano stipulate 4 con associazioni di volontariato e 4 con strutture pubbliche. Tale dato fa propendere verso l’affermazione di una tendenza sia nell’attività dei Centri che nelle richieste del Tribunale di Sorveglianza verso la promozione di attività socialmente utili come prescrizione da inserire nell’applicazione dell’art. 47.

È significativo inoltre considerare che 26 uffici non hanno risposto alla successiva domanda che chiede con quali strutture il Centro collabori in assenza di convenzioni, e che la maggior parte di detti uffici si rapporti prevalentemente (1° scelta: 18 e 2° scelta: 24) con associazioni di volontariato.

La presenza del 50% di convenzioni con le associazioni di volontariato e il diffuso maggiore ricorso alle medesime risorse si ritiene possa dipendere essenzialmente dalla maggiore praticabilità di tali ipotesi poiché spesso si tratta di associazioni già conosciute e con le quali il Centro collabora per altre attività. Si rilevano di contro difficoltà a inserire una persona in attività nel settore pubblico.

 

L’area di indagine sui rapporti tra strutture

 

La seconda area di interesse riguarda sia i rapporti tra Centri di servizio sociale e Tribunali di Sorveglianza, sia la metodologia operativa dello stesso Centro (items 5-11).

L’analisi dei dati di risposta alla 5° domanda (43 NO, 14 SI) dimostra la tendenza da parte dei servizi a prevedere un percorso riparatorio solo in presenza di una richiesta esplicita da parte del Tribunale di Sorveglianza. Tale dato impone una riflessione su come debba essere riformulato il rapporto funzionale e la possibile interazione tra i Centri e la Magistratura.

Il dato che rileva, che in 46 Centri non sono stati attivati sistemi di rilevazione, valutazione e monitoraggio, è la diretta conseguenza di un’applicazione tuttora limitata di progetti riparativi.

Non è irrilevante il dato (20 SI) relativo all’inserimento nella banca dati dell’"archivio delle risorse di rete delle risorse disponibili ad accogliere persone ai sensi del comma 7 art. 47 O.P.". Tuttavia tale dato va considerato con cautela anche se è compatibile con una certa attivazione riscontrata nell’attività dei Centri nel promuovere riunioni d’ufficio e nello stabilire contatti con la magistratura di Sorveglianza, gli enti locali e il privato sociale.

È interessante notare che il Tribunale di Sorveglianza chiede sempre o spesso al Centro di servizio sociale l’indagine sia per i soggetti che fanno istanza di affidamento ex art. 47 O.P. ( 41/13) sia per i soggetti che fanno istanza di affidamento ex art. 94 T.U. D.P.R. 309/90 (34/11). Il dato relativo all’applicazione dell’art. 94 è tuttavia meno frequente: si può ipotizzare che per tali richieste il magistrato possa avere acquisito da altre fonti notizie sulla personalità e l’ambiente sociale del condannato, prevalentemente dalla documentazione sanitaria. Si può altresì notare come la magistratura attribuisca all’inchiesta sociale un valore fondamentale tra le attività svolte dal servizio.

Ben 44 Centri acquisiscono le sentenze di condanna e tra questi 41 la chiedono al giudice di cognizione. Si rileva come dato preoccupante la mancata attivazione di 13 Centri per acquisire le sentenze e di contro va notato che solo in un caso il Tribunale di Sorveglianza viene citato come organo che concorra - con l’invio della sentenza - alla concreta possibilità dei Centri di contestualizzare la propria attività rispetto al reato da parte dei soggetti segnalati dal Tribunale e presi in carico. L’acquisizione della sentenza assume importanza per l’inchiesta socio familiare (39) che deve essere effettuata dall’assistente sociale sul condannato e in tre casi viene richiesta al momento della concessione dell’affidamento. È ampiamente confermata (45) una metodologia operativa che prevede una riflessione sul reato, le sue conseguenze ed eventuali ipotesi riparatorie. Ciò lascia presumere come l’attività del servizio sociale sia già ampiamente proiettata, nell’ambito delle metodologie professionali proprie, all’attivazione di percorsi di responsabilizzazione dei condannati.

L’analisi dei dati evidenzia come i Centri nella relazione da inviare al Tribunale di Sorveglianza non facciano riferimento in larga parte né al contesto del reato né alla disponibilità del reo ad aderire ad una ipotesi riparatoria, né ad una ipotesi riparatoria vera e propria (30/30/36). Non è tuttavia irrilevante il numero dei centri che attestano la presenza nelle relazioni delle tre categorie considerate (27/27/21). La distribuzione equa delle risposte non esclude che il servizio sociale faccia comunque in buona parte una ipotesi riparatoria da proporre al Magistrato di Sorveglianza: tale risultato sembra però contraddire il dato precedente da cui risultava che il Centro di servizio sociale solo in misura limitata propone all’affidato un percorso riparatorio in assenza di una prescrizione del Tribunale di Sorveglianza.

 

L’area di indagine sulle soluzioni attuate

 

La terza area di interesse riguarda la prescrizione riparativa vera e propria in riferimento ai contenuti, alle modalità operative ed ai soggetti coinvolti (items 12-19).

È rilevabile una differenza significativa in merito all’inserimento del comma 7 dell’art. 47 da parte del Tribunale di Sorveglianza se si tratta di affidati ex art. 47 o affidati ex art. 94: nel primo caso la prescrizione viene prevalentemente inserita mentre nel secondo caso viene in prevalenza non considerata. Tale tendenza dimostra che per i tossicodipendenti è prevalente la finalità curativa sebbene essi commettano anche reati comuni.

Si rileva una distribuzione omogenea di applicazione della prescrizione a tutti i reati (20) o ad alcuni reati, dato che può apparire contraddittorio ed andrebbe approfondito. Nel secondo caso "alcuni reati" è prevalente comunque la tipologia di reati contro la persona (18 - 1° scelta), ma anche reati contro il patrimonio (15 - 1° scelta) e qualche reato contro la pubblica amministrazione (3/4) e d’impresa (4 - 2° scelta). Anche a tale proposito varrebbe la pena approfondire il perché di tale prima scelta: gravità del reato, danno alla vittima e pertanto maggiore significatività della riparazione? O la scelta della tipologia del reato è casuale ed è soprattutto determinata dalla praticabilità dell’ipotesi riparatoria?

La prevalenza di prescrizioni generiche da parte del Tribunale di Sorveglianza (37) è contemperata anche da una certa rilevanza di prescrizioni specifiche rapportate al reo e al tipo di reato (16) e di richiesta di predisporre un progetto riparativo (15): quasi del tutto assente la disposizione di contattare la vittima (49), e nei pochi casi presenti (8) ciò viene raramente (7) e se ne fa carico al condannato (4) e al difensore (3).

Analoga distribuzione si rileva in merito alla richiesta di riscontro per l’avvenuto risarcimento previsto nella sentenza di condanna (24 sì, 33 no). Va rilevato che può essersi creato un equivoco rispetto alla formulazione della domanda; si intendeva infatti l’accertamento da parte del giudice del risarcimento previsto nella sentenza di condanna che può essere stato confuso con il "risarcimento" previsto all’interno della prescrizione riparativa.

Di contro per quanto riguarda la tipologia delle prescrizioni riparative si evince dai dati che è prevalente quella che prevede una riparazione materiale di tipo economico (32 centri come I scelta) facilmente confusa con l’azione risarcitoria, ma è significativo anche il dato relativo all’attività gratuita di pubblica utilità (13/26, 1° e 2° scelta).

Pur considerando che in molti casi non si è avuta nessuna risposta (11 - 1° scelta, 27 – 2° scelta), è chiaro che la prescrizione prevista al comma 7 dell’art. 47 O.P. è soprattutto eseguita, quando lo è, nelle forme di attività riparativa di natura economica e nell’attività di volontariato. Non a caso tra i primi items le strutture coinvolte che emergono in modo significativo sono soprattutto le associazioni di volontariato.

Il numero consistente di affidati che cercano autonomamente la risorsa presso cui prestare l’attività gratuita (26) mette in luce il problema della mancata attivazione da parte di un rilevante numero dei centri. Ciò comporta l’iniziativa da parte del condannato mediante presumibilmente l’avvocato difensore.

Vanno presi con cautela i dati sulla possibile revoca dell’affidamento in caso di mancato adempimento delle prescrizioni, ove i valori corrispondenti si distribuiscono con una certa omogeneità, sì in 24 centri, no in 33, poichè si può ipotizzare che i Centri abbiano fatto riferimento nel rispondere al mancato adempimento di qualsiasi prescrizione e non di quella "riparatoria", non essendo questo stato chiaramente esplicitato nella domanda.

Dai dati degli items 18 e 19 si evince tuttavia la tendenza da parte della Magistratura ad attribuire alla prescrizione riparativa un valore vincolante sia in relazione all’ammissione sia in relazione all’esito.

In relazione all’ultimo item da una lettura dei dati si evince che i Centri attribuiscono una maggiore problematicità alla fase dell’esecuzione rispetto a quella dell’indagine, ma il dato andrebbe ulteriormente chiarito.

 

Conclusioni

 

Dall’analisi dei dati raccolti è stato possibile formulare alcune riflessioni:

L’applicazione della giustizia riparativa nell’affidamento in prova è tuttora in fase iniziale e viene gestita all’interno dei rapporti tra Tribunale di Sorveglianza e Centro di servizio sociale, con scarsa presenza e coinvolgimento delle strutture del territorio.

Emerge la tendenza da parte della magistratura ad utilizzare criteri diversificati sia nei contenuti che nella valutazione delle prescrizioni.

All’interno delle prime applicazioni della prescrizione riparativa prevalgono modalità soprattutto orientate verso la riparazione economica e l’attività gratuita in favore della collettività.

Si evince una mancanza di chiarezza circa il significato della "riparazione" la cui fisionomia soprattutto economica comporta notevole confusione con il risarcimento del danno, e conseguente ambiguità rispetto agli obiettivi.

È di tutta evidenza l’importanza di gettare le basi per la riflessione critica sul reato e lo sviluppo di ipotesi progettuali già nella fase operativa dell’inchiesta sociale

La metodologia propria del servizio sociale tesa a dare impulso alla capacità del reo ad autodeterminarsi nel senso di un cambiamento è fondamentalmente idonea a sviluppare una corretta riflessione sul reato e le sue conseguenze.

La difficoltà di contestualizzare l’indagine e gli interventi rispetto al reato nasce spesso dalla mancanza di corrette notizie sul reato medesimo.

La presenza di una cultura orientata alla riabilitazione del reo piuttosto che alla rivalutazione della vittima ha significato fino ad oggi un limite allo sviluppo di ipotesi riparatorie.

 

 

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