Giovanni Maria Pavarin

 

Il Magistrato di Sorveglianza di Padova

Giovanni Maria Pavarin

esamina la legge Simeone - Saraceni

 

(Realizzata nel mese di settembre 1998)

 

A cura della Redazione

 

Il luogo dove ci troviamo è la stanzetta nella quale il Magistrato Giovanni Maria Pavarin va a colloquio con i detenuti, ma per una volta non dobbiamo parlare con lui del nostro personale passato, e di un possibile futuro di permessi. Abbiamo chiesto infatti di incontrare il Magistrato come Redazione di Ristretti Orizzonti, e quindi possiamo domandargli un parere sulla legge Simeone, ma anche fare qualche incursione nella sua "concezione del mondo", nel suo modo di interpretare un ruolo complesso e "a rischio" come il suo.

Da tempo, e in particolare dopo il caso Soffiantini, i Magistrati di Sorveglianza sono a loro volta "sotto osservazione", "tenuti d’occhio" da una società sempre più impaurita e alla ricerca di rassicurazioni. Negli ultimi mesi, poi, dopo l’approvazione della legge Simeone-Saraceni, chiamata dai giornali del tutto impropriamente "Legge svuotacarceri", la loro responsabilità sembra crescere ulteriormente di fronte a queste ipotetiche masse di detenuti rimessi in libertà.

 

Cominciamo quindi la discussione proprio dalla "Simeone", con il compito poco piacevole di tagliare tante speranze.

"In realtà, per quel che riguarda affidamento in prova ai servizi sociali e regime di semilibertà, non cambia nulla per chi sta scontando la pena. Quello che cambia realmente è che negli ultimi due anni di pena si può usufruire della detenzione domiciliare, purché non ci sia pericolo di fuga. Nonostante la martellante informazione dei media, saranno pochi i detenuti che verranno scarcerati per effetto di questa legge: per chi ancora non è in stato di detenzione, sarà invece più facile evitare il carcere, se condannato ad una pena inferiore ai tre anni: il pubblico ministero può infatti sospendere l’esecuzione della pena per 30 giorni, per dargli la possibilità di presentare istanza per accedere alla misura alternativa.

La nuova legge stabilisce un termine di 45 giorni entro il quale il Magistrato deve rispondere, noi cercheremo di fare prima possibile, seguendo, nell’esaminare le istanze, un ordine logico più che cronologico, cioè valutando caso per caso e dando la precedenza, per esempio, a chi ha un fine pena più ravvicinato e quindi più diritto di ricevere rapidamente una risposta".

 

Interrogato poi sulla possibilità, già sperimentata in alcune Case di Reclusione, che ogni beneficio possa essere concesso d’ufficio, su proposta dell’equipe del carcere, Giovanni Maria Pavarin ha solo sollevato una obiezione, su cui vale la pena riflettere.

"C’è un punto debole in questa ipotesi: le educatrici sono le più vicine ai detenuti, e corrono quindi anche i maggiori rischi nel valutare le persone. Se fossi un detenuto e un mio compagno di cella venisse proposto per un beneficio e io no, beh non so esattamente come reagirei..." .

 

Abbiamo anche sottoposto al suo giudizio una proposta, avanzata dal "Gruppo di lavoro per una Carta Europea delle comunità carcerarie" di San Vittore, che ipotizza che i benefici di legge (liberazione anticipata, permessi etc.) vengano concessi automaticamente al detenuto, all’inizio della pena, in base al principio della fiducia accordata preventivamente, e che egli poi deve gestirsi attentamente per non rischiare di perdere questa apertura di credito che gli è stata fatta.

Il Magistrato ci ha risposto che questa ipotesi contrasta con i fondamenti della legge Gozzini, che mira ad individualizzare il trattamento e ipotizza una pena flessibile, e ha fatto notare poi che lo Stato già prevede, rispetto al comportamento del cittadino, non pochi momenti di concessione di fiducia, dalla sospensione condizionale della pena al perdono giudiziale.

 

Per un uomo degno di questo nome, poter mandare fuori dal carcere un suo simile è una gioia

 

Una domanda su tutte sta a cuore a chi è detenuto: "Quando vengono esaminate le posizioni individuali in merito alle misure alternative, che peso hanno i trascorsi penali del richiedente? E lei non pensa che debba essere tenuto in maggior conto il presente invece del passato?". Ed è a questa domanda che il Magistrato ha dato una risposta meno formale, e più personale e profonda.

"Certo si ha di fronte una persona che ha una storia tutta da leggere, fatta di passato, presente, futuro; la si guarda al presente, al com’è oggi, e il futuro è totalmente ignoto. Nessun uomo conosce realmente fino in fondo se stesso, conoscere gli altri si può solo per le azioni che compiono, molto poco per i sentimenti e i pensieri che hanno. E’ una conoscenza quindi parziale, deficitaria, a volte è come avere una lente deformante.

Per l’applicazione della legge Gozzini, interessa soprattutto "come andrà a finire", e per un Magistrato c’è sempre un margine di angoscia in questa difficile valutazione del rischio. Grande peso si dà alla figura del detenuto qual è ora, e al cammino che ha fatto. Voi non dovete avere il timore che guardiamo soprattutto alle condanne del passato, ma qualche volta dovreste per un attimo mettervi nei panni di chi vi valuta, e probabilmente avreste le stesse preoccupazioni e ansie che abbiamo noi. Certo quando dici no, sai che crei dolore, quindi l’angoscia nasce anche da questo, perché per un uomo degno di questo nome poter mandare fuori dal carcere un suo simile è una grande gioia".

 

La chiacchierata si chiude perché ci sono molti detenuti in attesa del colloquio: conosciamo bene le loro paure e incertezze, che sono anche le nostre quando attendiamo un sì o un no a una domanda di permesso, ma nello stesso tempo lasciamo il Magistrato un po’ più consapevoli che anche per lui decidere non è né facile né privo di contraddizioni.

 

 

Precedente Home Su Successiva