Lavoro esterno

 

Lavoro esterno (art. 21 O.P.)

 

Che cos’è

 

Non si tratta di una vera misura alternativa alla detenzione ma di un beneficio, concesso dal direttore dell’Istituto di pena, che consiste nella possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, anche autonoma (art. 48, comma 12, R.E.), oppure per frequentare un corso di formazione professionale (art. 21 O.P., comma 4 bis). La legge 8 marzo 2001, n° 40, ha introdotto la possibilità di ammettere al lavoro esterno le madri di bambini di età inferiore ai 10 anni (o i padri, se la madre è deceduta, o impossibilitata), per prestare assistenza ai figli (art. 21 bis O.P.).

 

Chi può essere ammesso

 

gli imputati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (art. 21 bis O.P., comma 2);

i condannati e gli internati per reati diversi da quelli previsti all’art. 4 bis O.P.;

i condannati per reati previsti all’art. 4 bis O.P., dopo l’espiazione di un terzo della pena e, comunque, di non oltre 5 anni;

i condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno 10 anni.

 

Limiti all’ammissione


I detenuti e gli internati per reati associativi (416 bis e 630 c.p., art. 74 D.P.R. 309/90) possono essere ammessi al lavoro esterno solo se collaborano con la giustizia, oppure quando la loro collaborazione risulti impossibile, ad esempio perché tutte le circostanze del reato sono già state accertate (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 1).

I detenuti e gli internati per altri reati gravi (commessi per finalità di terrorismo, omicidio, rapina aggravata, estorsione aggravata, traffico aggravato di droghe) possono essere ammessi al lavoro esterno solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 3).

Chi è evaso, oppure ha avuto la revoca di una misura alternativa, non può essere ammesso al lavoro esterno per 3 anni (art. 58 quater, commi 1 e 2, O.P.). Non vi può essere ammesso per 5 anni nel caso abbia commesso un reato, punibile con una pena massima pari o superiore a 3 anni, durante un’evasione, un permesso premio, il lavoro all’esterno, o durante una misura alternativa (art. 58 quater, commi 5 e 7, O.P.).

 

Procedura per l’ammissione

 

L’ammissione al lavoro esterno deve essere prevista nel programma di trattamento, elaborato dall’equipe dell’Istituto di pena (art. 48, comma 1, R.E.), poi il direttore dell’Istituto dispone il provvedimento, che diventa esecutivo solo dopo l’approvazione del Magistrato di Sorveglianza.

 

Il provvedimento di ammissione

 

Si tratta di un atto amministrativo, nel quale sono indicate:

le prescrizioni che il detenuto deve impegnarsi per iscritto a rispettare, durante il tempo da trascorrere fuori dall’istituto;

le prescrizioni relative agli orari di uscita e di rientro, tenuto anche conto della esigenza di consumazione dei pasti e del mantenimento dei rapporti con la famiglia, secondo le indicazioni del programma di trattamento.

L’orario di rientro deve essere fissato all’interno di una fascia oraria che preveda l’ipotesi di ritardo per forza maggiore. Scaduto il termine previsto da tale fascia oraria, viene inoltrato a carico del detenuto rapporto per il reato di evasione (art. 48, comma 13, R.E.).

 

Modifiche alle prescrizioni, sospensione e revoca

 

Le eventuali modifiche delle prescrizioni e la revoca del provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno sono comunicate al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Provveditore regionale e al Magistrato di Sorveglianza, per i condannati e gli internati, o alla autorità giudiziaria procedente, per gli imputati.

La revoca del provvedimento d’ammissione al lavoro esterno diviene esecutiva dopo l’approvazione del Magistrato di Sorveglianza. Il direttore dell’Istituto può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione dell’ammissione al lavoro all’esterno in attesa della approvazione, da parte del Magistrato di Sorveglianza, del provvedimento di revoca. (art. 48, comma 15, R.E.).

 

 

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