Paola Brolati

 

Dopo un periodo di buona condotta

anche la telenovela è stata scarcerata

 

Intervista a Paola Brolati, attrice, regista, sceneggiatrice di "Un posto al fresco"

 

a cura di Elton Kalica

 

Dopo l’ultimo ciack, dopo l’arduo lavoro di montaggio, è terminata la telenovela realizzata nel Carcere due Palazzi di Padova dai detenuti. "Un posto al fresco" è il titolo scelto, che richiama la ormai celebre telenovela italiana "Un posto al sole" per dare l’idea dell’interminabilità del tempo in carcere, ma che sottolinea anche la condizione reale del luogo, appunto "al fresco" (a proposito, ma da dove mai verrà questa espressione?).

Il progetto si chiama "Detenzione e soap" ed è sostenuto dall’Assessorato agli Interventi sociali della Regione Veneto. È stato realizzato da "L’uovo di Paperoga" e "Tangram", due associazioni impegnate nel sociale e attive nel mondo del carcere, ma è giunto all’obiettivo voluto soprattutto grazie al lavoro dei detenuti della sezione di Alta Sicurezza e della sezione Attenuata della Casa di Reclusione e dei detenuti della Casa Circondariale di Padova, in tutto una cinquantina, sotto la guida di Paola Brolati, attrice teatrale e cinematografica.

Lei, il suo lavoro di regista nel carcere Due Palazzi lo ha cominciato tempo fa con una quindicina di detenuti della sezione di Alta Sicurezza, realizzando in breve tempo un’opera teatrale intitolata "Ridere dentro". Lo spettacolo venne messo in scena presso l’auditorium del carcere ed ebbe un grande successo. Il successo è stato ripagato con la continuità di questo progetto. Così i detenuti hanno potuto continuare a lavorare, imparare le battute e qualcuno magari sognare i riflettori abbaglianti di un grande set di Cinecittà. E finalmente, dopo ore intere di evasione mentale dalla realtà carceraria, dopo sforzi e sogni mescolati con le perfette inquadrature delle sbarre onnipresenti, è giunto il momento di vedere l’anteprima del loro lavoro, di essere i protagonisti almeno per qualche ora. Di questa esperienza abbiamo parlato con Paola Brolati.

 

Come è cominciata la tua attività in carcere?

La mia decisione di impegnarmi in iniziative artistiche col carcere risale al 1996. Avevo fatto un ragionamento tipo: mi piace il teatro, lavoro in situazioni sociali disagiate, e mi piace lavorare con le donne. Quindi il contesto che conglobava di più queste cose era un carcere femminile. Lì è stato tutto molto bello, poiché si era formato un gruppo di lavoro di detenute abbastanza stabile. Abbiamo organizzato vari spettacoli, questi spettacoli hanno partecipato al concorso che si tiene a Mestre che si chiama "Piccoli palcoscenici". Una volta abbiamo ottenuto il terzo premio e un’altra ci è stato assegnato il premio speciale. Ogni anno lavoravamo su dei testi scelti da noi, tipo favole, leggende etc. Tutte le volte che abbiamo partecipato a queste rassegne, la giuria è venuta dentro il carcere. Insomma abbiamo fatto un buon lavoro che è stato sostenuto anche dall’amministrazione, dal "Centro donna" di Mestre, dalla Cassa di Risparmio di Venezia e dal Comune. Poi sei passata ad un’altra "sponda", quella dei detenuti di Alta Sicurezza di Padova.

Dopo questa bella esperienza teatrale di sei anni al carcere della Giudecca ho staccato e ho fatto pausa per un anno intero. Il carcere femminile era come un collegio, e poi erano tutte donne, sia le detenute, sia le agenti. Quando mi è stato proposto di fare la stessa attività di teatro comico in un carcere maschile e per giunta di alta sicurezza, sinceramente ho avuto paura. Non sapevo se accettare oppure rifiutare. All’inizio dovevamo essere in due, io e un ragazzo, che però quando ha sentito "Alta Sicurezza" ha detto subito di no. Così sono rimasta sola, ma non mi sono lasciata trasportare dalla paura. Ho deciso di accettare.

 

Sempre con un po’ di preoccupazione, o no?

Nel primo incontro con i detenuti dell’Alta Sicurezza, quando sono venuta a presentare la cosa, ero un po’ intimorita. Non sapevo che cosa aspettarmi, come comportarmi, come mi avreste accolta e non avevo idea di come avrei gestito quella situazione. Devo confessare però che ho trovato tutti simpatici quasi subito. Si è creato un buon rapporto. Ricordo degli episodi divertenti, successi durante i primi incontri. Per esempio una volta che stavamo facendo "Otello", io dovevo fare la moglie di Jago che era il traditore, e quando stavo per dire la mia battuta, stavo per dire appunto che la colpa era di mio marito Jago, "la colpa è di… ", sento una gomitata di dietro. Dico "che cosa succede? Lasciami finire la battuta", e Gianni Barrosco mi fa "Eh, ma tu mi stavi per sputtanare!". Mi diverto ancora nel ricordare questo episodio, poiché c’è la sovrapposizione tra realtà e finzione.

 

Che rapporto avete creato in generale con i detenuti?

Una cosa che mi colpiva moltissimo era che spesso qualcuno non veniva perché non gli avevano permesso di fare la doccia - e qui si tratta anche di una visione particolare del rapporto uomo-donna. E quelli che venivano erano tutti ben vestiti, profumati e soprattutto molto educati e cordiali. Questo rendeva gli incontri non solo gradevoli per noi, ma ci metteva di fronte a delle responsabilità e degli obblighi. Ad esempio, se ci trovavamo ad avere un problema, tipo un appuntamento di lavoro, sapendo che ci stavano aspettando i detenuti rinviavamo l’appuntamento per non saltare la giornata in carcere.

 

In che cosa consisteva questo lavoro con l’Alta Sicurezza?

Nel 2001 io ho cominciato con un corso di teatro nella sezione Alta Sicurezza che si chiamava "Ridere dentro". Era fatto per impostare un po’ le basi teatrali e le gestualità per proseguire poi col progetto. Alla fine abbiamo realizzato lo spettacolo teatrale che era fatto di pezzi comici noti. C’erano dentro pezzi di Massimo Troisi e di Lello Arena. Abbiamo anche voluto rispettare le provenienze dei detenuti, quindi abbiamo inserito degli sketch in siciliano, in napoletano e in veneto. La messa in scena ha avuto un buon successo, nel senso che è venuta parecchia gente dall’esterno e dall’interno. Ci siamo divertiti.

 

Poi non vi siete più fermati?

In seguito a questo abbiamo deciso di chiedere dei contributi alla Regione, che riguardano le attività sportive e quelle culturali. Abbiamo presentato un altro progetto di attività di teatro: sono venuti degli amici da Milano che sono Antonio de Luca, Andrea Tognasca e Fabrizio Lupano, che lavorano già professionalmente nella televisione - non a caso lavorano a Milano - e ci hanno dato una mano.

 

I famosi collaboratori di "Aldo, Giovanni e Giacomo"?

Sì, Fabrizio Lupano era il regista, Antonio e Andrea sono poi quelli che hanno scritto il testo e la sceneggiatura. Così abbiamo continuato con questo nuovo progetto chiamato "Un posto al fresco". L’idea che ha generato questo titolo, è nata dal semplice fatto che la detenzione e le telenovele hanno una cosa in comune - non finiscono mai. In questo modo abbiamo scelto di trovare una forma scherzosa, presa da una telenovela già esistente.

La sceneggiatura si basa su una trama che comprende un direttore, amante delle telenovele, che invita i detenuti a farne una. In realtà "Un posto al fresco" è la preparazione di una telenovela. Il momento interpretato è quello che vede l’inizio. Cioè, ai detenuti viene dato il compito di fare una telenovela, e questi cercano di capire come si fa: leggono il copione, vedono se riescono a fare una certa parte, hanno dei dubbi. Per esempio gli extracomunitari dicono: "Ma come? Qua ci sono tutte parti solo per italiani!", quindi devono immedesimarsi ad esempio in un commercialista di Rovigo, e s’ironizza abbastanza su questa cosa. Poi emerge la necessità di fare un corso con lo scopo di italianizzare gli stranieri. Si fanno delle domande come cantare la canzone di Toto Cotugno - Sono un italiano - poi i soliti luoghi comuni - spaghetti, calcio, l’arbitro cornuto - e altre cose comiche di questo tipo. Alla fine è venuto fuori un cortometraggio di venti minuti che adesso viene presentato a vari concorsi ed è decisamente bello. Noi l’abbiamo adesso proiettato nella sede della nostra associazione - che è "Fuori posto", a Mestre - ed è stato molto apprezzato. In questo lavoro so che avete coinvolto anche altre sezioni, oltre all’Alta Sicurezza.

Partiti sull’onda di quel successo, con i contributi concessi dalla Regione, abbiamo deciso di allargare il progetto e di coinvolgere varie sezioni del carcere, quindi di continuare quell’idea della telenovela a puntate. Siamo stati autorizzati ad andare al circondariale, in attenuata e in Alta Sicurezza. Avendo tre posti in cui andare l’abbiamo articolata in questo modo: con quelli dell’Alta Sicurezza le riprese che riguardano un comitato di base, il direttore, il suo vice, l’educatore, lo psicologo, i quali valutano due gruppi che stanno preparando delle telenovele. Da un lato c’è il gruppo della Custodia Attenuata e, dall’altro, il circondariale. Così il comitato di base deve decidere qual è il migliore. Poi ad un certo punto il direttore cambia idea e dice: "Qua si vedono le crepe, non è più divertente per cui è meglio che facciamo un corso di taglio e cucito". E alla fine i fondi saranno dirottati sul taglio e cucito. La telenovela si compone di due storie. Una è realistica e parla di un ragazzo rumeno che viene in Italia a cercare fortuna. E l’altra è una storia surreale: la storia di uno che vuole entrare in carcere. Uno che si è convinto di dover prendere sei mesi di riposo dalla vita e per questo deve entrare in carcere, e alla fine ci riesce, ma per uno scambio di persona perché lo prendono per un altro che era evaso.

 

Qui in carcere i problemi non mancano mai. Quali sono gli ostacoli che vi hanno creato più difficoltà?

Abbiamo avuto dei problemi, per esempio ad un certo punto hanno chiuso la Custodia Attenuata. In un primo momento non c’era stato dato il permesso di girare con l’Alta Sicurezza, poi quando abbiamo terminato la prima fase, metà dei protagonisti sono stati trasferiti in altri istituti, e cosi abbiamo dovuto prendere dei nuovi – che però non avevano la preparazione dei primi. Il circondariale poi, per la sua natura non ha detenuti "fissi", e quindi dovevamo cambiare continuamente le persone.

 

Adesso che le riprese sono terminate, a che cosa state lavorando?

Dopo quella prima fase piuttosto confusa del circondariale dove non c’erano detenuti stabili, dopo il lavoro con l’Alta Sicurezza, con tutte le difficoltà che abbiamo incontrato, dopo i trasferimenti di massa, siamo riusciti a portare a conclusione tutte le riprese. Nel momento in cui quest’opera è diventata più ricca, la realizzazione di un video con delle parti teatrali, è intervenuto Adolfo Azzilli con le sue competenze: regista, cameraman, montaggio, insomma una risorsa insostituibile. Per non parlare della sua presenza maschile che equilibra la mia, poiché secondo me è più giusto che ci siano un uomo e una donna. Adesso siamo nella fase finale che riguarda il montaggio..

 

Quando potremo ammirare le capacità artistiche dei detenuti?

Cercheremo di proiettare anche qui in carcere il lavoro finito, così che i ragazzi possano vedersi in questa nuova esperienza che è la telenovela. Poi, sicuramente, faremo una proiezione nella nostra sede a Mestre. Ci sono molti soci che apprezzano questo tipo di lavoro e sono interessati alle rassegne che noi facciamo continuamente.

 

E una partecipazione a qualche concorso?

Perché no? In caso ci sia qualche concorso, sicuramente parteciperemo. Antonio lo sta già facendo con "Un posto al fresco": se avremo successo, verremo poi a girare qualche centinaio di puntate, come una vera e propria telenovela sudamericana.

 

 

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