Vita - 27 giugno 2003

 

In prigione finiscono anche tutti i cinque sensi

 

La privazione della libertà in carcere è solo una piccola parte della pena da scontare, poi ci sono tutte le pene "accessorie" che non risultano da nessuna parte, ma che mortificano più di ogni altra cosa, prima fra tutte la castrazione di ogni pulsione, la repressione di ogni contatto fisico. Ricordo di essere stata guardata con sospetto per aver abbracciato delicatamente un detenuto, cui avevo appena comunicato la notizia della morte della madre. Di questa riduzione delle persone a robot asessuati parla una donna della Giudecca nella sua testimonianza dedicata alle emozioni e ai sentimenti negati.

 

Ornella Favero

 

Alla pena della reclusione cui si è condannati si applicano pene accessorie che non vengono scritte nella sentenza, ma di fatto fanno parte della condanna. Una delle più gravi, se non la più grave, è il blocco delle emozioni e delle pulsioni che la detenzione provoca, vuotandoti di ogni tipo di contatto-rapporto con persone appartenenti al sesso opposto al tuo.

Se non nel caso in cui queste ultime siano considerate in un certo qual modo facenti parte dell'istituzione (volontari, professori ecc.) e perciò, forse, prive di connotazioni sessuali e quindi "non pericolose". La persona ristretta viene fermata a livello emotivo al momento in cui entra in carcere e, venendole a mancare la possibilità di fare qualsiasi esperienza a questo livello, è abbastanza naturale che regredisca a uno stadio infantile.

Quando per anni questo vuoto che si viene a creare non può essere alimentato da momenti vissuti, ma solo da fantasie, nutrite esclusivamente da percezioni raccolte attraverso la corrispondenza, le parole scritte, l'immaginazione, il vuoto diventa un buco nero. Il carcere di fatto elimina o riduce la forza dei sensi che trasmettono emozioni.

La vista é più che mai penalizzata: muri, muri, porte, cancelli. Gli spazi dove viaggiare con la vista sono sempre immancabilmente limitari da ostacoli murari.

L'udito, che diventa "pigro" e si disabitua a qualsiasi tipo di suono. Finisce che ti manca perfino il rumore delle macchine nel traffico delle città. L'olfatto; stessi odori, stessa puzza. Hai nostalgia soprattutto degli odori della vita, le piante, la terra. Il gusto: è come l'olfatto, i sapori si assomigliano tutti, il cibo è come se avesse un unico "gusto universale", un disgustoso "non gusto".

Il tatto: limitato anche quello o forse eliminato, o anche "auto eliminato". Spesso per gli stessi reclusi è tabù il contatto "emotivo" con persone del proprio sesso. La persona, costretta a vivere con questa privazione - negazione di una parte importante che compone l'essere, non può certamente divenire adulta, crescere, accertare le proprie responsabilità, e anche da ciò il carcere dimostra la sua inutilità a far sì che da qui le persone escano "migliori".

 

Giulia - Istituto penale femminile della Giudecca

 

 

Home Su Successiva