Sani - dentro

 

Sono passati due anni dal mio arrivo in Italia

ed eccomi in stazione seduto con una bottiglia di vino

che aspetto se passa qualcuno che conosco per chiedere un aiuto

 

Testimonianza raccolta da Youssef Kais

 

"Quattro anni fa, ho deciso di abbandonare l’università e di lasciare il mio paese, la Tunisia, per raggiungere i miei amici in Europa, dopo tante discussione fra me e i miei familiari. Loro non erano assolutamente d’accordo, anche perché non c’era un motivo valido per poterli convincere della mia partenza improvvisa, ma era già da tempo che meditavo tutto questo. Così mi ritrovai ben presto in Italia, incontrai i miei amici che non vedevo da un pezzo e fu una bella e reciproca emozione indimenticabile. Per me in quel momento era il massimo che potessi sperare, anche se continuavo ad essere dispiaciuto per i miei genitori che erano rimasti contrariati dalle mie decisioni.

Mi invitarono la stessa sera per festeggiare tutti assieme il mio arrivo nella casa di un amico. C’era di tutto, ma soprattutto c’erano tante bibite alcoliche che io non avevo mai assaggiato: mi offrirono un bicchiere di whisky per brindare alla mia salute e io senza esitazione presi il bicchiere e brindai con loro. E provai per la prima volta una sensazione molto strana: come se l’alcol mi avesse dato il benvenuto nel suo mondo! Quella sera non mi sono pentito per niente di aver bevuto, perché sapevo che difficilmente ci avrei riprovato, dal momento che l’alcol io l’avevo sempre rifiutato.

Dopo un solo mese vissuto in quella straordinaria euforia, tipica di chi inizia un’esperienza in un paese nuovo, ho dovuto pensare a sopravvivere senza l’aiuto di nessuno. È stato così che ho cominciato a cercarmi un lavoro pensando fosse facile reperirlo, ma non lo era affatto. Il vero problema era che più passavano i mesi e più la mia situazione peggiorava. Per la prima volta mi sentivo solo: per gli amici ero diventato una persona estranea, prima ci vedevamo ogni giorno, ora per me c’era una telefonata ogni cinque mesi. E’ così che ho cominciato a capire di avere sbagliato molte cose, ho capito che certi sogni non ci appartengono e che avrei ben presto "indossato l’abito dell’ottimismo" e me ne sarei tornato di corsa a casa mia, ma purtroppo non ho fatto così, e mi sono lasciato andare invece di reagire.

Sentirmi così fallito mi ha fatto diventare menefreghista, e allora ho ripreso a bere per la seconda volta in vita mia, ed ho capito che non ci sarebbe stata solo una seconda volta ma ci sarebbe stata anche la terza, la quarta e via dicendo…

Sono passati due anni ed eccomi in stazione seduto con una bottiglia di vino, che aspetto se passa qualcuno che conosco per chiedere un aiuto perché non ho una lira.

In due anni ho telefonato solo due volte a casa mia per la vergogna, e l’alcol non ha fatto che farmi perdere la mia personalità, l’orgoglio ma soprattutto la mia famiglia e lo studio. Non solo, l’alcol mi ha fatto diventare una persona insopportabile, un pericolo che cammina, ma sono anche diventato aggressivo e, come se non bastasse, sono stato arrestato per aggressione a mano armata, così mi sono trovato in carcere per scontare una pena di tre anni e sei mesi.

Anche se il carcere è un luogo insopportabile, sono stato contento perché non so, se fossi rimasto ancora fuori, cosa avrei fatto di peggio! I primi giorni in cella da solo sono stati sufficienti a farmi prendere la decisione di farla finita per sempre, ma per fortuna mi è arrivata una lettera da mia madre che mi ha dato tanto conforto, perché la mia famiglia mi vuole ancora bene e mi testimonia che non si sono dimenticati di me.

In carcere sono stato contattato da un club di alcolisti in trattamento e spero di riuscire a farcela, ma ora il mio obiettivo principale è di affrontare i problemi, attraverso lo scambio di opinioni ed esperienze, cercando di immaginare e costruire un futuro diverso, perché mi piace sognare che il cambiamento sia sempre possibile".

Alcol e Psicofarmaci

 

La testimonianza di Said è stata raccolta da Abdul El Jyad

 

La diffusione dell’alcool fra gli immigrati è incredibilmente più alta di quanto si pensi. Ricordo quando ero in libertà e mi incontravo con i miei connazionali: tra loro erano in molti a far uso di alcol in ogni occasione per divertirsi e creare un’atmosfera più allegra, anche se l’alcol per la nostra religione è totalmente vietato, e questa è una regola della vita quotidiana e sociale stabilita per conservare saldi i rapporti tra le persone e i legami tra i membri di una famiglia. Ci sono però tante persone che hanno violato questo patto religioso e culturale per motivi diversi, ed io ho raccolto su questo problema la storia di Said, un cittadino marocchino, detenuto nel carcere Due Palazzi.

"In Marocco non ho mai neppure provato il sapore dell’alcol e non avrei mai pensato che un giorno sarei diventato un alcolista. In Italia ho affrontato tanti problemi per sopravvivere: come clandestino non potevo trovare un lavoro, e a quel punto l’unica via d’uscita era scendere in piazza per spacciare, ma non ne avevo il coraggio. Ricordo quello che mi disse allora Zakaria, uno di miei amici, che aveva capito il mio problema: "Guarda Said, la vita in Italia non è facile come pensavi, anch’io ho scelto di emigrare contro la volontà dei miei genitori, ho lasciato lo studio senza sapere che cosa mi aspettava al di là della frontiera, e non posso tornare indietro, sarebbe una sconfitta troppo pesante. Allora faccio finta che questa mia scelta sia quella giusta. Beviti anche tu qualche bicchiere, ti farà bene e ti darà coraggio per fare quello che ti sembra giusto fare". Così inizia la mia storia con il diavolo dell’alcol. Ha sostituito le mie debolezze, giorno dopo giorno bicchiere dopo bicchiere bevevo per cacciare via la paura, e qualche volta perdevo il controllo di quello che stavo facendo. Una mattina mi sono ritrovato nella caserma dei carabinieri con l’accusa di spaccio di stupefacenti. E così sono finito in carcere.

In cella ho avuto tutto il tempo per ragionare sulla mia scelta, ho capito che l’alcol mi ha mostrato solo debolezza e mi ha aperto una strada senza ritorno.

Anche in carcere bevevo troppo, ma non per divertimento, volevo solo evitare di pensare ai motivi per cui ero dentro e alla mia scelta di emigrare e non tener conto dei i consigli dei miei genitori. Bevevo finché l’alcol si impadroniva di me mostrandomi solo le cose cattive, mi sentivo come se stessi dialogando con un’altra persona. A causa dei suoi effetti, che mi spingevano a commettere sbagli e a obbedire ciecamente al suo "comandamento", ho perso la fiducia degli altri nei miei confronti, e anche la possibilità di vivere normali rapporti di amicizia.

Sono consapevole che l’alcol può causare gravi problemi alla salute, ma soprattutto che il suo abuso provoca conseguenze che possono essere devastanti, in quanto non ti lascia distinguere tra il buono e il cattivo. Nel mio caso mi metteva tutte le cose sullo stesso livello, mi ha causato anche la perdita dei giorni della liberazione anticipata. Tante volte mi sono svegliato in isolamento senza sapere che cosa avevo fatto. Sapevo tutto dopo, tramite i miei compagni di sezione. Il grande problema era quando mischiavo alcol e psicofarmaci, che mi davano in quantità, così creavo un cocktail particolare, ero io che decidevo quante gocce volevo senza che il medico mi facesse problemi, senza sapere quali erano gli effetti sulla salute, senza avere la minima informazione in proposito.

In carcere mi trovo in una cella di 4 metri per 3 a forma di cubo, un letto e poco più e il cibo che a volte è immangiabile. In più ho i miei problemi personali, la difficoltà di dialogo con gli operatori dell’istituto. Ho partecipato ai gruppi organizzati, ma non trovavo nemmeno lì senso: ci riunivamo in una specie di aula a parlare di argomenti e problemi altrui, senza un intervento convincente, positivo. Alla fine mi sono convinto che l’unico modo per trovare una via d’uscita dipendeva solo da me stesso, senza aspettare l’ aiuto di nessuno.

Ognuno di noi alcolisti deve trovare una via di mezzo per uscire dalla devastazione, ho la voglia di ritornare alla mia vita che aveva un senso, senza nessuna paura di quello che mi riserva il futuro, ho scelto di ricominciare a vivere e di trovare la normalità, cerco di fare di tutto per recuperare la mia dignità, non ho mai perso la fiducia in me stesso. Questa esperienza fa parte della mia vita e penso sarà utile per il mio futuro, l’esperienza per me è una cosa buona che non muore mai".

Sono 17 anni che sono in Italia, dei quali quasi cinque passati in carcere. Da testimonianze come quella di Said ho capito la sofferenza e le difficoltà degli alcolisti che si trovano dietro le sbarre, ho visto anche che non c’è una grande differenza tra gli alcolisti immigrati in libertà e in carcere. In libertà è difficile, perché sei clandestino e non ti puoi rivolgere a nessuno per chiedere un aiuto, in carcere i problemi stanno nella difficoltà di dialogo con le persone, e nella solitudine.

Questa testimonianza mi ha fatto capire che sono tanti gli alcolisti stranieri che cercano alla fine di trovare una via di uscita per recuperare quello che resta della loro vita: rapporti famigliari interrotti, amici, salute. Sono certamente consapevoli che l’alcol è la rovina della loro esistenza. Ci sono ragazzi immigrati che con l’alcol sono diventati schiavi, hanno perso i loro valori fondamentali, l’idea della dignità umana, della patria, e hanno trovato solo la rottura dei legami famigliari, il distacco dalla loro religione e dalla cultura del loro paese di origine, la totale incertezza del futuro.

Quando sarò fuori non ho la certezza di riuscire a smettere

 

Le testimonianze di Slim e Mourad sono state raccolte da Karim Ajili

 

Ho parlato con due ragazzi maghrebini di età diversa, mi hanno raccontato come hanno iniziato a bere fino a diventare alcolisti.

 

All’età di 17 anni Slim, il primo dei due, ha provato, per la prima volta, il sapore di uno dei tantissimi tipi di bevande alcoliche esistenti, per lui un gusto diverso, del tutto nuovo, con il risultato di iniziarsi a un sapore niente male. 

"Mi rammento come è iniziato: era estate, e partecipavo a un matrimonio di un amico, non avevo l’intenzione e neppure il lontano pensiero di bere alcolici. Eravamo circa otto persone raggruppate in un salotto, separate dagli altri che si trovavano in giardino e si stavano divertendo ad ascoltare un gruppo musicale. Improvvisamente uno degli amici tirò fuori una bottiglia di whisky dando inizio in questo modo, alla grande, ai festeggiamenti, e subito facemmo un brindisi. Per non fare una brutta figura o risultare scortese, ho bevuto tutto di un fiato il contenuto dal bicchiere: aveva un sapore forte che bruciava e coloro che hanno provato questa esperienza sanno benissimo come ci si sente, in fondo non è male e soprattutto si sente la necessità di berne altre due o tre dosi affinché il sapore appaia diverso. Mi sono sentito bene, una persona diversa dal solito e, come risaputo, un bicchiere tira l’altro sino a perdere la coscienza. Non mi ricordo nulla di come finì la festa e, per farla breve, fui portato a casa sulle spalle di alcuni amici.

Dopo quel giorno sono rimasto sei anni senza bere neppure un goccio, e la decisione era dovuta allo stato confusionale che avevo provato e subìto il giorno del matrimonio. Il vero e principale motivo, in realtà, è che a quella mia giovane età, nel paese dove vivo, le nostre tradizioni non permettono l’abuso di alcol e la mia stessa famiglia non doveva accorgersi di quello che mi era accaduto. Dovevo rispettare le regole che per me significavano molto.

Vi sono tante persone e tanti giovani che la pensano esattamente nel mio modo. Poi vi sono persone che non hanno di queste regole, ma nel mio caso e in quello di molti altri, esiste una questione di onore e rispetto per i nostri familiari e per la religione.

Qui in Italia, però, ho ripreso e proseguito a bere continuamente durante il periodo di questo mio primo arresto, con la consapevolezza della gravità della mia situazione. Pensavo agli anni che dovevo passare dentro e mi sentivo psicologicamente e moralmente distrutto, ricevevo solo notizie brutte ogni volta che mi chiamavano in ufficio matricola, e mi consegnavano verbali negativi.

L’unica cosa positiva è che bevendo un paio di quartini di vino (le uniche cose che sono in grado di raccogliere), ho la sensazione che il tempo trascorra molto meglio e più veloce. Reputo che questo momento sia tra i più difficili della mia vita.

L’effetto dell’alcol è come quello di un sedativo e mi allontana per un attimo da ciò che mi accade intorno. Inoltre ho la sensazione di non pensare alle persone che mi sono state sempre vicine.

Certo non devo per forza continuare a bere per dimenticare, ce ne sono altre di soluzioni, ma il problema è che quando cominci a bere diventa un’abitudine e la cosa ti rende la vita diversa da quella dagli altri detenuti. Al risveglio di ogni mattina, il mio primo pensiero è tutto per l’attesa della distribuzione del vino. L’abuso d’alcol in carcere è un problema non solo per me ma anche per molti altri detenuti che si sono trovati legati o, meglio, dipendenti senza nemmeno accorgersene. Io stesso ho provato e tentato soluzioni diverse ma non sono migliorato, in quanto l’alcol al momento è più forte di me.

Dico questa cosa in quanto basta ricevere una lettera da parte dei familiari con una bella notizia o al contrario restare deluso per eventi negativi: nel momento in cui io non posso condividere con loro i momenti di difficoltà o la gioia perché un familiare si sposa, per sfogare la mia rabbia e i miei rimpianti ho bisogno di bere per forza, così da non affrontare la realtà.

Come ho detto prima, ho iniziato a bere alcol dentro il carcere e anzi, ogni volta che troverò l’occasione, non mi tirerò indietro. Il problema preoccupante che mi pongo in questo momento è che "forse" quando sarò fuori non ho la certezza di riuscire a smettere.

L’abuso d’alcol è una trappola, alla quale si aggiunge anche il fatto che il vino che vendono in carcere innanzitutto non è di buona qualità e ti rovina lo stomaco. È successo che a molti detenuti l’abuso d’alcol ha cagionato enormi scompensi intestinali unitamente a ulteriori disagi psicologici, determinando comportamenti instabili e difficoltà nel rapporto con gli altri".

 

Mourad è invece un ragazzo di 30 anni, detenuto da circa quattro, anche lui con una storia di dipendenza dall’alcol da raccontare.

"Dal primo giorno che ho iniziato a bere sono iniziati anche i miei problemi. L’effetto dell’alcol ha cambiato completamente il mio carattere, e ora sembro un’altra persona, divento aggressivo anche con quelli che conosco. La storia si ripeteva tutti i giorni, ero consapevole dei casini che combinavo, sebbene mi proponessi con grande impegno che ogni casino sarebbe stato veramente l’ultimo. Ho provato ripetutamente a smettere ma non vi sono mai riuscito; mi trovavo spesso in compagnia con gli amici, così ho ripreso a bere come una spugna. All’inizio mi divertivo un sacco, ma successivamente tutte le situazioni finivano sempre male e questa esperienza è durata per tre anni, finché mi sono trovato detenuto per scontare una pena di sette anni. È stato uno shock terribile. Mi ripeto sempre che se non avessi abusato dell’alcol, non mi sarei ritrovato in condizioni cosi disperate e negative. Oggi, per tanti motivi, ho deciso di smettere e di cominciare a recuperare tutto ciò che ho perso nel mio lungo cammino, tra cui l’affetto della mia famiglia e degli amici a me più cari.

Al momento sto cercando di scontare con decoro e dignità ciò che mi resta da fare, sino ad ottenere i benefici che mi sono consentiti dalla legge, e nel frattempo frequento la scuola: posso così trascorrere più tempo possibile fuori della cella e approfittarne per apprendere la lingua italiana e per praticare tanti sport che mi consentono di tenermi in buona forma fisica".

 

 

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