Intervista Franco Corleone

 

Rafforzare la concezione dell’esistenza dei diritti del detenuto

Non è infatti pacifico per la nostra società, sostiene Franco Corleone,

che i detenuti abbiano dei diritti e che questi siano esigibili

 

Franco Corleone è stato in passato Sottosegretario alla Giustizia con delega alle questioni penitenziarie, e questa sua esperienza è stata di grande importanza quando ha assunto il ruolo di Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per il Comune di Firenze. Questo compito oggi lo sta portando avanti con la consapevolezza di essere una specie di “profeta disarmato”, perché i Garanti cittadini sono ancora molto limitati nei loro movimenti all’interno delle carceri e, di fatto, privi di potere reale. Lo abbiamo intervistato.

 

(Intervista realizzata nel mese di dicembre 2007)

 

a cura della Redazione

 

Ci traccia un primo bilancio della sua attività di Garante dei diritti delle persone private della libertà personale?

L’attività di Garante a Firenze è iniziata a gennaio 2004 grazie a una delibera della Giunta approvata dal Consiglio Comunale. Firenze fu la seconda città ad avere il Garante dopo Roma. Proprio nei giorni scorsi ho illustrato in Consiglio Comunale la Relazione annuale sulla attività svolta, come accade ogni anno. Questo appuntamento ritengo sia particolarmente importante per la discussione che impegna le forze politiche e per l’ordine del giorno che conclude il confronto. Ovviamente molti dei punti approvati rimangono sulla carta, ma costituiscono una traccia dell’impegno del Comune su questo tema.

 

Quali sono state le iniziative più significative, come Garante, per migliorare la vivibilità degli istituti di pena?

L’iniziativa su cui ho caratterizzato la presenza del Garante, soprattutto all’inizio del mandato, è stata quella di rafforzare la concezione dell’esistenza dei diritti del detenuto come cittadino e in quanto persona condizionata da una particolare situazione. Infatti ritenevo e ritengo che non sia pacifico per la nostra società che i detenuti abbiano dei diritti e che questi siano esigibili. L’esperienza poi di questi anni mi ha confermato che anche nei detenuti, proprio in quanto soggetti che si trovano in una condizione di debolezza, tale consapevolezza è a sua volta assai debole. Quindi ho svolto un ruolo che si potrebbe definire di carattere politico e di sensibilizzazione culturale. Per quanto riguarda in modo specifico la vivibilità degli istituti di pena, ho posto con pervicacia la questione dell’applicazione del Regolamento del 2000, che era rimasto lettera morta per cinque anni. C’è da dire che anche in questi due anni il Governo diverso non ha dato una particolare accelerazione alla sua applicazione, se non per un monitoraggio da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sulla sua inapplicazione.

 

Quali sono le richieste più frequenti dei detenuti?

Le segnalazioni e richieste da parte di detenuti o familiari degli stessi, sono sempre numerose all’incirca un centinaio dall’inizio dell’anno, e giungono all’ufficio o per posta o per telefono o via e-mail. I motivi per i quali viene richiesto l’intervento del Garante sono i più svariati. Si va dalla denuncia della situazione giudiziaria allo stato di salute, dalle condizioni di detenzione alla mancanza di contatti con gli educatori e/o gli psicologi. Spesso viene lamentato il cattivo rapporto con la Magistratura di Sorveglianza per la concessione di permessi premio o di misure alternative.

La questione più ricorrente è comunque quella dei trasferimenti, molti detenuti sono reclusi in istituti lontani dalle loro famiglie e chiedono perciò di essere trasferiti in altri istituti più vicini al Comune di residenza dei familiari. Il principio della territorializzazione della pena normativamente previsto art. 30 del Regolamento Penitenziario 230/2000, non sempre viene rispettato, anzi spesso è violato. A questo proposito, molto si è attivato il Garante, per richiedere in numerosi casi il rispetto di questa norma, rivolgendosi sia al Provveditorato Regionale sia al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con un’opera di richiesta e sollecitazione per consentire un esito positivo dei trasferimenti richiesti.

 

Ci sono dei progetti particolarmente significativi che ha sostenuto e promosso?

A Firenze, in accordo con il Comune, si è consolidata la prassi delle verifiche da parte dell’ufficio di Igiene Pubblica per quanto riguarda il rispetto delle norme igienico-sanitarie. Questo periodico controllo spinge l’Amministrazione Penitenziaria a lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione. Tra le altre cose, un lavoro impegnativo e costoso è stato quello per l’allontanamento dei piccioni che avevano preso possesso del carcere.

Una delle questioni che crea maggiore tensione è quella della mancanza di acqua calda, per questo mi sono adoperato perché il carcere di Sollicciano e quello di custodia attenuata, l’Istituto Gozzini, partecipassero a dei processi di innovazione come la cogenerazione e i pannelli solari. Ovviamente questi progetti finanziati ci si augura che abbiano una rapida realizzazione. Nel carcere di Sollicciano rimangono aperte le vertenze sull’assenza di lavatrici e sulla scarsa qualità dei materassi. Un fatto estremamente positivo che riguarda, più che la vivibilità degli istituti, la condizione di vita delle persone è l’impegno assunto dalla Società della Salute, su richiesta del Garante, per le cure odontoiatriche, e in particolare le protesi che nel 2007 sono state applicate in numero superiore a 100.

Nel carcere di Sollicciano è costituita una commissione di detenuti con due rappresentanti per sezione che si riunisce una volta al mese con la presenza di tutti i dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria, il Garante e altri soggetti esterni per fare il punto sulla vivibilità dell’istituto e su problemi più generali.

Il progetto che mi ha visto impegnato a lungo, è stata la conclusione dei lavori per il “Giardino degli Incontri”. Questa struttura, progettata dall’architetto Giovanni Michelucci, è il nuovo luogo per i colloqui dei detenuti con i familiari. Vi sono resistenze ad un utilizzo pieno da parte della Polizia Penitenziaria per i soliti motivi di sicurezza, ma la decisione di sviluppare integralmente questo luogo è stata presa.

 

Quali sono le difficoltà maggiori, i punti critici, che ha incontrato in questa attività?

Le difficoltà con cui ci si scontra sono quelle tipiche della lentezza e del formalismo della burocrazia aggravati da una amministrazione, quella penitenziaria, che è particolarmente preoccupata dalle novità.

 

Come risponde la società, e come rispondono gli enti locali, alle sue richieste?

Sul carcere si può constatare che esistono davvero due società, quella del volontariato e quella determinata nelle proprie convinzioni dal senso comune amplificato dai mass-media. L’ossessione securitaria in questi anni non ha certo aiutato a far prevalere una visione del carcere fondata sui principi della Costituzione. Gli enti locali comunque finanziano numerosi progetti e in alcuni casi hanno anche condiviso le iniziative che ho assunto.

 

Nelle sue attività, riesce a coinvolgere la Magistratura di Sorveglianza?

Per quanto riguarda la Magistratura di Sorveglianza, in questi anni ho mantenuto il rapporto con il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, sia per segnalare casi individuali di detenuti, sia per quanto riguarda il confronto sulle modalità di concessione delle misure alternative.

E complessivamente posso rilevare che vi è sempre una attenzione alle questioni poste.

 

L’amministrazione penitenziaria, invece, come si pone nei suoi confronti?

Credo di essere privilegiato nella mia azione dalle precedenti responsabilità, soprattutto quella di Sottosegretario alla Giustizia con delega alle questioni penitenziarie.

 

Ad oltre un anno dall’approvazione dell’indulto, quanto è cambiata la situazione nel carcere in cui opera come Garante?

Subito dopo l’indulto nel carcere di Sollicciano si passò da mille presenze a cinquecento. Oggi siamo a oltre ottocento presenze. Il fatto che non si sia agito sulle tre leggi criminogene, droghe, immigrazione e recidiva, produce questo effetto per cui a livello nazionale si sono superate le 50 mila presenze. Lo scioglimento del Parlamento mette fine alle poche speranze di modifica anche parziale della situazione e quindi bisogna attrezzarsi a una condizione che alla fine dell’anno rivedrà le presenze oltre le 60 mila. Se non ci fosse stato l’indulto le carceri sarebbero scoppiate, ma oggi dobbiamo dire con grande rammarico che l’occasione unica e irripetibile per la riforma del carcere è stata perduta. Per questo ho intitolato la mia relazione “L’anno del disincanto”.

 

 

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