Editoriale

 

Quel grande muro che sempre più separa

chi sta “dentro” da chi sta “fuori”

 

Volevamo aprire questo numero del nostro giornale parlando di “dopo carcere”, che è il tema forte che abbiamo scelto, ma l’approvazione della legge “ex Cirielli” ci impone di tornare su questa questione, anche perché se le persone detenute, invece di iniziare un graduale percorso di “avvicinamento” alla libertà, arriveranno al fine pena dopo anni di segregazione con sempre meno alternative, il dopo carcere sarà ben più pesante di quanto già lo sia oggi.

La ex-Cirielli è però passata, ora non resta che vederne l’applicazione, e chi in carcere o in  misura alternativa non si è mai preoccupato della sua condizione o meno di recidività è ora che inizi a farlo seriamente. Certo ci sarà da far chiarezza, per quanto riguarda l’accertamento della condizione per cui un condannato è recidivo secondo l’articolo 99 comma 4 del Codice penale, perché in realtà la grossa bastonata arriverà proprio a chi ha una recidiva reiterata, i veri “professionisti” del crimine. Eppure lo sanno tutti quelli che conoscono le persone che entrano ed escono dal carcere ripetutamente che si tratta spessissimo di gente senza reddito e senza risparmi. Bene, per la felicità di quei cittadini-gendarmi, che vogliono tutti dentro a pane ed acqua, nella gabbia la cui chiave va buttata via, man mano che questa legge troverà il modo di essere applicata prenderà forza un rapido percorso verso la società della segregazione, della carcerizzazione.

Ed è incredibile che in un paese che ha una ricchezza di volontariato, di attenzione al sociale fatto di associazioni, gruppi che lavorano dedicando a chi sta male anche il loro tempo libero, sia passata una legge che decreta nei suoi principi la costruzione di un grande muro, altro che integrazione, scambio, multiculturalità.

Oggi si può dire davvero che hanno innestato la retromarcia sulla legge Gozzini, che è stata l’unico tentativo di applicare la norma costituzionale che immagina la rieducazione, il reinserimento come una possibilità ritagliata sulle persone che compiono reati e non sugli stereotipi dei criminali recidivi, che con chi è in carcere hanno poco a che vedere. Ecco in sintesi quello che sta succedendo: siccome il carcere oggi non riesce ad essere efficace nel suo intervento sulle scelte di vita delle persone, e chi esce dal carcere spesso ritorna a far reati, eliminiamo o riduciamo all’osso le già poche possibilità di dare un senso alla detenzione, di offrire opportunità di crescita.

Perfino sui tossicodipendenti vengono ridotte le possibilità di usufruire di misure alternative e benefici. Eppure da sempre si è detto che chi ha problemi di dipendenza deve essere curato fuori, e dopo aver constatato che un terzo dei detenuti comunque resta in carcere, si provvede ora a diminuire ancora la possibilità di farli uscire. Non ha veramente senso questa legge, se non quello di prendere la strada degli Stati Uniti, dove il tasso di carcerizzazione è altissimo, quanto è alto quello di insicurezza sociale: la rapina e l’omicidio sono una pratica dilagante, nonostante la logica della ex-Cirielli lì sia attuata da anni.

Noi siamo ancora convinti che si possa tornare indietro, magari con una riforma che faccia tabula rasa di tutti questi colpi di mano che non vogliamo credere che rappresentino l’opinione della gran parte degli italiani, una volta che anche su carcere e sicurezza si sia fatto quel lavoro di informazione corretta che la gran parte dei media evita di fare. Senza questa possibilità si tornerà nelle carceri alla violenza che c’era prima della riforma del ‘75, quando benefici non ce n’erano e vantaggi per la buona condotta non ne esistevano. Si tornerà alle rivolte e a tanti atti di violenza, altro che sicurezza, saranno guai, e non solo dentro le mura delle prigioni italiane.

 

 

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