Giovanni Palombarini

 

Giovanni Palombarini, Sostituto Procuratore Generale

in Cassazione e Coordinatore del "Gruppo Immigrazione"

di Magistratura Democratica

 

(Realizzata nel mese di maggio 2000)

 

A cura della Redazione

 

L’incontro con il dottor Palombarini in Redazione, dedicato agli stranieri e alle leggi che ne regolano l’immigrazione nel nostro paese, è iniziato subito dalla politica, o meglio dalla cattiva politica di chi cerca il consenso e basta: "Come necessaria premessa ai discorsi che vogliamo fare oggi, è necessario considerare la condizione culturale di questo paese e, di conseguenza, l’atteggiamento degli operatori politici, perché essi curano in maniera particolarmente intensa il consenso, basandolo soprattutto su sentimenti, risentimenti, false informazioni, ideologie e cattiva coscienza. E così, sono passati dei teoremi, che sono difficili da smontare, secondo i quali l’immigrazione è uguale alla criminalità e la criminalità, anche per reati leggeri, è uguale all’espulsione. Teorie che sono diventate parole d’ordine nelle convinzioni collettive e questa è un’ideologia che rientra molto bene nella politica che l’Italia e l’Europa hanno fatto, a partire dall’inizio degli anni ‘80, di fronte al fenomeno dell’immigrazione. Un atteggiamento, di sostanziale chiusura, che si è affermato con la Legge Martelli e poi con quelle successive, compresa l’ultima, che pure tra tutte è la migliore perché, con riferimento ai "regolari", contiene l’esplicito riconoscimento di una serie di diritti importanti. Nonostante questo, però, rimane una legge che non vuole l’ingresso degli immigrati. Proprio come nel 1994, quando i Ministri degli Interni e della Giustizia di tutti i Paesi membri della Comunità Europea hanno sottoscritto una dichiarazione di principi, il cui primo principio è: non è consentito l’ingresso nella Comunità per fini d’occupazione. Questo è il principio che dà il segno dell’atteggiamento generale, poi sono contenute delle eccezioni, nel senso che ogni Paese può consentire degli ingressi per motivi di lavoro e, queste eccezioni, sono destinate ad aumentare perché oggi si comincia a fare i conti, in termini d’economia, con quelle che saranno le condizioni dello sviluppo. Noi, paesi europei, siamo paesi che non fanno più figli: siamo in fase di rapida decrescita della natalità e, quindi, di cambiamento del rapporto tra popolazione ed esigenze di lavoro, quindi le "importazioni di braccia" in futuro saranno favorite, più di quanto lo sono state in passato. Però, questo sempre in una logica eccezionale, cioè nella misura in cui uno Stato ha bisogno di manodopera. Rispetto a questa situazione, riuscire a far passare il messaggio, in controtendenza, delle opportunità di regolarizzare gli immigrati irregolari già presenti in Italia, è una cosa importante".

E’ sulla necessità di dare a tanti stranieri una prospettiva concreta di "emergere" dal sottosuolo della clandestinità che punta l’attenzione il dottor Palombarini, anche perché, se si parla di sicurezza per la società, si dovrebbe finalmente capire che dare una opportunità chiara di regolarizzazione vuol dire tagliare la fonte primaria che alimenta la criminalità diffusa, che è la vita di strada di tanti irregolari senza documenti e senza possibilità di un lavoro alla luce del sole: "Quello che mi pare un punto importante, su cui insistere, e che io porto nelle sedi in cui vado a parlare, è la necessità di introdurre nella Legge 40 del 1998 di un meccanismo di regolarizzazione costantemente aperto. Questo è un punto decisivo, che riguarda tutti, anche i detenuti, perché apre un passaggio attraverso il quale, secondo me, si possono risolvere molti problemi. Uno dei grossi difetti della Legge 40, che ne ha tanti, è che contempla la possibilità di regolarizzarsi solo per chi era in Italia prima del marzo ‘98, mentre tutti coloro che sono arrivati dopo sono, per definizione, clandestini, quindi da espellere. La Legge 40 non prevede il diritto di voto per gli immigrati, nemmeno a livello amministrativo, ed anche questo è frutto della logica di chiusura che sottolineavo prima. Ma il difetto più grave, che è proprio un difetto di realismo, è che in questa Legge manca lo strumento per governare la situazione, uno strumento che è rappresentato dal meccanismo di regolarizzazione. È inutile che stiamo a dire, a chi vuole regolarizzarsi, che dev’essere arrivato prima del marzo ‘98, o che deve fare la domanda entro un certo termine: di fronte ad una situazione, nella quale i presupposti per la regolarizzazione concretamente ci sono, si dovrebbe concedere il permesso di soggiorno. Questo consentirebbe di risolvere molti problemi anche per gli immigrati detenuti, indipendentemente dal fatto se siano finiti in carcere avendo in tasca un permesso di soggiorno, oppure no. Perché, finora, in un caso o nell’altro, alla fine della pena si viene espulsi, non c’è una regolarizzazione. Nemmeno per coloro che, pur essendo regolari al momento dell’inizio della carcerazione e avendo svolto un normale percorso dentro il carcere, tanto che su di loro è stato espresso un giudizio positivo sulle possibilità di reinserimento, si trovano poi di fronte al paradosso che vengono espulsi, perfino se c’è qualcuno che fuori del carcere li accoglie e gli dà da lavorare.

La Legge 40 è stata fatta con l’intenzione di rappresentare il punto d’equilibrio fra il riconoscimento dei diritti fondamentali, come la tutela della persona, e le esigenze della sicurezza e della difesa della società. Ma le esigenze di sicurezza e di difesa non c’entrano nulla con il fatto che non ci sia un meccanismo di regolarizzazione, di fronte ad una situazione che ha già tutti i requisiti per essere di regolarità. Nell’ottica, più contenuta, rispetto a quella della generalità degli immigrati, che riguarda i detenuti, anche in questo caso credo convenga spingere nella medesima direzione. Perché, se venisse accettato a livello legislativo un meccanismo di regolarizzazione costante, aperto, da applicare concretamente, caso per caso, quando le condizioni essenziali, il lavoro, il domicilio, fossero realizzate, questo risolverebbe i problemi anche per i detenuti che terminano la pena".

 

Nel rapporto con la giustizia, gli stranieri regolari e quelli irregolari sono tutelati allo stesso modo?

Ci sono delle differenze, perché i regolari se hanno la possibilità di avere un difensore di fiducia, si trovano in una situazione nettamente più favorevole. Ma la generalità dei casi che capitano riguardano gli irregolari e, per loro, le misure alternative al carcere come custodia cautelare (arresti domiciliari o obbligo di firma), non vengono quasi mai date. Una delle ragioni, per cui questo non avviene, è che l’imputato non è in grado di dare un domicilio; l’altra è che esiste il rischio di una sua fuga, perché quando una persona è entrata irregolarmente, non ha domicilio, non ha lavoro, se esce dal carcere nessuno la trova più.

Poi, diciamocelo chiaramente, c’è il grosso problema dei cosiddetti sedicenti, cioè di persone che hanno tante identità: questo è un problema reale, che la giustizia deve risolvere, perché molte volte i tribunali si trovano di fronte persone delle quali non sanno niente, che magari sono state giudicate la settimana prima da un altro tribunale, che le ha rimesse in libertà con una condanna.

Tanti giudici giudicano lo straniero considerandolo incensurato, il che molte volte non è vero: questo problema è serio e va risolto seriamente, per avere domani delle identificazioni reali. Io sarei disposto ad accettare anche un’attenuazione delle garanzie della persona, pur di assicurare un accertamento dell’identità, dentro una politica dell’accoglienza. Il problema di fondo è però che questa legge produce clandestinità e, in una simile condizione, in Italia arriva di tutto: chi cerca lavoro, chi vuole riunirsi alla famiglia o cambiare esistenza, ma anche chi ha interessi di tipo diverso.

 

E a proposito di quote e sanatorie?

D’altra parte, tutti si lamentano delle sanatorie, ma dalla Legge Martelli in poi, queste sanatorie hanno di fatto regolarizzato una buona parte dei lavoratori immigrati presenti oggi in Italia. La questione delle quote d’ingresso è stata, infatti, gestita in maniera grottesca: ci sono stati anni nei quali nemmeno furono stabilite, in altri anni, come il ‘96, le quote furono stabilite a novembre: da gennaio a novembre, tutti quelli che erano entrati erano "ovviamente" clandestini.

La politica delle quote è pure discutibile, ma se la si fa, bisogna farla seriamente, cioè in termini realistici e adesso sembra si stia iniziando a farlo, prevedendo cifre di sessantamila nuovi ingressi. Si tratta di numeri ancora inferiori al reale bisogno, ma pure superiori ai ventimila, previsti negli anni scorsi, e cominciano ad avvicinarsi, se non a coincidere, con quella che è la realtà. Perché, nell’ultimo decennio, sappiamo quanti immigrati sono arrivati, complessivamente, in Italia e anche da quali stati provengono.

 

Che spazio di manovra ha la politica italiana sull’immigrazione, nell’ambito degli accordi stretti a livello europeo?

L’accordo europeo del giugno ‘94, che comincia con la dichiarazione del principio che ricordavo prima "non sono consentiti ingressi al fine di occupazione", in realtà, per ragioni di mercato, prevede delle eccezioni: se è stato dimostrato che in uno dei settori produttivi, per la concreta situazione del mercato del lavoro, c’è bisogno di trovare lavoratori, nell’ambito di questa esigenza si può consentire l’ingresso di immigrati, o con occupazioni temporanee, o con occupazioni tendenzialmente definitive, impegnandosi poi a non farli andare negli altri stati dell’Unione Europea. Questa strada, secondo me, consente di arrivare ad una politica dei flussi che sia realistica. A parte il fatto, come dicevo, che il rapporto tra popolazione e sviluppo ci porta a calcolare che nel 2025 in Europa gli "indigeni" saranno molto vecchi e quindi alcuni settori di produzione, o saranno dislocati altrove, come qualcuno fa già da tempo, oppure richiederanno di far venire manodopera. Pur rimanendo in questa logica puramente economica, qualsiasi governo saggio metterebbe nelle proprie leggi la possibilità della regolarizzazione permanente.

 

Cosa ne pensa della proposta di fare corsi di formazione professionale agli immigrati direttamente nei paesi d’origine, prima di farli venire in Italia?

Se ci fosse una politica di accoglienza e fosse una politica governata, che vuol dire contraria alla clandestinità e favorevole ad un’integrazione, che non è solo economica ma anche culturale, allora andrebbe anche accompagnata da iniziative di questo genere. Gli stati da cui proviene il maggior numero di immigrati li conosciamo bene, allora si tratta di organizzare per loro un percorso ragionevole, ordinato, civile, non la bagarre terrificante che c’è oggi, per cui non si può pretendere di contrastare la criminalità. Certo, davanti alla gente, sempre con quella logica falsa che dicevo prima, risulta più conveniente dire "facciamo il reato di illecito ingresso". La clandestinità, comunque, non potrà essere eliminata, si tratta di ridurla entro limiti ragionevoli: ci saranno sempre soggetti che, non potendo entrare attraverso le vie regolari, cercheranno di entrare in altra maniera. Organizzare il flusso degli immigrati comporta impegno e responsabilità da parte delle autorità italiane, per evitare una serie di rischi: cominciando dal curare l’opera d’informazione nei Paesi di provenienza degli immigrati, invece di affidarsi alle autorità amministrative locali.

 

Per quel che riguarda gli immigrati, che oggi lavorano "in nero", sarebbe possibile pensare ad una regolarizzazione?

Mi sono meravigliato che non sia stata fatta una sanatoria, dopo l’entrata in vigore della legge Turco-Napolitano. Penso che, volendo correggere l’attuale politica sull’immigrazione, la sanatoria è assolutamente necessaria, per contrastare la clandestinità. Tutti sanno perfettamente, a cominciare dalle autorità di governo, che c’è un numero sterminato di persone (anche italiane, non solo straniere) che vivono lavorando in nero. Bisognerebbe, quindi, essere spregiudicati, cioè non chiedere troppo, perché i presupposti dell’ultima sanatoria erano eccessivamente pesanti. Tanta gente, poi, si è arrangiata e tramite le associazioni di volontariato, le associazioni cattoliche, è riuscita ad avere i documenti necessari. Quando avremo una politica dei flussi realistica e la possibilità della regolarizzazione individuale permanente, una sanatoria coraggiosa porterebbe a conoscenza dei sindaci tutte le persone presenti sul territorio del comune e questo servirebbe a contrastare la criminalità. Poi, per quanto riguarda il lavoro, si vedrà, perché l’occupazione "in nero" è un fenomeno che riguarda anche molti italiani. Il nostro paese è di fronte alla realtà di questa popolazione, che nessuno riuscirà mai ad espellere, perché è già un problema convincere uno stato a riprendersi cento persone espulse, figurarsi a prenderne decine di migliaia. Di fronte alla questione della sanatoria, c’è la difficoltà che i sentimenti complessivi di questo paese sono nettamente ostili ad una soluzione del genere. Però, un atto di governo, prima o poi, andrà fatto e bisognerà dire, a chi ha paura dell’invasione, che queste persone sono già qui e nessuno riuscirà mai a mandarle via.

 

Com’è la situazione dell’immigrazione negli altri Paesi europei?

Magistratura Democratica ha organizzato, poco più di un anno fa, un incontro a Torino tra studiosi, giudici, politici, dei paesi della Unione Europea, dove sono stati affrontati alcuni problemi: il diritto d’asilo, gli ingressi e i permessi di soggiorno, le espulsioni, la tutela dei diritti fondamentali e la tutela nel processo penale. Si è visto che c’è una larga coincidenza, su tutti questi aspetti. In Francia, stato che pure ha una storia d’accoglienza alle spalle, si è diffusa una paura dell’invasione. In Italia, questa ha risvolti paradossali: la media europea di presenze degli stranieri, è del 4,5% sul totale della popolazione; in Italia siamo al 2,5%, mentre ci sono paesi che hanno il 6 % d’immigrati, eppure da noi c’è la falsa convinzione e le false notizie su una presunta invasione. La situazione in Europa non è per niente buona e, se alcune modifiche potranno esserci, è perché dei paesi si muoveranno e l’Italia, potrebbe essere uno di questi, proprio perché è il paese più esposto, gli immigrati arrivano qui e, se non cambia la politica, non può far fronte alla clandestinità. Quindi ci sono ragioni materiali, oltre che quelle ideali, perché la politica cambi.

 

Gli stranieri detenuti in Italia spesso non possono incontrarsi con i familiari residenti all’estero perché a questi ultimi non viene rilasciato il permesso di soggiorno per "visite parenti". Come si può risolvere il problema?

Non ho conoscenza diretta della questione, però ho sentito, da qualche tempo, che vengono rilasciati dei visti per consentire le visite ai parenti detenuti in Italia.

 

Può darci una sua opinione sui Centri di Permanenza Temporanea? Lei pensa che sia legittima l’esistenza di queste strutture?

Io credo che siano del tutto illegittimi, credo che siano una sfacciata violazione alle norme fondamentali del nostro ordinamento. Sono, praticamente, una conseguenza della politica di chiusura: mettendo in piedi politiche del rifiuto, del respingimento, ci si trova poi di fronte a risultati come questi. Se le persone che vengono in Italia devono essere espulse, i casi sono due: o facciamo finta di cacciarle e queste, poi, se ne vanno sul territorio; oppure cerchiamo di cacciarle sul serio, e allora ricorriamo a questi Centri. Il ministro degli Interni dice: "Non sono né alberghi né prigioni". Ma sono certamente dei luoghi nei quali viene limitata la libertà delle persone al di fuori delle previsioni fondamentali del nostro ordinamento. Persone che molte volte non hanno commesso alcun reato, ma sono costrette a stare lì. Quindi è un istituto assolutamente illegittimo e l’unica soluzione è chiuderlo, ragionevolmente, bisogna cambiare politica, perché con questa politica di oggi i Centri continueranno ad esserci e non sono un fatto solamente italiano, ma sono presenti in tutta Europa e, in alcuni stati, anche in numero maggiore rispetto all’Italia.

 

Qual è la sua opinione, sul dibattito in materia di depenalizzazione delle droghe?

Io credo che in questo Paese, se si volesse affrontare davvero il problema della criminalità, anche quella cosiddetta di strada, ma non solo quella, alcune iniziative dovrebbero essere fatte. Una di queste è quella di cui abbiano parlato oggi, della riduzione al minimo del fenomeno della clandestinità. L’altra è certamente una logica ribaltata in materia di stupefacenti. Credo che Emma Bonino abbia perfettamente ragione su questo versante. In questo nostro Paese abbiamo scelto la politica del proibizionismo, ed allora ad un certo punto vanno fatti i bilanci, e i bilanci sono implacabili sotto tutti gli aspetti, dalla microcriminalità alla criminalità grande dei clan, dalle morti, all’AIDS. Sono dati che alla fine qualcuno dovrà valutare e dire in termini di bilancio: questa scelta mi ha portato a questi risultati. E trarre quindi le conseguenze, laicamente, valutando se non sia il caso di scegliere una regola diversa, tutto qui: anche senza volersi cacciare dentro a delle ideologie.

 

 

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