Attenti al libro

 

Democrazie occidentali e xenofobia

Razzismo democratico

Quando la persecuzione del nemico di turno diventa una questione di affari

 

Recensione a cura di Elton Kalica

 

Ho sempre saputo che il tema dell’immigrazione e quello della sicurezza non sono nati con la caduta del muro di Berlino e nemmeno con l’arrivo delle navi di noi albanesi, ma la politica italiana mi ha un po’ condizionato con la sua diffusa attitudine a ragionare prevalentemente sulla seconda repubblica; certo, non voglio assolutamente negare i cambiamenti che hanno interessato la società italiana negli ultimi vent’anni, così come non si può negare che, nel frattempo, le paure vissute dalle famiglie italiane siano state alimentate sia dai comportamenti delittuosi di alcuni di noi, sia dal fenomeno sociale di stigmatizzazione degli stranieri come categoria.

Se conoscere la storia in generale aiuta a comprendere la vita dell’uomo e della società in cui vive, documentarsi sui processi politici, economici, culturali e sociali deve diventare oggi prerogativa degli stranieri che intendono affrontare in modo responsabile la sfida dell’emigrazione. Anche se il mio percorso migratorio di responsabile ha avuto ben poco, e infatti mi ha portato in carcere – cerco comunque di allargare le mie conoscenze sull’uomo e sulla società, e questo mi ha portato recentemente a leggere un libro che mi ha ricordato come le pratiche e i discorsi xenofobi che si stanno diffondendo oggi nelle democrazie occidentali hanno avuto origine trent’anni fa, quando l’ondata liberista proveniente da oltreo­ceano nemmeno immaginava la caduta dei regimi autoritari dell’Est europeo e l’immigrazione di massa verso i paesi dell’Ovest: insomma, molto prima dell’arrivo degli albanesi e dell’odierno trionfo del populismo razzista.

Questo libro si intitola “Razzismo democratico” e, attraverso una serie di ricerche e di studi, ricostruisce la storia della persecuzione dei rom e degli zingari insieme alla criminalizzazione degli immigrati oggi in Europa. È una raccolta di ricerche davvero preziose che approfitto per consigliare a tutti i lettori di Ristretti Orizzonti.

 

Criminalizzazione dell’“umanità in eccesso”

 

Da queste ricerche emerge un’Italia che da vent’anni, insieme agli altri Paesi europei, si accanisce sempre di più nella persecuzione degli zingari e degli immigrati, così come di quella parte di italiani che senza scampo si configura come “umanità in eccesso”, al pari dei rifiuti che non si sa più come smaltire. Ma la storia di questa guerra all’immigrazione si intreccia con quella della criminalizzazione, che comincia trent’anni fa nella reaganiana America e nell’Inghilterra thatcheriana: è la criminalizzazione della “tolleranza zero”, che identifica sempre più gruppi di persone come autori di reato, indirizza le forze di polizia a colpirli in modo sistematico e usa il sistema giudiziario e penale come pattumiera di tutti i problemi.

È la nuova gestione della società che, rispettosa di teorie economiche “vincenti”, esclude il recupero, la reintegrazione o la riabilitazione sociale, perché punta solo alla massimizzazione della ricchezza. È il crime deal, la sintesi di quella bizzarra dialettica che, garantendo consenso e profitto ai più forti e rafforzando i loro privilegi, indebolisce la capacità di azione politica e sociale dei più deboli, annulla l’esistenza dei diversi e consegna all’inumanità del carcere l’immigrazione in eccesso. In fondo, si tratta sempre di affari.

Non ci sono semplificazioni o tesi preconfezionate nei testi realizzati dai ricercatori europei del progetto Crimprev e raccolti in questo volume. La criminalità straniera c’è, anche in modo preoccupante, e non ci sono soluzioni facili. Tuttavia, la storia europea degli ultimi trent’anni offre ormai abbastanza materiale su cui riflettere. I contributi pubblicati in questo libro presentano al lettore un quadro completo della situazione attuale in Europa, prendendo in analisi le politiche criminalizzanti attuate nei Paesi di lunga immigrazione come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania e la Spagna. Di fronte a questi Paesi, l’Italia continua a imitare l’esasperazione delle normative che riproducono clandestinità, ma si rifiuta di creare quel minimo di certezza dello stato di diritto che diversi Paesi europei continuano comunque a garantire, sia agli immigrati, sia ai lavoratori autoctoni.

È chiaro che l’odierna esasperazione della paura non viene considerata un processo studiato a tavolino da un “grande fratello”, ma c’è una logica perversa di profitto che porta frutti a pochi potenti utilizzando i malesseri e i problemi della società di oggi: una società complessa, dove le classi hanno lasciato il posto ad attori nuovi, appartenenti a diversi livelli di potere, di ricchezza e di diritti.

 

Il ruolo dei media nella guerra alle migrazioni

 

Qual è il ruolo dei media nella guerra alle migrazioni? In questo volume ho trovato anche una spiegazione interessante da uno studio specifico che analizza il modo in cui i mezzi di informazione italiani hanno costruito il “problema” immigrati. In genere, la cornice interpretativa di ciò che si scrive di loro è il racconto di atti in cui, quando sono soggetti attivi, commettono azioni negative o problematiche: sbarcano, invadono, rapinano, investono o uccidono; mentre quando sono soggetti passivi, ricevono atti di filantropia da parte delle istituzioni: soccorsi in mare, rifocillati dopo lo sbarco, ammessi al corso di alfabetizzazione. Ci sono anche notizie che vedono l’immigrato impegnato in azioni positive, ma quello che prevale è il repertorio di notizie che provocano dichiarazioni politiche e dibattiti, fatti importanti che orientano il comportamento delle istituzioni, come i casi di Guidonia e del parco di Caffarella, del 23 gennaio e 14 febbraio, che hanno suscitato un panico morale capace di produrre conseguenze disastrose per la criminalizzazione dello straniero: forze di polizia concentrate in attività investigativa mirate; produzione amministrativa, con approvazione della legge 125/2008 che amplia i poteri dei sindaci in materia di sicurezza; produzione penale attraverso pacchetti sicurezza, come la modifica dell’articolo 61 del Codice penale, che aumenta le pene di un terzo se il reato è commesso da uno straniero irregolare.

Questo e altri esempi dimostrano quanto siano potenti gli effetti dei media, perché agiscono su una serie di attori che hanno a loro volta il potere di ridefinire i problemi: il giudice, il questore, l’esperto, il leader del comitato cittadino, il quadro politico locale sono i primi destinatari degli effetti dei media, ne adottano il linguaggio, le priorità per poi usare i mezzi di informazione per raggiungere l’obiettivo principale della “democrazia della sicurezza”: la conciliazione con quel prodotto culturale chiamato “opinione pubblica”.

Più avanti nel libro ho trovato contributi interessanti riguardanti specifiche pratiche di accanimento repressivo. In modo particolare, quelle riguardanti gli sgomberi e la segregazione dei nomadi sono state usate per ottenere consenso nel breve periodo e si sono istituzionalizzate come pratica di governo. Un’altra categoria che non è riuscita a restare fuori dal business della paura è quella dei minorenni. In questo volume c’è anche un contributo che analizza gli aspetti principali delle politiche inglesi nel campo del trattamento dei minori stranieri, che vengono identificati sempre più come minacce per la sicurezza pubblica e la convivenza pacifica.

Prezioso lo studio fatto sugli “sbarchi” di immigrati in Sicilia, trattati come una vera e propria invasione, mentre le statistiche ufficiali mostrano che essi incidono solo per poco più del dieci per cento sul totale degli irregolari identificati dalle Forze dell’ordine italiane. Tuttavia, l’inasprimento delle politiche di contrasto ha portato ai “blocchi navali”, che inducono i passeur a fare ricorso a percorsi e mezzi sempre più pericolosi. Negli ultimi anni sono stati molti i naufragi di immigrati, provenienti dalla Tunisia, che cercano di raggiungere le coste siciliane su carrette del mare, ma la politica del “blocco navale” aveva iniziato a produrre le sue vittime già con l’affondamento della nave albanese “Kater I Rades” nel 1997.

 

Cercare idee tra i poveri, dando voce agli ultimi

 

Per uno straniero detenuto, leggere questo libro è un po’ come toccare con mano l’ostilità che la “fortezza Europa” gli riserverà al momento della scarcerazione, una cartina di tornasole che cancella ogni illusione dalle teste di noi indesiderati. La speranza è che perlomeno chi vive dentro le mura della fortezza cominci a capire come, nonostante i problemi e i malumori che l’immigrazione produce, la strada della criminalizzazione sia non solo immorale, ma anche sbagliata in termini di bilanciamento della società. L’autoritarismo dei più forti non porta né benessere, né giustizia per i più deboli: disoccupati, precari e lavoratori in nero, immigrati, rom e zingari, senzatetto, detenuti e malati. Accanirsi contro una di queste categorie non può portare benefici verso le altre categorie. Mentre una società più giusta si può costruire solo se si cercano idee, proposte e soluzioni tra tutti i poveri, creando luoghi in cui dare voce agli ultimi, e creando forme di azione che responsabilizzino le persone, facendole sentire ugualmente cittadini, e ugualmente forti. Non solo le piazze, ma le case e i luoghi di lavoro, i centri ricreativi e le mense, i dormitori e anche le carceri, dove io ho letto questo libro, devono diventare luoghi di discussione e di confronto se si vogliono produrre idee che funzionino, e non lasciare la gestione della cosa pubblica in mano alla cronaca nera e ai salotti televisivi, vetrina sempre accesa dell’industria del crime deal.

 

Razzismo democratico, la persecuzione degli stranieri

A cura di Salvatore Palidda, Agenzia X, 2009 - Euro 16,00

In questo volume sono stati raccolti i contributi di: Marcelo F. Aebi, Hans-Joerg Albrecht, Edoardo Bazzaco, Mary Bosworth, José Ángel Brandariz García, Alessandro De Giorgi, Nathalie Delgrande, Cristina Fernández Bessa, Mhairi Guild, Bernard E. Harcourt, Yasha Maccanico, Marcello Maneri, Laurent Mucchielli, Sophie Nevanen, Salvatore Palidda, Gabriella Petti, Nando Sigona, Jérôme Valluy, Fulvio Vassallo Paleologo, Tommaso Vitale.

 

 

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