Revoca delle misure alternative


Capitolo 2: L'analisi gius-sociologica

 

Oggetto e metodo della ricerca

Analisi delle variabili extra-normative

Analisi dell'esercizio della discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza di Firenze

 

Oggetto e metodo della ricerca

 

Il primo capitolo di questo lavoro è stato dedicato all'esame della disciplina della revoca delle misure alternative così come previste dal codice penale, dall'ordinamento penitenziario e dalle successive modifiche apportate a quest'ultimo. Si è evidenziato come il legislatore abbia lasciato ampi spazi di discrezionalità nella determinazione della revoca delle misure alternative alla Magistratura di Sorveglianza e come poi l'elaborazione giurisprudenziale abbia spesso contribuito a dilatare ulteriormente l'ambito di tale libertà di valutazione.

Date queste premesse nasce l'esigenza "scientifica" di studiare i processi di costruzione della discrezionalità della Magistratura di Sorveglianza, cercando di determinare quali siano i parametri da essa utilizzati in tema di revoca delle misure alternative.

Lo studio dei processi empiricamente valutabili della discrezionalità in fase esecutiva è stato tecnicamente definito come "sociologia del sentencing penitenziario". Lo stato della ricerca internazionale sulla valutazione empirica del sentencing privilegia due distinti approcci nella definizione dell'oggetto: un primo che confronta la "visione del mondo dei sentencers" con la severità delle pene effettivamente comminate; un secondo che investiga la latenza delle circostanze di fatto difformi da quelle legali, che statisticamente giocano nella flessibilità della pena in fase esecutiva.

La presente ricerca privilegerà questo secondo tipo di approccio metodologico. In altre parole si cercherà di portare alla luce quelle variabili, selezionate dai riferimenti prevalenti nella cultura dei giudici, che maggiormente giocano nel senso di favorire o meno la revocabilità delle varie misure, a prescindere da ciò che la legge esplicitamente prevede.

Questa ricerca mira infatti ad individuare ed esaminare i reali meccanismi che sottendono l'attività della Magistratura di Sorveglianza fiorentina con specifico riferimento alla revoca delle misure alternative. In particolare il presente studio si occuperà di analizzare i criteri e le modalità secondo cui le misure dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare, della semilibertà e delle liberazione condizionale sono state revocate dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze.

La revoca, costituendo il fallimento del tentativo di reinserimento nella società compiuto dal detenuto, rappresenta infatti un aspetto determinante nella politica penitenziaria, andando concretamente ad incidere sulle reali possibilità che modalità alternative all'espiazione della pena detentiva si estendano nel nostro ordinamento.

Individuare le cause che possono portare l'affidato, l'ammesso alla detenzione domiciliare, il semilibero o il liberato condizionalmente a una prematura conclusione della propria esperienza extracarceraria può essere un ottimo indice rivelatore del funzionamento del sistema di alternatività alla detenzione come attualmente previsto ed operante.

Le cause di insuccesso della misura alternativa possono infatti essere legate al comportamento delinquenziale da parte del detenuto, ma possono essere legate anche ad elementi di pregiudizio circa la pericolosità sociale del soggetto stesso.

Purtroppo, non raramente è stata lamentata, da alcuni autori, l'applicazione da parte della Magistratura di Sorveglianza di una logica, retaggio forse delle non sopite retoriche emergenziali, legata al "passato criminale" ed alla "pericolosità sociale" del detenuto. Agendo in base ad una tale logica, conservatrice e restrittiva, la Magistratura di Sorveglianza rischierebbe di vanificare l'intera riforma del sistema penitenziario.

Questa indagine dunque si propone di individuare quale logica stia a fondamento dell'attività discrezionale della Magistratura di Sorveglianza in tema di revoca delle misure alternative.

A tale scopo la presente ricerca ha ad oggetto l'esame di tutti i provvedimenti di revoca emessi dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze negli anni 1995, 1996 e 1997 ed è stata eseguita presso l'Ufficio di Sorveglianza del Tribunale fiorentino.

All'uopo si sono esaminati i fascicoli di tutti quei detenuti che durante i tre anni in questione sono stati oggetto di provvedimenti di revoca dei benefici alternativi alla pena detentiva.

Deve a tal proposito sottolinearsi come l'analisi abbia riguardato non solo i fascicoli concernenti le revoche delle misure alternative, ma anche quelli inerti alle relative concessioni che li avevano preceduti, così da avere un quadro, il più ampio possibile, dello status dei soggetti in questione. Giova infatti sottolineare come un esame riservato esclusivamente ai documenti concernenti i provvedimenti di revoca non sarebbe stato esaustivo circa la reale situazione sociale e detentiva dei soggetti esaminati.

In altre parole con questo studio ci si è proposti di analizzare l'attività valutativa che sottende al sentencing penitenziario con specifico riferimento alla realtà fiorentina. Deve a tal proposito notarsi come l'assenza nel nostro ordinamento di un sistema di "discrezionalità vincolata" fa sì che la Magistratura di Sorveglianza finisca spesso per determinare il proprio operato in base a criteri extra-legislativi ed addirittura extra-giuridici.

L'età, la professione, l'identità stessa dell'individuo possono così assurgere a cardini cui ancorare le decisioni dell'autorità giudiziaria, decisioni che possono provocare effetti estremi ed opposti. Da un lato infatti può aversi l'effetto di criminalizzare ulteriormente il detenuto rendendolo quindi ancora più debole di fronte allo schiacciante peso del sistema penale; dall'altro invece si rischia di assolverlo troppo facilmente vanificando ogni suo processo rieducativo e risocializzativo.

Ad ogni modo i criteri in base ai quali la Magistratura di Sorveglianza forma il proprio convincimento in merito alla revoca sono numerosi e di natura prevalentemente extra-normativa.

Al fine di individuare tali criteri lo strumento utilizzato in questo tipo di indagine socio-giuridica è rappresentato da una scheda, alquanto articolata, attraverso cui si è proceduto a "testare" i fascicoli dei detenuti. Il questionario, raccoglie in sé una serie di variabili che si riferiscono alla situazione socio-ambientale, giuridico-penale, trattamentale e penitenziaria dei soggetti.

Prima di scendere nel particolare dei dati è opportuno inquadrare brevemente l'andamento generale che ci permetterà, in un secondo momento, di analizzare con maggior completezza anche i riferimenti più specifici.

Il motivo di revoca più diffuso è rappresentato infatti dalla "sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà", voce indicante i reati commessi durante l'esecuzione della misura e non ancora soggetti a condanna definitiva.

Le revoche hanno così luogo soprattutto a causa di "un'azione negativa" del soggetto sottoposto a misura alternativa. Ciò, se può in diversi casi essere imputato al singolo, può anche essere addebitabile al modo in cui vengono applicate le misure alternative, dato che spesso il reato che determina la revoca non rappresenta altro che l'esito finale dello stato di abbandono in cui molti soggetti vengono a trovarsi durante l'esecuzione della misura.

Non si può inoltre trascurare il peso che può giocare nella revoca l'interiorizzazione di pregiudizi e stereotipi nell'atteggiamento culturale dei giudici tali da indurre a individuare elementi di pericolosità anche in condotte scarsamente significative o comunque recuperabili.

Già da questi brevi cenni emerge la difficoltà per la Magistratura di Sorveglianza di mantenere una costanza di pronunce fondata su criteri di valutazione oggettivi, soprattutto in quanto i riferimenti normativi in proposito sono quasi inesistenti. Inoltre non è da sottovalutare il pericolo di una gestione arbitraria delle revoche delle misure alternative non solo permessa, ma addirittura agevolata da tale vuoto normativo.

Questo stato di cose non rende certo più agevole la presente analisi dei dati la quale, per quanto sopra esposto, non si fonderà che marginalmente su elementi normativi per andare ad evidenziare invece quali criteri extra-legislativi ed extra-giuridici siano a fondamento dell'attività valutativa della Magistratura di Sorveglianza fiorentina in tema di revoca delle misure alternative alla detenzione.

 

Analisi delle variabili extra-normative

 

Allo scopo di individuare se e in che misura, la Magistratura di Sorveglianza fiorentina fondi i propri provvedimenti di revoca delle misure alternative su parametri extra-normativi si è analizzata l'incidenza di alcune variabili in relazione agli istituti alternativi in questione.

Le variabili considerate sono: a) lo status familiare; b) lo status giuridico; c) la situazione lavorativa; d) il giudizio sulla condotta carceraria; e) i motivi della revoca; f) il tipo di reato commesso durante la misura alternativa; g) la durata del beneficio.

Nel procedere all'analisi dei dati raccolti si esaminerà l'incidenza di ciascuna variabile con riferimento alla totalità delle misure alternative considerate.

 

Lo status familiare

 

Preliminarmente occorre evidenziare come la maggioranza dei soggetti analizzati sia celibe. Questo probabilmente è dovuto sia all'età media dei detenuti ammessi alle misure alternative che risulta essere piuttosto bassa, sia alla precarietà affettiva che spesso caratterizza la popolazione carceraria.

Un influsso positivo sul giudizio per la prosecuzione della misura alternativa è sicuramente esercitato da una situazione di stabilità affettiva. Infatti la maggior parte di coloro che hanno subito la revoca di una misura alternativa rientra nella modalità "celibe"; così come può rilevarsi che i conviventi, i quali usufruiscono con maggior facilità delle misure alternative, vengono revocati in una misura molto minore rispetto ai coniugati a parità di concessioni.

Valutando complessivamente questo dato si direbbe quasi che la figura del convivente si presenti come più rassicurante rispetto a quella dello stesso coniugato. Ciò può probabilmente spiegarsi sia in base al fatto che tale status è molto diffuso tra la popolazione detenuta data la precarietà sociale che la caratterizza, sia che l'emergere di uno stato di convivenza in questa situazione è spesso manifestazione di una situazione affettiva sostanzialmente più solida della famiglia coniugale, che può invece presentarsi come un dato puramente formale.

È comunque evidente che la mancanza di un punto di riferimento affettivo, come può essere una moglie, o ancora di più una compagna, incida notevolmente sulla decisione del Tribunale che sembra fidarsi più di un individuo inserito in una coppia che di un individuo "single". In questo modo però sembra quasi che la solitudine arrivi ad essere un motivo di discriminazione trattamentale. Se infatti è comprensibile come l'esistenza di uno stabile fattore affettivo possa rappresentare un fattore di garanzia in vista della risocializzazione del detenuto, altrettanto non può dirsi quando questo diventi a priori un elemento discriminante.

Spesso la solitudine, intesa come mancanza di un valido supporto familiare, diventa ostacolo ad ogni forma di alternatività al carcere. La presenza di un nucleo familiare stabile, sia esso quello di origine o quello successivamente formato, costituisce infatti una garanzia non solo da un punto di vista affettivo, ma anche, su un piano eminentemente pratico, come riferimento materiale della residenza o del domicilio del detenuto.

Infatti una delle maggiori difficoltà per il C.S.S.A. è rappresentata proprio dall'impossibilità di mantenere una costanza di rapporto con i detenuti ammessi a beneficiare delle misure alternative a causa della loro irreperibilità nel luogo stabilito dal Magistrato di Sorveglianza con il provvedimento di concessione della misura.

In effetti pochissimi soggetti mantengono contatti spontanei con il C.S.S.A., perciò diventa indispensabile l'esistenza di un riferimento familiare ed abitativo certo cui il Servizio Sociale e, attraverso esso, il Magistrato di Sorveglianza possano rivolgersi per raccogliere le informazioni necessarie alla valutazione dell'andamento della misura alternativa e alla decisione di una sua eventuale revoca.

Se la precarietà dello status familiare va ad incidere sulla possibilità di fruire o di continuare a fruire delle misure alternative per il "genus" detenuto, ancora più amplificato risulta il fenomeno in relazione alla "species" detenuti stranieri, per i quali la regola è rappresentata dall'inesistenza di qualsiasi legame familiare e dalla presenza di rapporti instaurati nel nostro paese quasi sempre in ambienti delinquenziali.

L'importanza della presenza di una famiglia, che supporti il soggetto durante lo svolgimento della misura alternativa, si evince anche dal fatto che, soprattutto con riferimento alla semilibertà ed all'affidamento in prova al servizio sociale, non è infrequente che il Tribunale rigetti la richiesta di passaggio da una misura all'altra per "non qualificata assistenza notturna" o "mancanza/inadeguatezza di validi supporti esterni".

Sebbene infatti i riferimenti esterni considerati dal Tribunale di Sorveglianza non si esauriscano, come vedremo, con l'esistenza di un nucleo familiare solido, ma riguardino anche una situazione lavorativa stabile, tuttavia la rilevanza dello status familiare dei detenuti in relazione alle concessioni/revoche delle misure alternative alla detenzione appare notevole.

È da rilevare comunque come, nella maggioranza dei casi, l'influenza di questa variabile vada ad incidere più sui provvedimenti di concessione che su quelli di revoca, in quanto per questi ultimi risulta rilevante soprattutto il venire meno del nucleo familiare, indipendentemente dai motivi per i quali ciò avviene (separazione, divorzio, morte del coniuge/convivente o dei genitori/parenti conviventi).

 

Lo status giuridico

 

Questa variabile è stata analizzata da un duplice punto di vista: quello riguardante il numero di condanne riportate dal detenuto e quello inerente al tipo di reato che ha portato il soggetto alla reclusione carceraria.

Sotto il primo profilo si può ipotizzare una decisa importanza attribuita, nell'ambito dell'immagine che il Tribunale complessivamente si crea del detenuto, al numero di condanne, come indice dell'attitudine al crimine. Infatti il Tribunale di Sorveglianza, mentre tende a concedere più facilmente il beneficio al soggetto che ha riportato molte condanne, presumibilmente perché ha già subito un lungo periodo di carcerazione, sembra poi revocare più facilmente il beneficio concesso con gli stessi presupposti, considerati in un secondo momento come indici di pericolosità.

L'avere subito una lunga detenzione infatti viene di per sé a configurarsi, come indice di pericolosità e di scarsa affidabilità del soggetto, a prescindere da ogni e qualsiasi previsione normativa. Sembrerebbe quasi che il Magistrato di Sorveglianza arrivi a considerare la segnalazione di revoca di misure alternative concesse a pluricondannati come una "fiducia tradita".

Inoltre si considera indice di scarsa affidabilità e quindi di pericolosità sociale anche l'avere già in precedenza usufruito di altre misure alternative (soprattutto nel caso che siano state revocate) nonché l'essere stato dichiarato delinquente abituale.

Il risultato dell'analisi segnala una forte presenza di revoche soprattutto nel caso di soggetti che hanno subito più di sei condanne, mentre coloro che hanno subito una sola condanna risultano essere un numero di molto inferiore.

Ciò può essere considerato indicativo non solo della notevole importanza rivestita dalla cosiddetta "pericolosità sociale" dell'individuo, ma anche di una valutazione negativa dell'esperienza carceraria per soggetti abitualmente estranei al crimine o che presentano problemi psichici e gravi disturbi della personalità.

A tal proposito è interessante rilevare infatti come, per soggetti con una sola condanna, il rigetto della domanda di ammissione ad una misura alternativa, individuata soprattutto nell'affidamento in prova al servizio sociale, sia pressocchè inesistente e, allo stesso modo, come invece frequenti siano le segnalazioni di revoca respinte dal Tribunale con la motivazione di ritenere opportuno "concedere una ulteriore ed ultima possibilità" al condannato oppure "permettere la realizzazione di un più adeguato trattamento medico-psichiatrico".

Inoltre deve segnalarsi che i soggetti con un elevato numero di condanne alla spalle solitamente fruiscono in un primo momento della semilibertà per poi passare all'affidamento quando sussistano le condizioni previste.

Sotto il secondo profilo, analizzando cioè il tipo di reato per cui il detenuto è stato condannato, può osservarsi che i dati riguardanti le revoche indicano nei reati di furto, rapina e frode i reati di fronte ai quali scatta con maggiore facilità la sospensione del beneficio. Questo fatto smentisce l'idea assai diffusa di un'azione del Tribunale con provvedimenti di revoca soprattutto in quei casi in cui il detenuto ammesso alla misura alternativa fosse stato precedentemente rinchiuso per aver commesso gravi reati. Infatti la commissione di un'azione delittuosa grave come l'omicidio non è riscontrabile che in rarissimi casi.

In un certo senso questo risultato si ricollega alla precedente variabile che indicava nel numero di condanne riportate uno dei cardini su cui viene a fondarsi il giudizio di pericolosità sociale che colpisce soprattutto i più deboli socialmente, dato che per molti "ladri", soprattutto fra i tossicodipendenti, il furto diventa il proprio unico e principale modo di vita.

Infatti coloro che compiono un furto nella stragrande maggioranza dei casi sono anche coloro che commettono più di un reato poiché questo tipo di azione tende ad essere ripetuta nel tempo con ulteriori precisazioni di "stile". Ecco allora come troppo spesso chi ruba preziosi o argenteria in sei appartamenti viene definito socialmente più pericoloso di colui che compie "solamente" un omicidio.

Tutto ciò è dovuto al fatto che sembra essere più importante, all'interno di un giudizio di revoca, il numero di condanne subite, in quanto significativo di un determinato stile di vita, piuttosto che il tipo di reato commesso.

 

La situazione lavorativa

 

Anche l'analisi di questa variabile presenta una duplicità di prospettive di indagine. Si è esaminata infatti la situazione lavorativa del soggetto condannato con riferimento sia al passato che al presente/futuro.

Si è ritenuto opportuno, per poter meglio individuare l'influenza di questa variabile sull'esercizio del potere discrezionale da parte del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, distinguere la situazione lavorativa del soggetto prima della sua condanna da quella successiva alla sua carcerazione.

Per quanto riguarda la situazione lavorativa passata, dall'analisi dei dati raccolti, emerge per la quasi totalità dei soggetti colpiti da provvedimenti di revoca uno stato di disoccupazione o comunque di precarietà ed alta mobilità occupazionale.

Pochissimi sono i casi in cui la passata situazione lavorativa del detenuto è caratterizzata da una certa stabilità ed in queste occasioni si tratta di lavori come operaio, piccolo artigiano o autotrasportatore.

Rarissimi sono i casi in cui il detenuto abbia in passato svolto attività di tipo impiegatizio; addirittura inesistenti sono attività lavorative pregresse a livello dirigenziale.

Riguardo al presente/ futuro, avere una situazione lavorativa stabile è indispensabile per poter usufruire della concessione della misura alternativa; allo stesso modo la perdita del lavoro può essere causa di revoca, anche se, come abbiamo visto, non necessariamente, ma soltanto combinata con altri elementi destabilizzanti.

Il Tribunale procede infatti alla revoca della misura alternativa solo quando oltre alla perdita del lavoro siano ravvisabili a carico del condannato anche altri elementi negativi ai fini della prosecuzione della misura alternativa. Qualora infatti alla violazione delle prescrizioni, alla mancanza di contatti con il C.S.S.A. o con il S.E.R.T., all'inesistenza di un qualsiasi riferimento esterno familiare ed affettivo si associ anche la perdita del lavoro diventa inevitabile per il Tribunale di Sorveglianza procedere alla revoca.

È interessante notare inoltre che, se la perdita del lavoro è causa di revoca solo in presenza di altri fattori destabilizzanti, al contrario, di norma, lo svolgimento di un lavoro è motivo di rigetto, da parte del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, delle istanze di revoca delle misure alternative a prescindere dall'esistenza di altri elementi positivi.

Per il giudizio del Tribunale di Sorveglianza di Firenze infatti è soprattutto rilevante l'esistenza di un lavoro stabile, risultando quasi completamente irrilevante il tipo di lavoro.

Da ricerche svolte riguardo ad altri Tribunali di Sorveglianza è invece emerso come l'Autorità Giudiziaria in genere mostri sovente un'esplicita sfiducia verso le comunità e le organizzazioni volontarie, per quanto le riconosca pronte a lavorare con impegno. Questa sfiducia nasce soprattutto da un atteggiamento repressivo che si viene a scontrare con l'atteggiamento presente nella maggior parte di queste organizzazioni, considerate troppo libere e tolleranti oltre che precarie dal punto di vista delle condizioni di reinserimento.

È interessante notare come in questa ottica l'Autorità Giudiziaria riponga maggiore fiducia nei detenuti assunti come dipendenti, anche se la parola "fiducia" in questo frangente non ha molto senso poiché essa non si basa su di un rapporto positivo tra Tribunale e detenuto, ma esclusivamente sulla maggior controllabilità dei dipendenti rispetto ai lavoratori in proprio. Per conseguenza, in questi casi, la fiducia dei Magistrati di Sorveglianza si limita a quelle situazioni in cui il soggetto è sottoposto ad un maggior controllo.

Analoghe considerazioni non possono peraltro farsi in relazione al Tribunale di Sorveglianza di Firenze, il quale, come già accennato, considera sostanzialmente irrilevante il tipo di lavoro svolto dal detenuto, purché questo ne svolga uno. La variabile in questione infatti risulta influenzare pesantemente il libero convincimento della Magistratura di Sorveglianza, ma soltanto nel senso dello svolgimento di un'attività lavorativa, non essendo necessario che questa abbia necessariamente natura subordinata.

Da queste considerazioni emerge chiaramente che l'atteggiamento del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, lungi dall'essere improntato ad una gestione repressiva e custodialistica del sistema penitenziario, si inserisce perfettamente nell'ottica risocializzativa e rieducativa perseguita, in generale, con la riforma penitenziaria e, più in particolare, con la disciplina delle misure alternative alla detenzione.

Non raramente comunque una eccessiva mancanza di controllo sul tipo di lavoro svolto, soprattutto in relazione all'affidamento in prova al servizio sociale ed alla semilibertà, ha dato luogo poi a revoche per "attività lavorativa svolta con / per pregiudicati" o "in ambienti delinquenziali".

 

Il giudizio sulla condotta carceraria

 

La valutazione della condotta carceraria viene essenzialmente compiuta sulla base di una molteplicità di fattori che vanno dal giudizio della condotta in senso stretto effettuato dal direttore dell'istituto, alla relazione di sintesi per quanto riguarda il rispetto della disciplina, i rapporti con i detenuti, con gli agenti e con gli operatori.

Si tiene altresì conto dell'atteggiamento tenuto dal detenuto nelle attività istruttive, culturali e religiose.

Un discorso a parte va poi fatto in relazione allo svolgimento di un'attività lavorativa interna al carcere, la quale risulta influenzare le decisioni del Magistrato di Sorveglianza solo in relazione alla misura alternativa della semilibertà.

In relazione alle altre misure alternative svolgere un'attività lavorativa interna risulta infatti essere un elemento scarsamente determinante.

Riguardo poi all'affidamento in prova al servizio sociale il lavoro carcerario risulta essere totalmente irrilevante, con ogni probabilità in conseguenza del fatto che, dato il periodo breve di detenzione che si accompagna in genere all'applicazione della misura e la carenza generale di attività lavorative in carcere, rari sono i casi in cui un qualche lavoro venga svolto.

Venendo ad analizzare nello specifico le valutazioni sulla condotta carceraria si nota che il giudizio di buona condotta risulta irrilevante ai fini della concessione delle misure alternative al carcere.

Riguardo alla revoca invece sembrerebbe dimostrata l'utilità, per il Tribunale di Sorveglianza, del giudizio formulato dall'autorità penitenziaria sull'atteggiamento tenuto dal soggetto all'interno del carcere, dal momento che il numero delle revoche fra coloro che possono vantare una "buona condotta" carceraria è di gran lunga inferiore rispetto alla stessa modalità analizzata in relazione alle concessioni.

Infatti in linea teorica si potrebbe ipotizzare che il Tribunale, di fronte ad un'istanza di revoca, valutati negativamente solo un eventuale comportamento carcerario scorretto; peraltro questo atteggiamento giudiziario sarebbe apprezzabile dato che ripagherebbe il detenuto che si è comportato positivamente in carcere.

Questa ipotetica equità però viene, in realtà, attenuata dall'andamento quasi perfettamente antitetico della modalità "condotta regolare" che viene revocata nella stessa percentuale per cui viene concessa. Infatti, il non tenere conto del comportamento regolare tenuto in definitiva dalla maggior parte dei detenuti significa, in un certo senso, punire tutti coloro che si adattano a vivere la propria esperienza carceraria tranquillamente, nell'assenza di grossi risultati in termini di positività comportamentale, ma anche nell'assenza di qualsiasi atteggiamento pericoloso.

Si registra inoltre in questo caso la scarsa considerazione attribuita dai giudici ai pareri di carattere puramente formale e stereotipato espressi dalla direzione rispetto al detenuto.

I Magistrati di Sorveglianza sembrano invece fidarsi del parere dell'autorità penitenziaria nel caso di "cattiva condotta". Ecco dunque come il giudizio della direzione assuma improvvisamente grande rilievo visto che un detenuto che, per un qualsiasi motivo, spesso anche giustificabile, sia incorso in un provvedimento disciplinare, viene a trovarsi decisamente ostracizzato nel godimento del beneficio a lui assegnato. È opportuno precisare comunque che i provvedimenti disciplinari che determinano la negatività della condotta non sono i semplici richiami, anche scritti (sempre che siano in numero contenuto), ma i rapporti e le ammonizioni.

Infine è interessante notare una quanto meno stravagante risultanza; mentre si considera regolare la condotta del detenuto non tossicodipendente anche quando questo abbia posto in essere atti certificati di autolesionismo o abbia ricevuto qualche richiamo scritto, altrettanto non avviene in relazione al tossicodipendente che, avendo fatto di richiesta di essere ammesso ad una delle misure alternative alla detenzione, non si sottoponga ad un programma di recupero.

L'irrilevanza dei semplici richiami comunque va ancora una volta a sottolineare che soltanto la "cattiva condotta" rileva ai fini del giudizio discrezionale del Tribunale di Sorveglianza.

 

I motivi della revoca

 

In realtà parlare dei motivi che portano alla revoca di una misura alternativa in termini di variabili extra-normative non risulta del tutto proprio. Si è optato però per l'introduzione di questo elemento senz'altro più significativo ai fini della presente indagine, per analizzare come di fatto la gestione della propria discrezionalità venga "motivata" dalla Magistratura di Sorveglianza.

Le schede con cui si è provveduto a "testare" i fascicoli dei detenuti prevedono una vasta gamma di risposte che tendono a ricomprendere le principali motivazioni che possono spingere il Tribunale di Sorveglianza a revocare una misura alternativa. Le motivazioni indicate nella scheda sono le violazioni delle prescrizioni, il mancato rientro, la cattiva condotta, il ritardato rientro, nuovi titoli di privazione della libertà, il licenziamento.

I dati così raccolti sono assai significativi; si può infatti notare che il motivo principale di revoca consiste nella sopravvenienza di nuovi motivi di privazione della libertà. Con questa formula si ricomprendono i reati che il detenuto abbia commesso durante il godimento del beneficio e che non siano ancora stati oggetto di una condanna definitiva.

Deve peraltro notarsi come laddove sopravvenga un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, che vede come suo presupposto logico una sentenza di condanna, si dovrà far applicazione della norma di cui all'art. 51 bis o.p., più volte richiamato nella prima parte del presente lavoro.

Alla sopravvenienza di nuovi motivi di privazione della libertà seguono le violazioni delle prescrizioni imposte e il mancato rientro.

L'incidenza della sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà, del mancato rientro e anche della violazione delle prescrizioni dimostrano che la maggior parte delle revoche scatta per un'azione compiuta dal beneficiario della misura e che se questo può da un lato essere imputato al detenuto, dall'altro chiama necessariamente in causa la strutturazione delle stesse misure alternative alla detenzione, poiché troppo spesso i soggetti beneficiati delle stesse si trovano in una situazione di totale abbandono che concorre nel determinarli a compiere nuovamente atti illeciti.

Come abbiamo già in precedenza rilevato difficilmente il detenuto ammesso alla misura alternativa contatta spontaneamente il C.S.S.A., il quale, dal canto suo, rivela tutti i propri limiti sia in fase di assistenza che per quanto riguarda l'aspetto rieducativo e risocializzativo del condannato.

Sebbene la condotta tenuta dal Servizio Sociale appaia spesso improntata a criteri freddamente burocratici ed impersonali va peraltro sottolineato come il rapporto numerico operatori/assistiti sia nettamente squilibrato a favore di questi ultimi, il che con ogni probabilità gioca un ruolo determinante nella genesi dei sopra citati comportamenti degenerativi.

Con riferimento al dato inerente alla violazione delle prescrizioni, esso si caratterizza per essere, tra i motivi di revoca, quello in cui più evidente appare l'esercizio di una discrezionalità libera, non vincolata, da parte della Magistratura di Sorveglianza.

Stante questa peculiarità del concreto atteggiarsi dei provvedimenti di revoca delle misure alternative per violazione delle prescrizioni, si darà conto più dettagliatamente delle linee di indirizzo seguite da Tribunale di Sorveglianza nel determinare la rilevanza della violazione nel paragrafo seguente, dove verrà analizzata la gestione della discrezionalità della Magistratura di Sorveglianza in relazione ad ogni singola misura alternativa.

 

Il tipo di reato commesso durante la misura alternativa

 

Questa variabile può considerarsi un sottomultiplo della variabile "sopravvenienza di nuovi motivi di privazione della libertà" precedentemente esaminata poiché l'attenzione viene qui posta sul tipo di reato posto in essere durante il beneficio.

Si evince dai dati che i reati decisamente prevalenti sono lo spaccio di sostanze stupefacenti ed il furto commesso da soggetti tossicodipendenti o alcooldipendenti.

Si può ipotizzare che questa situazione di fatto debba ricollegarsi alla carenza di assistenza al detenuto che benefici della misura alternativa, carenza di assistenza che assume rilevanze notevolissime con riferimento ai soggetti con problemi di tossicodipendenza o alcooldipendenza.

Si deve al contempo sottolineare come notevole influenza, nel determinarsi di episodi "recidivanti", debba altresì ricondursi ad ipotesi di "non convinta" partecipazione ai programmi terapeutici di recupero, che spesso vengono vissuti dal detenuto come semplici mezzi per eludere la detenzione carceraria.

Infine deve darsi conto dell'elevata incidenza di episodi di evasione, termine con il quale si ricomprendono sia ipotesi di allontanamento che di mancato rientro. Anche in questo caso vengono in rilievo considerazioni sulla "non sincera" adesione del detenuto beneficiato al percorso alternativo.

 

La durata del beneficio

 

Analizzando la durata del godimento del beneficio da parte di soggetti che hanno poi subito la revoca della misura alternativa loro assegnata si possono trarre informazioni interessanti per quanto riguarda l'evoluzione dei rispettivi programmi di rieducazione e risocializzazione.

Dall'analisi di questa variabile emergono chiaramente due tipologie di durata della misura alternativa: una quantificabile mediamente in 14-15 mesi, l'altra valutabile in un periodo che va da qualche giorno a neanche un mese.

Questa disomogeneità di risultati diventa ancora più stridente relativamente all'affidamento in prova in casi particolari dove i tossicodipendenti - alcooldipendenti pongono in essere comportamenti incompatibili con la prosecuzione della prova o pochi giorni prima della conclusione di quest'ultima o immediatamente dopo la sua concessione.

In riferimento specifico all'affidamento in prova in casi particolari, ma con validità anche per tutte le altre misure alternative alla detenzione si ritiene che una tale discrasia di durata sia da attribuirsi in primo luogo alla volontà del soggetto che privilegia comunque un comportamento deviante rispetto a qualunque tipo di reinserimento sociale; in secondo luogo, ma non in misura marginale, alla carenza di supporti validi ed efficaci nella realizzazione di un processo risocializzativo che, pure a fine misura, si mostra come evidentemente non compiuto.

 

Analisi dell'esercizio della discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza di Firenze in relazione alle singole misure alternative alla detenzione

 

L'analisi sin qui compiuta ha cercato di individuare una correlazione univoca fra variabili individuate e revoca delle misure alternative alla detenzione complessivamente considerate. Questo sforzo di generalizzazione ha risposto all'esigenza di tratteggiare un modello vincolato, sia pur da parametri extra-normativi, di discrezionalità a cui la Magistratura di Sorveglianza fiorentina sembra rifarsi.

Ai fini di una compiuta analisi delle variabili individuate non può però omettersi di valutare la concreta rilevanza che i parametri extra-normativi assumono con riferimento alla singole misure.

 

L'affidamento in prova al servizio sociale

 

Con riferimento a questa misura deve preliminarmente farsi riferimento all'art. 47 o.p. che prevede la revoca della misura alternativa in questione "qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova".

Quanto alla concreta determinazione dell'incompatibilità è innanzitutto da sottolinearsi l'importanza del ruolo giocato dai c.d. riferimenti esterni. Tra di essi viene in rilievo, in senso positivo alla prosecuzione della prova, l'esistenza di un nucleo familiare o comunque affettivo che funga da supporto per l'affidato nello svolgimento della misura alternativa. Positivamente sembra influire anche l'avere rapporti costanti e proficui ai fini del reinserimento e della risocializzazione dell'affidato, con il C.S.S.A. Minor peso sembra invece esercitare lo svolgimento di un'attività lavorativa.

Quasi del tutto irrilevanti sembrano poi i c.d. riferimenti interni, dal momento che sia lo svolgimento di un'attività lavorativa interna sia la condotta tenuta dal detenuto in carcere (a meno che non sia "cattiva") non vanno assolutamente ad influire nemmeno su i provvedimenti di concessione dell'affidamento in prova.

L'affidamento in prova al servizio sociale viene revocato soprattutto in conseguenza di violazioni delle prescrizioni; ciò appare coerente con il fatto che l'affidamento è concepito come un beneficio elastico ed abbastanza avulso da un controllo totale sull'individuo. Gli operatori giudiziari considerano infatti l'affidamento un problema di difficile gestione poiché lascia un'amplissima (talvolta eccessiva) libertà al detenuto.

Ecco quindi che la revoca si determina in occasione dell'unico momento di controllo a cui gli affidati devono sottostare, ovvero il rispetto delle prescrizioni imposte con l'ordinanza di concessione della misura.

Il Magistrato di Sorveglianza procede alla revoca dell'affidamento, oltre al caso di sopravvenienza di nuovi motivi di privazione della libertà che peraltro abbiamo visto essere il principale motivo di revoca delle misure alternative in genere, anche quando la condotta tenuta dall'affidato risulti incompatibile con la prosecuzione della prova.

Tale incompatibilità è riscontrata dal Tribunale di Sorveglianza in presenza di una totale "inesistenza dell'impegno" nell'aderire al programma alternativo o di una gestione della misura alternativa "senza sufficiente senso di responsabilità".

Con riferimento a soggetti affidati la cui condotta sfugga ad ogni tipo do controllo e riferimento il Tribunale di Sorveglianza ha disposto la revoca per evitare "ulteriori probabili condotte delittuose". Questo è, ancora una volta, probabile indizio dell'importanza che il giudizio di pericolosità sociale sul soggetto affidato riveste nella valutazione compiuta dalla Magistratura di Sorveglianza.

Il Tribunale di Sorveglianza, secondo i dati raccolti, non ha proceduto alla revoca dell'affidamento in numerosi casi di andamento della prova non positivo, trattandosi di soggetti affidati con gravi disturbi psichici, bisognosi quindi di "un trattamento adeguato".

Non è infrequente infine che il Tribunale di Sorveglianza non proceda alla revoca quando il fatto di reato per cui l'affidato è in espiazione di pena sia abbastanza lontano nel tempo, sempre che sussistano però altri riferimenti, soprattutto di carattere esterno.

 

L'affidamento in prova in casi particolari

 

Relativamente all'affidamento in prova in casi particolari si deve notare come il Tribunale di Sorveglianza spesso non proceda alla revoca della misura alternativa in questione nemmeno in seguito ad una accertata positività del soggetto sia agli oppiacei che agli stupefacenti.

Qualora infatti si riscontri tale positività, ma il soggetto manifesti la sua volontà di riprendere il programma terapeutico interrotto o di iniziare una nuova terapia, non si darà luogo alla revoca.

Inutile sottolineare quanto "disinteressata" possa essere una scelta maturata in tali circostanze da un soggetto che altrimenti si troverebbe nuovamente inglobato in una realtà di tipo carcerario.

La revoca dell'affidamento in prova in casi particolari invece viene frequentemente disposta quando l'affidato ex art. 47 bis o.p. ponga in essere numerosi e ripetuti abbandoni della comunità terapeutica presso cui svolge il suo programma di recupero.

Come già visto in occasione dell'analisi generale dei dati, in questi casi la durata della misura alternativa oscilla fra pochi giorni e l'intera durata del beneficio meno pochi giorni.

È da considerarsi incompatibile con la prosecuzione della prova anche la condotta dell'affidato che prescinda da ogni e qualsiasi contatto e con il C.S.S.A. e con il S.E.R.T.

Infine è da notare come l'emergere di condanne per spaccio sia, per così dire, fisiologico in relazione alla misura alternativa in questione.

 

La detenzione domiciliare

 

Preliminarmente, con riferimento a questa misura, deve sottolinearsi che, vuoi per l'esiguità dei casi trattati (soltanto quattro), vuoi per il fatto che le variabili più specificatamente rilevanti per essa (malattia, maternità, gravidanza) non sono state rilevate poiché si è utilizzato la stessa scheda standard per tutte le misure alternative in esame, le informazioni non sono poi molte.

L'analisi compiuta sconta quindi inevitabilmente una qualche incertezza e genericità. Tuttavia può osservarsi che, anche nei casi esaminati, la giovane età si atteggia quale elemento negativo ai fini della prosecuzione della misura.

Rilevante appare anche la valutazione dei vari aspetti trattamentali soprattutto in relazione alla determinazione della incompatibilità con la prosecuzione della prova.

Acquisiscono notevole rilevanza anche minime violazioni delle prescrizioni; quasi che gli aspetti comportamentali e disciplinari vadano a comprimere (e sopprimere) l'essenza della misura alternativa come prevista dalla legge Gozzini. Nella detenzione domiciliare il legislatore dell'86 ha privilegiato l'aspetto di incompatibilità che si realizza tra situazioni soggettive particolari nonché tassativamente descritte e stato detentivo.

 

La semilibertà

 

Deve innanzitutto sottolinearsi come detta misura alternativa sia quella più frequentemente oggetto di provvedimenti di revoca; detta peculiarità deve con ogni probabilità ricondursi al fatto che questa misura non solo viene a svolgersi in un legame di più stretta sorveglianza, ma anche sia revocabile, rispetto all'affidamento, in base a presupposti più generici ed arbitrari che possono includere anche violazioni minime e non formalizzabili.

Viene dunque a cadere l'idea, diffusa in larghi strati della giurisprudenza di sorveglianza, che la semilibertà sia la misura più affidabile dato che è stato rilevato che proprio questo beneficio è il più colpito dalle istanze di revoca. La semilibertà in definitiva è la misura che maggiormente permette di rifarsi all'antico concetto di punibilità del detenuto, concetto che peraltro ben poco ha a che fare con gli scopi socializzativi ed educativi del nostro sistema penitenziario.

Quanto poi al concreto interagire delle variabili extra-normative in ordine ai provvedimenti di revoca, si può rilevare come elementi positivi ai fini della prosecuzione della misura alternativa debbano rinvenirsi in un giudizio positivo sulla condotta carceraria, nella presenza di strutture di appoggio esterne e soprattutto nella possibilità di svolgere un'attività lavorativa con opportunità di reinserimento sociale.

Infine si ritiene opportuno sottolineare come in molti casi il verificarsi di inadempienze relative agli orari di rientro o allo svolgimento dell'attività lavorativa non diano luogo alla revoca della misura alternativa in questione, altresì al rigetto della domanda di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale da parte del semilibero.

Abbiamo già accennato infatti alla prassi penitenziaria per cui solitamente i condannati a pene medio-lunghe fruiscono della semilibertà prima e, qualora ne sussistano i presupposti, dell'affidamento in prova al servizio sociale poi.

Comunque per un eventuale rigetto dell'istanza di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale come ulteriore passo da parte del semilibero verso un completo reinserimento sociale, non può essere sufficiente una fisionomia giuridico-trattamentale negativa essendo necessario che questa si inserisca in una situazione globale di precarietà e marginalità.

 

La liberazione condizionale

 

In relazione a questa figura unico parametro che pare assumere autonoma rilevanza è quello dell'età del detenuto (la giovane età assume carattere di disvalore).

Al contrario sostanzialmente irrilevanti appaiono gli aspetti trattamentali e comportamentali. In tema di aspetti trattamentali giova poi ricordare che la liberazione condizionale ha natura precedente alla legge Gozzini ed alla formalizzazione del trattamento con essa compiuto.

Peraltro con specifico riferimento a questa misura deve notarsi come la normativa vigente ricolleghi la revoca alla mancanza di sicuro ravvedimento del condannato, così implicitamente evitando il ricorso a parametri diversi da quelli normativamente previsti, di fatto restringendo l'ambito di discrezionalità del Magistrato.

 

 

Precedente Home Su Successiva