Egregio signor ladro

 

È possibile ricucire lo strappo tra carcere e “mondo libero”?

Il punto di vista di una che sta dall’altra parte, quella delle persone “perbene”, e spiega le resistenze, le paure, i fastidi che provano le persone che potrebbero aiutare chi esce dal carcere a ricostruirsi una vita decente, ma non sempre ne hanno voglia

 

Una lettrice curiosa e attenta, ma soprattutto una che non si tira mai indietro quando si tratta di prendere la penna in mano e dirci, fuori dai denti, ciò che pensano della galera quelli che appartengono alla categoria dei “regolari”: lei si chiama Sabrina, commenta, con attenzione e implacabile severità, i nostri articoli. Questa volta ha deciso di andar giù particolarmente dura, e ci ha invitato senza mezzi termini a non farci troppe illusioni sul fatto che il mondo “regolare” ci aspetti a braccia aperte quando usciremo dalla galera.

 

Cara Redazione,

vorrei parlare del problema della reintegrazione a fine pena degli ex-detenuti nella società regolare: possibile od impossibile? E cosa vuol dire esattamente “reintegrarsi”? Problema: scrivere la bella letterina rassicurante, tutta fiducia nell’umanità che perdona ed accoglie, o scrivere la verità... qualunque essa sia. Ho pensato allora due cose:

1) che meritavate un discorso onesto e non le frasette prefabbricate tipiche della società “regolare”;

2) che forse era venuto il mio momento di mettermi in gioco, di “scavare” nel profondo della mia mentalità “regolare”, in parti di me stessa di cui non vado molto fiera, ma che esistono.

Quindi preparatevi ad un “viaggio” nelle profondità del mondo regolare, in quello che tutti pensano ma nessuno dice apertamente. Stavolta sarete voi gli “extraterrestri”... in un viaggio temo non piacevole, ma spero almeno “istruttivo”. Benvenuti nella “società regolare”, il MIO mondo!! ^_^

Di chi stiamo parlando? Un buon punto di inizio è capire chi è l’avversario!! Qui stiamo parlando della “mia” società regolare: persone laureate in ottime università, in piena carriera, di buona famiglia (ma senza esagerare), per cui carcere equivale a “posto dove mettere i cattivi” (sperando che ci restino). Ovvio che “noi” e le persone che ci circondano non finiremo mai in prigione (siamo ottimisti, lo so!). Il carcere è qualcosa di cui non parliamo mai, a cui non pensiamo mai, né riteniamo che ci capiterà mai di incontrare qualcuno che questa realtà l’ha vissuta.

 

La posizione della società (e la mia fino a due mesi fa)

 

Se chiedessi ai miei amici chi pensa che un detenuto debba avere una seconda chance, sono convinta che tutti darebbero un parere positivo: “Saldato il debito con la società, è giusto riaccogliere l’ex detenuto tra noi”. Del resto, siamo persone di un buon livello culturale, ottima apertura mentale, quindi è OVVIO che siamo aperti alla “riabilitazione” dei detenuti (se mai qualcuno avesse potuto dubitarne). Quel che tutti tacciono (ma tutti pensano, e sanno di non essere i soli) è che naturalmente questa seconda chance deve svolgersi a 1000 km da casa mia (anche di più), che è fuori discussione che riguardi il mio vicino di casa, e che non deve mai intersecarsi con la mia vita. Ma a parte queste “piccole limitazioni”, siamo tutti “pronti” a cooperare... anche se convinti che tanto la vostra è una causa persa! Quanto a giudicare un ex-detenuto, beh, cos’altro potrebbe aspettarsi? Quando uno commette certi reati, deve essere pronto a sottostare al “giudizio” della società... e quindi anche al nostro. Abbiamo veramente torto?

Ho letto nel vostro sito che il 70 per cento degli ex-detenuti è recidivo (se mi ricordo bene). Date le condizioni in cui un detenuto si ritrova uscendo dal carcere (ovvero fuori, ma con davanti le porte della società ben chiuse), per voi la cosa è poco sorprendente. Dovendo scegliere tra un’onesta e solitaria emarginazione ed una “disonesta” ma non solitaria illegalità... la tentazione è forte. Ma pensiamo un attimo a me ed ai miei amici di fronte alle stesse cifre! Che senso ha cercare di reinserire qualcuno se poi con probabilità elevatissima ritorna dal lato sbagliato? Uno ha la forte sensazione (diciamo quasi certezza) che la seconda chance è sprecata comunque, tanto vale non darla e basta…

 

La reazione dei “ristretti”

 

So che penserete che io ed i miei amici non valiamo niente, che i volontari del carcere sono su tutto un altro livello, perché non giudicano, vogliono conoscere prima la persona, la danno veramente questa seconda chance, etc., etc. Quindi, sulla base del principio “chi non mi ama, non mi merita”, tanto peggio per me ed i miei amici che saremo “privati” dell’opportunità di conoscervi, tanto ci sono i volontari, le organizzazioni cattoliche, e la famiglia pronti ad aspettarvi fuori.

 

Risultato

 

Detenuti disgustati dalla società che chiude le sue porte, società che onestamente non è molto toccata dalla cosa, tanto siete “irrecuperabili”. Purtroppo per voi, io ed i miei amici sappiamo bene di essere in una posizione di forza: triste dirlo, ma la società regolare ha fatto a meno di voi per 10-15 anni e può tranquillamente continuare così, mentre voi non potete permettervi lo stesso atteggiamento. Quindi, io ed i miei amici possiamo continuare a vivere tra di noi senza alcun problema, ma voi??? Certo, potreste “vendicarvi” rimettendovi a vivere nell’illegalità. Dando un’occhiata ai tempi che le persone “ristrette” riescono a passare fuori prima di rientrare dentro (se scelgono di nuovo il sentiero illegale), non so se sia più la società ad essere danneggiata o voi stessi…

 

Possibile che non si possa ricucire questo strappo?

 

Mi rendo conto che sto lanciando un messaggio di un pessimismo “cosmico”, dove società ed ex-detenuti sono divisi ed incapaci di unirsi. Onestamente penso che questa sia la situazione attuale. Ma sono un’ottimista di natura, e mi dico: possibile che non si possa ricucire questo strappo?? Questo 70% di recidivi è veramente colpa soltanto vostra (cosa su cui la società non nutre il minimo dubbio, basandosi sul principio del libero arbitrio)? O dobbiamo assumerci qualche responsabilità? E pene più severe, espulsione degli stranieri detenuti, insomma... diventare una copia del sistema americano è veramente la sola ed unica soluzione? Certo appaga il nostro desiderio di vendetta verso chi ha tradito la società, ci rassicura, elimina un problema scomodo. Ma la soluzione “facile” è quella giusta? Il punto cruciale è: cosa implica per me reintegrare un detenuto nella “mia” società? Cosa vi aspettate ESATTAMENTE da noi intesi come società??? Parlate spessissimo di reinserimento, ma sempre in termini vaghi… se un giorno le nostre strade dovessero incrociarsi, che cosa vi attendereste da me, dai miei amici? (probabilmente ci evitereste come la peste, ma cerchiamo di restare sul generale…)

 

Cosa vuol dire reinserimento in senso concreto?

 

Sono assolutamente d’accordo con voi, quando scrivete che il lavoro non è sufficiente per reintegrarsi. Se a questo aggiungiamo che dubito che uscendo troverete il lavoro fantastico, che adorate alla follia e che riempie tutto il vostro tempo… il bisogno di avere una “vita sociale” a fianco del lavoro, e quindi degli amici, diventa ancora più forte. Ma gli amici non si vendono al supermercato, siete decisamente grandicelli per uscire con i familiari, gli amici pre-carcere sono evaporati durante gli anni di detenzione, restano i volontari. Ma avrete voglia di vedervi sempre intorno gente che in un modo o nell’altro vi ricorda il vostro passato di detenuti?

E poi passare da isolamento ad isolamento non è un gran passo avanti. Leggendo i vostri articoli, non posso fare a meno di notare come anche persone obiettive come Ornella alla fine si allontanino sempre di più dalla mentalità “regolare”. Non è una grave perdita? Non ne sono sicura, credo che la mentalità della società non sia negativa al 100 per cento. Ed in ogni caso, non sarà certamente allontanandovene che la cambierete. Se ci si vuole integrare con qualcosa di diverso, bisogna cercare innanzitutto di vedere anche il suo punto di vista (o almeno, io la penso così). Quindi la società regolare non dovrebbe solo offrirvi un lavoro, ma offrirvi una rete di relazioni, delle persone da conoscere che non vi bollino come “reietti” della società alla prima uscita... possibilmente al di fuori della schiera degli “eletti” volontari. Insomma, da me e dai miei amici credo (ma sta a voi dirlo) vorreste una porta aperta, la possibilità di essere valutati come persone (che è ben diverso dall’essere giudicati come ex detenuti). Mi dispiace dirvi che non è poco…

 

Le paure della società

 

Perché è cosi difficile dare questa seconda possibilità??? In fondo si tratta solo di un’apertura, non ci chiedete di spalancare le porte al primo incontro, ma di non sigillarle senza neanche avervi visto. Siamo un gruppo di mostri senza cuore? Credo che sia necessario fare una distinzione tra i diversi reati... so che non amate questo genere di classificazioni, ma fuori le facciamo e tocca abituarsi. C’è crimine e crimine... per i “regolari” come me tra i crimini contro le “cose” e la violenza contro le persone c’è un abisso! Per la prima categoria, si può anche considerare una seconda chance “reale”, insomma magari uno non trovava lavoro, era disperato, senza alternative... sarei più possibilista come società. Per la seconda, specie se si tratta di omicidi e reati simili, le cose si complicano molto! Solo alla parola “omicidio” vedo già tutte le mie difese ergersi a protezione di me stessa e del mio mondo.

Vorrei chiarire subito che non si tratta di un problema di perdono, ma di fiducia. La violenza contro qualcuno genera una rottura fortissima della fiducia della società verso l’individuo, ai limiti dell’irreparabilità. Anche se uno cerca di rassicurarsi dicendo che chi si macchia di questi reati è raramente recidivo... insomma, se è recidivo si parla di vite umane, non di computer rubati!! Quindi, spiacente per la seconda chance, ma il vicino di casa che è stato in carcere per omicidio non l’invito certo per il tè. E spiacente anche per i tribunali secondo i quali ha saldato il suo debito… Detta così sembriamo proprio una società di ipocriti… diamo sentenze “riparatrici”, ma anche quando uno le ha scontate non ci consideriamo per niente “ripagati” e non lo riammettiamo tra noi. Siamo dei “falsi” senza speranza? Valutare le persone nel loro presente è veramente impossibile per i “regolari” come me?

Mi ha colpito quanto mi ha scritto il presidente dell’associazione di cui faccio parte, quando gli ho chiesto fino a che punto si spingeva il nostro ruolo di volontari via “lettera”: “Se noi ci diciamo disponibili a scrivere a chi sta dietro le sbarre e se per caso questi escono e desiderano telefonarci, o venirci a visitare di persona, che razza di volontariato faremmo se poi ci rifiutiamo di vederli??”. Discorso troppo giusto sulla carta, ma che mi ha provocato enormi dubbi sulla mia reale vocazione di volontaria: ero disposta ad incontrare nel futuro uno dei miei corrispondenti, sapendo che poteva aver commesso qualsiasi tipo di crimine? Mah!! Un discorso è scrivere, un altro conoscere di persona un ex-detenuto. Ho deciso di provare lo stesso, dicendomi che in fondo non aprirei le porte della mia vita ad uno sconosciuto (detenuto o no), ma che qualcuno a cui scrivo da anni perde l’etichetta detenuto o sconosciuto per diventare una persona.

Dopo un paio di mesi penso che sì, se lo vorranno li incontrerò quando usciranno... ma per il momento ho corrispondenti con pene “corte” e quindi con reati “minori” (normale visto che ho appena iniziato). Non ho ancora nessuna esperienza di detenuti con reati nella “seconda categoria”, per cui non me la sento di lanciarmi in discorsi di apertura “totale” che non hanno un fondamento reale... ma penso di iniziare a vedere le cose in modo diverso, ad essere meno categorica e a dirmi che forse quel tè lo offrirei… con un po’ di timore, ma ci proverei…

 

Conclusione

 

Credo che la vostra sola possibilità di reinserimento sia di eliminare il cartellino “detenuti”, per ridiventare “persone”. La società regolare è, secondo me, meno “cattiva” di quello che sembra dalla mia lettera. Sono convinta che se portassi uno di voi in una serata con i miei amici, mettendo le carte in tavola fin dall’inizio, ci scopriremmo più aperti di quanto abbiamo mai sospettato. È facile chiudersi di fronte ai detenuti come categoria, meno facile di fronte a qualcuno che ti guarda in faccia chiedendoti una seconda possibilità. So che molti di voi hanno commesso reati per me molto gravi, eppure ormai da un po’ avete smesso di essere “solo” dei detenuti… a forza di leggere i vostri articoli, su cui posso essere o meno d’accordo, state prendendo una consistenza reale, di persone con i loro pregi e difetti, con un passato pesante, ma a cui non mi sento di negare un futuro nella “mia” società…

Lo so che vi sembra che ho scoperto l’acqua calda, ovvero il diritto dell’ex detenuto alla seconda chance, ma vi assicuro che da fuori non è facile mettere da parte paure e pregiudizi, non è facile per niente!!!! Tuttavia, sono bastate sei lettere su uno sperduto sito web francese per darmi la voglia di abbattere il muro protettivo tra me ed il carcere, per vedere se quanto raccontano i mass media corrispondesse o meno alla verità… e da lì tutto è iniziato. Credo quindi che conoscere un ex-detenuto di persona possa veramente creare “miracoli” di apertura perfino nel mondo “senza perdono” della società regolare. Il problema è creare questo contatto... quante chance ci sono, uscendo, che incontriate qualcuno come me od i miei amici, prodotti “ben riusciti” della società regolare? Pochissime, temo... e mi sembra già di sentire il vostro “per fortuna”!!

Io, invece, credo sia un peccato... peccato per voi perché credo che le categorie “medio-alte” della società primeggino sicuramente nei pregiudizi, ma anche nella capacità di mettersi in discussione e di rivedere le proprie idee. E peccato anche per “noi”, perché viviamo in una società sempre meno “sicura” e se continuiamo a chiuderci sempre di più in difesa, sarà sempre peggio... e perché, leggendo i vostri articoli, mi rendo conto che dietro le sbarre ci possono essere persone “diverse” da me ma interessanti (cosa che non avrei mai sospettato), con punti di vista che io non arrivavo neanche ad immaginare, con cui mi piacerebbe confrontarmi e discutere, e che invece non conoscerò mai.

Sabrina

Vita da “quasi libero”

Quel limbo tra la gabbietta che mi ha ospitato per qualche anno e la “società regolare”. Dialogo tra una “regolare” e un recidivo

 

di Stefano Bentivogli

 

A Sabrina ha ribattuto colpo su colpo Stefano, fino a poco tempo fa redattore di Ristretti Orizzonti all’interno del Due Palazzi, ora “affidato”  all’esterno, dove continua a lavorare per il nostro giornale.

 

Cara Sabrina,

quando mi hanno passato la tua lettera la cosa mi ha abbastanza stuzzicato, provare a risponderti intendo, perché io sto vivendo un periodo della mia vita che si può proprio considerare il limbo tra la gabbietta che mi ha ospitato per qualche anno e, come lo chiami tu, l’avversario, la “società regolare”. Questa della società dei regolari però, scusa, mi fa un po’ ridere, ne conosco veramente pochi che, al suo interno, abbiano un così spiccato senso della legalità – anche per se stessi soprattutto – da non dimenticarsi ogni tanto il canone TV, la ricevuta fiscale, il compenso in nero, il soppalco che poi tanto lo condoniamo, ecc...

Queste quattro righe che seguono, solo per raccontarti uno dei tanti episodi che forse arricchiranno il tuo archivio di conoscenza del mondo. Un giorno in redazione si parlava proprio della società che doveva accogliere noi che stavamo pagando il conto, e a un certo punto uno se ne uscì nei confronti di un altro che aveva parecchio da lagnarsi sui pregiudizi della “società regolare”: “Ma insomma, se si presenta un giorno a colloquio tua figlia e ti dice che sta insieme ad un pregiudicato, magari extracomunitario?”. C’è stato un attimo di silenzio, poi mormorii e vari “beh”, “insomma”, “però”, “cavolo, proprio mia figlia?”.

Quindi, a parte le favole di cui ogni tanto siamo abili costruttori, occhio! Il pregiudizio è un dato profondamente interclassista, interculturale, e soprattutto spesso colpisce tanto la società regolare, quanto gli irregolari certificati, noi galeotti che non stiamo qui né per scelta né per sbaglio, ma perché ci hanno “beccati e rinchiusi”. Se mi dici che le persone culturalmente aperte che conosci una seconda chance ce la darebbero, ma a 1000 Km da casa loro, mi dici una cosa non così difficile da accettare. Andando avanti mi dici che d’altra parte noi siamo automaticamente sottoposti ai vostri giudizi e siccome non vivo su una palma capisco, quello che non capisco è quando non ci si accorge di quanta violenza ci sia sempre nei confronti dei più deboli culturalmente ed economicamente, e mi chiedo se i vicini di Tanzi abbiano protestato quando (secondo me giustamente) è rientrato a casa sua, mentre il mio amico Augusto a 76 anni è ancora in cella e vive di frutta cotta e controlli della pressione. Ecco, quello che a me dà più fastidio è l’arroganza con cui una giustizia sempre imperfetta per definizione, in quanto umana, e sempre parzialmente arbitraria, diventa una lama che taglia selettivamente, e accidenti ha una mira nei confronti dei poveracci che fa impressione.

 

Peggio stai peggio sei trattato: i tossicodipendenti recidivi avranno pene da capogiro

 

Tu prova a pensare quanto è buffo il mondo, l’80% dei reati resta impunito, se si parla di reati contro il patrimonio si va al 90%, e prova ad immaginare. Sembra che quelli che passano sotto la gogna della galera debbano pagare per tutti, eppure se fuori non si è sicuri non dipenderà mica da quel 10% che è dentro in condizioni al limite, anzi al di là della legge? Ma tu non sei una da barzellette né da lacrimucce e vuoi una risposta sul 70% di recidiva. Sai che ogni volta che cerchiamo di capire da dove sia uscito quel dato andiamo in crisi: tutti lo riportano, noi compresi, e non riusciamo a capire chi l’abbia formulato e come abbia fatto. La recidiva comunque c’è ed è alta ed io ne sono la prova vivente. Però bisogna sapere bene come funziona e non far finta che l’assurdo livello di tasso di recidiva, non rappresenti, nella gran parte dei casi, il costo di una legge moralista come quella sugli stupefacenti che ha massacrato la mia generazione più di qualsiasi altra cosa.

Ma perché ti parlo di tossicodipendenza e non di recidiva? Da quando a fine anni Ottanta Craxi tornò dagli Stati Uniti, un Paese ancor oggi devastato dalla droga, e lanciò anche in Italia la teoria della tolleranza zero, facendo della caccia al drogato l’emblema della moralità e della sicurezza del Paese, da allora la popolazione carceraria è raddoppiata, la persona con problemi di dipendenza deve vivere da clandestino sempre di più, fino a quando non gli resterà che esplodere in una fila di reati, lunga quanto sarà la durata della sua dipendenza. La tossicodipendenza non si cura con l’aspirina e neanche con le pacche sulle spalle. Dando la possibilità di assumere sotto controllo medico gli stupefacenti non ci sarà successivamente il dilagare di stupefacenti, né ci sarà il passaggio alla microcriminalità di tantissime persone che, come me, hanno fatto fatica a sottrarsi alla dipendenza e per mantenersela, non sono né Calissano né Lapo Elkan, sono responsabili di numerosi reati non gravissimi ma ripetuti.

La gran parte dei recidivi ha queste caratteristiche, visto però che sei una persona informata mi dirai “Ma come, non ci sono quelle leggi che permettono ai tossicodipendenti di curarsi fuori dal carcere?”. Beh, è tutto vero, compreso il fatto che su 60.000 detenuti oggi circa 18.000 sono tossicodipendenti ed in carcere spesso ci restano per tutta la pena. Ed al solito, peggio stai peggio sei trattato, perché come resta difficile per loro avere una misura alternativa alla detenzione, questo vale anche per chi, straniero, ha problemi di dipendenza. Con la nuova legge ex-Cirielli poi si salvi chi può, non solo pene da capogiro per i recidivi, ma anche riduzione drastica dei benefici e delle misure alternative, che sono state finora, nel bene o nel male, una forma di “deterrente” ad un carcere dove non c’era niente da perdere e si risolveva a coltellate qualsiasi conflitto.

Non ci accontentiamo però di dire che la recidiva è solo un problema riguardante i tossicodipendenti e quest’assurda legge che ti obbliga, anche se adulto e consenziente, a non farti del male con alcune sostanze (alcol e tabacco continuano a farla franca). Nelle nostre discussioni in generale fuoriesce una verità lapalissiana: se non si modifica il meccanismo per il quale uno in carcere c’è entrato, qualsiasi detenuto è destinato alla recidiva. Né il trovare casa e lavoro, né l’essere accolti dalla società a braccia aperte sono sufficienti se, ad esempio, si è finiti in carcere perché non si accetta il tenore di vita che un reddito procurato onestamente riesce a garanti. Io personalmente mi sono ritrovato, ma come me molti altri, a ripartire dalla soglia della povertà.

Altri, visto che con la redazione esterna coordiniamo un’attività che si chiama “Avvocati di strada” (sostegno legale ai senza fissa dimora di Padova), li ritroviamo, i nostri ex-compagni, al dormitorio pubblico o sotto i ponti in ripari costruiti coi cartoni, e sono quelli che ormai tra il carcere ed il dormitorio hanno costruito l’organizzazione della loro vita socio-abitativa. Si tratta di persone che spesso soffrono anche di disturbi psichici e che non hanno veramente più alcun posto ove andare ed essere aiutati.

Quindi sulla recidiva, sulla “possibilità di dare un’altra possibilità”, bisogna parlarsi anche più chiaramente, sapendo che la mente umana è una cosa complicata e quanto tutti noi siamo regolari o meno è sempre troppo presto per dirlo. E ne ho conosciuto di “regolari” veri in galera, che mai nessuno si sarebbe immaginato potessero rimanere implicati nei delitti di cui sono poi stati ritenuti responsabili! Che fare? A chi dare una seconda possibilità e a chi no? E perché non una terza e una quarta? Per quali reati sì e quali no? In realtà in Italia con la legge ex-Cirielli si sta proprio mettendo in discussione questo: quante possibilità dare ad una persona prima di fare della sua detenzione la sua ultima condizione di cittadinanza? Negli States vale ormai la famigerata “Three strikes and out”, al di là dei reati commessi oltre il terzo sei fuori, anzi sei dentro, in galera a vita. Ed infatti c’è un tasso di carcerizzazione record.

Occorre sempre la volontà non di giustificare, ma di provare a capire. Noi abbiamo una Costituzione che dice che la pena deve tendere alla rieducazione, questi sono i bellissimi principi su cui si basa il nostro convivere italiano. Ora invece nelle carceri, se il senso di umanità viene dimenticato e se qualcuno pretende con vari mezzi e tanta ignoranza di rendere la detenzione un deterrente ai problemi derivanti dai vari tipi di disagio sociale, in pochi si ribellano. Quante persone ho visto, come te ed i tuoi amici, dover cambiare atteggiamento nei confronti dei detenuti solo perché in famiglia o tra qualche amico era successo il “fattaccio”, qualcuno era finito dentro? Tante ne ho viste, ma non voglio ipotizzare che l’unica possibilità di imparare qualcosa sia far finire nei guai altri.

Quello che mi interessa è ritrovare la voglia di andare oltre tutti i giudizi che escludono, che emarginano, perché sono falsità che non aiutano a conoscere ed a crescere, sia noi che voi. E questa, deludendoti forse un po’, è la prima parte della risposta: occorre sempre la volontà non di giustificare, ma di provare a capire, sempre, perché anche dove sembra di pescare nel torbido o nell’assurdo c’è parecchio da conoscere e da arricchirsi. Per questo le carceri vanno tenute aperte agli occhi della gente, che è l’unico modo per rendere la gente meno diffidente, quando uno di noi si troverà ad uscire. E poi su questa storia della sicurezza, per cui si va sempre a finire col parlare di certezza della pena, e di pena come deterrente anticrimine, c’è veramente un grande livello di strumentalizzazione.

Come Redazione stiamo promovendo una Federazione dei giornali dal carcere, che vuole proprio iniziare a fare anche un’azione di controinformazione, perché tramite giornali e TV di falsità ve ne rifilano veramente tante, ormai si lavora tutto sullo scoop e sulla spettacolarizzazione a discapito del lavoro di inchiesta che, essendo faticoso, non fa quasi più nessuno. Noi vorremmo trovare il modo di avere uno spazio per dire la nostra, per raccontare a quelli come te, ed anche a quelli che addirittura non si interessano minimamente di carcere, che la realtà è sempre più complessa di come ci viene presentata dai media.

Ad esempio quando chiedi “cosa vuol dire reinserimento?”, in molti casi occorre iniziare a parlare di inserimento, perché esistono persone nate e vissute ai margini della società e non si capisce perché, una volta fuori, dovrebbero iniziare ad avere una regolarità che certo non hanno conosciuto in carcere. L’importanza dell’accesso dei volontari in carcere consiste soprattutto in questo, nel portare dentro un’istituzione totale e chiusa persone che abbiano come bagaglio quella che tu chiami “regolarità” e che quindi inizino a farci confrontare con la realtà di una vita “regolare”. Questo nella nostra redazione è fondamentale, come sono fondamentali le tue provocazioni alle quali siamo chiamati a rispondere con lealtà, evitando teatrini.

Vorrei riprendere ancora dalla tua lettera la differenza tra diversi tipi di reati e la sfiducia che in te scatta quando salta fuori il cosiddetto reato di sangue, l’omicidio. Io sono certo che se tu un giorno entrassi in redazione, durante una discussione, ed alla fine dovessi tirare ad indovinare i reati di ognuno prenderesti delle toppe clamorose, le prendiamo anche noi che un certo naso dovremmo avercelo. Se vale quanto ti ho detto prima, che il detenuto è naturalmente recidivo se non cambiano le motivazioni per cui uno ha commesso il reato, ti garantisco che i detenuti per omicidio che conosco per la gran parte hanno alle spalle una situazione praticamente irripetibile e che sono tra le persone meno pericolose in circolazione. Resta il fatto che hanno varcato quel limite sacro del togliere la vita a qualcun altro e questo spaventa tutti, ma pare che sia così soprattutto perché ognuno rivede in sé tale possibilità di agire ed il riconoscerlo terrorizza. I dati comunque dicono che rispetto all’inizio del secolo, dove l’omicidio era veramente un rischio quotidiano, oggi siamo notevolmente più sicuri, sono aumentati piuttosto i reati “predatori”, reati spesso da sopravvivenza, e la gran parte degli artefici di questo tipo di reati è dentro, ben sigillata in carcere.

 

Quelle pene che sono diventate lo strumento di emarginazione dei già emarginati

 

Questo è l’incomprensibile della nostra cultura penitenziaria, ossia che è diventata lo strumento di emarginazione degli emarginati e dei disagiati già fuori, e ciò deve far riflettere sulle nostre politiche di sicurezza, sui costi sociali di certe leggi, a partire da certe finanziarie che pestano duro sempre sui più deboli, allargando la forbice della distribuzione della ricchezza in maniera pericolosa. Comunque, a parte tutto, il reato non dovrebbe mai coprire la persona che c’è dietro, e nello stesso tempo il reato resta un elemento che è stupido dire che non implica niente, fa parte della storia della persona.

Mi piacerebbe una tua stessa solerzia nel tenere alla larga chi è autore dell’omicidio chiamato guerra, quello senza processo e pena, ma gradi e stipendio, omicidi commessi ogni giorno da chi noi mettiamo al potere e che ha a volte maggiore disprezzo della vita altrui di chi è dietro le sbarre. La tua lettera è stata una bella provocazione, perché comunque non nasconde una persona che si mette in discussione ed ha voglia di conoscere. Su una cosa però con te non mi trovo completamente d’accordo, che l’unica soluzione sia per noi togliersi il cartellino di ex-detenuto, perché quando usciamo il cartellino non ce l’abbiamo eppure problemi ce ne sono lo stesso.

Io ad esempio non nascondo mai il mio passato di detenuto, perché so che il giorno che la cosa salta fuori tutti si sentiranno traditi. Preferisco prendermi un bel rifiuto sui denti e ripartire con qualcun altro. In verità grossi rifiuti finora non ne ho avuti, anche perché faccio una vita abbastanza solitaria. Ma la questione del cartellino mi lascia perplesso, io credo piuttosto in un lento ed inesorabile cambiamento culturale, perché di cartellini ce ne sono di vari tipi, io le chiamo diversità, che per assurdo sono state il terreno di crescita di tutte le civiltà ma che noi oggi riusciamo solo a vedere in negativo. Comunque sono anch’io ottimista, se non fosse che ad un mondo più libero dai pregiudizi non riuscirò ad assistere per questioni anagrafiche, ma questo non mi toglie la responsabilità di fare subito qualcosa, perché il futuro non riservi ad altri lo schifo che ha riservato a noi.

 

 

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