Vita - 17 maggio

 

La paura dei cancelli che si aprono; il trauma della libertà

 

Nella sezione di Alta sicurezza della Casa circondariale di Vicenza i detenuti realizzano un notiziario scolastico "I cancelli", in collaborazione con gli insegnanti del Centro Territoriale Permanente. Questo è l’articolo di un detenuto che parla del ritorno in famiglia a fine pena, che sembrerebbe il momento più felice e che invece nasconde un sacco di incognite, di disagi, di paura dopo la fattura provocata dal carcere nel tessuto famigliare. Il fatto è che il carcere uno se lo porta dietro sempre, anche quando ne esce, perché, come dice l’autore, è un’esperienza che lascia addosso una "impronta di dolore sociale" che non si può dimenticare.

 

Ornella Favero

 

Libertà: quando la si riacquista la gioia è totale. È l’incontro con la famiglia, l’allegria di essere vivo. Le reazioni iniziali sono le tipiche da stress acuto: alcuni parlano, altri piangono, altri ridono, alcuni ritornano con un senso di spiritualità rinforzato, con l’idea che hanno rivalutato la loro vita e diventeranno migliori. Passano i giorni e le cose cambiano, alcuni lasciano indietro la spiritualità iniziale.

Quando diminuiscono i saluti, i festeggiamenti, arriva un duro periodo: quello di ritornare alla vita di tutti i giorni, affrontare i debiti, le problematiche anche psicologiche lasciate dalla carcerazione. Durante il tempo passato in carcere si modificano le dinamiche all’interno della famiglia, la parte dell’assente è assunta da un’altra persona e rientrare, tornare a occupare il proprio posto, non è impresa facile. In alcuni casi questi non incontri sono così traumatici da portare alla separazione.

Poi ci sono le aspettative familiari. Si idealizza il padre assente che da lontano è visto come il migliore, il più amoroso. Quando ritorna non è più così e si produce uno scontro. Questo tempo è pure l’epoca delle discussioni e delle delusioni nello scoprire che il comportamento di parenti e amici.

È necessario elaborare una serie di duelli interiori, psicologici, ed esiste una sensazione molto grande di tempo perso. Le conseguenze psicologiche dipendono dai percorsi di ogni persona, dalla sua personalità, dai meccanismi di difesa, dalla capacità di adeguarsi alle varie situazioni. Quelli che riescono a impegnare il tempo eterno della detenzione occupandosi di una attività come la cucina, i corsi scolastici o artigianali, escono meglio liberati di quelli che si isolano e contano i secondi con l’aspettativa di dire "esco domani".

La detenzione lascia un’impronta di dolore sociale. I sintomi dello stress iniziale si prolungano per molti mesi, lasciando una depressione molto grande e la presenza fortissima di fobie. Ci si sente insicuri, ci si riempie di domande in cui persiste la sfiducia, non ci si fida più di nessuno, neppure dei vicini di casa o dei compagni di lavoro. La mancanza di fiducia rompe il tessuto sociale e questa è la conseguenza più grave della detenzione.

 

M.L. - Casa Circondariale di Vicenza

 

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