Revoca delle misure alternative


Conclusioni

 

Nel nostro ordinamento, accanto ad ipotesi in cui il potere discrezionale del magistrato è sottoposto dalla legge a chiari criteri guida, esistono casi nei quali è estremamente problematico ricostruire tali indirizzi.

Questa peculiarità assume particolare rilievo con riferimento alla Magistratura di Sorveglianza, per la quale, con la riforma penitenziaria e la valorizzazione della prospettiva rieducativo-trattamentale, si sono aperti orizzonti sempre più vasti di discrezionalità, finalizzati, nello spirito del legislatore, alla individualizzazione e personalizzazione del trattamento penitenziario.

Da qui l'esigenza "scientifica" di studiare i processi di discrezionalità che portano alla revoca delle misure alternative cercando di determinare parametri obiettivi - e quindi costanti e qualificabili - che, a livello più o meno latente, di fatto rilevano.

I risultati della ricerca hanno suggerito una diretta correlazione tra il sentencing penitenziario in materia di revoca delle misure alternative alla detenzione ed una serie di parametri legislativamente non considerati, ed in certi casi addirittura extra-giuridici. Stante questa situazione non ci si può esimere da una serie di considerazione di natura generale.

In primo luogo la discrezionalità che la legislazione consente ai Tribunali di Sorveglianza, come in questo lavoro è stato evidenziato, produce il ricorso a variabili extra-legislative che, lungi dall'essere casuali, appaiono riconducibili al quadro di riferimento culturale ed all'identità di ruolo e di funzione del magistrato.

Questa identità di ruolo e di funzione non è facile da determinare con riferimento alla Magistratura di Sorveglianza, la quale infatti, afflitta da una complessiva carenza di "vocazioni", come osservato da A Margara (in Memorie di trent'anni di galera, in Il Ponte, 1995, numero speciale sulle carceri), appare sostanzialmente priva di una ideologia propria.

Ne consegue che il quadro delle variabili extra-giuridiche a cui la Magistratura di Sorveglianza fa riferimento è, in assenza di una identità propria, quello della Magistratura ordinaria, a sua volta portatrice di una ideologia di per sé contraria alla flessibilità della pena nella fase dell'esecuzione.

Da ciò deriva il rischio concreto che quella ampia discrezionalità della Magistratura di Sorveglianza, che il legislatore del 75 e dell'86 aveva inteso finalizzare ad una migliore individualizzazione e personalizzazione del trattamento penitenziario, faccia entrare nel processo di esecuzione della pena tratti propri di ideologie del tutto contrarie allo spirito dell'ordinamento penitenziario.

In secondo luogo appare evidente come il ricorso a parametri non legislativamente definiti possa essere foriero di una disomogeneità di valutazioni. Questa disfunzione peraltro si riscontra, sebbene in misura minore, anche nell'analisi dei meccanismi di concessione delle misure alternative.

L'utilizzazione di questi parametri nelle valutazioni inerenti la revoca delle misure alternative può portare la Magistratura di Sorveglianza a pronunce estreme e potenzialmente arbitrarie. Stando così le cose risulta astrattamente possibile per il Tribunale di Sorveglianza tanto rigettare tutte le istanze di revoca, laddove dei parametri si dia un'ampia interpretazione, quanto accoglierle qualora l'interpretazione delle variabili venga improntata a criteri di maggior rigore.

Considerato tutto questo, ove non si realizzi un modello di "discrezionalità vincolata" che, riducendo gli ambiti di discrezionalità limiti, se non elimini, il ricorso a parametri non normativamente determinati, si finirà per vanificare il disegno della legge Gozzini che è quello di realizzare un controllo veramente incisivo sulla legalità della fase dell'esecuzione della pena.

Riterrei dunque necessario che si proceda o ad una più rigorosa determinazione legislativa degli elementi che concorrono a determinare i provvedimenti di revoca oppure all'indicazione, legislativamente determinata, delle linee di indirizzo cui la Magistratura di Sorveglianza deve uniformare la sua attività discrezionale. Solo così l'attività della Magistratura di Sorveglianza, in tema di revoca delle misure alternative, andrebbe esente da rischi di arbitrarietà.

Con particolare riferimento all'attività del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che ha costituito oggetto della presente ricerca, si è potuto verificare come l'esercizio del potere discrezionale da parte di tale organo non vada esente da contraddizioni.

In analogia con le sopra evidenziate contraddizioni e disfunzioni della disciplina della revoca delle misure alternative prevista dal nostro ordinamento, l'attività discrezionale del Tribunale di Sorveglianza di Firenze presenta aspetti di estrema benevolenza ed elasticità, nel senso di favorire al massimo percorsi alternativi alla detenzione, accanto a valutazioni ancora legate invece ad una politica penitenziaria custodialistica e repressiva.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, nella sua concreta attività, la Magistratura di Sorveglianza fiorentina si serve spesso di quei parametri extra-normativi, la cui rilevanza è ormai indiscussa, per promuovere un "proprio" sistema penitenziario. Sistema penitenziario improntato ad un'ampia decarcerizzazione e ad un controllo sociale che ricerchi la mediazione dei conflitti manifestati dal delitto, aiutando il soggetto deviante a superarli, contribuendo anche a reperire, ove possibile, le risorse necessarie per tale superamento e cercando di restituire al soggetto il suo ruolo sociale e la capacità di farlo convivere con quello degli altri.

Accanto a questo tipo di valutazioni che, non solo incarnano, ma addirittura in taluni casi oltrepassano, amplificandole a dismisura, le finalità della riforma penitenziaria e della legge Gozzini, si trovano però anche pronunce in cui viene in rilievo la pericolosità sociale del detenuto e quindi la necessità di un controllo di tipo punitivo e custodialistico.

Per superare queste innegabili discrasie in tema di revoca e di gestione del potere discrezionale da parte del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, come della Magistratura di Sorveglianza in generale, ritengo sia inevitabile ricorrere ad un sistema di "discrezionalità vincolata". Soltanto delimitando il potere discrezionale della Magistratura di Sorveglianza con l'indicazione di pochi, ben determinati e normativamente disciplinati criteri di indirizzo si potrà realizzare compiutamente quella individualizzazione e personalizzazione del trattamento che permetterà la risocializzazione del condannato attraverso un percorso alternativo alla detenzione.

 

 

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