Riccardo Bonacina

 

Intervista a Riccardo Bonacina direttore editoriale

 del settimanale "Vita, non profit magazine"

 

(Realizzata nel mese di settembre 2001)

 

A cura di Francesco Morelli

 

Vita è l’unico settimanale europeo che si occupa esclusivamente di temi sociali, di volontariato e non profit. Ne abbiamo parlato con il suo direttore editoriale, Riccardo Bonacina. Vita si chiama così perché dalla sua "nascita", nel 1994, ha un obiettivo: "Far irrompere nel dibattito politico e sociale i problemi, le ragioni e le speranze del nostro vivere concreto e quotidiano".

 

Vita in carcere lo leggiamo sempre, e sui temi del carcere ci consideriamo anche dei "collaboratori". La giornata di studi, dedicata a "Volontariato e informazione", che si è svolta nella Casa di Reclusione di Padova, è stata l’occasione per fare una conoscenza più da vicino, attraverso il suo direttore, con una rivista impegnata esclusivamente su temi sociali. L’unico elemento negativo è che, a pensarci bene, se i giornali che si occupano di disagio non vengono a conoscere i loro collaboratori in carcere, è difficile che siano i collaboratori stessi a presentarsi ai loro direttori direttamente sul posto di lavoro.

 

Cosa ne pensa di questa giornata di studio sul volontariato e l’informazione e come giudica il rapporto tra volontariato penitenziario e informazione dal carcere?

La giornata mi sembra importantissima e, innanzi tutto, sono contento di conoscere l’esperienza di Ristretti Orizzonti. Il vostro è un giornale che leggo spesso, da cui traggo spunti e anche pezzi d’esperienza. Il rapporto tra volontariato penitenziario e informazione è un rapporto che produce qualche esperienza d’eccellenza, appunto come questa di oggi, però è anche un rapporto che deve ancora abbastanza cambiare e crescere.

Sentivo, stamattina, Ornella Favero che chiedeva meno "mediazioni", invitando le persone che stanno dentro ad essere protagoniste, con percorsi d’informazione, di comunicazione, con percorsi che diano voci ad esperienze diverse. Sicuramente è un invito giusto: se continuiamo a mettere una mediazione dietro l’altra non è più il volontariato a crescere, ma una classe di burocrati che si fanno gli stipendi sui bisogni delle persone.

Questo non è mai bello e, anche oggi, in alcuni interventi, ho sentito questa tentazione. D’altra parte c’è bisogno che crescano dei giornalisti appassionati alla realtà del carcere, che abbiano la voglia, la capacità e il gusto di darle voce, di scoprire le realtà che stanno di meno in prima pagina.

Adesso viviamo in un periodo particolarmente critico, sono quasi due mesi che siamo in ansia, si parla praticamente solo della guerra e di qualche "ricaduta politica" intorno a questo tema. Però, anche prima dell’11 settembre, gli argomenti che comparivano sulle prime pagine dei giornali erano, al massimo, quattro o cinque: sono argomenti che interessano a quattro o cinquemila persone, cioè quelle persone che decidono il destino del paese.

Allora, speriamo che con l’impegno di tanti, anche il nostro, con il settimanale "Vita", si riesca a far crescere dei giornalisti che abbiano questa passione, questo gusto, e che abbiano voglia di rischiare nel raccontare ciò che succede nelle realtà ignorate dalla maggior parte dei giornali.

 

Come siete riusciti, con il vostro settimanale "Vita", a farvi conoscere in un ambito così complesso, facendo un’informazione "difficile" come può essere quella sul sociale? Sappiamo che non è facile farla accettare dai quotidiani nazionali, dalle televisioni: i mas media, di solito, sono disattenti a questi temi…

Anche qui richiamo il primo intervento di Ornella Favero: "La sfida", diceva, "riesci a vincerla se fai un lavoro di qualità". Parlava di qualità rispetto al vostro lavoro, ma anche fuori vale la stessa regola: se riesci a fare un buon lavoro giornalistico alla fine i riconoscimenti arrivano. Io ho l’esperienza anche della radio e della televisione e tutti i prodotti, in genere, li ho fatti con grande rigore, puntando sulla qualità, sulla leggibilità (o ascoltabilità, o visibilità).

Ora faccio una trasmissione su "Radio Uno 24" e devi anche avere la capacità di andare incontro all’ascoltatore, di saperci interloquire, perché il rischio è che, se la qualità è troppo alta, diventa anche un muro: il tuo prodotto lo possono leggere solo in pochi. Devi sapere coniugare la grande qualità e l’interesse per l’informazione che dai alla capacità di farla leggere al maggior numero di persone.

"Vita", poi, è un giornale che non ha nessun tipo di finanziamento, quindi vive delle copie che vende e della pubblicità che raccoglie. Per fortuna, da quando è nato (compiamo sette anni in questi giorni) è sempre cresciuto e oggi abbiamo 26-27 mila lettori. Una buona tiratura.

 

Qual è il vostro rapporto con "l’altra stampa"? Per esempio, il Corriere della Sera, che è di Milano come lo siete voi, ha parlato ancora di "Vita", vi ha dedicato delle recensioni?

Il rapporto con "l’altra stampa", chiamiamola così, in questi anni ha funzionato bene e adesso col portale Internet, che è anche una vera e propria agenzia accessibile a tutti, funziona ancora meglio. Sono sempre di più (e davvero sono tanti) i giornalisti, che lavorano in altri media, che quando si imbattono in un tema sociale si rivolgono a noi chiedendoci notizie e indicazioni su interlocutori vari. Quindi "Vita" diventa un po’, nel sistema generale dei media, un punto di riferimento interessante.

Per fortuna, poi, abbiamo una redazione che è "trasversale", di convinzioni politiche diverse, addirittura di fedi diverse. Questa è una questione molto importante, perché l’avere un’etichetta politica ti taglia fuori da tante cose. Se ci chiedono "Da che parte state?", possiamo rispondere tranquillamente "Sempre dalla parte della realtà!".

 

 

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