Vita - 8 marzo

 

Ecco a voi Solliccianino, dove il detenuto è ancora una persona

 

La lettera che segue arriva da Solliccianino, un carcere a custodia attenuata che assomiglia molto a un carcere-comunità come quello che si vorrebbe fare a Castelfranco Emilia, per poi affidarne la gestione a San Patrignano. Un detenuto ci ha scritto per ricordarci che esperienze interessanti in questo campo già ci sono, e che sarebbe ora di parlarne di più.


Ornella Favero

 

Vorrei richiamare l’attenzione su una esperienza che esiste da circa 12 anni ed è stata l’apripista per altre realtà dello stesso tipo: parlo della Casa circondariale a custodia attenuata Mario Gozzini, nota come Solliccianino, dove ho la "fortuna" di risiedere. Si tratta di un carcere che ha come fine il pieno reinserimento nella società di soggetti relativamente giovani (fino a 40 anni) e con problemi legaci alla dipendenza da sostanze.

Se il fine può sembrare scontato, non lo sono i risultati raggiunti nel corso del tempo seguendo una politica di "attenzione alla persona" che è l’esatto contrario della spersonalizzazione e deresponsabilizzazione imperante negli istituti ordinari. In pratica quello che dovrebbe essere, molto teoricamente purtroppo, il normale percorso di reinserimento nella vira sociale applicato in ogni penitenziario. Quindi, tra le molteplici obiezioni che si possono avanzare a un’iniziativa che a mio parere aprirebbe la strada alla privatizzazione delle carceri (l’affidamento a San Patrignano della gestione del carcere di Castelfranco Emilia, n.d.r.), c’è anche quella che un progetto simile e concreto esiste già, basta prenderne atto e cercare di migliorarlo dove è possibile e di espanderlo il più possibile.

Certo ad alcuni potrà sembrare un eccessivo investimento di persone e mezzi (operatori, educatori, agenti etc.), ma bisogna rendersi conto che questo è uno dei punti di forza del progetto, grazie al quale l’istituto raggiunge percentuali di "non rientri" impensabili per le strutture tradizionali. Bisognerebbe poi riflettere su quanto "paga" un investimento del genere in termini di risparmio sui costi sociali e rendersi conto che la "vera" sicurezza sociale si ottiene con la prevenzione, agendo sui fattori di discriminazione e di disagio che sono il terreno di coltura dei comportamenti cosiddetti "devianti", e col concreto reinserimento della maggior parte di coloro che hanno commesso dei reati.

Interventi che possono essere efficacemente realizzaci solo da una struttura pubblica, pur con il fruttuoso contributo dell’associazionismo privato e degli enti di volontariato. A questo punto inviterei chi parla di progetti di carcere-comunità a una visita all’Istituto Mario Gozzini per rendersi conto di persona di questa realtà e magari intavolare una discussione con i maggiori interessati, cioè i detenuti, e con gli operatori che vantano una ultradecennale esperienza nel settore.

 

Luca Noale, Solliccianino

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