Cari studenti

 

Comunicare con gli studenti con onestà e senza “finte promesse”

Stefano ci ha insegnato che si deve andare nelle scuole non a dire che si può uscire così,

in modo quasi automatico, dalla dipendenza, ma a spiegare che questa è una

guerra difficile, e guai a chi dà l’impressione che uscirne sia quasi indolore

 

Da tre anni portiamo avanti un progetto con le scuole che cerca di avvicinare due realtà che di solito neppure si sfiorano, come la scuola e il carcere. Abbiamo da subito capito che il modo più efficace per comunicare con gli studenti, senza avere la pretesa di dare lezioni di vita, era quello della testimonianza e del racconto autobiografico, in cui si narra la propria vicenda in tutta la sua complessità, perché ascoltando la storia che ha portato quella persona a commettere un reato lo studente può ragionarci su e tirare le proprie conclusioni.

Stefano, con la sua storia pesante di tossicodipendenza, è venuto spesso nelle scuole, agli incontri con gli studenti, e però poi ha avuto di nuovo problemi con le sostanze, è finito in carcere, e quindi in comunità. Io certo mi sono interrogata su chi stavo portando nelle scuole, e ho temuto anche delle critiche, perché evidentemente lui non era un “ex tossicodipendente” che ce l’ha fatta, no lui non ce la faceva, e anzi stentava tantissimo a uscirne. Però poi ho ripensato alla qualità della sua comunicazione con i ragazzi, e al fatto che lui ha sempre detto la verità, cioè ha raccontato il disastro della sua vita a causa delle sostanze, e la consapevolezza che non sapeva se sarebbe riuscito a liberarsene davvero. E mi sono rivista davanti certe notizie televisive, certi servizi su Lapo Elkann, nuovo testimonial contro la droga, descritto come uno che ce l’ha già fatta, che ha vinto la sua battaglia contro la cocaina. Allora ho pensato che noi invece andiamo nelle scuole non a dire che si può uscire così, in modo quasi automatico, dalla dipendenza, andiamo a dire che è una guerra difficile, e guai a chi dà l’impressione che uscirne sia quasi indolore, e mi sono sentita tranquilla proprio per l’onestà e la mancanza di “finte promesse” della nostra comunicazione.

 

Quelli che seguono sono testi che fanno parte di questo scambio, vivace, profondo, pieno di spunti, tra Stefano e alcuni degli studenti che ha incontrato nelle scuole.

 

Ornella Favero

 

Carissimi, ho sentito il bisogno di scrivervi questa lettera perché l’incontro avuto con voi lunedì ha rappresentato un momento per me veramente particolare, un momento positivo e profondamente utile. Quest’anno, come l’anno scorso, ho avuto diversi incontri con i ragazzi delle scuole medie superiori di Padova, e l’argomento era lo stesso che mi ha portato insieme ad Ornella, Elisa, Francesca a venire a Monselice ad incontrare voi. Non vi nascondo che ero molto preoccupato, già il lavoro fatto con studenti di 17/18 anni mi aveva impegnato parecchio e spesso messo alla prova, perché dialogare non è mai semplice, l’essere ex detenuto poi mi obbliga ad avere a che fare con tanti pregiudizi ma ancora più spesso con il disinteresse nei confronti di argomenti quali il carcere, che è veramente una “brutta bestia”.

Così lunedì mattina ero un po’ emozionato anche perché era la prima volta che mi trovavo di fronte a tanti ragazzi e ragazze così giovani, non sapevo se quello di cui vi avrei parlato vi interessava, se ero in grado di usare un linguaggio chiaro ed essere capito. Poi, non lo nascondo, gli ultimi episodi di cronaca, e mi riferisco all’uccisione del piccolo Tommaso, rischiavano di condizionare tutta la discussione, e sarebbe stato normale se fosse andata così, con il risultato però di confondere la situazione generale dei detenuti con un caso singolo veramente orribile, sul quale l’orrore mio è pari al vostro ed è così grande da togliere la parola di bocca.

Invece devo dire che vi ho trovati una classe veramente speciale, giovani con delle idee in testa, con voglia di conoscere e di capire, che sa esprimere le sue opinioni in maniera intelligente e soprattutto che studia, si informa, cerca dati, li elabora. Avete un professore poi che dovete sfruttare più che potete, perché è una persona preparata e si vede che ama il suo lavoro, dote indispensabile per chi deve fare innamorare della cultura dei giovani come voi.

In alcuni momenti ero quasi in imbarazzo perché, a differenza di altre classi con studenti più grandi di voi, eravate preparati ed informati tanto da poter tenere sempre alta la qualità della discussione. Ho invece sentito con preoccupazione i risultati del questionario che avete somministrato ai vostri compagni di scuola. In particolare la sensazione che il contatto con le droghe sia alla vostra età un fatto quasi normale, e quando parlo di droghe non mi vorrei limitare a quelle illegali, vorrei metterci a pieno titolo alcool e sigarette, che al pari di altre sostanze possono portare a rovinare la vita fino alla morte.

Io ho cercato di raccontarvi in qualche modo la mia storia e di come le droghe da un certo punto in avanti l’abbiano condizionata fino a portarmi in carcere. Su questo ho sempre l’impressione di essere insufficiente nel darvi le reali dimensioni del problema. Sono poi convinto che limitarsi a dire “guardate che fanno male”, “guardate che la legge oggi prevede una seria punizione perché sono illegali” eccetera, sia abbastanza inutile, a volte è meglio raccontare.

Io alla vostra età ero di una curiosità inarrestabile e mi buttavo con entusiasmo soprattutto su tutto quanto era tabù, proprio su quelle cose delle quali si parlava poco e male perché si sperava così che noi giovani ne stessimo alla larga. Ho sempre visto che la nostra reazione, la mia e quella dei miei amici, era esattamente il contrario, con il risultato che alcuni si sono ritrovati intrappolati in una fase della propria vita dove era difficile difendersi dalla droga, che per alcuni è diventata poi una schiavitù.

Io non credo che un problema quale la droga, o meglio le dipendenze, si possa risolvere con leggi e divieti, il numero di tossicodipendenti mi dà un’inutile ragione. Credo però che almeno fino alla maggiore età le persone vadano veramente protette dall’incontro con gli stupefacenti, ed invece di continuare a parlare di queste sostanze come la “mela proibita”, che è veramente un modo di spingere a cercare di assaggiarla, sarebbe utile spiegare di cosa si tratta, perché le droghe sono diversamente pericolose sia per i loro effetti sulla salute, sia per gli ambienti con i quali si viene in contatto, e comunque è gravissimo il contatto in giovane età.

Sono tante le sostanze che quando si è molto giovani possono compromettere una crescita fisica e psicologica sana, tra queste ci sono gli stupefacenti e conviene spiegare bene cosa producono piuttosto che continuare a farli passare per pozioni magiche, che rendono noi ed il mondo che ci circonda diversi da quello che sono. Ho visto che il professore vi ha insegnato ad usare le percentuali per descrivere i fenomeni, per le droghe in Europa si parla di 50 milioni di persone che ne sono entrate in contatto, di queste 2,5 milioni sono diventati consumatori problematici, gli altri hanno invece per lo più deciso che le droghe non gli interessano e la gran parte ha smesso di usarle.

Bisogna aggiungere però che se il contatto con gli stupefacenti avviene durante l’età dello sviluppo si possono avere danni allo sviluppo stesso spesso irreversibili. Vi invito a far venire un medico a spiegarvi per bene quali rischi si corrono. Come avete visto dai dati, ed in parte conoscete dalla realtà, con gli stupefacenti in molti prima o poi hanno a che fare, non c’è legge o divieto che tenga, la gran parte riesce poi a non finire nei guai, ma occorre sapere che ad una certa età il rischio è altissimo ed i danni sono irreversibili.

Io con la mia storia di guai in realtà ho cominciato a drogarmi che ero già adulto e vi garantisco che per alcuni, me per esempio, è stato difficilissimo rimanere vivo. In carcere però ho conosciuto persone che si erano cacciate nei guai più o meno alla vostra età, e mi sono veramente spaventato, perché ho visto ragazzi segnati nel fisico, incapaci di ragionare se non di droghe (ammesso che si tratti di ragionare), con problemi di stabilità mentale gravissimi, e penso poi magari alla curiosità che inizialmente li ha portati a provare, in un momento nel quale si affacciavano alla vita con quella voglia di conoscere che è stupenda alla vostra età.

Quella voglia era sparita e non c’è stato il tempo per dare alla persona quelle conoscenze, quegli strumenti di difesa che si acquisiscono con difficoltà quando la fase dello sviluppo è finita. Ragazzi svuotati, senza interessi, neanche per se stessi, e mi spaventa proprio pensare che potrebbe essere la fine di qualcuno di voi. Ma in voi ho visto invece oltre alla gioia di essere giovani anche molta serietà ed interesse, siete sulla strada migliore per affrontare la vita un po’ meglio di come ho fatto io e molti altri. Ho deciso di scrivervi questa lettera perché avevo l’impressione che meritavate di più di quello che ho cercato di raccontarvi nel nostro incontro, spero di non essere stato noioso e comunque grazie per l’attenzione che mi avete dedicato.

 

Con simpatia, Stefano Bentivogli

 

Caro Stefano,

siamo molto felici di aver ricevuto la tua lettera, così esauriente e piena di informazioni utili. Siamo d’accordo con te sul fatto che la droga è davvero una grave malattia che serpeggia tra i giovani curiosi di provarla e che lo Stato sbaglia quando dice che essa è un tabù senza spiegare cosa sia; crediamo che nessuna persona razionale la assumerebbe sapendo precisamente cosa provoca. Siamo d’accordo anche sul fatto che per droga è giusto intendere tutto ciò che provoca dipendenza, come il fumo e l’alcool. Speriamo di non incappare mai in questo problema anche se molti sono già caduti nell’oscuro tunnel senza uscita. Preoccupa anche noi il fatto che i questionari che abbiamo compilato mettano in evidenza certi numeri. Saremmo felici qualora tu ci scrivessi ancora.

Cordialmente, Ivan, Sara, Valentina, Giovanni

 

Caro Stefano,

siamo stati molto felici di aver ricevuto la tua lettera che ci è sembrata molto interessante ed istruttiva. Volevamo ringraziarti per i preziosi consigli che ci hai dato, che ci hanno fatto conoscere meglio il mondo che ci circonda. Ci ha fatto piacere che tu ci abbia formulato dei complimenti, infatti tutti ci considerano una classe a volte troppo vivace. Speriamo che un giorno tu riesca a farci nuovamente visita, così potremo parlare ancora senza imbarazzi, di questioni a noi ancora sconosciute. Sebbene tu sia stato un detenuto, sappi che non ci hai “fatto paura”. Anzi, tutti noi ci siamo interessati alla tua storia e molti hanno partecipato animatamente alla discussione. I risultati dei questionari poi hanno generato tra noi numerosi dibattiti. Come hai detto giustamente tu, potrà succedere che qualche ragazzo della nostra età finisca nel vortice ma noi speriamo di no. Ora ti salutiamo, dicendoti ancora grazie perché ci hai fatto capire che la situazione attuale della società in cui viviamo non è delle migliori.

Con simpatia, Angela, Francesco, Amel, Federico

 

Ciao Stefano,

grazie per la lettera e per i complimenti. Il tuo discorso era molto chiaro e ci ha aiutati a capire meglio il problema delle droghe. Siamo arrivati a formulare varie ipotesi sul motivo per cui molti ragazzi cominciano a fare uso di stupefacenti. Molti pensano di avere a che fare con una sfida e non sanno realmente da cosa siano composte certe sostanze. Quindi una maggiore conoscenza del problema potrebbe essere un modo per far diminuire quei milioni di cui tu parli che fanno uso di droga. Rimanendo in tema, ora stiamo approfondendo il discorso “cittadinanza, legalità, sviluppo”, attraverso la redazione di un nostro manifesto ricco di idee che riteniamo anche interessanti. Te ne manderemo una copia quando il progetto sarà stato completato, così come ti manderemo al più presto i risultati completi dei questionari coi nostri commenti. Sappi che per noi è stato estremamente piacevole sia presenziare all’incontro, sia leggere la tua cortese lettera.

 

Con affetto, Luca, Emily, Lorenzo, Enrico

 

Carissimi,

ho letto con piacere le vostre lettere ed aspetto i risultati del vostro lavoro ai quali sono veramente interessato. Ricevere una lettera è una cosa che mi ricorda in particolare l’esperienza del carcere, ma è un ricordo bellissimo, perché era il momento nel quale ci si metteva in contatto col “fuori”. Parenti, amici, non tantissimi in realtà, entravano attraverso le sbarre della prigione, ed io, con la fantasia ovviamente, uscivo e li raggiungevo. Uscito dal carcere mi sono accorto di quanto ci si scriva poco, c’è il telefono che però è tutta un’altra cosa, perché mettersi davanti ad un foglio bianco e cercare di metterci sopra un po’ di se stesso ci obbliga a riflessioni che normalmente non siamo abituati a fare. Ovviamente vi auguro di mantenere questa bella abitudine senza dover passare per dove sono passato io.

Nel frattempo sono stato in un’altra scuola media, ho trovato anche lì dei ragazzi interessati ai miei racconti, ma la prima volta, ossia voi, resta un’esperienza particolare, irripetibile, ed ora che vi scrivo vi ricordo veramente con piacere. Certo che fate delle cose eccezionali, il progetto “cittadinanza, legalità, sviluppo” penso sia un lavoro che ad esempio, quando andavo a scuola io, neanche si immaginava. E poi col tempo ci si rende conto invece di quanto siano questioni importanti, perché i valori della cittadinanza che si esprimono con una serie di diritti e doveri, quello di conoscere e partecipare per esempio, sono alla base di una comunità che cresce. Voi tra pochi anni sarete “quelli che decidono”, le nuove energie dell’Italia, beh, mi fa piacere avervi conosciuti meglio, perché spesso ci si fa l’idea che i “ragazzi d’oggi” siano capaci solo di giocare coi videogiochi e digerire ogni giorno ore ed ore di televisione.

A me non siete sembrati così, perché ad esempio quando si parla in televisione di chi è in carcere ci si dimentica che sono esseri umani, ognuno con la sua storia ed i suoi problemi, passiamo per mostri da eliminare, da far sparire: voi invece mi siete stati ad ascoltare con la voglia di capire di più e farvi un’opinione vostra.

Presto vi arriveranno dei piccoli libri dal titolo “Ragazzini e ragazzacci”, dove abbiamo raccolto gli scritti dei ragazzi che sono negli istituti di pena per minori. Vi chiedo di leggerli con la stessa attenzione che avete avuto nei miei confronti, perché sono storie di vita di persone come voi, a volte solo più sfortunate o semplicemente diverse. Anche loro saranno i futuri cittadini italiani ma, a differenza di voi, invece di andare a scuola e magari avere un professore come il vostro, sono spesso cresciuti nell’illegalità fino a considerarla una cosa normale. Loro oggi sono chiusi in prigione, nel carcere minorile, loro vi possono mostrare, con la loro sincerità, l’importanza del sentirsi cittadini o del vivere al confine, sempre sul limite della legalità o addirittura normalmente oltre questa. Provate a pensare ad esempio in quali cose vi somigliate ed in quali no, sono sicuro che farete delle bellissime riflessioni, e soprattutto non dimenticherete mai che “Ragazzini o ragazzacci” sono sempre ragazzi, come voi, e che la libertà che oggi gli è tolta bisognerà ridargliela… insieme a tutto quello che fino ad oggi probabilmente gli è mancato.

Con simpatia, Stefano Bentivogli

La conoscenza è data dalla prossimità

Si può parlare di tossicodipendenza, e fare forse meglio prevenzione, preparando

con cura situazioni di confronto con le persone che il problema lo vivono davvero

 

di Stefano Bentivogli

Perché ti droghi? È la prima domanda che di solito mi viene posta, quella che apre una distanza tra me tossicodipendente e i ragazzi, e questa distanza è sempre difficile da riempire. È come costruire un ponte tra due mondi separati, che non comunicano e non sono normalmente chiamati a farlo.

Perché ti droghi? Cosa provi quando lo fai? Come hai iniziato? Come si smette di drogarsi? E sono domande che invece sento benissimo che cercano spesso conferme (ma qualche volta anche smentite) sui luoghi comuni di cui i ragazzi con cui mi confronto sono già inondati.

Ma una risposta spesso non c’è, oppure c’è la mia risposta che non è mai tale, c’è la mia storia, quella del mio mondo reale vissuto, quello immaginario, quello solo sognato.

Diventa subito difficile portare il piano della comunicazione su un terreno che non sia quello delle ricette pronte, delle verità certe, che però non esistono, perché esistono solo storie di persone, e sono queste quelle che ogni volta credo sia utile far ascoltare.

È sicuramente più semplice andare subito a spiegare che gli stupefacenti fanno male, che danno dipendenza e che l’astinenza è una fase obbligatoria e dolorosa, che rovinano la salute, l’equilibrio mentale, che sono illegali, che ti fanno vivere il fantomatico “paradiso artificiale”.

Oppure c’è la scappatoia tecnico-giuridica. È addirittura la modalità più comoda, che è quella che poi si sta esplicitando nell’affrontare il fenomeno droga attraverso il sistema tabellare: dimmi in che tabella della legge vigente sugli stupefacenti sei, e ti dirò se ti devi porre dei problemi o meno.

Invece questa tentazione è pericolosissima, sia che le tabelle diventino due, sia che queste diventino otto. Io posso solo dire che di fronte alla complessità della persona che si trova a sperimentare stupefacenti non esistono tabelle di sicurezza o di alta pericolosità nelle quali racchiudere il presente ed il futuro delle persone, non ci sono verità né morali né scientifiche, ci sono percorsi, tutti diversi e tutti degni di attenzione, e nel mio caso resta la mia storia, solo ed unicamente quella.

Questa riflessione mi trovo a provare a metterla su carta dopo un’esperienza, vissuta durante un periodo di detenzione, nella quale, con la redazione di Ristretti Orizzonti, partecipavamo ad un progetto con le scuole superiori di Padova e qualche media inferiore dello stesso circondario.

Ricordo come fosse oggi i primi incontri, ricordo l’imbarazzo totale nel sentirmi chiamato in causa personalmente sulla mia sofferenza, sulla mia debolezza, la fragilità in un mondo che ho sempre amato a tal punto, da arrivare a combatterlo sperando di renderlo, me insieme a lui, più felice.

E non dimentico la fatica di non partire col piede sbagliato, anche perché l’attenzione mi sembrava molto alta e le aspettative altrettanto. Volevo evitare consigli, informazioni tecniche – perché tecnico non sono -, luoghi comuni quali le solite “cattive compagnie da non frequentare”, il terrorismo sulle cosiddette droghe leggere “perché di lì è praticamente certo che si passa a quelle pesanti”, il dire che una volta provato non si torna più indietro.

Tutte semplificazioni buone per cavarsi d’impaccio, pseudo verità da mercato della frutta, ricette educative con cui sono state e sono tuttora illuse gran parte delle famiglie che vivono nel terrore di ritrovarsi il problema tossicodipendenza in casa, o che già ce l’hanno e non sanno più a che santo aggrapparsi, e magari arrivano anche a convincersi che questi santi qualcuno li ha trovati veramente, tanto lo “spaccio della salvezza” è diventato un solido mercato.

Certo non mi è mai passato per la testa, anche per un solo istante, di aprire un comizio sulla demonizzazione delle droghe, perché queste demoniache non lo sono, e poi cosa è droga scientificamente parlando e cosa non lo è, e dove vanno collocati i fiumi di sostanze “terapeutiche” gestite dalle grandi imprese farmaceutiche, o l’alcool che miete vite umane in dimensioni molto più disastrose di tutte le altre sostanze?

Ed i comportamenti dipendenti, il gioco d’azzardo, il sesso maniacale, l’anoressia come dipendenza dalla propria immagine quanto la bulimia?

 

Come portare la mia esperienza in termini utili per i ragazzi, e anche per me?

 

Oggi si continua a dibattere su questa parola che ormai sembra diventata magica e si chiama prevenzione, e sono anni che si spendono cifre non indifferenti sulla comunicazione mediatica: ma i dati sull’efficacia rispondono da soli sia sul fallimento dell’approccio, sia sulla limitatezza dei mezzi. Si sono riproposti per anni i vari: “O ci sei o ti fai”, il “Basta dire no”, il ragazzo che riprende a giocare a calcio col padre mentre drogandosi non poteva permettersi più di farlo…

Oppure presentare i campioni della redenzione, quelli che si sono salvati con un bel programmino terapeutico, magari intervistati proprio mentre quel programmino lo stanno appena assaggiando, ben controllati e inquadrati. Queste io le considero truffe belle e buone, e non perché non bisogni dare segnali positivi e di speranza, ma perché non si trasmette mai la difficoltà e la sofferenza vera, i fallimenti continui, la fatica di ricominciare, la tentazione di abbandonare tutto.

Il problema resta poi quello di smetterla di dare, dell’uso delle sostanze, un’immagine non di un fenomeno sociale veramente serio, ma di una fase capricciosa dell’adolescenza/giovinezza alla quale rispondere con un po’ di disciplina, qualche “bastonata” e dolci carote per tirare avanti.

I ragazzi delle scuole con i quali mi sono incontrato sono certo che non hanno avuto da me la benché minima lezione di vita, nella storia delle persone non ci sono lezioni da prendere, il massimo che si può avere quando la comunicazione funziona è la trasmissione della fatica interiore nell’arrivare al confronto serrato con la propria stessa storia. È importante invece ricordare quanto è necessario accettare la complessità del problema, non appiattirlo e semplificarlo ma stimolare a sviluppare un senso critico, che è invece sempre meno stimolato da messaggi di omologazione, perché quella oggi è diventata l’unica realizzazione di sé, la vera felicità.

Probabilmente avrò deluso qualcuno, ma spesso percepivo una sorta di partecipazione sincera, interessata, non per dovere, e lo scambio di corrispondenza che seguiva gli incontri mi permetteva di tenere aperta una porta normalmente chiusa, un dialogo a volte indispensabile per spiegare meglio dove potevo essere stato frainteso.

Sembrerà una bestemmia, ma credo di aver restituito, con il mio mettermi in gioco insieme a loro, una parte della realtà difficilmente avvicinabile, una restituzione che può avvenire solo guardandosi negli occhi mentre si racconta, senza drammatizzare né semplificare, ma trattando i ragazzi da persone come me e non come bambinetti.

Non sono dei bambinetti checché se ne voglia dire, io li ho trovati fin troppo chiari e diretti in quello che volevano veramente sapere da me, e dietro si leggeva sempre l’impronta di docenti che credevano seriamente nell’utilità di dare stimoli forti, far fare esperienze nuove, preparando i ragazzi, fino a passare una giornata in carcere con noi.

Quindi forse il ripensare alla prevenzione è possibile se si esce dalle prassi a basso rischio (ed impegno), partendo dal territorio, camminandoci all’interno, costruendo, oltre alla necessaria informazione scientifica, quella sociale, creando ponti per cui la conoscenza dei problemi è data dalla prossimità, in situazioni preparate con cura, con le persone che il problema lo vivono.

È sicuramente un modo nuovo di affrontare la questione, di renderla più scomoda, difficile, e però sicuramente più onesta. Ma poi c’è un’altra attività di prevenzione che avviene automaticamente, che è quella di educare nuove generazioni ad una cultura della responsabilità delle scelte dei propri comportamenti, ma anche e soprattutto alla tolleranza delle diversità, alla convivenza con fenomeni di disagio la cui pericolosità sociale è data proprio dall’emarginazione, dall’illegalità. Un’emarginazione che crea così due mondi che non si parlano più, che non si confrontano, non si migliorano, condannandosi allo scontro o peggio all’indifferenza.

Ricordo ancora, uscito dal carcere, qualche incontro con questi studenti con cui avevo fatto questa anomala esperienza, insisto sull’anomala perché ne ho sentite altre molto meno strutturate e profonde, e più gestite come uno spot: “Oggi vi facciamo vedere i delinquenti in carcere”. Ero in libertà e stavo passando un periodo di difficoltà di nuovo con le sostanze: ai ragazzi durante gli incontri nelle scuole non avevo mai dichiarato che i miei problemi sarebbero finiti col carcere, e incontrarli per strada, capire che intuivano che le cose non andavano bene, sentirmi chiedere come stavo, mi ha regalato un attimo di senso di attenzione la cui misura non riuscirò mai a spiegare.

 

 

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