Intervista Giorgio Bertazzini

 

L’unico Garante istituito da una Provincia

Mettere in comunicazione il carcere e le

realtà che con il carcere interloquiscono

È il compito che si è posto Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti delle

persone private della libertà personale della Provincia di Milano

 

(Intervista realizzata nel mese di novembre 2007)

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Provincia di Milano, è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia con tesi in Diritto dell’esecuzione penale, ha insegnato Discipline giuridiche ed economiche in Istituti medi superiori pubblici dal 1980, ma la sua esperienza di carcere se l’è fatta svolgendo attività di volontariato presso il carcere di Pavia e operando come Coordinatore degli insegnanti delle tre carceri milanesi.

 

Quando è cominciata la sua attività di Garante dei detenuti e quali sono state, fino ad ora, le sue iniziative più importanti?

La mia attività è cominciata nell’ottobre del 2006, a seguito dell’investimento effettuato in tal senso dal Consiglio Provinciale di Milano, che si è espresso all’unanimità.

Per quel che riguarda la mia attività, ritengo importante aver promosso, presso i quattro istituti penitenziari per adulti, la consuetudine di incontrare gruppi di persone detenute partecipanti in rappresentanza dei propri compagni, talora organizzati intorno a particolari tematiche segnalate dai detenuti stessi.

Si tratta di una modalità di lavoro in grado di sollecitare, contestualmente, la costruzione di visioni prospettiche, che evidenziano le connessioni fra i problemi, e la capacità di farsi carico di questioni comuni, che includono e insieme superano le criticità vissute dai singoli. Da tali incontri (organizzati per sezioni e/o reparti) si dipartono approfondimenti, segnalazioni e ulteriori incontri, talora con la partecipazione dei funzionari/operatori che possono interloquire direttamente nel merito. Mi sembra una modalità di lavoro in grado di valorizzare il ruolo del Garante come figura che può contribuire a riattivare i circuiti di comunicazione fra le persone detenute, fra queste e gli operatori, istituzionali e non, fra gli operatori, fra il carcere e le realtà che con il carcere interloquiscono.

 

Quali sono i progetti più significativi che ha sostenuto e promosso?

Sul piano nazionale, sono lieto di aver sostenuto l’organizzazione della prima conferenza stampa dei Garanti il primo agosto scorso, ad un anno dall’indulto, realizzata all’interno della Casa circondariale di Milano. Superata la prima fase, caratterizzata da un avvicinamento ai progetti già attivi, l’ufficio del Garante si avvia a diventare parte attiva e punto di riferimento per progetti di varia natura. A titolo di esempio, da qualche tempo stiamo concorrendo ad un progetto che, nell’ambito territoriale di Monza, si prefigge di promuovere l’affermazione della giustizia riparativa attraverso un diverso coinvolgimento degli enti locali, nonché la gestione alternativa dei conflitti anche in una prospettiva di educazione alla legalità degli adolescenti.

Ancora, stiamo concorrendo alla predisposizione di un progetto di legge nazionale teso a stabilizzare le attività di educazione non formale in carcere attraverso il teatro, e abbiamo accettato di essere fra i partner nazionali di un progetto teso a promuovere l’affermazione dei diritti delle persone detenute in Mozambico.

In prospettiva, rispetto all’ambito provinciale che mi compete, intendo dedicare parte del mio impegno all’analisi delle condizioni in cui sono detenute le persone sottoposte a regimi differenziati e alla costruzione, d’intesa con l’Amministrazione penitenziaria, di interventi mirati ad aumentare le opportunità di accesso da parte di queste persone ai servizi offerti ai detenuti “comuni”.

Rispetto all’ambito nazionale, mi pare sempre più importante concorrere alla costruzione di un coordinamento nazionale dei Garanti, che, fra breve, saranno quindici.

 

Quali sono le difficoltà maggiori, i punti critici, che ha incontrato in questa attività?

I punti maggiormente critici dell’attività dei Garanti – compresa, dunque, la mia – attengono all’assenza, allo stato, di un riconoscimento normativo e alla collocazione della figura dei Garanti locali, ad oggi assimilati impropriamente ai cittadini interessati alla partecipazione all’azione rieducativa ex art. 17 o agli assistenti volontari ex art. 78 Ordinamento penitenziario. Nonostante la vicinanza ai luoghi in cui materialmente è possibile si verifichino violazioni alla tutela dei diritti delle persone private o limitate della/nella libertà personale, i Garanti, se in possesso di informazioni persistenti e attendibili circa tali violazioni che suggeriscano l’opportunità di interventi urgenti, non hanno la possibilità di visitare senza autorizzazione carceri e luoghi di detenzione in genere.

Naturalmente, ai Garanti rimane la facoltà, nel caso di sospetta non conformità alle norme dei comportamenti delle amministrazioni responsabili circa i quali le amministrazioni stesse non abbiano fornito al Garante le informazioni richieste, di rendere noti gli elementi in loro possesso alle autorità competenti ad intervenire.

 

Come risponde la società, e come rispondono gli enti locali, alle sue richieste?

Ho finora riscontrato un diffuso interesse alle potenzialità del ruolo del Garante soprattutto nelle articolazioni della società già impegnate nel supporto delle persone limitate nella libertà, ma anche nel mondo della scuola, da tempo interessato all’approfondimento del tema della legalità coniugato con l’attenzione ai diritti umani. Quanto agli enti locali, i contenuti e la qualità dell’interlocuzione sono oggetto di una costruzione in progress, su cui influiscono molteplici fattori, fra i quali la “tradizione” dell’ente nell’impegno nel settore coniugata con le sensibilità politiche e culturali presenti nelle diverse amministrazioni.

 

Nelle sue attività riesce a coinvolgere la Magistratura di Sorveglianza, e come si pone la stessa rispetto alle sue richieste?

Trascorso il primo anno del mio mandato, dedicato alla costruzione di relazioni con le direzioni degli istituti di pena e con gli attori territoriali a vario titolo implicati, l’”agenda” del secondo anno reca al primo posto l’avvio di più stabili comunicazioni con la Magistratura di Sorveglianza. A parte un evento che, in pieno agosto, ha reso necessario un intervento urgente concernente una persona le cui condizioni suggerivano l’opportunità di una tempestiva scarcerazione per gravi motivi di salute, le questioni generali e particolari finora affrontate non hanno implicato la formulazione di richieste.

 

L’Amministrazione penitenziaria, invece, come si rapporta nei suoi confronti?

Dovendo, in questa sede, intendere per Amministrazione penitenziaria le direzioni degli istituti di pena, i servizi sociali per l’esecuzione penale, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e il Centro per la Giustizia Minorile, finora ho registrato una buona propensione ad accogliere il Garante come risorsa utile al potenziamento dell’efficacia degli interventi che la legge affida loro. Devo, per converso, registrare che non si è ancora consolidata una consuetudine generalizzata a fornire al Garante le informazioni richieste con quella tempestività che costituisce la premessa di un intervento efficace, in grado di sedimentare nel tempo i propri effetti positivi. Si tratta di criticità non uniformemente presenti, sia rispetto alle singole articolazioni dell’Amministrazione sia rispetto alla continuità delle criticità stesse.

 

In base alle informazioni in suo possesso, come agisce la Magistratura di Sorveglianza della sua zona rispetto alla concessione dei benefici penitenziari?

Le informazioni in mio possesso non mi consentono di individuare un comportamento della Magistratura di Sorveglianza dell’area milanese quale corpus organico caratterizzato da orientamenti comuni. Quando si parla di tali temi, occorre sempre avere presente che la Magistratura di Sorveglianza esercita un potere discrezionale che le è attribuito dalla vigente normativa. All’esercizio di tale potere si possono applicare tutte le riflessioni elaborate a proposito di interpretazione delle norme e “fedeltà alla legge”. In altri termini, da tempo gli studiosi del diritto si chiedono se sia possibile definire l’interpretazione della legge di cui si sostanzia l’attività giurisdizionale come attività squisitamente “tecnica”, ovvero se non si debba riconoscere che l’interpretazione è dipendente dall’utilizzazione da parte del giudice di un codice interpretativo che egli sceglie, fra i diversi utilizzabili.

 

Ad oltre un anno dall’approvazione dell’indulto, quanto è cambiata la situazione nelle carceri in cui opera come Garante?

Al 30 giugno 2007 le sole carceri per adulti milanesi ospitavano, su una capienza massima di 2537 posti, 3071 persone. Permane forte la presenza di soggetti svantaggiati (in prevalenza stranieri) e molto breve la permanenza media in carcere. Criticità, anche secondo il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, non “foriere di sicurezza per la collettività, né idonee a determinare processi rieducativi”.

 

Quanto può influire in un prossimo, probabile sovraffollamento carcerario, o comunque in un aumento della popolazione detenuta, la legge ex-Cirielli, che inasprisce la pena e allo stesso tempo limita i benefici penitenziari per i recidivi?

Con la sentenza 4-14 giugno 2007, nr. 192 la Corte costituzionale ha sancito, con riferimento alla legge cosiddetta ex-Cirielli, che la circostanza aggravante della recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria unicamente ove concernente uno dei delitti indicati dall’ articolo 407, comma 2, lettera a), del Codice di procedura penale, disposizione normativa che contiene un elenco di reati ritenuti di particolare gravità e allarme sociale. Esprimo, dunque, il forte auspicio che tale pronunciamento possa neutralizzare il rischio, a suo tempo da più parti segnalato, della costituzione della figura di un nuovo tipo d’autore, il “recidivo reiterato”, cui verrebbero riservati pene più severe, tempi di prescrizione più lunghi, accesso più difficile, se non impossibile, ai benefici penitenziari, in aperto contrasto con le finalità “rieducative” assegnate alla pena dalla Costituzione.

 

Cosa bisognerebbe fare per non tornare alla situazione carceraria di invivibilità pre indulto?

Non posso che rinviare al documento contenente le proposte dei Garanti presentate alla conferenza stampa del 1° agosto scorso. In quel documento – i cui temi sono stati oggetto di un nuovo comunicato emanato in occasione della discussione del cosiddetto “pacchetto sicurezza” – abbiamo sostenuto, formulando anche proposte concernenti il breve periodo, che per arginare il ritorno in carcere occorre eliminare la centralità della pena detentiva, introdurre le pene alternative e valorizzare le misure alternative alla detenzione. Tutto questo può essere favorito attraverso una riforma del Codice penale che faccia perno su quanto attestato dai dati e dalle ricerche promosse circa la positiva influenza sul grado di recidiva di forme di punizione diverse dalla privazione della libertà.

Infine, sono del parere che, per vigilare sulle condizioni di vivibilità delle carceri e degli altri luoghi di detenzione, sarebbe importante che venisse istituito, nel più breve tempo possibile, il Garante nazionale dei diritti dei detenuti.

 

A proposito dei vari “pacchetti sicurezza” presentati negli ultimi tempi, cosa ne pensa?

Le misure annunciate comporterebbero la ulteriore criminalizzazione della marginalità sociale e contraccolpi insostenibili per il sistema giudiziario e penitenziario, aumentando il carico dei processi e il numero delle persone incarcerate per custodia cautelare, che, in questo momento, ammonta ad oltre la metà dei detenuti. I dati attestano che il carcere si traduce di frequente in un moltiplicatore di criminalità e che punire senza incarcerare riduce in modo consistente i rischi di recidiva.

 

 

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