Guerrino Tagliaro

 

Il socio detenuto in cooperativa non è un detenuto

I rapporti sul lavoro sono tra persone libere

 

(Realizzata nel mese di gennaio 2003)

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Nel carcere di Vicenza, Saldo & Mecc è una cooperativa che forma figure professionali, che poi possono trovare senza difficoltà una collocazione nel mercato

 

Saldo & Mecc è una cooperativa che forma detenuti sulla base delle richieste del mercato, e questa non è cosa da poco, in un mondo in cui spesso la formazione è più costruita sulle esigenze dei formatori che dei soggetti da formare. Nel Veneto servono saldatori e carpentieri, questo è allora il "campo d’azione" concretissimo della Cooperativa vicentina. Abbiamo intervistato il suo presidente, Guerrino Tagliaro.

 

Signor Tagliaro, come vi è venuta l’idea di avviare una Cooperativa Sociale e dare lavoro, anzi formazione e lavoro, a persone in carcere?

Tutto è cominciato nel 1999. Dopo una accurata analisi del tessuto economico-produttivo della realtà vicentina, abbiamo individuato nel campo della saldatura, carpenteria e assemblaggio meccanico gli ambiti in cui avviare una attività lavorativa all’interno della Casa Circondariale di Vicenza.

Deciso il settore d’intervento, l’Amministrazione Penitenziaria ha dato inizio alla costruzione di un capannone-laboratorio idoneamente attrezzato e noi abbiamo progettato un corso di formazione per addetti alla saldatura, il tutto ideato e strutturato in previsione di una possibile successiva costituzione di una Cooperativa Sociale.

Il corso, finanziato dalla Regione Veneto attraverso il fondo sociale europeo, si è sviluppato su un totale di 400 ore, oltre a due mesi di stage, suddivise in lezioni teoriche e pratiche, affidate a docenti esperti del settore. Al termine del corso, visti i positivi risultati e di comune accordo con i corsisti detenuti, si è proceduto alla costituzione di una cooperativa sociale di tipo B.

La costituzione è avvenuta illustrando prima in modo dettagliato e completo a tutti i futuri soci cosa significasse avviare una cooperativa nei suoi aspetti giuridici, produttivi ed economici. In modo particolare venne evidenziato che sarebbe stato necessario, da parte di tutti i soci, farsi carico degli investimenti iniziali necessari all’avvio dell’attività.

Con il tempo abbiamo capito/imparato, che spesso, per quanto le cose vengano dette, ridette, spiegate, nella pratica non sempre vengono capite, digerite, assimilate, fatte proprie.

In realtà di questo "farsi carico" sono stati esclusivamente i soci non detenuti, vuoi per motivazioni oggettive vuoi per cultura: i soci detenuti non possono firmare le fideiussioni ecc., e non sempre pensano all’investimento per il futuro, ma al risultato immediato.

 

Quante persone detenute lavorano attualmente all’interno della Casa Circondariale di Vicenza?

Attualmente i soci lavoratori detenuti sono quattro più un detenuto in tirocinio formativo con borsa lavoro e un capo reparto, e dalla costituzione ad oggi hanno lavorato in cooperativa 12 soci lavoratori detenuti, tutti regolarmente assunti e applicando il contratto CNL Cooperative Sociali.

Certamente, uno degli obiettivi primari della Cooperativa è quello di ampliare gli inserimenti lavorativi, anche esterni. Ed è proprio a questo scopo che abbiamo stipulato la convenzione con l’Associazione Artigiani, l’Amministrazione Provinciale e la Casa Circondariale di Vicenza, e siamo costantemente impegnati a ricercare occasioni di lavoro esterno per i nostri soci lavoratori.

Ribadendo che la Cooperativa è un’impresa e che la formazione, ad eccezione dei corsi, viene svolta "lavorando", una volta raggiunto il pieno regime e completato l’ampliamento del capannone ove operiamo, puntiamo ad un organico costante di circa 10 soci lavoratori detenuti più i responsabili di produzione ai quali aggiungere 2/4 tirocinanti all’anno da inserire in aziende esterne, una volta effettuato il tirocinio.

Ad oggi è stato collocato un detenuto in semilibertà presso un’azienda di Schio (VI) con reciproca soddisfazione sia per il detenuto sia per noi, che abbiamo avuto giudizi positivi sulla preparazione professionale del nostro ex socio.

Una maggiore attenzione, nel futuro, alla residenzialità nel vicentino per i detenuti italiani o ai permessi di soggiorno per i detenuti extracomunitari, ci permetterà di aumentare considerevolmente il numero degli inserimenti lavorativi esterni, visto che nella nostra provincia la richiesta di saldatori qualificati è forte.

 

Quali altre categorie di lavoratori sono richieste dalle imprese venete, oltre ai saldatori?

Come è noto il mercato del lavoro nel Veneto soffre di carenza di manodopera. In tale situazione le richieste sono varie e riguardano settori diversi: dalla meccanica all’edilizia, dalla lavorazione della pietra al settore del legno. Più che ai settori in quanto tali, personalmente porrei più l’attenzione sulle figure professionali richieste, perché i lavori a bassa qualificazione sono i meno remunerati e i meno gratificanti. Viceversa avere acquisito una preparazione di base seria in saldatura, tornitura, fresatura, edilizia etc., significa avere molte più possibilità.

 

Quali requisiti deve possedere un detenuto per diventare socio lavoratore della Cooperativa Sociale Saldo & Mecc?

La domanda necessita di una risposta articolata: uno dei requisiti per divenire soci della nostra cooperativa è di dover ancora scontare, al momento della richiesta, almeno due-tre anni di pena, ed i motivi sono molteplici e dovuti alla professionalità necessaria a diventare un buon saldatore, perché per acquisire il Patentino ci vuole parecchio tempo, e poi il fatto che la Cooperativa per continuare a vivere non può avere un turn-over eccessivo.

Al di là delle facili promesse, non possiamo, come Cooperativa, permetterci di "raccomandare", in senso positivo, l’assunzione di un nostro socio se questi non è in possesso di una professionalità accettabile dal mercato del lavoro, pena chiuderci le possibilità per futuri altri inserimenti.

 

Qual è il vostro scopo principale, come "azienda"?

Il nostro scopo è far sì che nello "zaino" che il cittadino ex detenuto si porta appresso fuori dal carcere ci sia, oltre alla rabbia e all’amarezza condita dalla gioia del fine pena, anche un reale e concreto strumento, suo personale, che lo aiuti nell’inserimento.

Quello che ci pare di aver capito dalla nostra esperienza è che, se il cittadino detenuto decide, e solo lui lo può decidere, di "ricominciare", di impegnarsi in un suo percorso, possedere una professionalità vera, ricercata dal mercato del lavoro, diventa una carta vincente per conquistarsi una propria autonomia economica su cui innestare il proprio percorso personale.

 

In un quadro ancora più ampio, quali sono gli obiettivi della Cooperativa, oltre al lavoro, che comunque non è certamente poco?

La Cooperativa si prefigge di essere contemporaneamente un "ponte" tra la situazione presente del detenuto e il suo futuro di persona libera; una "palestra", fornendo professionalità ai propri soci e mettendoli in condizione di fare un lavoro vero in una "vera" realtà lavorativa; una "azienda", confrontandoci con il mercato e "vivendo" di quello.

Alla luce di quanto sopra i criteri formativi sono: a) Stile di conduzione dell’impresa: massima partecipazione (portare la testa oltre che le braccia) di tutti i soci; b) Rapporti interpersonali: Il socio detenuto in cooperativa non è un detenuto, e per quanto ci riguarda il rapporto sul lavoro è tra persone libere; c) Sul piano professionale, il socio lavoratore viene messo in grado di operare sui vari impianti e nelle varie fasi: taglio, saldatura, sbavatura, lettura dei disegni tecnici. In sostanza miriamo a fornire una professionalità più completa possibile: dalla lettura del disegno all’esecuzione della commessa.

 

Come siete riusciti a far fronte alle spese necessarie all’avvio dell’attività e alla successiva sopravvivenza?

La Cooperativa si è autofinanziata attraverso anticipazioni economiche da parte degli amministratori (soci volontari e soci non detenuti), grazie a prestiti di soci anch’essi non detenuti e dagli introiti derivanti dall’attività produttiva. A fine 2001 gli amministratori hanno ottenuto un prestito bancario triennale sottoscrivendo una fideiussione personale.

Attraverso questi strumenti si è riusciti ad erogare gli stipendi ai soci detenuti e pagare entro dicembre 2001 tutti gli impianti. Nel 2002 si è proceduto ad ulteriori investimenti, tutti autofinanziati dall’attività produttiva, ed abbiamo trovato aiuto in alcune aziende vicentine che ci hanno donato un automezzo, un carrello elevatore elettrico e una saldatrice a filo.

 

Con quali problemi vi siete dovuti confrontare, all’inizio dell’attività ma anche successivamente, nella quotidianità?

Nella fase di avvio abbiamo dovuto affrontare gli ovvi problemi legati all’ambiente in cui si era e si è ospiti. La novità di una realtà imprenditoriale produttiva autonoma, che opera all’interno di una Casa Circondariale, inevitabilmente genera curiosità, sospetti, diffidenze e porta con sé ulteriori compiti ed impegni per il personale: vedi accompagnamento dei detenuti, entrata e uscita di mezzi per il materiale di lavorazione etc.

Far convivere una realtà imprenditoriale, che per essere tale necessita della massima rapidità, del rispetto degli orari, di libertà di movimento in una realtà carceraria, strutturalmente rigida, vocata per missione al contenimento e alla sicurezza, non è semplice ma soprattutto, almeno all’inizio, è oneroso.

I tempi mai certi dell’arrivo dei soci detenuti sul luogo di lavoro, i trasferimenti improvvisi di soci detenuti, di cui non sappiamo la motivazione: tutto ciò influisce negativamente sull’andamento produttivo e conseguentemente sul risultato economico. Devo però sottolineare che gradualmente le cose stanno migliorando.

 

Alla luce dell’esperienza fin qui vissuta, ritenete di aver fatto una scelta giusta, siete soddisfatti di aver fondato la Cooperativa?

La scelta di avviare una attività produttiva "non protetta" all’interno di un carcere ci sembrava e ci sembra tuttora una scelta giusta, anche se difficile.

La decisione di dare a questa impresa la veste giuridica di Società Cooperativa è motivata da una serie di considerazioni: a) La formula giuridica della Cooperativa permette un reale coinvolgimento del socio lavoratore; b) La Cooperativa non consente "una cultura assistenzialista o del tirare a campare, tanto a fine mese c’è qualcuno che garantisce gli stipendi", infatti si è dei co-imprenditori: o si fa fatturato oppure nessuno può garantire niente; c) La legislazione in essere riferita alla Cooperazione sociale consente alcune opportunità che con altre tipologie societarie non sarebbero possibili. Alla luce dell’esperienza non ci pare infatti che ci siano imprenditori privati disponibili a investire tempo e denaro per avviare una realtà produttiva all’interno di un carcere.

Questa impostazione non è comunque da tutti condivisa e trova a volte difficoltà culturali ad essere accettata, e non solo dai detenuti ma anche da altre figure operanti in carcere.

In alcuni casi mi sono infatti imbattuto da un lato in una cultura da "posto garantito = stipendio sicuro indipendentemente dal fatturato" oppure in chi, sempre e comunque, per quanto tu faccia, ritiene che ci sia una fregatura, che qualcuno "ci marci" e guadagni sul lavoro e sulla pelle dei soci detenuti, perché per loro è impossibile che ci sia qualcuno che si impegni senza lucrare.

Nonostante ciò noi andiamo avanti e i risultati stanno arrivando.

 

Quali sono le sue considerazioni sull’importanza del lavoro in carcere e ancor di più per chi si trova ad affrontare le problematiche successive alla detenzione, che non sono certamente poche?

Sono convinto che per il solo fatto di stare "rinchiuso" per un periodo più o meno lungo non sia possibile per un detenuto una crescita umana, ma se mai il peggiorare di una situazione già compromessa. Pensare di aver risolto i problemi solo attraverso la reclusione è, a mio parere, una illusione e serve più che altro a pacificare la nostra coscienza e a soddisfare il nostro desiderio di rivalsa. Sono anche fermamente convinto, sia ben chiaro, che l’esigenza di giustizia ha un fondamento sociale indiscutibile. Nessuna società che si conosca può vivere senza norme. Chi ha sbagliato è giusto che paghi il suo debito alla società.

Detto ciò, si pone il problema del "dopo". Un giorno (però o finalmente, a seconda dei punti di vista) "quell’uomo" ritornerà libero e si ritroverà, dopo aver trascorso un periodo più o meno lungo della sua vita nel "vuoto", a dover affrontare il "pieno" del mondo, senza arte né parte ed in più marchiato. Se in carcere aveva le porte chiuse per "uscire", nella società troverà chiuse le porte per "entrare". A mio avviso la trasformazione di "quell’uomo" passa attraverso la scoperta o la riscoperta della dimensione umana del vivere sociale. E nel vivere sociale la possibilità di avere un lavoro e una propria autonomia economica è fatto essenziale, anche se non risolve certo tutti i problemi.

 

Ora che in carcere, seppur per lavoro, ci è entrato, che idea si è fatto?

Al di là di quanto scritto nei testi delle nostre leggi, mi pare che il carcere sia inteso e vissuto nella nostra società come un mero contenitore, funzionale appunto a contenere e stop.

Purtroppo questa visione del carcere "contenitore e stop" non è solo di chi sta fuori ma, sembra a me, anche di molti che stanno dentro. Ciò determina che il tempo della detenzione sia visto e vissuto come un "non tempo", che comunque rimane duro da passare per chi è dentro. In questa logica "il non tempo" viene "non usato" né da chi dovrebbe fornire possibilità rieducative né, a mio parere, dalla grande maggioranza dei detenuti. Ritengo che le cose sarebbero diverse se il "non tempo - non usato" diventasse "tempo - usato". Usato per ri-costruirsi un proprio percorso di vita. Usato per dare una nuova opportunità.

 

 

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