Prospettiva: lavoro

 

Il tutor: conosciamolo meglio

 

"Il mondo cambia velocemente: norme, leggi, uffici sono un dedalo difficile da attraversare, il tutor può offrire gli strumenti migliori per farlo, grazie a contatti ed informazioni aggiornate"

 

di Francesca Masini, Tutor per la cooperativa il Bivacco Servizi

 

Mi chiamo Francesca Masini e sono un’operatrice di una cooperativa sociale di tipo A, Il Bivacco Servizi, che offre servizi finalizzati al reinserimento dopo la detenzione.

In relazione all’articolo apparso sul numero di settembre di Ristretti, ci è stato chiesto di dare un contributo in merito al dibattito che si è sviluppato intorno alla figura del tutor. I dubbi posti dai redattori nell’articolo ci sono sembrati legittimi e comprensibili in virtù dell’aura confusiva che circonda questa figura, poiché ad oggi non esiste alcun corso di studi riconosciuto che la qualifichi.

Pertanto la partecipazione a corsi formativi specifici si connota come un valore aggiunto alla qualifica professionale o all’esperienza personale che ciascuno ha, ed è quindi naturale che mansioni e obiettivi della figura tutoriale siano soggetti ad interpretazioni parzialmente distinte a seconda del contesto formativo e operativo.

In cosa consiste il nostro lavoro? Molto sinteticamente nell’orientare e accompagnare i detenuti o ex detenuti nel percorso dall’uscita dal carcere verso la ripresa della vita libera. Le figure professionali impegnate in questa mission sono educatori, psicologi o persone provenienti da altri ambienti formativi prevalentemente umanistici, che abbiano un curriculum comprovante esperienza nell’ambito.

Le persone che svolgono le diverse attività di tutoring per la cooperativa sono soci lavoratori o professionisti vincolati alla stessa tramite collaborazioni, pertanto la retribuzione del personale impiegato viene erogata dalla cooperativa attraverso il finanziamento di progetti o di convenzioni con Enti pubblici. Come è intuibile la figura del tutor per noi coincide con quella di un professionista con competenze specifiche nell’ambito dei processi di reinserimento. Colui o colei che ricopre tale ruolo deve conoscere bene la rete dei servizi che operano in tale ambito e le istituzioni connesse alla realtà detentiva.

La missione del tutor è affiancarsi all’utente supportandolo nella delicata fase del reinserimento, affinché quel particolare momento di vita sia affrontato in modo consapevole e acquisti un carattere progettuale rispetto al futuro. Ciò che caratterizza il tutor non è tanto la qualifica professionale o il titolo di studio, quanto la capacità di saper "giocare" competenze diverse (psicologiche, educative…) al momento opportuno per poter integrare fra loro le risorse dell’utente e le eventuali offerte dei servizi presenti sul territorio.

È evidente che un compito così articolato difficilmente è affrontabile solo sulla base del buon senso, richiede preparazione ed esperienza. Il tutor non può permettersi di improvvisare, perché il rischio per gli utenti è molto elevato.

Per quanto ci riguarda l’abbinamento tutor/persona, avviene in sede di équipe, diretta da una psicologa con esperienza decennale nell’ambito, a cui il tutor incaricato relaziona settimanalmente il proprio operato. In tale sede è possibile confrontarsi ed avere il supporto di professionisti più qualificati a seconda delle esigenze specifiche. Questo permette a chi svolge tale ruolo di agire con la consapevolezza di far parte di una struttura, il che per chi lavora nel sociale è una condizione necessaria per poter operare serenamente e nel modo più professionale possibile.

Uscire dal carcere, grazie ad un beneficio quale ad esempio l’articolo 21 O. P. (il lavoro esterno) o la semilibertà o anche a fine pena, apre scenari di vita molto diversi, poiché nella pratica sono diverse le restrizioni a cui il soggetto è sottoposto: tutto ciò comporta un impatto differente con la realtà. Ogni caso è un momento di grande cambiamento, in cui l’aiuto di una persona esterna può essere davvero molto rilevante.

Questo non significa che, secondo noi, ogni persona che abbia vissuto l’esperienza detentiva sia incapace di badare a se stessa, ma semplicemente pensiamo che sia giusto offrirgli un percorso agevolato/tutelato, qualora egli lo richiedesse.

Il tutor è un servizio che viene proposto, e mai imposto, all’utente. Un altro nodo fondamentale che è opportuno chiarire è questo: noi forniamo un servizio, che viene proposto e mai imposto all’utente. Leggendo il vostro articolo, emergono molte perplessità rispetto all’imposizione di tutor a chi, nella vita, di figure di controllo ne ha già avute molte (magistrati di sorveglianza, assistenti sociali…). È vero che spesso sono gli Enti a richiederci un servizio e quindi avviene da parte nostra una sorta di presa in carico, ma è altrettanto vero che lavorando con persone adulte, all’utente è sempre lasciata la possibilità di non usufruire del servizio offerto, e a noi come cooperativa resta aperta la possibilità di rinunciare all’incarico. Vorrei inoltre che fosse chiaro che, secondo noi, non tutti i detenuti hanno bisogno di un tutor, molti detenuti uscendo dal carcere hanno le capacità e le risorse socio-familiari per gestire da soli il proprio iter di reinserimento.

Penso sia importante precisare anche un altro aspetto: non è pensabile un "ufficio tutor" dove la persona possa recarsi e sottoporre le proprie richieste ogniqualvolta lo ritenga necessario. Al fine di costruire una relazione di reciproca fiducia ed empatia, è fondamentale conoscere bene la realtà e la storia delle persone. Dubito che qualcuno di voi accetterebbe consigli da un estraneo, anche se dotato di grande professionalità, un medico che vi consigliasse una cura senza avervi mai incontrato non sarebbe molto serio.

Se si tratta di un bisogno estemporaneo l’ex detenuto, esattamente come una persona qualsiasi, può trovare il modo di provvedervi, rivolgendosi a strutture preposte (patronati, assistenti sociali, consulenti) o a conoscenti fidati.

Poniamo il caso dell’essere accompagnato sul luogo di lavoro... un assistente volontario o un amico possono trovare il modo di gestire l’empasse.

Il tutor può accompagnare l’utente al suo primo giorno di lavoro o accompagnarlo a fare la spesa, se la condivisione di questi momenti è funzionale al raggiungimento di obiettivi prestabiliti. L’aiuto fine a se stesso (che spesso viene comunque offerto anche dal tutor in virtù della relazione creata) non è lo specifico che contraddistingue questo ruolo, a cui è importante dare dei confini, proprio perché altrimenti il rischio è quello di ridurre la figura del tutor ad un doppione di ruoli già esistenti: mamma, assistente sociale, aiutante o amico; tali ruoli li assegna già la vita. Il tutor ha semmai il compito di costruire la rete fra questi, di raccordare esigenze e risorse in virtù di un obiettivo.

Il tutor è un professionista, incaricato da un’équipe con cui confronta il proprio operato, che risponde delle proprie azioni ad una struttura, per noi non è un volontario che agisce in base al buon senso. Il tutor deve promuovere l’autonomia del soggetto, cercando di offrirgli gli strumenti più efficaci per poter essere soggetti liberi di scegliere, quindi pienamente coscienti delle proprie possibilità e dei propri diritti e doveri.

Il nodo che rende possibile realizzare la nostra mission è la relazione. Per poter lavorare con le persone l’unico strumento efficace, che a mio parere si ha a disposizione, è la capacità di costruire relazioni solide e positive orientate da un atteggiamento di reciproca accoglienza. Tra tutor e persona presa in carico si crea una sorta di "patto", quanto emerge durante gli incontri è comunque protetto dalla riservatezza. Il tutor non è un controllore e non ha la funzione di denunciare eventuali "deviazioni" rispetto alle regole, può e deve invece sciogliere il rapporto qualora non vi siano più i presupposti di chiarezza stabiliti nel patto iniziale.

Il nostro lavoro parte esattamente da qui: l’incontro con la persona, la reciproca presentazione, la conoscenza e la definizione di un progetto, scandito da obiettivi intermedi: casa, lavoro, affetti.

Naturalmente chi lavora con le persone non offre a tutti lo stesso "prodotto" e la cooperativa non produce kit di reinserimento, cosa esattamente fa un tutor dipende dai "bisogni" della persona, che ad un certo punto della propria storia entra in contatto con la nostra realtà. L’obiettivo resta promuovere l’autonomia delle persone

Un esempio: ormai un anno fa, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Regione Lombardia - azione multimisura - è stata segnalata come utente F., una signora detenuta in articolo 21 inserita presso una cooperativa sociale. L’obiettivo del progetto era la ricerca di una postazione lavorativa stabile e più in generale la "preparazione" alla semilibertà.

Tengo a precisare che un anno fa io non lavoravo per questa cooperativa, pertanto ho svolto l’incarico vincolata da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la stessa e retribuita con l’importo previsto nel progetto. Sono stata selezionata in base al curriculum. In tale occasione mi è stata garantita la supervisione di una psicologa, poiché per me era la prima esperienza, e mensilmente abbiamo svolto riunioni di équipe con gli altri educatori incaricati.

Ho incontrato F. sul posto di lavoro, in cooperativa, in orari extralavorativi e abbiamo iniziato a conoscerci e a capire entrambe chi eravamo.

Insieme abbiamo stabilito un progetto ed individuato le priorità, scandendole in obiettivi intermedi. Molta parte del lavoro iniziale è stata dedicata all’ascolto della storia di F., che abbiamo, nel tempo, ricostruito insieme. È vero che ognuno di noi si conosce benissimo, ma è anche vero che nei momenti di grande cambiamento (uscire dal carcere dopo più di dieci anni, mi sembra che lo sia), una persona con cui confrontarsi è utile per "rimettere in ordine". Dal punto di vista pratico mi sono occupata di contattare uffici comunali per ritrovare documenti importanti, andati "momentaneamente" dispersi. Ho fissato incontri con assistenti sociali per l’espletazione di alcune pratiche burocratiche e molto prosaicamente ho fatto ore di coda per avere l’abbonamento gratuito ai mezzi pubblici.

Ho fatto io ciò che per lei sarebbe stato incredibilmente complicato fare, perché vincolata al trattamento, e l’ho aiutata a capire cosa invece, con più tempo a disposizione, avrebbe potuto fare da sola per ottenere quanto voleva. L’obiettivo resta promuovere l’autonomia delle persone, il tutor non ha il compito di assistere i detenuti o ex detenuti, ma di coadiuvare l’inizio di un nuovo percorso in autonomia. Il mondo cambia velocemente: norme, leggi, uffici sono un dedalo difficile da attraversare, il tutor può offrire gli strumenti migliori per farlo, grazie a contatti, informazioni aggiornate.

La cooperativa svolge anche un servizio di accompagnamento per detenuti o ex detenuti, ospitati per 6 mesi in nostre abitazioni. Il compito del tutor in questo caso è agevolare il reinserimento in un’unità abitativa propria e progettare con l’ospite le modalità attraverso cui preparare il momento in cui, terminata l’ospitalità, dovrà lasciare l’alloggio per una sistemazione propria. Tale compito non si risolve nell’affittacamere che dà le chiavi, e nemmeno nella vigilanza che passa a controllare in che condizioni è l’alloggio. Il tutor accoglie l’ospite in quella che per alcuni mesi sarà la sua casa, discutendo con lui le regole dell’ospitalità. Una volta creata una relazione di reciproca fiducia il tutor settimanalmente incontra l’ospite per co-progettare ricerche, azioni e incontri opportuni a creare una situazione di integrazione sicura.

Un piccolo esempio: qualche giorno fa un nostro ospite ha sottoposto alla sua tutor il contratto di lavoro che gli era stato proposto. Tale segno evidenzia il riconoscimento da parte del giovane di una figura fidata, che non controlla ma aiuta a comprendere meglio. Nello specifico, il tutor ha riscontrato alcune irregolarità e ha provveduto a chiarire a lui le richieste da porre al proprio datore di lavoro affinché il contratto fosse equo e corretto. Avrebbe potuto dargli consulenza anche un sindacato, ma tutor e ospite in questo caso stanno lavorando insieme su un progetto a 360 gradi che ha un obiettivo preciso, di cui il lavoro è una delle molteplici dimensioni.

 

Cooperativa Sociale Il Bivacco Servizi

Piazzale delle Associazioni - 20077 Melegnano (MI)

Tel. 02-98236300 - coop.bivaccoservizi@libero.it

 

La cooperativa sociale Il Bivacco Servizi, composta da operatori e professionisti accreditati, si occupa della gestione dei progetti e dei percorsi individuali di reinserimento sociale, grazie anche alla collaborazione con alcuni servizi del Comune di Milano, con cooperative sociali, associazioni ed enti privati. Nasce nel 2002 come "terzo polo" di altre due realtà già esistenti e significative nel proprio territorio di appartenenza: Il Bivacco, associazione carcere e territorio, che fin dal 1989 si occupa di accoglienza di detenuti e sensibilizzazione del territorio nonché di progetti di accompagnamento individualizzato per persone in dimissione dal carcere;

La cooperativa sociale Soligraf, specializzata in inserimento lavorativo di persone detenute, ex detenute o provenienti da altre aree del disagio.

Il Bivacco Servizi si occupa di:

Attività di accompagnamento della persona detenuta ed ex detenuta nella fase di reinserimento sociale;

Attività di orientamento alla formazione ed al lavoro: counselling orientativo, percorsi di sviluppo di abilità sociali;

Attività di accompagnamento e di supporto nella ricerca del lavoro, del tutoraggio all’inserimento lavorativo ed alla creazione d’impresa;

Gestione di case alloggio e appartamenti per persone in dimissione dal carcere o provenienti da altre aree del disagio sociale;

Progetti ed interventi mirati al recupero di minori e di donne che vivono situazioni di violenza, sfruttamento ed emarginazione;

Sostegno a persone soggette a dipendenze da sostanze alienanti.

L’abbonamento Rai? Lo controllano i detenuti

 

Il progetto di "Trattazione integrata della corrispondenza e abbonamenti RAI" gestito da Getronics nelle carceri

 

A cura di Marino Occhipinti

 

In Italia, la prima esperienza carceraria significativa di telelavoro e teleformazione è nata un paio d’anni fa, grazie al protocollo d’intesa stipulato tra il Ministero della Giustizia e la Getronics, un’azienda che, con circa 23.000 dipendenti in oltre 30 Paesi ed un fatturato, per il 2002, di 3,6 miliardi di euro, è uno dei maggiori "fornitori di soluzioni e servizi ICT indipendente dai produttori", in parole meno complicate una multinazionale di tecnologia. Non per niente, tra i clienti di Getronics ci sono colossi finanziari, industriali e amministrazioni pubbliche del calibro di Monte dei Paschi di Siena, IntesaBci, Ministero dell’Interno…

Ed ora, grazie alla disponibilità dell’azienda ed alla collaborazione di altri enti e cooperative, con in primo piano il Ministero della Giustizia, i detenuti di alcune carceri italiane lavorano, un lavoro vero che consentirà loro di avere una possibilità, concreta e reale, di reinserimento nel tessuto sociale. Per saperne di più, abbiamo intervistato il dottor Piero Serra, che della Getronics è il direttore delle relazioni esterne.

 

Dottor Serra, ci illustra il protocollo d’intesa che avete stipulato con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, quali obiettivi vi siete posti con l’accordo e come nasce l’impegno di Getronics nei confronti del carcere?

Getronics Italia ha ereditato gran parte di Olivetti Sistemi e con essa tutto un bagaglio, una vocazione al sociale, un ethos antropologico che l’ha contraddistinta a livello nazionale e transnazionale. C’è stato sempre, nel DNA del management di questa azienda, sulla scorta della traccia segnata dalla famiglia Olivetti, una spinta a vedere il destino di un’impresa legato sì alle ragioni del profitto, ma sempre tenendo ben presente la variabile legata al "fattore umano". Getronics ha fatto sue queste istanze e, anche in un mercato informatico che sta vivendo una congiuntura fortemente critica, sta promuovendo con coraggio una politica di sviluppo diffusa e distribuita su tutto il territorio italiano, in particolare nel Mezzogiorno, con aperture di laboratori, centri di competenza che innescano i relativi processi di assunzione di personale nei territori interessati e vanno ad arricchire la sua presenza già molto forte in Italia.

È proprio in questo quadro che si colloca la proposta di Getronics di offrirsi come partner tecnologico per la realizzazione del progetto "Franchising della Solidarietà" che vede coinvolti, insieme a Getronics, il Ministero della Giustizia, alcune carceri pilota italiane e alcune cooperative sociali Onlus. Il progetto rappresenta un esempio di connubio tra l’interesse dei privati e quello delle cooperative che operano al fine di garantire l’inserimento nella società di ex carcerati. L’obiettivo è quello di creare per i detenuti, attraverso un’attività informatizzata svolta presso le carceri, i presupposti rieducativi per un loro reinserimento attraverso un’attività di servizio utile alla società, tutto questo sulla falsariga di quanto auspicato dal programma per la Giustizia presentato dal Ministro Castelli.

 

In cosa consiste esattamente il progetto, quanti detenuti sono stati assunti, in quali Istituti di Pena, insomma un po’ di informazioni generali…

La prima esperienza nell’ambito del Franchising della Solidarietà è il progetto "Trattazione integrata della corrispondenza e abbonamenti RAI". Abbiamo iniziato con 80 detenuti delle carceri di San Vittore, Bollate e Le Vallette che lavorano nei laboratori informatici allestiti all’interno del carcere. Dopo un periodo di formazione di base - fornita dalle cooperative sociali - i detenuti si occupano di smistare milioni di documenti che la tv di Stato gestisce ogni anno: una montagna di bollettini postali, pratiche amministrative e corrispondenza da recuperare in forma digitale per una migliore fruizione del servizio da parte dei cittadini. Il progetto, che prevede l’archiviazione elettronica dei documenti, consentirà alla RAI di ottimizzare i costi di gestione documentale e, al tempo stesso, permette ai detenuti di lavorare regolarmente retribuiti. Un vero e proprio stage formativo utile per il reinserimento in società.

 

Ma in pratica cosa fanno i detenuti?

I detenuti addetti alla gestione documentale si occupano della scansione dei documenti grazie a una particolare apparecchiatura che realizza una "fotocopia digitale" dei documenti. A quel punto, catturata l’immagine, si procede alla sua gestione inserendo a computer i dati identificativi del documento. Alla fine del processo di indicizzazione e archiviazione, attraverso la rete telematica di Getronics, tutte le informazioni vengono inviate al Data Center Getronics di Buccinasco e rese accessibili ai "cervelloni" della RAI.

 

Con quali enti avete lavorato per realizzare il progetto, ad esempio per la formazione e per l’allestimento dei laboratori informatici?

Il training dei detenuti è a carico di alcune cooperative sociali (nel caso del progetto RAI sono la Out&Sider di Milano e la Eta Beta di Torino), mentre la creazione di spazi per operare all’interno delle carceri è stata di competenza del Ministero della Giustizia. Per quanto riguarda invece la preparazione tecnologica dei laboratori informatici all’interno degli istituti, dalla cablatura al collegamento delle linee esterne, dalla fornitura delle attrezzature informatiche alla loro connessione con i server situati nel Centro Getronics di Buccinasco, tutta la procedura, formale e materiale, è stata curata dalla stessa Getronics.

 

Una volta a regime quante saranno le persone coinvolte nel progetto e con quale retribuzione?

A regime lavoreranno 120 detenuti suddivisi nei tre istituti penitenziari e la retribuzione prevista è di circa 720 euro netti al mese a persona, ma sono in via di definizione forme di distribuzione del lavoro per non creare rivalità con altri detenuti che lavorano senza o con scarsa remunerazione.

 

Il rapporto di lavoro è limitato all’interno delle strutture detentive oppure potrà proseguire in misura alternativa alla detenzione o anche una volta espiata la pena?

Questo è uno dei punti più importanti, infatti i detenuti in regime di semilibertà hanno già la possibilità di proseguire fuori l’attività avviata in carcere, essendo lo scopo del progetto quello di consentire il reinserimento sociale attraverso una continuità lavorativa.

 

Il bilancio: siete soddisfatti dell’attività lavorativa dei detenuti e ritiene che il progetto possa ulteriormente ampliarsi?

Siamo soddisfatti del lavoro svolto dai detenuti. Le difficoltà sono state prevalentemente di carattere organizzativo. Contiamo sicuramente di ampliare il progetto ad altri istituti di pena qualora se ne presentasse l’opportunità. L’accordo con il Ministero della Giustizia, infatti, prevede che altre carceri vengano coinvolte laddove vi fosse un cliente interessato.

 

 

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