I Ricomincianti

 

Multe, pene pecuniarie e altre torture

Di quanti ostacoli è cosparsa la strada per la libertà?

 

di Patrizia

 

Come Omero nell’Odissea descrive le peripezie di Ulisse durante il lungo viaggio di ritorno verso la sua patria, Itaca, dopo la distruzione di Troia, così anche la mia storia è un’odissea, ed è quella di tutti i detenuti che prima o poi vengono a confrontarsi con il mondo esterno, e con tutto quello che di poco piacevole gli riserva. Il fine pena, si sa, determina solo la fine della condanna, quella che si sconta in carcere oppure in misura alternativa, poi però cosa succede a questo detenuto o ex detenuto? Ecco, io voglio raccontare un problema che da alcuni mesi sto affrontando, voglio raccontarlo perché tutti i detenuti prima o poi se lo troveranno davanti e credo che la redazione di Ristretti Orizzonti possa aprire una discussione su questa questione.

Mi mancano meno di due anni per arrivare al fine pena, ma già nel maggio di quest’anno mi è arrivato a casa il provvedimento di cumulo della mia pena pecuniaria o multa: devo allo Stato 17.495,00 euro. Una volta per la multa c’era la possibilità di fare la richiesta di conversione in libertà vigilata al Magistrato di Sorveglianza, che poi decideva se concederla o meno, ora è diventato tutto più complicato, a svantaggio naturalmente di noi detenuti. Adesso che sono in affidamento in prova con il Centro servizio sociale per adulti, faccio dei colloqui con la mia assistente sociale ed è durante uno di questi colloqui che ho affrontato il problema delle multe: portando con me le cartelle esattoriali e il provvedimento di cumulo, abbiamo cercato di capire come è cambiata la legge.

Quello che mi ha stupito è la tranquillità con cui lei mi spiegava come funzionano le cose, un po’ come se tutti i detenuti avessero i soldi per estinguere il debito. Il fatto è che alla fin fine devi pagare oppure non possedere nulla per molto ma molto tempo, perché anche a distanza di anni ti possono portare via un bene di tua proprietà. L’assistente sociale mi ha fatto anche degli esempi di persone a cui hanno tolto quel poco che avevano, naturalmente non è il Tribunale che pignora ma le agenzie per la riscossione dei tributi, "strozzini legalizzati" li chiama qualcuno: non guardano in faccia niente e nessuno. Naturalmente non c’è motivo per cui non dovevo credere a quello che la mia assistente sociale mi stava dicendo, mi sembrava assurdo ma ho deciso di muovermi subito, senza aspettare un solo istante, per capire cosa potevo fare per estinguere il mio debito.

Prima di tutto mi sono dovuta recare all’ufficio del Campione penale di Udine per avere qualche informazione, ma gli impiegati che quel giorno erano in ufficio non sapevano cosa dirmi e così hanno telefonato all’ufficio di Sorveglianza, dove hanno detto che se io non pagassi entro i termini previsti ci sarebbe l’iscrizione a ruolo, emessa dall’ufficio del Campione penale, che poi passerebbe di competenza all’Agenzia delle Entrate. Loro possono rateizzare la multa, ma se non pago neanche allora passano tutto alle Agenzie per la riscossione dei tributi e qui possono pignorare beni mobili e immobili, in pratica sono delle banche che riscuotono il debito.

La mia assistente sociale mi aveva già messa in guardia su cosa avrei trovato rivolgendomi all’ufficio del Campione penale: la modalità per il pagamento delle multe è infatti molto cambiata, lo Stato si è reso conto che con la conversione in libertà vigilata, e quindi l’obbligo di firma, non incassava soldi, e così ha pensato bene di cambiare la legge; il Tribunale si è tolto un grosso fardello passando tutto in mano a questi esattori che non ti danno via di scampo, devi pagare e basta. Io però naturalmente non ho mollato, prima di deporre le armi voglio arrivare fin dove mi è concesso e comunque voglio capire come funziona.

 

Per molti anni non potrò essere padrona di una macchina, né di una casa, né di altro

 

In pratica dopo aver "visitato" l’ufficio del Campione penale di Udine sono andata all’Agenzia delle Entrate di Trieste, perché il provvedimento mi era arrivato dal Tribunale di quella città. Dopo aver pazientemente aspettato, sono entrata in un ufficio e ho spiegato la mia situazione all’impiegata, che mi ha risposto che solo dopo l’iscrizione a ruolo loro potevano concedermi la rateizzazione fino a un massimo di 60 rate mensili. Quindi per 5 anni, visto che la mia multa è di 17.495,00 euro, dovrei pagare delle rate di 300,00 euro al mese, poco meno di quello che guadagno. Mi sono detta allora che non era possibile accettare una situazione del genere e ho chiesto un consiglio prima che avvenga l’iscrizione. Mi è stato risposto di rivolgermi all’ufficio del Campione penale di Trieste incaricato di emettere l’iscrizione. A questo punto ho incominciato a innervosirmi, già mi ero rivolta a quello di Udine e visto com’è andata, chissà in quest’altro che sorprese avrò, ho fatto trenta facciamo trentuno.

Premetto che dopo essere andata all’ufficio delle Entrate ho scritto una lettera al Magistrato di Sorveglianza per informarlo della situazione, perché ritengo importante che si rendano conto in quali difficoltà ci troviamo: usciamo dal carcere che la maggior parte di noi non ha nulla ed è costretta a non avere nulla per chissà quanto tempo, perché il fascicolo con il debito da pagare può essere tenuto aperto per anni, quindi non potrai essere padrone di una macchina, né di una casa, né di altro perché in qualsiasi momento te lo possono pignorare, e sul lavoro ti possono trattenere un quinto dello stipendio. Io ho una casa, dove sto con mia figlia, e non voglio che me la portino via. Sono disposta a pagare ma sembra che le modalità di pagamento superino le mie possibilità. Faccio l’ennesima richiesta al Magistrato per recarmi in Tribunale a Trieste, sono in affidamento e per uscire dalla provincia devo avere la sua autorizzazione. Mi reco allora in Tribunale e all’ufficio del Campione penale mi dicono che loro non possono fare nulla, unicamente trasmettere l’iscrizione a ruolo, c’è solo una persona che può aiutarmi ed è il Magistrato di Sorveglianza, ma aiutarmi come?

Per quello che l’assistente sociale mi ha detto il Magistrato può agire solo dopo che il pignoramento è effettivo, e prima non ha alcun potere.

Adesso io vorrei capire cosa può fare un Magistrato dopo che il pignoramento è effettivo. Ormai la mia casa è pignorata e se voglio riaverla devo pagare, giusto? Sono tornata a casa e ho riscritto al Magistrato spiegando quanto l’ufficio del Campione penale mi aveva detto e a questo punto ho fatto richiesta di conversione della mia multa in obbligo di firma. Adesso aspetto che mi risponda, vorrei avere delle risposte chiare perché mi sembra impossibile che non ci sia un modo per venirne fuori. Ma il Magistrato, in definitiva, che compito ha?

E io, riuscirò mai a "chiudere" con il carcere e tutti gli strascichi che si lascia dietro?

 

 

Dopo carcere, storie di ordinaria emarginazione

Fuori c’è da condurre una lotta per la sopravvivenza: contro i prezzi proibitivi degli alloggi, contro gli strascichi delle vicende giudiziarie, contro il "marchio" di ex detenuto, contro tutto…

 

Testimonianze raccolte da Francesco Morelli

La "strada" e il carcere sono vasi comunicanti e, tante volte, diventano mete predestinate di un tragitto senza alternative: passi dall’una all’altro, sempre più malconcio nel corpo e nella mente, finché ti decidi "a togliere il disturbo"… se sei così gentile da crepare mentre sei "fuori", eviti qualche noiosa seccatura allo Stato, altrimenti entri nelle statistiche come "evento critico" (i morti di carcere si chiamano in questo modo).

Non voglio farne una questione personale, anche perché ho la "fortuna" di dover scontare ancora parecchi anni di detenzione e questo allontana nel tempo il momento in cui mi ritroverò per la strada. A questo comunque sono destinato, sia per come ho "imparato a pensare" in 15 anni di carcere, sia per come nel frattempo è cambiata la società, a tal punto che lo schiavismo è tornato attuale, nelle case come nei luoghi di lavoro, appena mascherato dalla "facciata di buone maniere" imposta dagli ideali democratici (nessuno si sognerebbe di ripudiarli…). O forse è vero che certi tipi di schiavitù non sono mai scomparsi: dopo una dozzina d’anni di propaganda dell’individualismo e del "mercato" tanta gente si è convinta che i soldi possono comprare anche la vita altrui.

Per più di qualcuno la "vita in strada" diventa, allora, scelta di libertà. E, per chi è stato in carcere, la libertà vale più della vita stessa. Il lavoro, al di fuori del "giro" delle cooperative sociali (ma, a volte, anche all’interno di esso), spesso infatti significa sfruttamento impietoso, e comunque c’è da condurre ogni giorno una lotta per la sopravvivenza: contro i prezzi proibitivi degli alloggi, contro gli strascichi delle vicende giudiziarie, contro il "marchio" di ex detenuto, contro tutto… C’è chi se la sente e chi non se la sente…

 

Storia di Ciro

Ciro ha poco più di 50 anni, almeno la metà dei quali passati in carcere. Un ergastolo scontato "a rate", dentro e fuori e di nuovo dentro e di nuovo fuori… ma stavolta ha deciso di rigare diritto e si è pure preparato seriamente al "grande salto" verso la libertà: niente vino, esercizi in palestra, persino un lavoretto fisso nella lavanderia del carcere, per mettere da parte qualche euro…

Poi arriva il giorno della libertà, la sua ultima condanna se l’è scontata tutta…1 anno e 8 mesi per furto aggravato: neanche il tempo di chiedere la semilibertà, e comunque, neanche un posto dove trascorrerla… Il "posto" che gli manca anche ora, per lui stare a Padova o in un’altra città fa lo stesso, tanto non ha niente e nessuno a questo mondo. Chiede un po’ in giro: per entrare al dormitorio pubblico c’è la lista d’attesa e, comunque, bisogna passare dai servizi sociali del comune… e bisogna essere un po’ disperati, per alloggiare lì dopo essersi fatti la galera.

Ciro non si sente ancora tanto "andato", e approda allora in una sorta di "casa di accoglienza" gestita da privati, dove gli chiedono una retta giornaliera di quasi 30 euro, per un posto letto e la prima colazione. Il giorno dopo comincia a "battere" la città in cerca di un lavoro. È pronto ad accettare qualsiasi cosa: dal punto di vista del "padrone" questo significa che non sa fare niente…

Eppoi ha l’età peggiore… quale imprenditore si accollerebbe un lavoratore cinquantenne, senza esperienza e malmesso di salute? Dopo 3 settimane Ciro ha esaurito le speranze, la pazienza e i soldi.

I responsabili della "casa di accoglienza" prendono i suoi stracci e glieli mettono fuori dalla porta, lui si arrabbia, grida, litiga, alla fine ottiene… di poter dormire in giardino! È luglio, può anche andare bene, per una notte o due… Il bagno non glielo fanno usare, si lava ad una fontanella, si mette la tuta migliore e torna in una delle fabbriche dove è passato a cercare lavoro. Ma questa volta si presenta impugnando un taglierino, chiede che gli aprano la cassaforte. Il "padrone" si mette a gridare, alcuni operai accorrono, qualcuno prende un bastone e colpisce Ciro, il taglierino cade e poi gli sono tutti addosso. Lo ammazzerebbero di botte, ma qualcuno lo riconosce e convince gli altri a lasciarlo: "È solo un povero disgraziato, non sa quello che sta facendo…".

L’aiuto glielo ha dato un ragazzo nordafricano, che era stato in cella con lui a Vicenza in una delle tante carcerazioni passate. Niente denuncia, Ciro torna al suo giardino, per l’ultima notte di libertà… Il giorno dopo ritenta "il colpo", questa volta in una banca. Come si affaccia sulla porta, vestito da poveraccio e ammaccato, gli impiegati intuiscono le sue intenzioni e chiamano i vigilantes. Basta poco, anche stavolta, per disarmarlo dal taglierino. Ciro si prende qualche altro cazzotto… giusto per "immobilizzarlo", per il viaggio verso la caserma… e poi quello verso il carcere… ora per tre o quattro anni vivrà male, ma senza doversi sbattere tanto… poi… poi si vedrà!  

 

Storia di Michele

Michele ha 48 anni, gli ultimi 12 li ha passati in carcere, compresi 18 mesi di semilibertà. Prima dell’arresto una discreta "carriera": dai furti, alle truffe, a "cose più serie", come rapine ed estorsioni. Ricordi di una infanzia e un’adolescenza segnate da tanta povertà, la madre vedova, l’arte di arrangiarsi… Poi altri ricordi, di soldi "facili", belle macchine, bei vestiti e belle donne… e di com’è finita "per colpa degli infami". Ha una compagna, che gli è rimasta vicino mentre era detenuto: 10 anni di colloqui e attese… poi, quando lui ha avuto la semilibertà, si sono messi a litigare. Al rientro da un permesso è arrivato con l’automobile carica di vestiti: lei gli aveva messo tutto fuori dalla porta.

La pena stava finendo, Michele lavorava in una lavanderia industriale, 750 euro al mese… dei quali un 20 per cento trattenuti per le immancabili "spese di giustizia" e un altro 20 per cento per il fondo vincolato. Le ultime settimane sono state un vero tormento, nella ricerca di un alloggio, o comunque di un posto dove mettere tutta la sua roba: "Posso anche dormire in auto, però devo trovare qualcuno che mi tiene i vestiti…". Poi Michele è uscito e per un pezzo non l’ho più visto. Finché mi ha telefonato in ufficio (lavoro all’esterno nella sede dell’associazione "Il granello di senape"): "Ho letto che avete avvocati per aiutare i senza casa…".

Il giorno dopo è arrivato di persona, assieme a una ragazza straniera. Due problemi: lei è clandestina, lui è al verde poiché il suo datore di lavoro non lo paga con regolarità. Vivono assieme: una stanza nell’appartamento che dividono con altri due gruppi famigliari, tutti e due stranieri. Nessuno ha il permesso di soggiorno. Il proprietario che ufficialmente dovrebbe abitarci vive da tutt’altra parte e raccoglie tre affitti in nero. La ragazza, dopo avere lavorato da schiava per due anni (finché ha estinto il debito fatto per pagarsi il viaggio verso l’Italia) ora si è riscattata, ma continua a lavorare per i connazionali: la "paga" è di un euro all’ora e c’è poco da lamentarsi, perché loro sono "regolari" e lei no… e preferirebbe morire piuttosto che essere rimpatriata…

Se Michele ricevesse il salario che gli spetta, vivrebbero pure in maniera decente, il guaio è che il suo datore di lavoro lo tiene sotto ricatto. Prima gli ha detto che lo avrebbe licenziato allo scadere della pena, perché "non ci sta dentro" a pagargli (pure!) i contributi. Dopo varie suppliche ha accettato di tenerlo ancora al lavoro, ma con un contratto a tempo parziale, in modo da pagare il minimo possibile alla previdenza. Così Michele, pur continuando a lavorare otto ore al giorno, viene pagato per quattro.

Le restanti "dovrebbero" essere compensate, però finora (e sono trascorsi cinque mesi) i soldi non si sono visti, per una scusa o per l’altra: un mese la ditta non ha liquidità, il mese successivo c’è stata da sostituire una macchina molto costosa, e così via… Una situazione da denuncia. Michele, già poco propenso di suo a rivolgersi ad un giudice, mi fa notare: "Poi cosa faccio? Mi ritrovo senza lavoro e alla mia età, dove vado a trovarne un altro? E se il "padrone" mi fa lui una denuncia, dicendo che l’ho minacciato o che gli ho rubato qualcosa? Secondo te a chi crederebbero?!".

 

Storia di Fausto

Fausto ha 44 anni, usa droghe fin da quando era ragazzo e questo ha reso la sua vita progressivamente più complicata e precaria. Si è "disintossicato" un’infinità di volte, le prime col sostegno di operatori e famigliari, poi semplicemente perché finiva in carcere, dove le "sostanze" si reperiscono con fatica e comunque costano il triplo rispetto ai prezzi correnti "in piazza". Col trascorrere del tempo, del resto, i periodi di detenzione si sono fatti sempre più lunghi (e quelli di libertà più brevi ovviamente…), quindi Fausto è riuscito a restare "pulito" abbastanza per avere una condizione fisica discreta.

L’ultima carcerazione è durata 5 anni e mezzo, determinata dalla somma di una dozzina di condanne: piccole detenzioni e piccoli furti… ordinari "inconvenienti", per chi vive nel mondo della tossicodipendenza. A giugno Fausto viene "dimesso" dalla Casa di reclusione di Padova. Ha qualche soldo, ricevuto per i turni di "scopino" fatti, un paio di tute da ginnastica e il certificato di detenzione… niente altro. Non ha documenti: la patente di guida gliel’hanno tolta con il primo arresto, a 23 anni, e la carta di identità è andata smarrita chissà dove…

Finché ha soldi trova qualcuno che gli dà un posto per dormire… fuori dai circuiti "ufficiali" dell’accoglienza, si intende: solidarietà tra emarginati, contraccambiata con l’acquisto di qualcosa di utile a sballarsi o di cibo. Finiti i soldi (e la solidarietà) si sistema su una panchina; una notte viene "sorpreso" dalla polizia e, non avendo documenti, portato in questura. Gli prendono le impronte, cercano negli archivi e salta fuori un "foglio di via"… Fausto è stato "espulso" da Padova, con il divieto di tornarvi per dieci anni! Ecco perché non voleva mostrare i documenti – concludono i poliziotti.

Lo accusano, oltre che del mancato rispetto del foglio di via, pure di avere tentato di sottrarsi all’identificazione: viene "segnalato" alla Procura e gli intimano nuovamente di andarsene da Padova. Andarsene dove? Fausto non ha un posto dove andare: prima dell’arresto aveva abitato per un po’ di tempo in un comune della provincia, la cui anagrafe lo ha cancellato appena ve ne è stata l’occasione… Almeno a Padova conosce gli operatori del Ser.T. e gente variamente impegnata a dare sostegno alle persone… come lui! Sbattendosi un po’ riesce a trovare un’associazione disposta a fargli prendere la residenza presso la propria sede, ma rimane il problema del "foglio di via".

Eppoi Fausto ha bisogno di altro, mentre aspetta che le pratiche burocratiche facciano il loro corso: può anche dormire sulle panchine… in estate non c’è il rischio di morire di freddo… però deve pur mangiare e, per non morire di tristezza, dove trovare qualcosa con cui sballarsi.

Al Ser.T. ottiene un po’ di metadone, ma non sempre, perché non avendo residenza il Servizio sanitario nazionale gli garantisce solo gli interventi "di emergenza". Un giorno lo incrocio che torna da Via dei Colli ed è stravolto: non gli hanno dato niente… a loro avviso non stava "abbastanza male" da giustificare la somministrazione di emergenza… "Dipende da chi trovi", mi dice, "c’è chi te lo dà senza storie e chi invece fa tante domande… ti fai… non ti fai... quanto… e come?".

Una mattina lo arrestano, ha rubato due computer. Processo per direttissima, condanna a un anno e quattro mesi, rilascio in libertà provvisoria, tutto in giornata. Sfuma la possibilità di avere una residenza e arriva il secondo "invito" ad andarsene da Padova: al terzo, scatta una diversa misura di sicurezza, la "Casa di lavoro", che sostanzialmente è una detenzione amministrativa… per lo più senza lavoro…

Nelle settimane successive vedo spesso Fausto in giro per la città, malmesso, con le idee sempre più confuse. È agosto, tanti uffici sono chiusi e lui non sa più dove andare a sbattere. Poi, improvvisamente, scompare. Mi arriva voce che lo hanno arrestato di nuovo, per l’ennesimo furto, però non ho conferma, se lo hanno messo al Circondariale se ne sta zitto zitto, altrimenti qualche notizia filtrerebbe. Oppure se n’è andato in un’altra città prima che gli facessero la terza intimazione? Oppure gliela hanno fatta ed è finito in "Casa di lavoro?". Comunque sia, i due mesi di "libertà" per lui sono stati una lotta senza speranza. L’ho visto dimagrire di 20 chili e invecchiare di 20 anni. "L’inferno" del carcere, a volte, è nulla, rispetto a quello che ci aspetta fuori.

 

Il problema della residenza e della casa al momento dell’uscita dal carcere

Un’indagine tra i detenuti della Casa di reclusione di Padova

 

In concomitanza con la giornata mondiale di lotta alla povertà - indetta dall’Onu - e assieme a "Terre di mezzo" (giornale dei senza dimora di Milano), abbiamo effettuato una ricerca sul problema della residenza e dell’abitazione al momento dell’uscita (in misura alternativa o a fine pena) tra i detenuti nella Casa di reclusione di Padova, attraverso un questionario distribuito nelle sezioni. Hanno risposto in 391 su circa 700 detenuti: 245 italiani e 146 stranieri. Di seguito riportiamo i dati più importanti che sono emersi:

più di un quarto dei detenuti (25.6%) non ha un luogo d’appoggio per poter usufruire di benefici e misure alternative e tanto meno per alloggiare al termine della pena;

 il 51.72% ha la residenza anagrafica in un luogo all’esterno del carcere;

il 36.22% ha la residenza anagrafica in carcere;

 il 12.06% non ha una residenza anagrafica in nessun luogo;

il 31.04% ha vissuto sulla strada, in qualche momento della sua vita e, all’interno di questo gruppo, il 37.94% dichiara che ciò è successo dopo un periodo di detenzione.

 

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